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Fernando Antonio Noguerra Pessoa – Se gli uomini sapessero meditare sul mistero della vita

“Se gli uomini sapessero meditare sul mistero della vita, se sapessero sentire le mille complessità che spiano l’anima in ogni particolare dell’azione, non agirebbero mai, addirittura non vivrebbero. Si ammazzerebbero spaventati, come coloro che si suicidano per non essere giustiziati il giorno dopo.”

Fernando Antonio Noguerra Pessoa

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web: Fernando Antonio Noguerra Pessoa

Fernando Antonio Noguerra Pessoa – TABACCHERIA

TABACCHERIA

[…] Ma il padrone della Tabaccheria s’è affacciato sulla porta e vi è rimasto.
Lo guardo con il fastidio della testa piegata male
e con il disagio dell’anima che sta intuendo.
Lui morirà ed io morirò.
Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi.
A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi.
Dopo un po’ morirà la strada dove fu stata l’insegna,
E la lingua in cui furono scritti i versi.
Morirà poi il pianeta che gira in cui tutto ciò accadde.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente
continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne,
sempre una cosa di fronte all’altra,
sempre una cosa inutile quanto l’altra,
sempre l’impossibile, stupido come il reale,
sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie,
sempre questo o sempre qualche altra cosa o né una cosa né l’altra.
Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con l’intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell’essere indisposti. […]

FERNANDO ANTONIO NOGUERRA PESSOA

Mauro Giovanelli – Genova
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Fernando Antonio Noguerra Pessoa – Non so se è amore che possiedi…

Non so se è amore che possiedi o amore che simuli
quello che mi dai. Dammelo. Questo mi basta.

Se non lo sono più per età,
che io sia giovane per sbaglio.

Poco gli déi ci danno, e quel poco è illusorio.
E tuttavia, quando ce lo danno, pur illusorio, come dono
è autentico.

Lo accolgo, chiudendo gli occhi: mi basta.
Ma che pretendo di più?

Fernando Antonio Noguerra Pessoa

Mauro Giovanelli – Genova
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Emily Elizabeth Dickinson – Poiché non potevo fermarmi per la morte…

Poiché non potevo fermarmi per la morte
lei gentilmente si fermò per me
La carrozza portava solo noi due
e l’immortalità

Andavamo piano, ignorava la fretta
e io avevo abbandonato
il mio lavoro e il mio riposo
per la sua cortesia

Passammo oltre la scuola
dove i bambini nell’intervallo facevano la lotta in cortile
Passammo campi di grano che ci fissavano
Passammo oltre il tramonto

o piuttosto fu lui a oltrepassarci
Scesero rugiade tremanti e gelide
solo garza il mio vestito,
il mio mantello di tulle

Ci fermammo a una casa
che sembrava un gonfiore della terra
Il tetto era appena visibile
il cornicione sepolto nel suo oro

Da allora sono secoli eppure
sembrano più brevi del giorno che intuii
per la prima volta che le teste dei cavalli
erano rivolte all’eterno.

Emily Elizabeth Dickinson

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web: Emily Elizabeth Dickinson

WILLIAM SHAKESPEARE – SONETTO 57

SONETTO 57

Essendo tuo schiavo, che altro posso fare se non attendere per ore ai desideri tuoi?
Non ha per me valore il tempo, né incarichi ho da assolvere, finché tu non mi comandi.
Né oso sgridare gli interminabili istanti mentre, mia sovrana, guardo l’ora in tua attesa;
né penso all’amarezza del tuo distacco, quando tu al tuo servo hai detto addio.
E neppure oso chiedere ai miei pensieri gelosi dove tu sia o cosa tu stia facendo:
ma, come schiavo rattristato, non penso ad altro se non quanto felici fai coloro con cui ti trovi.

L’amore è tale sciocco che, dei tuoi capricci, qualsiasi cosa tu faccia, egli non pensa male.

WILLIAM SHAKESPEARE

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web: “Being Your Slave…” Allen Ginsberg on Sonnet 57, Shakespeare’s “S & M” Sonnet – allenginsberg.org/…/wednesday-january-11-shakespeare-sonne…/

Emily Dickinson – I miei migliori amici…

I miei migliori amici sono quelli
cui non rivolsi una sola parola,
Le stelle che puntuali giungono alla città
non mi hanno mai ritenuta scortese
sebbene al loro celestiale invito
io non dessi risposta.
Questo mio viso sempre riverente
cortesia sufficiente.

*

My best Acquaintances are those
With Whom I spoke no Word,
The Stars that stated come to Town
Esteemed Me never rude
Although to their Celestial Call
I failed to make reply.
My constant reverential Face
Sufficient Courtesy.

Emily Dickinson
Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Emily Dickinson

DYLAN THOMAS – COLLE DELLE FELCI

COLLE DELLE FELCI

Quando ero giovane e ingenuo sotto i rami del melo
presso la casa sonora e felice come l’erba era verde,
la notte sulla vallata radiosa di stelle,
il tempo mi faceva esultare e arrampicarmi
dorato nei bei giorni dei suoi occhi,
e venerato tra i carri ero principe delle città di mele
e una volta oltre il tempo sovranamente feci trascinare
alberi e foglie e orzo e margherite
lungo i fiumi di luce abbattuti dal vento.

E poiché ero verde e spensierato, famoso pei granai,
intorno all’aia felice, e cantavo perché il podere era casa,
al sole che soltanto allora è giovane,
il tempo mi lasciava giocare tutto d’oro
nella misericordia dei suoi mezzi, e verde e d’oro,
ero mandriano e cacciatore, i vitelli cantavano al mio corno,
Sulle colline le volpi latravano, limpide e fredde,
e la domenica lenta risuonava
nei ciottoli dei sacri ruscelli.

E per tutto il sole era un correre, era bello, i campi
di fieno alti come la casa, le melodie dai camini, era aria
e gioco, allegro e fatto d’acqua
e il fuoco verde come erba.
E a notte, sotto le semplici stelle come io
Incontro al sonno cavalcavo, i gufi si portavano via la fattoria,
e per tutta la luna, beato, fra le stalle, udivo il volo
dei caprimulgi e dei mucchi di fieno,
e i cavalli nel buio come lampi.

E poi svegliarsi, e la fattoria tornava, come un vagabondo
bianco di rugiada, col gallo sulla spalla: ogni cosa
splendeva, era Adamo e vergine,
il cielo s’addensava nuovamente
e il sole tondo nasceva proprio in quel giorno.
così deve essere stato, appena creata la luce
nel primo spazio rotante, i cavalli incantati uscendo caldi
fuori dalla nitrente verde stalla
verso i campi di lode.

E venerato fra le volpi e i fagiani presso la casa ridente
sotto nuvole appena create e felice quanto il cuore durava,
al sole che più volte era già nato,
percorsi le mie strade spensierate, i miei desideri
correvano tra il fieno alto una casa
e nulla m’importava, nei miei traffici azzurri, che il tempo concedeva
in tutti i suoi giri melodiosi, solo pochi e quei canti mattutini
prima che i fanciulli verdi e d’oro
lo seguissero fuori della grazia.

Non m’importava, nei giorni bianco-agnello, che il tempo m’avrebbe portato
nel solaio affollato di rondini con l’ombra della mia mano,
nella luna che sempre sta sorgendo,
né che nel sonno cavalcando l’avrei udito volare
insieme agli alti campi e mi sarei svegliato
nel podere fuggito per sempre dalla terra senza bambini.
Oh, quando ero giovane e ingenuo nella misericordia dei suoi mezzi,
verde e morente mi trattenne il tempo
benché cantassi nelle mie catene, come il mare.

DYLAN THOMAS

Mauro Giovanelli – Genova
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Funeral blues È la vita (e la morte).

Funeral blues
È la vita (e la morte).

Fermate tutti gli orologi
isolate il telefono
fate tacere il cane con un osso succulento.
Chiudete i pianoforti
e tra un rullio smorzato,
portate fuori il feretro.
Si accostino i dolenti.
Incrocino aeroplani, lamentosi, lassù
e scrivano sul cielo il messaggio:
Lui è morto.
Allacciate nastri di crespo
al collo bianco dei piccioni.
I vigili si mettano
guanti di tela nera.
Lui era il mio nord, il mio sud,
il mio est e ovest,
la mia settimana di lavoro
e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte,
la mia lingua, il mio canto.
Pensavo che l’amore fosse eterno
e avevo torto.
Non servono più le stelle,
spegnetele anche tutte,
imballate la luna,
smontate pure il sole,
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco
perché ormai più nulla può giovare.

Wystan Hugh Auden (*)

(*) Poeta britannico. Nacque il 21 febbraio del 1907 a York e morì a Vienna il 29 settembre 1973. “Funeral blues” è dedicata a Chester Kallman, uno studente conosciuto a New York, dove si trasferì, con il quale ebbe una lunga relazione sentimentale mettendo alla luce la sua emarginata omosessualità. Il poema fu scelto ed inserito nel film “Quattro matrimoni e un funerale” (Four Weddings and a Funeral) diretto nel 1994 da Mike Newell e scritto dallo sceneggiatore Richard Curtis. Primo di una serie di pellicole con Hugh Grant.

Mauro Giovanelli – Genova
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William Wordsworth – “Un sonno ha intorpidito il mio spirito…”

“Un sonno ha intorpidito il mio spirito
non avevo timori umani
lei pareva una creatura che non potesse essere toccata
dal passaggio degli anni di questo mondo
Ora lei più non si muove,
non sente né vede;
avvolta nella terra che ruota ogni giorno su di lei,
insieme alle sue rocce, alberi e pietre.”

William Wordsworth

Mauro Giovanelli – Genova
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