COSI PARLÒ SᾹDHUS

COSI PARLÒ SᾹDHUS

Non siete statisti,
tantomeno donne e uomini
provvisti di senso morale.
Vi differenziate, questo sì,
dalla massa di salariati e stipendiati,
lavoratori, precari e non,
pensionati e casalinghe,
perché essi, con i loro sforzi,
stanno reggendo le sorti
di questo Paese che
non si riesce a comprendere
come abbia potuto partorire
gente come voi, privi di cultura,
illetterati, grossolani,
vi fate chiamare “dottore”,
“onorevole”, “cavaliere”
e ciò basta ad appagare
il vostro ego.
“Cogito ergo sum”
ma se non pensate
“sin autem non estis”.
Avete la spocchia di chi è conscio
della propria mediocrità.
Siete parassiti.
Di più, sanguisughe
che assorbono sangue e sudore
fino all’ultima goccia. Di più,
metastasi di un tumore maligno.
Miserabili! Privi di orgoglio,
incapaci di vergognarvi,
sprovvisti di sentimenti.
Siete il trucco di un illusionista
da baracconi.
Siete i “bamboccioni” della Nazione.
Sono certo non abbiate mai letto
un solo libro in vita vostra,
con emozione almeno,
cercando di capire i messaggi
nascosti fra le righe dei grandi.
Siete vigliacchi,
qualcuno ve lo deve dire,
tentare di rendervi consapevoli
della vostra misura.
Siete un branco di disperati
avete avuto un solo intuito,
la furbizia di aggrinfiarvi
all’unica zattera
che potesse tenervi a galla,
sentirvi alla fine qualcuno,
qualcosa,
ci siete riusciti sicuramente
in forza di tutte le protezioni,
appigli, intrighi, complotti, imbrogli,
poiché da soli non sareste all’altezza
di ricoprire il ruolo di un acaro.
Siete gente poco raccomandabile,
usate il potere che vi è stato dato
per diabolica volontà,
lo utilizzate avverso i deboli,
dinanzi ai forti e potenti
vi inchinate, al punto da toccare
il pavimento con la fronte
dalla posizione di attenti
in cui per natura vi ponete
dinanzi a chi servite,
con tale rapidità da intaccare,
con la fronte, i pregiati pavimenti
dei palazzi storici che
indegnamente occupate,
e in quella posizione
che sta ad indicare massima disponibilità
ad offrire, alla bisogna,
pure i vostri flaccidi glutei,
femmine e maschi, vecchi o giovani,
che venissero reclamati a richiesta
di chiunque vi stia al di sopra.
Vi cavalchi.
Siete codardi, finti comandanti solerti,
senza la minima titubanza,
nell’abbandonare la nave
in procinto di naufragare,
lasciando a bordo donne e bambini,
vecchi e malati
che a voi si sono affidati.
Siete anime senza la pur minima cicatrice
in quanto privi di storia,
lotta vera, competizione.
Siete in fondo disadattati,
da compatire.
L’Etruria! l’incrociatore corazzato
di 3ª classe.
Ecco chi c’era il 13 agosto 1918
mentre era ormeggiato nel porto di Livorno
e affondò causa l’esplosione di un trasporto
di munizioni che le stava affiancato.
Chi avrebbe potuto essere l’artefice
e l’artificiere di una scempiaggine del genere?
Un battello che partecipò alla guerra
fra Italia e Turchia, che percorse
73 mila miglia effettuando due volte
il periplo del Sud America,
attraversando lo Stretto di Magellano.
Di chi fu la colpa? Chiaro! Del postino
che stava recapitando un telegramma,
voi eravate a fare bisboccia,
in ciò siete maestri,
con le barbie modello gigante,
quelle gonfiabili e trombabili.
Considerato che il battello
affidato alla vostra “perizia”
stava alla fonda, poco distante
da dove eravate a divertirvi
in quel di Roma,
dove stanno le vostre sedi permanenti,
i nascondigli dei disadattati,
inconsapevolmente al confine estremo
dell’antica regione dell’Italia centrale,
la VII tra quelle dell’impero augusteo,
che da lì arrivava all’estremo sud
della Liguria comprendendo Toscana
e parte dell’Umbria
e si chiamava Etruria.
Sempre Etruria.
Ma da dove venite?
Da un’incisione di Escher
dove tutto è possibile, perfino viaggiare
nel tempo, non parliamo dello spazio,
le prospettive incongrue rese coerenti
delle quali alcunché avete capito,
anzi l’esatto contrario…
No, neppure quello.
Eh, sì! Perché siete specializzati
nel demolire le prospettive,
al popolo, alla gente inerme,
creando per voi un mondo finto,
neppure onirico, indecifrabile perfino a Dalí
che ha vissuto nel surreale,
lui era un genio
quindi impossibilitato a dedicarsi al nulla.
Ma esistete davvero? Cavalcate i secoli?
Diteci almeno chi realmente siete,
se fate il bunga bunga in Etruria nel 27 a.C.
sotto il dominio di Ottaviano Augusto,
il primo imperatore romano,
e poi vi ritrovate a fare danni nel 1918
lasciando distruggere una nave storica e,
come non bastasse
pretendete nel III millennio
di fondare una banca,
forse per sistemarvi
stanchi del lungo percorso
che il destino ha tracciato per voi.
Avete lunga vita come i patriarchi
del Vecchio Testamento,
sotto diverse sembianze cavalcate i secoli,
è giusto, avvertite un po’ di fiacca,
dovete riposare, mettere a posto tutti,
i famigli che diano
continuità alla specie cui appartenete,
e gli amici dei famigli, gli amici degli amici,
mi sembra corretto oltre che doveroso.
Ma come vi è venuto in mente di chiamarla
“Etruria”?
Chi è stato ad avere la grande idea?
Almeno su questo dateci soddisfazione.
Avreste potuto ritirarvi nei Boschi,
ce ne sono tanti, costruirvi un capanno
dove riposare i vostri cervelli, vivendo
di bacche selvatiche, radici.
Invece no! Pur essendo in un Paese,
disgraziatamente sempre lo stesso,
ma in un’epoca dove c’è la separazione
fra Stato e Chiesa, seppur finta,
vi siete messi in testa di tutelare anche
i valori e i principi del Vaticano,
nobile causa se vogliamo,
ma voi ne siete servi, tappetini,
passatoie, stuoini, zerbini,
senza riflettere sull’ epocale
cambiamento oggi in corso.
Riflettere… “That is the question!”.
Non vi frega alcunché dei disoccupati,
esodati, cassintegrati, disgraziati, questo no,
ma battervi per la presenza di simboli
religiosi cattolici nei siti pubblici
allora sì che conta, per ingraziarvi
i voti di coloro che vi acclamano
senza considerare,
come voi ma giustificati
dal vostro potere mediatico,
l’inevitabilità del mutamento,
la vana lotta.
Forse l’unica vostra cognizione
è quella di percepire,
negli abissi fradici dei vostri cervelli,
quanto siate inutili, un pesante
sovraccarico di niente.
Siete meschini, bugiardi, infingardi.
Anche se avete usato l’accortezza di
farvi tagliare le orecchie,
si vede lo stesso che siete asini,
senza offendere questi nobili animali
che con umiltà, modestia e rassegnazione
danno un contributo alla società,
da voi resa marcia,
portando nei loro stracarichi basti
il peso della pochezza degli uomini.
E il sovrappeso di voi tutti.
Non illudetevi! Quando le vostre
presenze occupano ogni palinsesto,
anche il vicino di casa, intento a fare i conti
delle tasse che deve versare,
si accorge cosa siete dai ragli che
elargite a profusione, non è solo
la vostra immagine a tradirvi.
Nell’istante in cui varcate
con aria supponente
gli ingressi dei Palazzi,
ma anche prima, durante e dopo,
si nota che vi trascinate
qualcosa appresso,
non passano inosservate le code
virtuali di cui siete dotati,
in continuo movimento
per scacciare il nugolo di mosche
e insetti affamati che vi assediano.
Siete la tara, spessa, consistente,
la parte eccedente il netto,
impurità, sostanze estranee
che sciaguratamente ci accompagnano.
Siete infingardi, viscidi,
come anguille spalmate di grasso.
Fra tante immagini tragiche che,
in questo 2015 ci sono passate davanti,
il corpo del bimbo sulla spiaggia di Bodrum,
la tragedia al Batatlan di Parigi,
le stragi di civili, donne bambini e uomini
nelle città della Siria, Yemen, Libia, Iraq,
e mi fermo altrimenti farei il giro
del Mondo rischiando di incappare nelle
abbaglianti località di villeggiatura
dove portate, da bravi cattolici,
le vostre seconde, terze mogli giovanissime
e sode, e innamorate pazzamente di voi,
ma non avete segni, unghiate nella schiena,
perché quando scopate e le vostre
inutili teste sono affondate nel cuscino
loro si gustano una mela
o fissano spazientite il soffitto,
sbuffano, guardano l’orologio
diventato la persistenza della memoria
dallo schifo e dalla noia che provano.
Potrei pure imbattermi nelle vostre dimore
di campagna, montagna, fronte mare,
posti mal frequentati,
distruttivi delle meningi.
Meglio rischiare i colpi dei kalashnikov,
andare ad aiutare chi veramente vale.
Ma avete mai provato un’ebbrezza,
una soddisfazione che non sia solo
quella di dovervi guardare tutti i giorni
in faccia, l’un l’altro, intanto che studiate
come rimediare una nefandezza?
Vi siete mai discostati dall’obbedienza,
la bassezza e pavidità cui siete condannati?
Tanto per fare il più infimo degli esempi
trovarvi al privè del casinò di Montecarlo
seduti al tavolo dello chemin de fer,
posto numero cinque,
intorno i vip del mondo,
quelli cui dovete rispondere, relazionare,
lì girano anche sceicchi,
gente che non ha mai capito
da dove gli arrivino tutti quei soldi.
Io sì, per provare tutto,
umiliare quelli ancora
più in alto di voi,
e le carte mi stanno dicendo,
è il momento, mio è il sabot,
mica mi ero seduto allo scanno del baccarat,
qui a turno ogni giocatore tiene il banco,
e sono al quinto colpo, non passo, tento il sesto,
non ci sono spartizioni fra gli avversari
per coprire la mia enorme puntata,
c’è sempre chi lo chiama “da solo”,
così si dice in gergo.
Per suoi problemi, sentirsi grande
in quanto lui può,
però deve farlo vedere che può,
la gente intorno, nei loro puntuali
abiti da sera, donne e uomini,
signore e gentleman. “Da solo!”
e tutti a fare “Oooohhhh!” di ammirazione,
poi cala il silenzio,
stavolta non vola una mosca.
Al via del croupier estraggo una carta per lui,
una a me, con disinvoltura, placido,
ancora carta a lui e a me.
Non guardo le mie,
proibito finché non ti dà indicazioni
l’avversario, che le incrocia con aria soddisfatta.
“Sto” significa, non chiama, gli bastano.
Giro rapido come un fulmine le mie,
e le sbatto come un ceffone sul panno verde,
donna e sei, ho vinto, ma veloce come
un pensiero distorto estraggo l’ultima carta
per me e la spiaccico sulle mie, brusio del
pubblico per la brutta giocata,
contro ogni regola, priva di logica,
gli altri sette avversari si raddrizzano indignati
agli schienali delle poltrone,
in lui il sorrisetto depresso che gli si era spento
nel vedere il mio punto si tramuta
in un ghigno distorto sul bel dieci in caduta,
prende le sue carte e le sbatte sul tavolo,
al suo miserabile cinque
avevo dato una possibilità,
per dimostrargli come sono fatti gli uomini,
e gli astanti intorno al tavolo,
numerosi come insetti su una sotta,
così chiamano da noi
la cacca delle vacche,
bella, grande, rotonda,
gli indiani di Varanasi le mettono
a seccare al sole per poi usarle
come combustibile nelle stufe.
Dicevo che gli osservatori escono in coro
a fare un prolungato “Ooooooooohhhhhhhh!”
e i commenti sussurrati per non
disturbare i gladiatori si sprecano.
Il mio contendente si alza,
pareva avesse una molla sotto il culo,
mi lancia uno sguardo come volesse trafiggermi,
umiliato, incazzato, questa volta “non può”,
l’impressione è che debba scoppiare
da un momento all’altro,
mette i soldi sul banco
e fila via, una freccia, poi lo vedo girare
per il lussuosissimo salone come fosse
una scorreggia impazzita che non sa se uscire
dalla porta o dalle finestre.
Ho rotto la sequenza delle carte,
passo il banco, contro di lui
avrei tentato il settimo colpo,
perché sono folle, a modo mio,
osservo la montagna di pezzi di plastica,
di tutti i formati, fra quelle grandi
ne do una a caso di mancia al croupier che,
dopo aver detto “le banc gagne!”,
raccoglie rapido le carte
impila ordinatamente le fiches, con il rastrello
me le pone dinanzi, mi lancia un sorriso,
forse lui ha capito.
Consegno tutto al mio amico, quello brutto,
ma brutto brutto, cui permetto di venire con me
solo se lui se lo guadagna, mi ammira, ci tiene,
gli ho prestato perfino uno dei miei vestiti,
cravatta e camicia comprese,
per permettergli di entrare, e poi mi piace,
bravo ragazzo, fare il viaggio da solo
verso il tempio di tante solitudini non mi andava.
Va alla cassa a cambiare e ritorna
con mazzette di franchi, tante, spesse,
ne regalo un paio a lui, gli voglio bene,
ripartiamo tranquilli per la nostra Genova.
Avete capito cosa ho voluto dirvi?
No! Non potete, troppo complicato,
non ci arrivereste mai. Perché?
Perché ve ne fottete dei morti annegati
nel “mare nostrum”, o stipati nelle stive
dei barconi i cui “scafisti”, al soldo di infami
commercianti in carne umana
conniventi con altrettanti infami
di occidentale provenienza,
cittadinanza e cultura,
trasportano sulle nostre coste
facendo intravedere loro il sogno,
la speranza.
Nella vostra scalata al successo
non vi passa proprio per la mente
dei bambini del centro Africa,
scheletri viventi, linfonodi che sembrano cisti,
sotto la pelle trasparente,
pance gonfie di aria,
occhi spenti, con inclusioni bianche,
non arriva più ossigeno ai capillari,
mosche intorno agli occhi,
già se li stanno mangiando,
le stesse che vengono a trovarvi e scacciate
con la coda asinina di cui siete attrezzati,
ectoplasma della ancestrale provenienza
dei vostri ricordi, privi di sogni, inesistenti,
non a tutti è dato vedere la vostra
regione caudale,
il prolungamento della colonna vertebrale.
Ebbene stavo dicendo,
ma se per caso mi sbagliassi
saltando di palo in frasca fa lo stesso,
non me ne frega alcunché,
stavo dicendo che fra tante immagini tragiche
passate davanti agli occhi assuefatti
di questo popolo, che ha perso coraggio,
la più turpe, sconcia, improbabile, assurda,
eppure emblematica come un tatuaggio
siberiano, è stata quella di vedere
il leader in smoking, in prima fila
sul palco d’onore
del teatro alla Scala di Milano,
palesemente inadatto e all’abito,
del resto mica avrebbe potuto andarci
in salopette, a lui più congeniale,
e all’opera. Figuriamoci! Giuseppe Verdi,
il dramma lirico Giovanna d’Arco,
l’eroina che nella Francia del XV secolo
sacrifica la propria vita per il suo Paese.
Andiamo! Dovevate darvi malati,
inventarvi un parente
stretto in Alaska che sta per morire.
Quel palco è stato l’emblema
del travestimento, travisamento, camuffamento
mascheramento, mimetizzazione, trucco,
modificazione del bello.
Sì! Lo so, tutti sinonimi
ma ciascuno è germogliato proprio
per dare un minimo di differenza
rispetto al vocabolo primario,
e voi coprite tutto l’arco,
non quello costituzionale si intende.
Non avete capito un fottuto cazzo
dalla vita, in fondo siete dei miserabili,
non sapete cosa voglia dire un asso
alla quinta che cade e va ad incastrarsi,
la giocata sbagliata al momento giusto,
proprio non riuscite a concepire
di tirare due dadi e fare cista su un piatto
che è diventato una montagna,
e lasciare con disinvoltura che gli altri
se lo spartiscano, così, come gettare
una sigaretta fumata a metà
ed accenderne subito un’altra.
Ma vi siete visti prima di andare a teatro?
O vi è pure mancato il coraggio
di guardarvi allo specchio?
Già! Lo specchio vi spaventa, è una cosa viva,
ribalta la vostra figura, quello che è a destra
fa finta di diventare sinistra, ma ciò che
è a sinistra diventa tutta destra.
Perché lo specchio pensa, ragiona, esamina,
è giudice severo ma… giusto.
Lo hanno interpellato regine, monarchi,
imperatori, condottieri, streghe, fate, dittatori,
cardinali, papi, ed ha sempre fornito loro
la giusta risposta. Per questo sono impazziti
ed hanno commesso efferatezze, barbarie.
Lo specchio vi avrebbe detto la verità,
ma voi e la verità siete incompatibili,
come il Diavolo e l’acqua santa.
Che esempio banale ho portato,
non esistono entrambi, il Diavolo
è stato inventato per tener fermi gli
imbecilli in modo che si lascino
sodomizzare senza troppa fatica
e l’acqua… solo quella per rinfrescare.
Cosa cazzo apprezzerete dell’arte
tutta in generale non mi è dato capire,
voi partecipate per dovere di cronaca,
fingete di entusiasmarvi invece pensate
agli aumenti della casta, applaudite
neppure sapete cosa, fate come i primati,
e quando uscite, ad opera terminata
perché obbligati a restare fino alla fine,
vi grattate la testa procedendo ciondolando
per rendervi conto se ci siete o ci fate,
soprattutto dove siete e perché.
Commercianti di favori,
ecco il termine giusto per voi,
è attraverso gli scambi
che venite ulteriormente ricompensati,
la corruzione, il malaffare, emettete leggi
che vi proteggano e questo è viltà,
intanto sempre più numerosi sono i cittadini
che vanno a frugare nell’immondizia per
ricavarne qualcosa da mangiare, coprirsi,
mentre voi siete intenti a curare gli esosi
e intollerabili privilegi di cui godete,
in virtù di un consenso al potere
che non vi è stato dato dal popolo.
La noncuranza con cui aggirate l’infamia
di deputati arrestati per aver rubato milioni
di soldi pubblici che continuano a percepire
migliaia di €uro al mese di vitalizio,
per un Genovese come me
è davvero insopportabile.
Come certi assessori,
anche donne avvenenti,
che proprio per le prestazioni
che fornivano nel pubblico ma,
ahimè, pure in privato,
quindi avendo fatto scoppiare,
è il caso di dirlo, un casino infernale,
sono state mandate a casa
a trent’anni con appropriato vitalizio.
Che bassezza parlare così di vile denaro con voi.
Vi sembrerà una saga, una specie di “Via col vento”
dove la piccola Diletta muore in tenera età
cadendo dal pony regalatole da papà Rhett Butler .
No! Abbiate pazienza, questa è una narrazione
epica che si cerca di mettere in prosa sciolta,
senza quartine, terzine, la metrica
e le precise regole sull’accentazione
degli endecasillabi che non interessano.
Qui, di Letta, ne abbiamo solo uno,
vivo e vegeto per fortuna.
Ex Presidente del Consiglio che
ha deciso di andare ad insegnare
in una Università di Parigi,
non riesco ad immaginare quale,
ciononostante al compimento
del sessantesimo anno di età
percepirà il suo bravo assegno mensile
da ex deputato in Italia.
In ogni caso è ancora tutto avvolto
nel più fitto mistero. Lo facesse uno di noi,
del popolo crasso intendo,
come minimo, se ci andasse bene,
prenderemmo una stretta di mano,
la pacca sulla spalla,
e un biglietto da cento nel taschino.
Anche tanti auguri.
Nel frattempo vengo a sapere
che l’esercito nigeriano
ha massacrato trecento sciiti…
Ne sta parlando qualcuno? Interessa?
Due righe su un giornale?
Niente affatto, il nostro premier è impegnato
a raccontare fole nel salotto di Giletti
uno dei tanti conduttori “slurp!”, insieme a Vespa
che è “slurp, slurp!” i due preferiti dalla
guida capo scout cattolici italiani.
D’altronde mi sembra giusto
ci siano questi trattamenti di favore.
“Loro”, e da questo momento
mi sto rivolgendo alle mie amiche ed amici,
si sacrificano per noi, mica vanno all’osteria
a giocare a scopone.
Si logorano. Per questo i trentenni di oggi
andranno in pensione a 75 anni con il 25%
in meno della retribuzione. Altrimenti “loro”
come potrebbero andarci a 27, 37, 47, 57,
così tanto per dare i numeri,
con vitalizi mensili da minimo seimila €uro?
E baffetto? C’è veramente da ridere,
in fondo sono divertenti, avete capito chi?
Non quello che parlava tedesco, mi riferisco
al nostro, quello che parla e cammina come
avesse un palo lungo e dritto piantato nel sedere.
Ebbene così procedendo pensate che,
per portare il cane a pisciare,
pare abbia a disposizione tre uomini di scorta
e due auto… blu.
Comunque vediamo di contare sulla misericordia,
intanto che scrivo si stanno aprendo
ancora porte sante del Giubileo 2015
e c’è una corrente che non solo
mi spettina ma fa volare tutti i miei appunti,
sparsi ovunque, forse è per questo che sto
scrivendo in modo confuso, ambiguo,
senza mezzi termini, sfuggente.
Bene così, il Natale è passato
e certamente abbiamo dato di più,
immagino per “loro”,
che in periodi normali,
feriali tanto per intenderci,
ogni volta che qualcuno va a curiosare
nelle note spesa e trova mutande,
biglietti dell’autobus, scontrini
di varia provenienza per acquisti
di equivoci prodotti,
finanche i 2 €uro per il parcheggio (dell’auto blu?).
Però c’è gente che non scherza,
no, qui è necessaria un minimo di serietà.
Come l’ex sindaco di Firenze
che nel corso di tale mandato sembrerebbe,
Corte dei Conti canta, sia stato rilevato di tutto
e di più, comprese cene da duemila €uro a botta
e seicentomila €uro per viaggi all’estero
e aragoste. Ma non sono ospiti?
Non usano già i voli di Stato?
Naturale che tutto il sistema
sia ormai un castello di carte
che non potrà reggere più a lungo.
E poi siete molti!
Ho di nuovo ripreso a parlare con “voi”.
Ma come fate a trovare complici che siano
vostri cloni mentali? Dirigenti pubblici e privati
che non solo arrivano a ricoprire
simultaneamente venticinque poltrone
d’oro, da guadagnare tanto da mettere a posto
in un solo anno sette generazioni,
ma che pure rubano
e qualche volta vengono arrestati.
Certo! Forse sono costretti a farlo per
restituire il favore. Essere riconoscenti
è un norma intoccabile del Paese.
Qui mi sembra di essere nella narrativa,
neppure Giovanni Verga con il suo
Mastro Pasqua… no! Che dico Mastra…
devo essere un po’ confuso… Ecco!
Con il suo Mastro Don Gesualdo
avrebbe potuto concepire un coacervo
infernale come questo. Eh, sì!
Perché ci sono pure i parenti da sistemare.
Mogli avvocato di appartenenti all’esecutivo
che ricevono di punto in bianco
consulenze milionarie dalla concessionaria
dei servizi assicurativi pubblici.
E mariti di… insomma per non
farla troppo lunga tra i familiari, congiunti
e amici di questo mostruoso complesso
che parte dal più piccolo Comune per arrivare
al Quirinale l’indice di disoccupazione
è zero!
Del resto, a pensarci bene,
considerando che tutti i vostri sforzi sono
concentrati a salvare la Penisola,
e come vi sgolate ai congressi che
organizzate in vecchie stazioni ferroviarie
riadattate alla bisogna, per convincere
gli invitati, quasi tutti finanzieri,
imprenditori, gente che conta,
quelli che vanno al Casinò
tanti ne hanno da buttare,
gente che possa dare il proprio contributo
avendo sedi legali e fiscali all’estero,
produzione in Paesi
dove si sfrutta il lavoro di minori
e residenza nei paradisi fiscali.
Ma anche per convincere voi stessi.
Nel momento in cui sto scrivendo
ho saputo che, come era logico,
è stata respinta la mozione di sfiducia
verso un vostro membro
avanzata da un movimento di giovani leali,
onesti e immaturi per la dimensione
in cui galleggiate.
E in preparazione di ciò il premier si è sfiatato,
mai visto così, in chiusura della “Leopolda”
dicendo che con i provvedimenti presi
dal “suo” Esecutivo in merito al salvataggio
di banche fallite, di una delle quali il ministro
in questione possiede un pacchetto azionario,
subito dopo la sua nomina a tale incarico
il di lei padre, di femmina trattasi,
ne fu nominato vicepresidente, nonostante
fosse stato sanzionato dalla Banca d’Italia,
il di lei fratello ne è direttore generale, la di lei
cognata ne è dipendente manager di qualcosa,
sembrerebbe che tale Istituto di Credito
abbia a suo tempo finanziato
qualche propaganda elettorale,
o cose del genere, che il padre di questa signora,
sempre lei, e quello di un pezzo grosso
fossero soci o lo fossero stati.
Ebbene in chiusura dell’assemblea
il premier declama che se non avessero
posto in atto quello che hanno fatto
un milione di posti di lavoro
sarebbero andati perduti (i dipendenti),
in parole povere vi difendete
dalle proteste dei deboli truffati
facendovi scudo dei deboli che lavorano,
esattamente come quei malviventi
inseguiti dalla polizia che
appena vedono un adolescente o una donna inerme
la afferrano, si proteggono dalla giustizia
con carne umana innocente.
Non viene detto che quei posti di lavoro
non avrebbero corso alcun pericolo
se la gestione fosse stata “pulita”.
Non ha fatto cenno come siano spariti
quei quattrini dove siano andati e… No!
“Voi” pensate a salvare posti di lavoro.
Ma guardate che gufi
volteggiano nell’aria o stanno appollaiati
sui rami più bassi per portarvi sfiga…
però mi è testé giunta un’altra notizia,
fresca fresca, dovrò leggere l’articolo
ma il titolo in “prima” dice:
“Da Gelli agli ex Dc l’ombra del patto
tra cattolici e massoni per dividersi
“Etruria” (Alberto Statera)”
Venerdì 18 Dicembre 2015 17:24
Mah! Vedremo…
Comunque queste “adunanze”,
come quelle dei boy scout,
oggi le chiamate “convention”,
il piano per il lavoro “Jobs act”,
copyright Renzi Matteo,
“ultra partes” è la soluzione
di una questione importante,
di solito la verifica di qualche imbroglio,
che debba avere effetti neutrali
per tutti i personaggi coinvolti.
“Spending review” la revisione
della spesa pubblica
e tanti altri ancora, per semplificare le cose.
Il premier mi ricorda, alla lontana,
il personaggio interpretato
dal nostro grande Alberto Sordi
nel film “Un americano a Roma”.
È pur vero che anche nei sobborghi
di New York, “Little italy” a Manhattan ad esempio,
con popolazione di origine italiana,
figli e nipoti di nostri migranti,
ancora oggi si usa un linguaggio variegato;
ad esempio Brooklyn diventa “Bruculinu”
e via discorrendo.
Un modo per mantenere vive
le proprie radici, l’identità,
e distinguersi dagli altri.
Tornando a voi, mi viene in mente
per le distinzioni linguistiche
che stavo rimarcando,
con tutte queste associazioni,
comitati, unioni, leghe, confraternite,
con implicazioni e denominazioni
che si richiamano pure al cattolicesimo,
che altro non sono che differenziazioni
di classi sociali visti gli iscritti e i partecipanti,
tipo “Comunione e liberazione”
per prenderne una a caso,
che si radunano periodicamente
per studiare il modo di dare
un grosso contributo al Paese, possiamo dire,
in forma forse un tantino azzardata
che alla fin fine evasori fiscali, malavita organizzata
e finti consorzi siano dei patrioti?
In fondo non coprono quegli spazi cui lo Stato
non riesce a penetrare in modo efficace
come il problema della disoccupazione
e la circolazione del denaro?
Va bene, lasciamo perdere…
L’indifferenza, supponenza e sfrontatezza
con le quali intascate gli spudorati stipendi
che percepite, i più alti del Pianeta,
del Cosmo finché non sarà provata l’esistenza
di altra vita intelligente, anzi “furba”, nell’Universo.
E la dissolutezza nell’anomalo,
ingiustificato ed abnorme trattamento retributivo
che elargite ai dipendenti, impiegati, segretari,
sottosegretari, portavoce, portaborse,
a salire nella scala gerarchica nell’ambito
dell’organico di ciascuna struttura
che supporta la vostra “attività”,
si fa per dire, di onorevole e ministro.
Capisco! In questo modo
vi propiziate alleati nei lavoratori,
li dividete, così litigano, si frantuma la “classe”.
Di tali irregolari, nonché incomprensibili
privilegi, non restano esclusi,
ad elitario vostro servizio,
nemmeno i salariati e stipendiati
per così dire di “supporto”,
dall’ultimo addetto alla ricarica
degli orologi a pendolo fino ai commessi,
barbieri, idraulici, imbianchini,
per arrivare ai professionisti,
medici di tutte le specializzazioni,
infermieri, fiscalisti e quant’altro i quali
percepiscono redditi da fare invidia,
tanto per fare un altro esempio,
ad uno scienziato e, ovviamente,
smisurati rispetto a quanto guadagnano
le pari categorie
che operano all’esterno dei Palazzi.
Per citare un caso sembrerebbe,
qui è d’uopo usare sempre il condizionale,
insomma parrebbe che la segretaria generale
del Senato percepisca poco meno
di 1.200 €uro al giorno. Avete letto bene!
Al giorno. I commessi, coloro che aprono
le porte ai parlamentari, appena undicimila
€uro al mese, i barbieri… beh, lasciamo
stare, mica voglio imitare il grande
Allen Ginsberg rifacendo “Urlo”,
innanzi tutto non sono alla sua altezza,
e questo è palese, e poi come potrei addolcire,
inserire un poco di poesia in un ginepraio
di numeri cifre, conteggi, balletti, danze
da un partito all’altro, piroette, gruppo misto,
indipendenti, appoggio esterno, interno,
punta e tacco, tacco e punta… casqué.
Lasciamo stare i sindacalisti della mitica
triade, a cominciare da quella che somiglia
a Ward Bond di “Sentieri Selvaggi”.
Non ditemi che avete snobbato questo
capolavoro della cinematografia western?
Lui è quello che faceva la parte
del reverendo Clayton.
Ebbene oggi guadagnano più di Obama,
per l’esattezza 336 mila e rotti €uro all’anno.
Ma tornando a voi, perché ce ne sarebbero
tante altre, giuro, ed elencandole la sinfonia “Urlo”
del grande Ginsberg, al confronto diventerebbe
“M’illumino d’immenso”
di Giuseppe Ungaretti. Potrei sconfinare
nell’Iliade, l’Odissea con un pezzo
dell’Eneide, tutte insieme,
in quanto a lunghezza intendo.
Lascio in pace il poeta sommo altrimenti
sì che lui vi avrebbe sistemati a dovere.
Vi ingraziate la Chiesa, con i gelatinosi
cardinali e vescovi di cui si compone,
che negano il funerale
a un suicida per disperazione,
al contempo accordano le onoranze funebri
a usurai, malavitosi,
tollerando gli inchini dinanzi alle loro abitazioni
di pesanti e pagane statue della Madonna,
o di Cristo, o dello Spirito Santo
nel corso di processioni fuori del tempo
e della logica.
Ma voi avete pur sempre una parte
di elettorato che vi sostiene poiché
appartengono alla vostra tribù,
quelli che si permettono di andare
a caccia di elefanti, giraffe, leoni
nei parchi dell’Africa centrale pagando
fior di quattrini per portare a casa una fotografia
con la vittima, l’immagine della loro pochezza.
Siete proprio miseri,
avete perfino la presunzione di aver la capacità
di ritoccare la nostra Costituzione,
per acquistare sempre più potere ovvio,
senza cognizione della misura dei vostri
limiti ristretti, un minimo di senno
è necessario per far ciò.
Ma sapete chi erano i nostri padri costituenti?
E vi rendete conto chi ci sarebbe
oggi intorno a quel tavolo
per riformare un documento di tale portata?
Questo i giornalisti dovrebbero denunciare,
ma già, ci sono i finanziamenti pubblici
anche per le “grandi” testate.
La sola soddisfazione che provo,
considerando la situazione di disagio
e impotenza in cui la vostra arroganza
e voracità sta cercando di infilarci,
è di percepire l’abisso dentro voi,
tutti, e non mi sbaglio, lo sapete,
quelli che almeno ho il dispiacere di vedere
e ascoltare quotidianamente
attraverso i vostri amici video e quotidiani,
quelli sul palcoscenico intendo,
magari su 951 fra deputati e senatori
che siete, chissà non ce ne siano di buoni
relegati dietro le quinte,
o nei sotterranei dei palazzi
che abusivamente occupate, strapieni,
stanno per scoppiare,
mentre continuate imperterriti la vostra strada,
e la sola aspettativa che inseguiamo
è che arriviate ad esagerare.
Non siete intelligenti, tanto meno alla stregua
dei rapinatori professionisti, quelli geniali,
che al decimo colpo andato bene,
quando potrebbero ritirarsi a vita privata,
vogliono tentare l’undicesimo…
Certo che questi ci mettono faccia e cervello,
rischiano in proprio,
potrebbero fare pure delle
vittime, è vero! Ma voi?
Quante morti avete sulla coscienza
a vostra insaputa? Senza esporvi,
seduti comodamente sulle poltrone luigi XIV
o XV, barocche, che commessi da undicimila
€uro al mese vi spingono sotto il fondoschiena.
Giuro che avevo iniziato con l’intenzione
di esporre tutto ciò in prosa, anche un minimo
di poesia, ma come è possibile “andare a capo”
per indicare una separazione concettuale?
O sottostare a regole metriche,
esigenze ritmiche?
Qui c’è solo da incazzarsi e basta.
Pensare che ci sono persone degne,
questo è sicuro, quelle relegate negli scantinati,
o messi a tacere con minacce, massacrati.
Un certo Pier Paolo Pasolini sarebbe stato
il nuovo messia, le parole, versi, opere
cinematografiche, aforismi che ci ha lasciato
sono immensi. Nei suoi 53 anni di vita,
prima di essere trucidato, disse (ed eravamo
negli anni ’70): “La società italiana: il popolo
più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.(1)
Qualcuno sostiene che un altro Mondo non
solo sia possibile ma stia arrivando.
Come dovrebbero tornare,
è una legge di natura,
quella dei corsi e ricorsi storici,
persone del calibro del grande poeta
citato, solo parlarne già mi calmo,
dà tranquillità, speranza.
Purtroppo i suoi messaggi sono
ancora indecifrabili, per molti, troppi,
o rifiutati.
Io sono un ‘tollerato’. La tolleranza è solo
e sempre puramente nominale.
Non conosco un solo esempio o caso
di tolleranza reale. E questo perché
una ‘tolleranza reale’ sarebbe
una contraddizione in termini.
Il fatto che si ‘tolleri’ qualcuno
è lo stesso che lo si ‘condanni’.
La tolleranza è anzi una forma
di condanna più raffinata.” (1)
Se solo riusciste a intendere una minima
parte di ciò che ci è stato lasciato
con queste parole,
la sottilissima eppure immensa traccia
insita in esse della strada da percorrere…
La serietà! Dio mio la serietà!
Ma la serietà è la qualità di coloro
che non ne hanno altre: è uno dei canoni
di condotta, anzi il primo canone,
della piccola borghesia!
Come ci si può vantare
della propria serietà?
Seri bisogna esserlo, non dirlo,
e magari neanche sembrarlo!
Seri si è o non si è: quando la serietà
viene enunciata diventa ricatto e terrorismo.(1)
…allora questa nostra splendida Penisola
sarebbe migliore, perfetta.
Speriamo il tempo sia vicino
perché non se ne può più,
è anche una questione di dignità.
In ogni caso a voi
non toccherebbe alcunché.
Siete senza speranza,
sogni, gioia di vivere,
privi di un’esistenza reale,
siete ologrammi di voi stessi,
intaccate perfino i vostri affetti più vicini,
siete il vuoto,
la prova vivente che contraddice il principio
di indeterminazione di Heisenberg:
Il vuoto assoluto esiste, e si vede.
E siete tanti!

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

ILLUSTRAZIONE DELLA COPERTINA: SᾹDHUS – Fotografia scattata dall’autore a Varanasi (Benares) India – Mannandir Ghat – Sponda occidentale del Gange.

RIPRODUZIONE RISERVATA SE NON PER “POETI ITALIANI DEL ‘900” E CONDIVISIONE INTEGRALE SU FACEBOOK

(1) Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista ed editorialista italiano, considerato uno dei nostri maggiori artisti e intellettuali del XX secolo.

FINE DELLA LEZIONE

FINE DELLA LEZIONE

So che stai soffrendo
come un animale in calore.
Purtroppo non ci sono
a soddisfare i tuoi istinti,
la smania che ti assale
rimane inappagata.
E ti vai spegnendo.
Adesso non puoi dire
che il mio egoismo è senza limiti,
tanto da farti sentire uno zero,
avrei dovuto darti di più,
queste le tue ultime parole,
altro ancora,
ed erano solo inutili convenzioni,
nulla valevano ma tu non lo capivi.
Ora beneficia della tua ovvietà.
Nell’ultimo anno mi hai pressato,
non hai inteso, due come noi
sono senza alternative,
avresti dovuto pensare come un uomo,
prendere e gioire, dare e godere,
solo così avremmo sfidato il tempo.
E insieme… risultare vincitori.
Non sei riuscita,
proprio non ce l’hai fatta
ad anteporre i sensi,
passione, la carne, gli umori
di cui restavamo impregnati,
sudore, sperma, liquidi escretori
delle tue fertili mucose.
Mi stringevi, con le unghie
ti avvinghiavi a me,
perciò si aggiungeva sangue,
gradevole dolore.
E noi a mugolare di piacere.
Tutto qui!
È semplice in fondo. Stolta!
Ma come puoi non aver inteso
che l’Universo è questo,
il resto sono cantine ammuffite,
strade senza sbocco,
lavori in corso,
chiedere permesso,
ricerca di un parcheggio,
falsi valori, passeggiate senza meta.
Se non hai una tua vita segreta.
Inviti a cena, convenevoli,
raduni salottieri, insopportabili opinioni,
consuetudini, discussioni,
condivisioni, visite di cortesia,
amici di facciata,
un caffè al bar, saluti stiracchiati,
presenze fastidiose mentre accanto
si incrociano destini di altri…
alla disperata ricerca di amore.
Che noi avevamo… ora è dolore.
Non è possibile!
Né smetterò mai di chiedermelo,
eppure te l’avevo insegnato,
spiegato bene,
avevamo compiuto il prodigio,
un caso su mille, diecimila…
che dico? Unico.
Solo noi eravamo arrivati
a destinazione, la compiutezza,
il gioco dei corpi, l’attrazione.
Ma ha vinto la necessità della finzione.
Ed io di questo godo,
soffro da morire ma gioisco
della tua angoscia. Donna insensata!
Quante volte ho detto:
“devi essere mia, come una schiava”,
quando lo sussurravo al tuo orecchio,
te lo chiedevo
mentre ti ero dentro,
nei tanti modi che da me hai imparato
e che volevi…
“Sono tua, prendimi!” Rispondevi.
“Farò ciò che vuoi… ti scongiuro,
amami per sempre!” Supplicavi.
Sempre!
Avevamo resa autentica questa parola.
E dove lo trovo un altro come te!
Piangevi…
A parte questo, nulla hai capito,
e ogni giorno che mi vorrai
non ci sarò
mentre davanti ai tuoi fornelli
con un lui sereno
chinato sulla tavola a fare i conti,
chissà perché me lo immagino
in salopette, per cattiveria sai,
se non la indossa è nel cervello
che di sicuro ce l’ha.
Allora mentre ti asciugherai
le mani, i piatti avrai lavato,
getterai uno sguardo
furtivo al mio anello,
ti tornerà alla mente l’attimo
in cui decidesti di pianificare
la tua vita, paura dell’insicurezza
che ora è terrore della ripetitività.
Difficile poter tornare indietro.
La vecchiaia… sei stata tu
a richiamare la sua attenzione,
hai voluto sederti ad aspettarla,
con me correvi, era lei disperata,
non ci raggiungeva,
adesso piano piano ti si avvicina,
ogni giorno lascia il segno,
ferite sul tuo corpo,
le ore passano in silenzio,
la tua mente è svuotata,
hai già fatto la spesa,
il momento del suo rientro si avvicina,
a questo pensi mentre sei in cucina.
Cerchi di scacciare il mio ricordo…
ti dilania il pensare,
ritrovarsi il biglietto vincente della lotteria
e incassarlo a metà
anziché spendere tutto,
fino in fondo, all’avventura.
Che follia è stata!
Ma il fondo mai l’avremmo toccato,
e tu sai perché,
il nostro sentimento
dilatava sempre i confini.
Ne scoprivamo di nuovi
stando vicini.
E adesso che più non ti usi?
Che manca il maestro?
I glutei andranno infiacchendosi,
la pelle si indebolirà,
già avviliti sono i capezzoli,
piangenti e nostalgici i seni perfetti.
E il clitoride rosa che feci risorgere?
Era nascosto, umiliato.
Ricordi? Le piccole labbra…
hai gemuto la prima volta,
poi mi chiedesti di succhiarle ancora,
prenderle, viziarle…
mi tenevi premuta la testa,
pervasa dall’eternità.
Ma chi potrebbe mai
sfiorarti le gambe come so fare io?
Lentamente arrivavo
fino alle mutandine ma…
non andavo oltre,
pregustavo ciò che sarebbe stato,
tornavo alle ginocchia, i polpacci,
i piedi, tu fremevi,
e allargavi le cosce sempre più,
seduta al mio fianco, in auto,
guidavo e ti toccavo,
tornavo su, pizzicavo la parte più tenera…
il loro interno, in alto,
vicinissimo alla vagina.
E lì avvertivo calore di femmina,
plasmata per me, compiuta,
sentivo umido, caldo umido,
così abbiamo girato
per motel e ristoranti
musei, chiese romaniche, barocche,
ci sposavamo nelle sacrestie,
poi alberghi, birrerie,
ogni sorta di pub, bar,
spiagge di sera, di giorno,
scogliere protettive, cabine,
e tu bruciavi…
a volte dicevi di accostare subito,
non potevi aspettare.
Non mi è possibile perdonarti,
mai potrò farlo,
è come se tu avessi inferto
uno squarcio all’Infinito
che avevamo raggiunto, toccato,
in cui abitavamo. Ricordi bene
che sembrava un susseguirsi di dune,
sabbia finissima, il sole sempre basso,
al nostro fianco,
e il mondo era solo lontana percezione
ad occidente…
le nostre ombre unite, lunghe,
guardavano l’oriente.
Anteporre la sicurezza,
la stabilità, il timore
di un futuro incerto
che neppure sai se arriverà,
cominciare a pensare
di sistemarti, organizzarti!
Parole orribili, prive di libertà.
Dove? Con chi? Come?
Per aspettare di morire?
E quando quel momento
dovesse giungere?
Sai che cercherai la mia mano,
annasperai, ed io… dove sarò?
Come hai fatto a non capire
che di ciascuno di noi
stavamo cogliendo il meglio…
nascondendoci da tutto.
Splendido! Assoluto!
Ci incontravamo solo
nel nostro reale vissuto
fossimo stati insieme,
come due coniugi o compagni,
non avrebbe potuto durare…
Solo i clandestini arrivano
alla meta senza smettere di amare.
Stolta! Ottusa! Te l’avevo detto
di abbandonare la normalità,
ubbidire a me passivamente,
senza nulla pensare se non a noi. Ma…
la tua indole femminile, il timore,
ti hanno corrotta, ed io ho fallito.
Però… ho scoperto qual è la verità!
Questa è l’ultima lezione.
Alla fine sta in un pensiero
che a tutto sopravvive,
e accetta il passaggio offerto
dalla prima foglia che s’invola,
da una brezza amica che si fa messaggera,
il riverbero di un raggio di sole distratto,
il vento di scirocco,
un gabbiano che sconfina,
il bagliore complice della luna
per giungere in tempo fino a te…
e farti sentire la mia mano
che tiene stretta la tua.

 

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Fulvio Leoncini – 13 stazioni per lady Chatterley – 2012 – Dedicato alla passione – Collezione privata

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FERMATA D’AUTOBUS

FERMATA D’AUTOBUS

– Bello…
– Dice a me? Questo? È un mio primo piano ritagliato dalla foto a figura intera di pochi giorni fa. Me la sono fatta scattare per abbinarla ad una poesia che mi è stata dedicata. Almeno è attuale e qui sorrido un po’.
– Non mi pare, è così serio!
– Chi ha parlato? Scusi chi è? La conosco? Non ci vede bene forse… osservi che sguardo sereno.
– Decisamente bella la fotografia, non le dia retta.
– Un’altra ancora? Perdoni se le stavo dando le spalle… tutte donne? Mi sembra di avervi già viste, non siete volti ignoti.
– Non si preoccupi di questo. Purtroppo qui lo spazio non è mai abbastanza, non ci si rende conto della quantità di persone che circolano, un numero spropositato, enorme, ogni tanto passa un mezzo e riparte a pieno carico per distribuirci su altri piazzali… e avanti, senza sosta, continuamente. Lei è tanto che aspetta?
– Pochissimo, oppure… mi lasci pensare… stavo dicendo a queste due signore… non ci sono più! Svanite!
– No! Hanno appena preso l’autobus insieme a nuovi arrivati, non c’erano più posti ed è ripartito quasi subito. Non se n’è accorto?
– Assolutamente no! Oltre voi non ho visto nessuno. Che strano… qui è tutto deserto, la piazza sembra enorme e… che silenzio! Dunque ero rimasto che questa istantanea è un mio primo piano ritagliato da una più grande. Mentre ero in posa per lo scatto, in quel preciso istante, dal bar uscì la voce di Claudio Baglioni, cantava “Questo piccolo grande amore”. Fu come se il tempo si fosse fermato e una forte emozione mi ha fatto ripercorre tutti, proprio tutti i grandi e piccoli amori…
– Sempre bravissimo quello… un cantautore esaltante.
– È senza dubbio un grande, come le sue canzoni, ma io accennavo ad alcune signorine, ragazze… effettivamente, ripensandoci, li ho usati come taxi, lui e sapesse quanti artisti, per farmi trasportare, insieme alle mie amiche, nel mondo del piacere…
– L’accenno è stato notato… so a che si riferiva.
– Come fa a sap… ecco! C’è un’altra signora, non eravamo rimasti soli, si sta asciugando le lacrime, mi pareva di aver sentito dei singhiozzi, piange… Ehi! La conosco… che ti succede piccola? Come mai sei triste? Lo sai che affliggi anche me…
– Penso al tempo trascorso troppo velocemente…
– Perché? Il tempo è passato? Di nuovo? Me l’ha detto anche… non c’è più, sparita pure lei. Che sta succedendo? Allora è salita ed io non me ne sono accorto, ho perso pure questo. Beh! Aspetterò il prossimo…
– Ottima scelta, anch’io… con te.
– Sì però l’ombrello l’hai portato? Io non ne uso da sempre, lo sai, ma stasera… hai notato? Comincia ad imbrunire e le nuvole sono basse e pesanti, non si può mai sapere, nel caso piovesse… ho l’impressione ci sia tanto da attendere.
– E se il conducente non ci vedesse? Nel caso passasse dritto, in questo settore può accadere di tutto…
– Chi te l’ha detto?
– Mi sembra un’eternità che sto qui, so come funziona, tu… sei appena arrivato.
– Meglio se non si accorge di noi!
– Intendo l’uomo al volante vestito di nero, potrebbe scendere, arrabbiarsi… amore, io ho paura.
– Di che? L’autista del Tempo? Ma quello è un vile oltre che stanco e distratto, il suo percorso è lungo e tortuoso… al massimo ti coglie all’improvviso, alle spalle, dobbiamo stare in guardia, non perderlo d’occhio, controllare che faccia sempre la stessa linea, senza deviazioni… l’hai vista la mia foto?
– Aspetta, prima ti prendo a braccetto, mi è sempre permesso? Con te mi sento in pace, serena. Dunque vediamo… eccoti qui, ci sei rimasto bene, sei sempre bello ma…
com’è che la carta si è così ingiallita?

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Salvador Dalì – La persistenza della memoria – Olio su tela.

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PASOLINI UCCELLACCI E UCCELLINI

PASOLINI
UCCELLACCI E UCCELLINI

Attimi che restano
aggrinfiati al tempo,
sospesi,
interminabili momenti
che annullano le distanze.
Abolito il distacco
con l’osservatore
non moriranno mai…
L’immagine non è più tale
ma qualcosa che vive
e ti coinvolge,
nata da una
improbabile congiuntura,
voluta dalla sorte
o da stupefacente armonia.
La verità trabocca
dalla sua propria luce,
quindi Pier Paolo Pasolini
e il principe De Curtis
da lì continuano a parlarci,
esistono,
sono ancora fra noi
per completare l’annuncio.
Tutto è stato prestabilito.
Le cravatte di entrambi,
i nodi infiacchiti
dal lungo giorno trascorso,
il casuale pullover del Maestro,
la giacca nera del grande attore,
il suo inevitabile cappello.
Due contro tutti.
Le bianche camicie
non indicano capitolazione,
anzi… la loro intesa perfetta,
nata improvvisa,
spontanea, inevitabile,
vuole lasciarci qualcosa
di forte e imperituro.
Le labbra di Totò,
le grinze del collo,
lo sguardo,
segnato dalle pieghe del viso,
che travalica le scure lenti
degli occhiali,
la stanghetta distratta,
l’infinita melanconia.
Preannuncia la sua propria fine
all’amico,
scomparirà l’anno successivo,
allora gli dice del dopo
cerca di metterlo in guardia,
fare attenzione,
il mondo non è
come loro interpretano,
al quale anela il poeta.
Pasolini ascolta incantato…
il suo sorriso buono, rispettoso
e leale è uno dei più spontanei
e sereni
che abbia mai visto in vita mia,
ha qualcosa di sacro,
misto a preghiera, cognizione,
amore.
Commoventi entrambi,
fotografia splendida, unica.
Neppure il corvo può far nulla,
continua Totò,
anche se è un intellettuale
di sinistra di prima
della morte di Togliatti,
saggio e profetico,
inutile azzardi
a cambiare gli uomini.
Essi sono così.
Sappiamo che il nero pennuto
diventerà insopportabile,
scomodo,
e i frati Ciccillo e Ninetto
lo uccideranno
per mangiarselo.
Stai attento Maestro,
così fanno i mostri,
ti massacreranno
e tenteranno di nascondere,
fra i loro visceri,
la tua immensa
spiritualità.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza ricavata da Eretico & Corsaro – Composizione dell’Autore

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INTERVISTA ALL’AMICO DI SEMPRE E ARTISTA GENOVESE ENRICO BAFICO

Mauro Giovanelli
INTERVISTA ALL’AMICO DI SEMPRE E ARTISTA GENOVESE ENRICO BAFICO

Dunque Enrico, siamo qui, a “La Rotonda”, luogo della nostra infanzia, due bei “negroni”, il mare a perdita d’occhio, il porto e le sue gru, direi di andare subito al sodo.

Che cosa ti ha spinto a dipingere?
– Fare il presepe da bambino.

Molti ritengono che nelle tue opere non segui un percorso lineare, i tuoi soggetti sono i più svariati, quasi come navigassi a vista.
– È una questione di fondo, di libertà.

Cosa ne pensi di quanti affermano, fra quelli il sottoscritto, che le “navi infinite” e le “ultime onde del ‘900” sarebbero i tuoi punti forti?
– Ognuno sceglie sé stesso.

Ottima risposta! Vale anche per me?
– No! Tu sei stato scelto.

Ah! A tuo onore, per ciò che riguarda la domanda precedente, c’è chi sostiene, me compreso, che se ti fossi dedicato a perfezionare i soggetti di cui sopra avresti potuto “sfondare”.
– Non credo, l’insuccesso non mi ha dato alla testa.

Andiamo avanti. A parte i ritratti, quando dipingi pensi più a te stesso o al futuro osservatore della tua opera?
A entrambi… forse ho mentito un po’.

Credo di sapere dove penda l’ago della bilancia… comunque non sono pochi coloro che sostengono esserti ispirato a De Chirico in alcune tue realizzazioni.
– Nell’arte non esistono bastardi, intesi come figli di “nn”.

Qualora dovessi essere costretto a inserirti in una “corrente” pittorica, in quale ti collocheresti? Surrealista, metafisica, realismo magico, ecc.
– Surrealismo della realtà.

Boh! Direi di sì anche se nei tuoi dipinti personalmente vedo pure un mondo metafisico.
– La realtà presenta una cifra metafisica a chi la sa cogliere, se vuoi puoi chiamarla poesia.

Alcuni dicono che la tua pittura sia piatta, poco “materica”, cosa ne pensi?
– Non amo la crosta.

Altri sostengono che la tua pittura sia una sorta di “realismo manipolato” al fine di dare un segnale ben preciso. Quale?
– Tutto quello che facciamo è manipolazione. Per l’artista il “messaggio” è solo il manichino sulla forma del quale il sarto confeziona l’abito. O lo vesti di bellezza o di stracci altrimenti suonerebbe come una predica.

Anche questa intervista?
– No! Qui siamo in una dimensione diretta in quanto il pensiero segue i percorsi curvilinei della danza mentre la sua esposizione il modello rettilineo del camminare.

Questo è vero! Ma lo sappiamo solo noi due. La domanda precedente l’ho formulata poiché pochi intercettano questo richiamo. Rimangono interdetti.
– Auguro loro di riprendersi subito dopo.

Una domanda ben precisa alla quale occorrerebbe analoga risposta: “cosa rappresentano il o i cachi che inserisci sul panno del biliardo al posto delle boccette?”
– Il caco deriva da ricordi d’infanzia.

Anche per me. Da quando hai avvertito la necessità di darti alla scultura? E perché?
– Da quando ho compreso che della pittura non avevo capito un “belin”. Metabolizzare la differenza fra disegno colorato e pittura richiede qualche sforzo in più.

Perfetto! Devo scriverlo? Non rispondere, ho capito… A parte alcuni lavori ho l’impressione che nella scultura, pur con le varianti fra le varie opere, ci sia un “denominatore comune” che le riconduce all’autore più che nella pittura. Sei d’accordo?
– Sì!

Allora qualcosa capisco… Qual è il tuo giudizio sul pubblico? La categoria di persone che in generale è venuta o viene alle tue mostre?
– L’umanità è più varia di quanto si creda.

Stai preparando una mostra dove proponi, tra l’altro, libri rivestiti di cristallo ciascuno forato al centro.
– Bucare i pilastri della cultura è un po’ come fare il “bucato” alla mente.

Qual è il tuo giudizio sulla gente in generale?
– Ottimo e abbondante.

Si dice che tu abbia viaggiato poco, in gran parte la tua vita l’hai trascorsa nella tua amata Genova che hai portato anche alla biennale di Venezia 2011. Se è vero, non pensi che esperienze all’estero avrebbero potuto aprirti altre illuminazioni? Far nascere ispirazioni impensate?
– Ho visto molte città d’Europa, Italia, Turchia e Marocco ma ovunque ho capito che tutto si riduceva a trovarmi un bar, il giornalaio e una tabaccheria a portata di mano.

“Tabaccheria”! Sublime poesia di Pessoa. Sono in parte d’accordo ma tu sei un pittore… Tutto qui?
– Potrei aggiungere che fra le mele cambia il colore della buccia ma la polpa è sempre la stessa.

Capisco! È come al solito arduo stanarti, farti dire qualcosa di più.
– Riconducendomi a Lao Tsu “Il saggio conosce il mondo senza muoversi da casa sua”.

Ora sì che ci siamo! Domanda forse scontata ma non banale: Cosa pensi della vita?
– La vita è un valzer… o no?

Cosa pensi dell’attuale situazione politica proprio in relazione alla decadenza morale e culturale che ha investito l’Italia in questo trentennio?
– C’è sempre qualcosa di peggio. Il problema è che il buon Dio ha concesso l’intelligenza ai cretini.

Te la cavi con poco, però… non male. Sei laureato in filosofia e so che ti ritieni tale, che influenza hanno avuto gli studi classici sulla tua arte?
– Esperienze che non avrebbero senso se non associate ad altre sopravvenute.

Genova! Cosa rappresenta per te?
– La genovesità è un sacrificio di cui bisogna essere degni.

C’è qualcosa che Genova non riesce a darti?
– La coltivazione del basilico peloso.

C’è qualche domanda che avresti voluto ti fosse rivolta? Formula pure un quesito cui desidereresti rispondere.
– Mille e non più mille!

Ma da cosa deriva tanta lievità?
– Dal calo del testosterone.

Hai nuovi progetti? Se sì ispirati da che? Indirizzati a quale tipo di… indicazione che vorresti dare?
– Vivere ancora un po’.

 

Mauro Giovanelli intervista a Enrico Bafico Genova, 19 marzo 2016
www.icodicidimauro.com – opere di Enrico Bafico www.enricobafico.it

Immagine in evidenza: Enrico Bafico (a destra) e Mauro Giovanelli – foto scattata in data odierna a Genova – quartiere Carignano – “La Rotonda”

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Terra!

Terra!

Questo
è il palcoscenico
di quanto
fino a questo momento
è accaduto e accadrà,
specialmente
per volere nostro.
La culla di noi tutti,
dal primo
vagito
all’ultimo
respiro.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza ricavata da Focus: bellissima fotografia scattata dalla Luna.

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UN’AMICA DI SAN GIACOMO DI ROBURENT – Pamela – 3 settembre 2015

UN’AMICA DI SAN GIACOMO DI ROBURENT
Pamela
3 settembre 2015

Notte! Luna piena.
Forse non si vedeva
ma era lì,
immobile,
decise di fermarsi.
Lei… fertile
come humus profumato
pronto per la semina
risplendeva anche nel buio,
non sapeva
che l’astro li spiava dall’alto,
assorbiva i loro sospiri,
e restava rapito
nel veder quei due corpi
diventarne uno.
Si avvicinò ancor più
alla Terra
sfiorando le montagne
per sentir da vicino
quel suono impercettibile,
l’esile nota
sbocciata da un accordo
che si spandeva
in quella donna
ancor prima che lei
se ne accorgesse.
Così crebbe di intensità
e formò melodia:
Pamela.
Per dieci volte la luna mutò,
si alzarono e si abbassarono
le maree,
e proprio mentre calava di nuovo
risentì quella nota
diventata armonia,
che si plasmò bambina.
Si commosse
nel riconoscerla tra mille.
In quello stesso istante,
non saprei precisamente dove
tra la Terra e il Cielo,
nacque un arcobaleno
e decise di fermarsi
tra le ciglia della fanciulla,
scelse di crescere con lei
per non svanir nel nulla.
Perciò negli occhi suoi mutevoli,
se lo vuole,
tu puoi trovarci
il blu del mare,
il verde dei torrenti di montagna,
il giallo del sole dell’estate,
il viola dei fiori delicati
e il rosso del fuoco
che è passione e infiamma ma,
se non si sa dosare, brucia.
Splendida ora lei si innalza
in continua mutazione,
altera Aquila
che sorvola grigie rocce
e morbide colline,
Gabbiano libero
che si eleva nel blu
per planare poi tra gli spruzzi
del mare in tempesta,
Rondine temeraria
che volteggia mirando a rotte lontane
alla ricerca del calore,
candido Airone
sovrano del suo regno
di pace e magia.
Ed infine Fenice
per rinascere diciottenne e…
librarsi infine
in direzione di
tragitti sconosciuti.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza ricavata dal web: VAN GOGH – Peschi in fiore

Si ringrazia la poetessa e scrittrice Donatella Vescovi per la gentile collaborazione.

RIPRODUZIONE RISERVATA 

IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI (Lo sguardo del topo)

Mauro Giovanelli
IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI
(Lo sguardo del topo)

6a edizione – pagg. 178
codice ISBN: 9788892306882

si può acquistare:

• Solo in tutte le librerie Feltrinelli (su ordinazione)
• On-line sul sito: www.ilmiolibro.it
• On-line sul sito: www.lafeltrinelli.it

Presentazione

Yuzaf non è asceso al cielo come ci viene raccontato. In cerca di una risposta impossibile, almeno quanto lo sarebbe stato il dubbio che lo avrebbe colto durante il supplizio, lamentando l’abbandono del Padre, ha invece continuato a vagare tra le dimensioni del reale e del fantastico. Questa la sua missione, la croce alla quale sembra condannato dalla stessa natura di cui è composto, che gli fa incontrare altri “inverosimili” come lui: Corto, Srinivasa, Ramòn, Judex, dando vita a una ratatouille filosofica in salsa spirituale, insaporita con un melting pot delle migliori spezie antropologiche, raccolte dall’Autore ai crocevia della vicenda umana, nella sua mente, lungo le sconfinate praterie dell’investigazione fantastica…
Bene e Male, Divino e Umano, sono le invisibili sbarre della gabbia di Mānī che imprigionano il pensiero di Yuzaf nella speculazione dell’Oltre, lo costringono a surreali dialoghi con personaggi della storia e della fantasia che cucineranno a fuoco lento le convinzioni del lettore fino a dissolverle con la sola spiegazione alla nostra portata. Le molecole letterarie dell’opera sembrano formate da atomi privi di legami, gli elettroni saltano dall’orbita di un nucleo all’altro, collidono, rilasciano quanti di energia che riempono di tracce luminose l’etere della narrazione: preziose indicazioni che, per il lettore attento e motivato dalla ricerca terrena e spirituale, rappresentano la segnaletica del sentiero che conduce a concepire l’inspiegabile.
La ricostruzione storica e filosofica della religione sotto l’aspetto di “urgenza esistenziale” è accurata, onesta, priva d’intenzionalità alcuna di negare o affermarne l’esattezza, lasciandoci liberi di manovrare il leggìo a nostro piacimento per interpretare i manoscritti che su esso via via si alternano e incrociare lo sguardo del topo al fine di rispondere come possiamo a una domanda priva di senso: “qual è la verità?”
Alessandro Arvigo scrittore – Palermo

Premessa

Questo racconto è la naturale prosecuzione di “Ecco perché Juanita”, un’antologia elaborata nel 2012 decisamente originale nella composizione al punto che non trovavo termini adatti a definirla. Per descriverne la “costruzione” decisi di utilizzare il verbo “comporre” vale a dire “mettere insieme varie parti allo scopo di costituire un tutto organico”1 e “produrre, realizzare un’opera di carattere letterario o artistico in generale”2. Invece conclusi che il termine più adeguato a designarla fosse proprio “libro” intendendosi con tale parola “volume di fogli cuciti tra loro, scritti, stampati o bianchi”3. Desidero ricordare che, con tutto il rispetto, la parola Bibbia significa insieme di generi letterari diversi. Non è casuale che “biblia”, dal greco biblos, la corteccia interna del papiro che cresce sul delta del Nilo, utilizzata per produrre materiale scrittoio, sia un plurale che indica l’insieme di opere scritte e narrate (nella Chiesa greca dell’epoca di Giovanni Crisostomo4 si cominciò ad usare l’espressione “Ta Biblìa”, che significa “I libri”). Infatti il Vecchio e Nuovo Testamento sono insiemi di elaborati vari per origine, genere, compilazione, lingua e datazione, prodotti in un lasso di tempo abbastanza ampio, preceduti da una tradizione orale più o meno lunga e comunque difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito a partire dagli inizi della nostra era. In parole povere la prima grande raccolta, copiatura e forse pure sofisticazione della storia.
Tornando a “Juanita” dico che l’idea della sua realizzazione si insinuò nella mia mente quando decisi di riunire diversi e preziosi frammenti della letteratura (sottotitolo “arabesco letterario”) di circa cinquanta autori e un centinaio di brani e citazioni disponendoli all’interno di una narrazione secondo il mio gusto. Occorreva solo una base di appoggio. Quale migliore “cronologia” potrebbero regalarci altri capolavori che non siano “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” del grande Saramago, seguito da “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov per agganciarlo a “Il Procuratore della Giudea” di France e concludere con “Il Grande Inquisitore” di Dostoevskij? Nessuno! Un’avventura lunga 1700 anni.
Saramago descrive la vita di Gesù con una autenticità da lasciare senza fiato, ineguagliabili lo stile e la prosa. Nel suo Vangelo neppure viene sfiorata la personalità di Ponzio Pilato in quanto marginale al messaggio che l’autore ci ha compiutamente trasmesso. Per approfondirne la figura siamo quindi costretti ad immergerci nelle strabilianti pagine di Bulgakov dove il procuratore della Giudea viene assalito dal rimorso per una condanna decretata suo malgrado; la collera verso sé stesso lo dilania, realizza di essere entrato nel mito dalla porta sbagliata e la sua propria ignavia (qui ci sarebbe da discutere) lo inchioderà per sempre nella penombra del porticato, dietro la brocca del servitore che versa l’acqua sulle sue mani sudate. Che ne sarà di lui? Allora lo seguiamo nell’epico “Il procuratore della Giudea” di Anatole France dove, vecchio e dolorante, si reca ai Campi Flegrei per curare la gotta che lo tormenta. I tempi del fasto e del potere li ricorda con il fedele e ritrovato Lamia che, riferendosi al Cristo, gli chiede: “Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?” ed egli risponde: “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non ricordo”5. Non ricordo… perché? Amnesia senile? Inconscia rimozione di una rievocazione ostica? Menzogna? Indulgenza divina? Non lo sapremo e il Gesù de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskji6, che chiude il mio saggio, non dice alcunché in proposito. Essendo stato vano il sacrificio estremo, Egli torna in questo mondo per riparare l’errore senonchè, riconosciuto e incarcerato dal Grande Inquisitore, non pronuncia una sillaba durante l’eccitazione verbale dell’aguzzino che a sera si reca nella cella per comunicargli la condanna al rogo. Il confronto tra i due si trasforma in un delirante monologo del prelato. Cosa rappresenta l’unica risposta del Nazareno, il bacio sulle labbra del suo persecutore con cui suggella il loro incontro? Quali potrebbero essere stati i pensieri di Yuzaf nel momento in cui, graziato per tale gesto, si diresse verso nuovi orizzonti? Dove sarà andato? Che panorami gli si apriranno? Come esplorerà l’intrico che custodisce l’oggetto della sua ricerca?
La reinterpretazione delle Scritture? Il leggìo a nove posizioni?
Mauro Giovanelli -Genova

P. S.
A parte alcune citazioni, avrei potuto omettere diverse note pie’ di pagina della cui inutilità sono convinto. Ho preferito inserirle ugualmente.

Due righe su me medesimo

Potrebbe essere un buon libro, o una cosa insensata, una tesi, componimento, anche una favola. Comunque credo sia una discreta idea in quanto scaturisce da una esigenza che risulta difficile spiegare. Ritengo però di conoscerne la causa: una memoria eccellente (solo per ciò che trovo interessante) che mi accompagna ovunque. Lo strumento invece sono le buone letture, mie fedeli amiche fin dall’infanzia merito l’educazione ricevuta da mamma, papà e la sorella maggiore. Quindi da “Pinocchio”, “Un capitano di quindici anni” o “Il corsaro nero” piuttosto che “Il barone di Munchausen” e “Il tesoro della Sierra Madre” sono precocemente saltato, usando i punti di appoggio dei Cronin, Vicki Baum e l’indimenticabile “Il villaggio sepolto nell’oblio” di Theodor Kròger, ai Melville, Cervantes, “La saga dei Forsyte” poi ancora “L’amante di lady Chatterley” e tanti altri della famosa superba collana Omnibus Mondadori. Quanto ero attratto dalle illustrazioni delle copertine! Approdare poi, in breve tempo, ai Calvino, Cassola, Moravia, Pratolini, Fenoglio, Pavese e… Pasolini, seguire le tracce di Hemingway e Caldwell per passare ai “maledetti americani” del calibro dei Ginsberg, Burroughs e Kerouac è stato facile perché inevitabile. I dissociati da questi ultimi, o “seconda generazione”, quelli del tipo Bukovski, Henry Miller, John Fante tanto per intenderci, hanno avuto un particolare irresistibile fascino, la mia personalità ne è stata influenzata non poco. Sbarcare sui classici russi, i francesi Camus, Mauriac e Sartre, i tedeschi tipo Gunter Grass, il portoghese Fernando Pessoa, i latino-americani della statura di Márquez, gli ebrei americani alla Philip Roth, i Cormac McCarthy, e… continuo? È stato utile per sfociare infine nella filosofia alla ricerca di risposte impossibili. Per quelli della mia generazione Marcuse è stata una tappa obbligata. Se aggiungo che il 27 febbraio 1945 sono nato a Genova dove risiedo, sposato, due figlie, due splendide nipotine. Che nel mio percorso mi sono stati affidati diversi lavori “importanti” che ho portato a conclusione con afflizione mentale (a me parevano inutili) e nel frattempo scrivevo, leggevo… mi sono stati assegnati incarichi e mansioni di responsabilità che non avrei voluto avere, ho viaggiato molto e, a parte una certa predisposizione per “L’apparato umano” (ho adottato il titolo dell’unico libro scritto da Jep Gambardella ne “La grande Bellezza”) femminile che non è il caso di approfondire… intanto leggevo, scrivevo, e scrivo… ecco che ho completato la mia biografia.
Mauro Giovanelli – Genova
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SOLUZIONE GLOBALE

SOLUZIONE GLOBALE

Ogni specie vivente
ha un ciclo di vita,
nasce,
si insedia sul territorio,
prospera,
arriva all’apice del benessere poi,
per mille motivi,
molti dei quali
scaturiti da fattori esterni,
inizia la discesa inesorabile,
la decadenza,
fino all’annientamento.
Ovviamente
è un processo lentissimo
regolato dalla natura.
Tanto meno la fauna
cui appartiene
quel determinato genere
è forte e intelligente
quanto più rapida l’estinzione.
Dato che del regno animale
l’uomo ha in sé
una sorta di attrazione
verso l’auto distruzione,
forse presente
nel suo codice genetico,
ed è quindi
l’essere più insensato
del Pianeta,
come ebbe a dire,
ma non solo lui,
Albert Einstein:
“Ci sono due cose infinite,
l’Universo e la stupidità umana,
ma riguardo all’Universo
ho ancora dei dubbi…”.
Temo che,
se non si correrà ai ripari
in fretta,
entro poche decine di anni
avremo risolto
in un sol colpo
le diseguaglianze sociali,
religiose,
etniche
che ci siamo inventati…

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagini in evidenza estratte dal web – Composizione dell’Autore

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11 SETTEMBRE 2001 – SEPTEMBER 11, 2001

11 SETTEMBRE 2001 – SEPTEMBER 11, 2001

Un’ora qualunque
svariati giorni fa,
forse mesi o anni,
potrebbe essere
l’attimo appena trascorso,
o adesso,
mentre scrivo queste parole.
Il tempo non esiste più,
gli orologi si sono liquefatti
come nei dipinti
di Salvador Dalì,
lui lo sapeva.
Allora la persistenza
della memoria
ha preso il sopravvento,
si è espansa,
enormemente,
da non vederne più i confini.
Dissolto ogni punto
di riferimento,
rimane l’ultimo ricordo
a tenere insieme
la mia massa,
rallentarne appena
la velocità,
quel tanto
da non farle toccare
il limite della luce,
impedire l’infinito
e combaciare con il tutto.
Quindi posso afferrare
quel momento.
Eh, sì! Perché ciò che cerco
è del mondo di prima.
Ora vago in uno spazio
sospeso sull’abisso,
dove l’intero è diverso,
cerco la discontinuità
da cui ha avuto inizio
l’incubo,
per me,
tutti noi:
la mattina de
l’11 settembre 2001.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

La poesia “11 settembre 2001” è stata pubblicata il 10 settembre 2015 sul sito www.memoriacondivisa.it

Immagine in evidenza ricavata dal web

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SEPTEMBER 11, 2001 – 11 SETTEMBRE 2001

every hour
several days ago,
perhaps months or years,
it could be
the moment has passed,
or now,
as I write these words.
Time does not exist anymore,
watches have liquefied
as in the paintings
Salvador Dali,
he knew it.
Then the persistence
memory
He has taken over,
has expanded,
enormously,
as not to see the boundaries.
Dissolved each point
of reference,
It remains the last memory
to keep together
my ground,
just slow down
the speed,
just enough
not touch them
the limit of the light,
prevent infinite
and tie in with the whole.
So I can grab
that moment.
Oh yeah! Because what I try
It is the world’s first.
Now vague in a space
Suspended over the abyss,
where the whole is different,
I look for discontinuities
from which it started
the nightmare,
for me,
all of us:
the morning of
September 11, 2001.

Mauro Giovanelli – Genoa
www.icodicidimauro.com

The poem “September 11, 2001” was published September 10, 2015 on the site www.memoriacondivisa.it

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