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DUECENTO ROSE

DUECENTO ROSE

Oggi nel Mediterraneo sono morti annegati “circa” altri dieci infanti dunque “pressappoco” ammontano a duecento dall’inizio dell’anno. In media uno al giorno. Ma se dovessimo considerare (cosa dite, ne teniamo conto o soprassediamo?) anche le vittime di guerra nonché i minori sfruttati in velenosi fatiscenti “centri” di estrazione e produzione (miniere di cobalto comprese) di cui è costellato il “Terzo mondo” per mantenere il “Secondo ” ed arricchire il pressoché occulto, blindato e scarsamente gremito “Primo”… il numero salirebbe di molto. È anche vero che di questi ultimi nulla sappiamo, invece di costoro qualcosa, se non altro una scarna notizia statistica, perciò:

“200 rose in onore delle “circa” 200 vittime 2017 per ricordare che non hanno perduto alcunché.”

Ciascuno per proprio conto decida i minuti di “silenzio”, “raccoglimento” oppure se spegnere il cellulare piuttosto che la TV, Smartphone, PC… finanche allentare il nodo alla cravatta improvvisamente divenuto troppo stretto o rinunciare per un giorno al rimmel, fondotinta…

Per quanto mi riguarda ritengo che ciò che sto facendo, pressoché nulla, sia già qualcosa, valido anche per le piccole e innocenti vittime “occidentali” le quali sono state giustamente ossequiate e commemorate di volta in volta.
Concludo rimettendomi ancora al grande Pasolini “…in un mondo così ingiusto e infelice nessuno può tirarsi fuori… il peccato più imperdonabile è continuare a «non vedere» o nel rifiuto e nella morte dell’«Altro», due condizioni dell’uomo che trasformano la vita in sopravvivenza.”(1)

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

(1) Piero Spila, “Pier Paolo Pasolini” – La sequenza del fiore di carta, pag. 83 – Gremese editore

Immagine in evidenza: Vincent van Gogh – Iris, olio su tela (cm. 92,7×73,9) – Van Gogh Museum, Amsterdam

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CARLO RAMBALDI – “Arte e Cinema” – Dal 5 agosto prossimo al teatro Grandinetti di Lamezia Terme

CARLO RAMBALDI

“Arte e Cinema” – Dal 5 agosto prossimo al teatro Grandinetti di Lamezia Terme

DANIELA RAMBALDI vicepresidente del Museo “Fondazione Rambaldi”

ANNUNZIATA STALTARI – “Associazione Artisti del Quadrifoglio”

ANGELA ARTEPOZZO – “Associazione Artepozzo”

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“Nello spazio nessuno può sentirti urlare.”

Spente le luci della sala cinematografica è questa la tagline che nel comparire improvvisamente sullo schermo smorza ogni brusio. La frase breve e diretta riassume in modo istantaneo quanto ci verrà proposto dalle immagini a seguire costringendo lo spettatore a raddrizzarsi verso lo schienale della poltrona per rimanervi inchiodato fine alla fine del film. “ALIEN”! Del grande Ridley Scott, forse il più celebrato, discusso e rivisitato in successive opere non meno coinvolgenti, è uno dei tanti capolavori di questo regista. Non oserei neppure relegare tale pellicola nel genere fantascienza poiché tratta sì di un futuro ormai alle porte ma scava passato e presente del nostro inconscio riportando a galla paure e incubi ancestrali, senso del vuoto, spazio infinito, mistero, buio, ignoto minaccioso e angosciante.
Tutto ciò grazie ad uno dei maggiori artisti cui il nostro Paese ha dato i natali: Carlo Rambaldi nato a Vigarano Mainarda (Ferrara) il 15 settembre 1925 e morto a Lamezia Terme il 10 agosto 2012 dove viveva. Noto a livello internazionale per le sue opere in campo cinematografico vinse tre premi Oscar per i migliori effetti speciali prima in “King Kong” di John Guillermin del 1976, “Alien” (1979) ed in ultimo “E.T. the Extra Terrestrial” (1982) di Steven Spielberg. Emozionando il mondo intero con quest’ultimo lavoro, probabilmente la sua opera migliore, ha voluto dissipare nell’azzurro delle pupille della creatura protagonista venuta dall’abisso degli spazi siderali ogni timore instillato dal predatore Xenomorfo privo di occhi visibili.
Diplomato geometra e laureatosi all’Accademia di belle arti di Bologna, nel 1956 Carlo Rambaldi inizia a frequentare gli ambienti della produzione cinematografica italiana per il film Sigfrido di Giacomo Gentilomo e successivamente lavorando al seguito di registi dello spessore di Mario Monicelli, Marco Ferreri, Pier Paolo Pasolini, Dario Argento, sempre con Spielberg per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (1977) e “Dune” (1984) di David Lynch. Egli è stato il primo e forse unico autore di effetti speciali obbligato a provare dinanzi a un giudice la natura artificiale di quanto realizzato nei film. Infatti per la scena della vivisezione canina in “Una lucertola con la pelle di donna” (1971) di Lucio Fulci, quest’ultimo venne citato in tribunale con l’accusa di crudeltà verso gli animali. Fulci sarebbe andato incontro ad una severa condanna penale qualora Rambaldi non avesse fornito alla Corte la “prova provata” delle sue capacità di far apparire come “veri” i fantocci di cani utilizzati per le riprese. È un di più sottolineare che quando nel 1971 venne riaperta l’istruttoria in merito alle circostanze sulla morte di Giuseppe Pinelli, il magistrato inquirente dispose un esperimento giudiziale per ricostruire le modalità di caduta del corpo ed a Carlo Rambaldi fu commissionato il manichino che duplicasse in ogni minimo particolare le caratteristiche della vittima. Tutto questo la dice lunga sulla creatività dell’artista.
Successivamente negli USA, ad Hollywood, Carlo Rambaldi affinerà il suo ingegno mediante l’utilizzo della meccatronica (effetti speciali ottenuti con l’unione di meccanica ed elettronica).
È stato membro del “Comitato d’Onore dell’Ischia Film Festival” e “Accademia ACT Multimedia” di Cinecittà nonché giurato della manifestazione di Assisi, il “Calendimaggio”. Dopo la sua morte il Comune calabrese di Motta Santa Lucia (Catanzaro) creò il “Premio alla memoria di Carlo Rambaldi”, futura collaborazione fra il Comune e la “Fondazione Rambaldi” la cui onorificenza fu ritirata dalla figlia Daniela Rambaldi per mani del Sindaco Amedeo Colacino.
Oggi per la prima volta in esclusiva mondiale saranno proposte le opere pittoriche di questo Maestro degli effetti speciali grazie ad Annunziata Staltari e Angela Artepozzo rispettivamente della “Associazione Culturale-Internazionale Artisti del Quadrifoglio” e “Organizzazione Artepozzo”. Due persone attive nel mondo dell’arte, tenaci, appassionate, capaci, competenti ed esse stesse autrici.
È scontato e quasi imperativo il fatto che sia proprio la città di Lamezia ad ospitare questa prima mostra dal titolo “Arte e Cinema” circa l’attività pittorica di Carlo Rambaldi avendo egli stretto da sempre un forte legame affettivo con la Calabria dove decise di trascorrere gli ultimi anni di vita pur essendo nato in provincia di Ferrara. Quindi Lamezia come prima tappa per l’esposizione delle opere del “padre” di E.T. ha un significato particolare che “Artepozzo” e “Quadrifoglio”, in collaborazione con Daniela Rambaldi vicepresidente del Museo intitolato al padre, il 5 agosto prossimo sanciranno al teatro Grandinetti esibendo la multiforme creatività del nostro genio oltre ad esecuzioni di altri pittori, scultori e fotografi invitati dagli organizzatori a condividere l’evento.
Poco o niente conosco circa l’aspetto del tutto artistico di Carlo Rambaldi ed in “rete” è pressoché impossibile trovare immagini dei suoi lavori giustamente custoditi con avvedutezza dalla figlia Daniela. Meglio così, mi saranno regalate ulteriori ed inedite emozioni quando visiterò la mostra ricordando a tutti che

“Durante la visione nessuno può lasciarsi andare ad esclamazioni”

Nel silenzio e rispetto di questo grande Artista avremo modo di valutarne appieno la grandezza.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagini in evidenza ricavate dal web: Carlo Rambaldi e la figlia Daniela

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DJ FABO

RIPOSA IN PACE AMICO FABO, SEI ANDATO IN UN MONDO MIGLIORE, QUALUNQUE ESSO SIA.

Cosa dovrei pensare? Mi viene chiesto ogni volta che accedo alla pagina. Rifletto su un lutto che ha colpito il nostro Paese, le coscienze, o qualsivoglia cosa possano essere, i vili politici che ci “governano”, gli “integralisti” a qualunque confessione appartengano, monoteismi o presunti tali in primis, pure i “fedeli”, i pasciuti vescovi della CEI, gli appartenenti ad ogni congregazione che si richiami a ridicole “verità”, ai tanti servi del Potere…
“Fabo è morto alle 11,40 del 27 febbraio 2017, ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo”.
Vergognatevi Italiani! Tutti. Compreso il sottoscritto. Anche i cittadini dello “Stato del Vaticano”, nessuno escluso.
E chiedo anche il suicidio assistito. Cazzo!
“Quod scripsi, scripsi”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web

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PICCON DAGGHE CIANIN (dal dialetto genovese: “PICCONE PICCHIA PIÙ PIANO”)

PICCON DAGGHE CIANIN
(dal dialetto genovese: “PICCONE PICCHIA PIÙ PIANO”)

C’ERANO LE CASE DEI MIEI NONNI, ULTIMO PIANO CON ABBAINI CHE, COME PERISCOPI, TRAGUARDAVANO I TETTI DI GENOVA PER FARTI RAGGIUNGERE IL MARE.
QUANDO MAMMA E PAPÀ ANDAVANO A TEATRO O AL CINEMA ERA LÌ CHE CON GIOIA IMMENSA MIA SORELLA ED IO TRASCORREVAMO LA NOTTE E PARTE DEL GIORNO SUCCESSIVO.
ANCHE GENOVA E L’ITALIA INTERA PARTORISCONO IGNOBILI TERRORISTI CHE HANNO DISTRUTTO E TUTT’ORA ANNIENTANO PREZIOSI, IRRIPETIBILI MONUMENTI, INTERI QUARTIERI STORICI, RINNEGANDO STORIA, CULTURA E MEMORIA PER FAR POSTO ALLA LORO IMMENSA IGNORANZA.
I NOMI DEI “GOVERNANTI” DE “LA SUPERBA”, INCISI NEL MARMO, POTRETE LEGGERLI SULLA “COLONNA INFAME” ERETTA DAI GENOVESI NELLA ZONA DI “SARZANO”.

Mauro Giovanelli – Genova
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© Copyright 2016 Mauro Giovanelli

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PICCON DAGGHE CIANIN (in genovese e italiano)

Fra i moin de Piccaprïa che fan stramûo
ghe n’ëa de casa donde son nasciûo
ghe son passòu pe caxo stamattin
ma forse o chêu o guidava o mae cammin
chi l’é de Zena ou sa perché ‘n magon
o m’ha impedïo de dî quest’orassion

Piccon dagghe cianin
mi son nasciûo chi sotta ‘sto camin
son muage che m’han visto co-o röbin
arreguelâme in gïo co-o careghin

Piccon dagghe cianin
sovia ‘sta ciappa rotta a tocchettin
i compiti gh’ho faeto de latin
e gh’ho mangiòu trenette e menestroin

Ma zà ti stae cacciando zû o barcon
ti veddi ghe a Madonna da Paiscion
l’ha faeta o mae baccan trent’anni fa
pe grassia riçevua in mezo a-o mâ

Piccon dagghe cianin
son tutti corpi daeti in scio mae chêu
se propio fâne a meno ti no pêu
piccon dagghe cianin

Creddeime poche votte ho ciento gente
no m’emoscionn-o troppo façilmente
ma quande ho visto cazze a picconae
a stansa dove gh’é nasciuo mae moae
me se affermòu quarcosa propio chi
ho ciento e ho pregòu cosci

Piccon dagghe cianin
son tutti corpi daeti in scio mae chêu
se propio fâne a meno ti no pêu
piccon dagghe cianin

Fermite un pö piccon t’arrobo un mon
un tocco de poexia do cian de Picca….pria
PICCONE PICCHIA PIÙ PIANO

Fra i mattoni di Piccapietra che fan trasloco
ce ne sono della casa dove sono nato,
ci sono passato per caso stamattina
ma forse il cuore guidava il mio cammino.
Chi è di Genova lo sa perché un nodo in gola
mi ha impedito di recitare questa “preghiera”

Piccone batti più piano
Io sono nato qui sotto questo camino
sono muri che mi hanno visto piccolino
andare in giro tirandomi dietro il seggiolino

Piccone batti più piano
Su questo pezzo di pietra rotta a pezzettini
ho fatto i compiti di latino
ed ho mangiato trenette e minestroni

Ma stai già abbattendo il balcone
Guarda: C’è la Madonna della Passione!
L’ha costruita il mio “capo” trent’anni fa
per una grazia ricevuta in mezzo al mare

Piccone batti più piano
sono tutti colpi dati sul mio cuore
se proprio non puoi farne a meno
almeno batti più piano

Credetemi, poche volte, gente, ho pianto,
non mi emoziono tanto facilmente
ma quando ho visto cadere a picconate
la stanza dove era nata mia madre,
mi si è fermato qualcosa proprio qui
ho pianto ed ho pregato così

Piccone, batti più dolcemente,
son tutti colpi dati sul mio cuore,
se proprio non ne puoi fare a meno,
piccone, batti più piano, pianino

Fermati un po’, piccone, ti rubo un mattone,
un pezzo di poesia del piano di Picca…pietra


“Ma se ghe penso…”, “Piccon dagghe cianìn”, “A Seissento”, “A cansun da Cheullia”, “Ave Maria zeneize”, “La partenza da Parigi”, canzone principe del repertorio delle squadre di canto (trallalero), e “Lanterna de Zena”, uno dei più antichi canti tradizionali genovesi, dedicata alla storia di una fioraia del Settecento, annoverano tra i numerosi autori il paroliere Costanzo Carbone e il compositore Attilio Margutti iniziatori della canzone genovese negli anni Venti, e nel dopoguerra Luigi Anselmi paroliere sia di molte canzoni che di molti testi comici per Giuseppe Marzari nonché il maestro Agostino Dodero autore per cantanti e per squadre di canto, spesso con il paroliere Piero Bozzo. Il primo grande interprete degli anni Venti e Trenta è il tenore Mario Cappello. Sono suoi epigoni melodici Emilio Fossati, Carlo Cinelli, Gino Villa, Mario Bertorello, il sestrese Baldìn. Seguono gli interpreti del folk-revival Piero Parodi e Franca Lai, i cantanti di ispirazione goliardica in primis Giuseppe Marzari e il Trio Universal, e poi Franco Paladini, Bunni, i Trilli, sino ai più recenti Bob Quadrelli (vincitore di una Targa Tenco), Binduli, Buio Pesto. La produzione di testi in genovese è abbastanza ampia, ma anche cantanti come Natalino Otto, Bruno Lauzi, Joe Sentieri, Gino Paoli e Fabrizio De André, quest’ultimo l’unico che sia riuscito ad imporre alle classifiche nazionali un intero album in genovese, “Crêuza de mä), conquistando un disco d’oro.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Genova, quartiere Portoria, “La porta d’oro” – Piccapietra

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NATALE 2016 – LETTERA DI PAOLO FARINELLA PRETE

NATALE 2016

Come di consueto ricevo la seguente lettera dal caro amico Paola Farinella, prete (come desidera essere chiamato e si firma) giornalista, scrittore, saggista, corsivista de “la Repubblica”, filosofo, teologo, parroco della splendida Chiesa di San Torpete in Genova (la Superba), umanista e tante altre cose.
Quale personale augurio di buon “fine settimana lungo” voglio condividerla tramite Messenger con i “contatti” per i quali ritengo che il termine “amicizia” in uso su questo social possa avere un senso. Se mi dovessi dimenticare di qualcuno si faccia vivo qualora lo desiderasse ritenendo di averne titolo.

P. S.
È sufficiente un “mi piace” per dimostrare gradimento evitando sciami di “auguri” e bla, bla, bla… (ma a chi la invio impossibile possa avvenire ciò. La precisazione riguarda eventuali “clandestini”)
Un saluto affettuoso a tutti.
Mauro Giovanelli – Genova
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LETTERA DI PAOLO FARINELLA PRETE

alle Amiche e agli Amici

Genova 22-12-2016

Non c’è niente da fare, a Natale la frenesia è come l’influenza: prende tutti e non risparmia alcuno e ciascuno è rassegnato. Come a Nennillo, figlio di Luca/Eduardo de Filippo: «Il presepio non mi piace!» (Natale in casa Cupiello). Ad essere sincero non mi piace il Natale nel suo complesso con annessi e connessi e se dipendesse da me l’abolirei e chiuderei le chiese che sono complici stupefacenti (nel vero senso della parola e dell’incenso che si brucia a chili) dell’assuefazione a un rito che «si deve fare» perché a Natale si fanno i regali, a Natale bisogna essere buoni, a Natale bisogna mangiare, a Natale bisogna buttare via cibo per un terzo di quanto si è comprato, a Natale bisogna fare quello che non faremmo mai in tempi normali: magari andare a trovare parenti che strozzeresti con le tue stesse mani, ma a Natale si fa una tregua umanitaria e si rimanda il parenticidio a dopo le feste.

Natale è una finzione. I preti dicono le solite cose: Gesù di qua, Gesù bambino di là. I cattocattolici che vanno in chiesa, magari solo quella sera, si mettono a posto la coscienza, pagano dazio e pedaggio una volta l’anno, così anche «dio», se per caso ci fosse – non si sa mai – è messo a posto. Zampogne, zampone, cotechino, lenticchie, salmone, pastori e pastorelli, il bue e l’asinello, oche e ruscelli, fabbro e contadino, che bello! Eppure «A me u presepe nun me piace».

La notte di Natale, molti, moltissimi di quelli che vanno a vedere nascere il Bambino Gesù, non sanno, fanno finta di non sapere o lo sanno e fanno sul serio per apparire coloro che non sanno:

– Natale è un’invenzione del secolo IV per contrastare il culto del dio Mitra, importato a Roma dall’esercito romano e tra di esso molto diffuso, celebrato nel solstizio d’inverno.

– Natale riguarda un bambino che è appena nato ed è un delinquente perché è ricercato dalla polizia per essere ucciso. Per la Legge Bossi/Fini, ancora in vigore in Italia, Gesù sarebbe un clandestino.

– Natale è un bambino, appena nato, profugo, costretto a lasciare il suo Paese e a chiedere asilo in Egitto che lo concede perché non appartiene a una nazione cristiana, rovinata da 21 secoli di Cristianesimo e di politiche di governi popolati da cristiani e protestanti.

– Natale non è certamente nelle chiese scintillanti di luci e nenie strappalacrime che nemmeno Barbara D’Urso o Bruno Vespa riescono a superare, anche con modellino a pronta spiegazione.

Natale, se Dio esiste, e se vuole provare a fare sul serio, quest’anno è morto tra le vittime di Aleppo e delle altre città bombardate da ogni lato perché ormai i civili inermi sono il bersaglio preferito dei militari in guerra in oriente e altrove. Natale, se Dio continua a volere esistere e se ci riesce, è morto in mezzo al mare Mediterrano, tra gli esodati affondati, scomparsi, senza nome e senza più futuro.

Natale, se proprio Dio vuole fare uno sforzo, è in Turchia a vedere come il dittatore Ergogan sta spendendo i sei miliardi che l’Europa gli dà per fare morire di fame e freddo i Gesù bambini che scappano dalle case loro che nemmeno hanno perché oppressi da fame e sete e voglia di vivere.

Natale è tra i poveri, migranti, genovesi e italiani, che accompagniamo come Associazione «Ludovica Robotti-San Torpete» e che sono troppi, sempre più troppi e sempre più poveri e affamati.

Natale è tra i disperati del Monte dei Pacchi di Siena che hanno visto bruciare i loro risparmi di una intera vita, garanzia per il futuro dei propri figli, per colpa di amministratori e politici corrotti che da almeno 20 anni hanno ballato e danzato a spese dei poveri.

Natale è dove c’è un portatore di handicap bloccato perché una macchina di un bene educato e civile individuo si è messo di traverso o ha occupato il posto riservato o usa un contrassegno falso.

Natale è il bambino che porta un giocattolo nuovo per un altro bambino che nemmeno conosce. Natale è la persona, donna o uomo, che fa una dichiarazione d’amore con cuore limpido e senza condizioni, a perdere, solo per amore senza chiedere in cambio nulla.

Natale è ri-nascere, uscendo dal chiuso stantio del proprio egoismo perché «io-io-io» è la negazione di Natale e del suo protagonista che ha detto: Ama il prossimo tuo come se fossi tu stesso.

Natale è RIVOLUZIONE di comportamenti, rispetto dell’ambiente, della condivisione, del pluralismo e della convivenza dei popoli e le singole persone perché tutti hanno diritto di spezzare il pane ed essere riscaldati dal bue e dall’asinello, altrimenti Natale si trasforma in una condanna senza appello. E a Natale Dio, se c’è, o almeno se si sforza di esserci, non può nascere perché è da sempre.

Natale è solo l’occasione per noi di rinascere e diventare adulti, uomini e donne civili, veri e forse anche credenti, persone senza luoghi comuni, democratiche e rispettose della legalità e del diritto per sé e per gli altri, specialmente per i migranti che sono i più indifesi.

Insomma, Natale, se proprio lo voglio, lo devo fare sul serio. Al mio altare porto tutti voi insieme alle persone che amate e che abitano la vostra esistenza. Non chiedo nulla, solo che si compia “il miracolo” di Natale. Etimologicamente parlando, naturalmente!

Paolo Farinella, prete

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Frontale della Chiesa di San Torpete in Genova

LETTERA PERSONALE – RIPRODUZIONE RISERVATA

È MORTO Fidel Alejandro Castro Ruz “HASTA LA VICTORIA SIEMPRE”

È MORTO Fidel Alejandro Castro Ruz
“HASTA LA VICTORIA SIEMPRE”
(VENTO IDIOTA “Idiot wind” – SENZA PERDERE LA TENEREZZA)

Non ho mai condiviso la locuzione “I morti sono tutti uguali”, anzi mi ha sempre particolarmente disturbato, infastidito poiché pregna di tutte le ipocrisie dei rimasti vivi i quali si arrogano il diritto di spogliare il defunto della sua personalità, appiattirlo, ovvero superare finanche la natura che già gli fa assumere temporanea posizione orizzontale prima che se lo porti il vento. Per sovrapprezzo annullare quindi ciò che egli è stato e voluto essere. Una canaglia che trapassa vuole rimanere canaglia, così il benpensante, l’illuminato, il moralista… invece gli tocca subire il torto di diventare, nel ricordo, qualcos’altro che lo accomuna, unifica ai nuovi compagni di chi sa quale misterioso viaggio. La nostra unicità perdura anche dopo esser saliti sull’autobus infernale che ci condurrà al mistero ultimo e il ricordo lasciato dipenderà dall’impronta impressa in coloro che si succedono alla fermata aspettando il prossimo mezzo, l’inevitabile sensazione di “mancanza” che assale ciascuno di noi durante l’attesa. Sto scrivendo queste poche righe in quanto ho appena saputo che è morto il sig. Fidel Alejandro Castro Ruz, “Lider Maximo” che andò al potere vincendo una rivoluzione e successivamente da primo ministro sfidò, sconfiggendoli, gli Stati Uniti D’America rapidi a riconoscere il nuovo Governo ma molto celeri nel cercare di ostacolarlo con ogni mezzo quando Alejandro cominciò (a mio avviso giustamente) ad espropriare le proprietà delle principali compagnie statunitensi. Quelli che stanno esultando non sanno molte cose, non solo la storia del grande personaggio ma molto altro ancora, proprio non afferrano l’intimo significato dell’esistenza in ogni sua espressione, persone vuote, involucri organici pieni del nulla di cui inspiegabilmente gioiscono. Ignorano della vita leggendaria di questo “Uomo”, la resistenza contro una carogna di nome Fulgencio Batista, chi e quanti si imbarcarono sullo storico battello che li portò alla vittoria, il “Granma”, vecchio yacht di 19 metri teoricamente progettato per venti persone (fra passeggeri ed equipaggio) ma vi si stiparono 82 intrepidi rivoluzionari tra i quali Fidel stesso e l’amico di sempre Ernesto “Che” Guevara, cosa successe alla “Baia dei porci”, perché in seguito Guevara decise di andare ad aiutare i ribelli in Bolivia… dove trovò la morte… e tanti altri interrogativi ignoti ai “poveri di spirito”. Adotto questa locuzione in quanto lo stesso Papa Francesco, non credo per diplomazia o “dovere”, oggi dice: “Una triste notizia”. Considerato ciò concludo limitandomi a riportare il seguente articolo del 2015 “VENTO IDIOTA (Idiot Wind) – SENZA PERDERE LA TENEREZZA” che gli dedico con l’intento di assimilare il “Lider Maximo” fra alcuni “grandi”. Per chi volesse leggerlo.
R.I.P.
Mauro
VENTO IDIOTA (IDIOT WIND)
SENZA PERDERE LA TENEREZZA

Il Pontefice ha lasciato Cuba esortando il popolo, i governanti, e la Nazione tutta alla “rivoluzione della tenerezza”. Bella persona papa Francesco, da agnostico quale sono è la prima volta che provo emozione di fronte al capo della Chiesa Cattolica, e massimo rispetto: la borsa che si porta appresso un po’ logora, modesta, gonfia, la gestualità dell’uomo semplice, le scarpe nere “comode”, pianta larga e suola robusta, la papalina sempre in equilibrio precario che non sopporta. È una persona che “cade”, non teme di mostrare la sua vulnerabilità. Quando ha incespicato mentre saliva la scaletta dell’aereo mi ha strappato dalla mente la considerazione che in quell’istante non c’era alcun Simone di Cirene a raccogliere la croce, neppure una Veronica a detergergli con un panno di lino il volto sporco di sudore e sangue, che ha dentro di sé, nella sua solitudine. Lo vedo un uomo isolato nella battaglia che conduce per cercare di cambiare l’umanità. Si è alzato da solo, senza aiuto alcuno, con orgoglio, naturalezza e volontà incredibili. Soprattutto mi colpisce il suo sguardo sincero, aperto, con un’ombra di malinconia, sconforto, che ti dilania, penetra i tuoi dubbi, vorresti abbracciarlo, sento che ha necessità di aiuto, avverto che vive la sua fede con profonda convinzione, ma ho l’impressione che allo stesso tempo si renda conto quanto potrebbero essere vani l’impegno e la dedizione che profonde nella missione che gli è stata assegnata.
Il Vicario di Cristo si è poi recato negli USA presentandosi dinanzi al Congresso e successivamente al Palazzo dell’ONU, immagino portando alla Nazione più potente della Terra e a tutti i “governanti” lo stesso messaggio, il richiamo alla rivolta dell’amore.
Tenerezza! Deve essere una parola magica. Ha subito indirizzato il mio pensiero a una delle migliori e più complete biografie su Ernesto Che Guevara, giocatore di rugby, appassionato di scacchi, eccellente poeta, ottimo fotografo, medico competente specializzato in allergologia, appassionato lettore che passava con disinvoltura da Jack London, Jules Verne ed Emilio Salgari ai saggi di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung fino ai trattati filosofici di Bertrand Russell, sebbene l’esempio che lo attirasse di più fosse Mohandas Karamchand Gandhi conosciuto come il “Mahatma” ossia “Grande Anima”. Fu anche un provetto motociclista tanto che con la sua Norton, cui venne dato il soprannome di “La Poderosa II”, dopo la laurea viaggiò per tutto il Sudamerica, Bolivia, Ecuador, Panamá, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala. A proposito della più importante guida spirituale dell’India, che teorizzava e praticava la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa fino a regalare l’indipendenza al suo Paese, Ernesto Guevara, dopo aver visto la povertà delle popolazioni che incontrava ed essere stato influenzato dalle letture sulle teorie marxiste, concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell’America Latina coltivando il sogno di vedere un giorno il Sudamerica come un’unica entità. Per arrivare a ciò riteneva quindi necessaria una strategia di ampio respiro che non poteva certamente identificarsi con la “non violenza”. Nell’itinerante momento della sua vita si fermò per prestare attività di volontariato presso il lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni. Quanti sono i legami che ci uniscono tutti! E lavoriamo solo per scioglierli. Basta una semplice parola, un gesto onorevole, per fare collegamenti impensabili, intessere una tela di bei gesti tutti mirati al bene comune, la fratellanza e la solidarietà… e l’amore. Almeno così capita a me. San Francesco! Che nel 1203/4, dopo la sua conversione maturata nel 1154 a seguito dell’esperienza della guerra fra Perugia guelfa e Assisi ghibellina, quest’ultima soccombente dopo la sconfitta nel 1202, e la conseguente prigionia, rimase sconvolto a tal punto da indurlo a un totale ripensamento della sua vita. Da lì iniziò un cammino di mutamento che col tempo lo portò “a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore”. Ciononostante pensò di partecipare alla Crociata, quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere a questa missione era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d’Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente ed ebbe un profondo ravvedimento. La malattia potrebbe essere stato un “segno” per far sì che non fossimo privati di questo santo? Il fatto è che Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare ed in lui germogliò un crescente senso di compassione, che gli ispiravano i deboli, i lebbrosi, i reietti, gli ammalati, gli emarginati che si sarebbe trasformato poi in una vera e propria “febbre d’amore” verso il prossimo. In questo senso, e non solo, uno degli uomini più “illuminati” della nostra epoca, Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore e regista, un genio della erudizione mondiale, che mai viene citato dai mass media o dalla TV ed è tenuto pure ai margini della cultura ufficiale, come non fosse esistito, diceva: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”.
Sta di fatto che Francesco, amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso il lebbrosario di Gubbio, intitolato a “san Lazzaro di Betania”, restando con i lebbrosi e servendoli con estrema cura. Dunque il “Che” nel lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni, san Francesco 750 anni prima a prestare la stessa opera in Toscana, Pasolini a percorrere negli anni ‘60 le polverose periferie di Roma nell’estenuante ricerca di un perché alle ingiustizie di questo Mondo. Ciascuno spinto dalla necessità di tenerezza.
A volte penso che sia tutto inutile e vengo assalito da una profonda afflizione. Mi domando se quanto viene detto negli incontri fra Capi di stato, dai “politicanti”, sui quotidiani o nei dibattiti televisivi, nelle omelie pronunciate nei funerali dei morti ammazzati per i motivi più abietti, seguiti da applausi al passaggio dei feretri, insomma questa marea di bla, bla, bla in fondo non siano altro che parole al vento, un vento idiota, “Idiot wind” come cantava Bob Dylan negli anni ’70, che lasciano il tempo che trovano. L’ultima strofa di questa poesia/canzone dice “…vento idiota che soffia tra i bottoni dei nostri cappotti, che soffia tra le lettere che abbiamo scritto, vento idiota che soffia tra la polvere sui nostri scaffali, siamo degli idioti, bambino, è un miracolo persino che riusciamo a nutrirci da soli”.
Il resto lo conosciamo tutti, o quasi, ma il punto è rispondere alla domanda che di certo vi state ponendo, cioè per quale motivo mi sono infilato in questo discorso. Perché sono convinto che il Santo Padre conosca la vita e le opere del grande talento italiano che trovò la morte nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975, ucciso in maniera brutale, percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma, “crocifisso” da un balordo, uno dei tanti “ragazzi di vita” che voleva salvare. Credo che apprezzi anche il menestrello del Minnesota, il poeta del country e del rock, mica il Vicario di Cristo è uno che porta calzature di vernice rossa griffate Prada. Neppure ho dubbi che il papa non abbia letto la biografia sul braccio destro e consigliere di Fidel Castro, redatta da “Paco Ignacio Taibo II” e che consiglio pure a voi di dare un’occhiata. L’autore scrive: “Ernesto Che Guevara continuerà a farmi visita nei sogni, rimproverandomi come mai non sono in qualche parte del Mondo a costruire una scuola”. Il titolo del libro? Dimenticavo: “Senza perdere la tenerezza”.

Mauro Giovanelli – Genova
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L’articolo “VENTO IDIOTA (IDIOT WIND – SENZA PERDERE LA TENEREZZA” è stato pubblicato il 5 luglio 2015 da “Memoria Condivisa” sito www.memoriacondivisa.it e inviato a Papa Francesco il 1° ottobre 2015 da cui ho avuto il piacere di ricevere Suo riscontro

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UMBERTO ECO – 5 gennaio 1932, Alessandria – 19 febbraio 2016, Milano

UMBERTO ECO
5 gennaio 1932, Alessandria – 19 febbraio 2016, Milano

Grazie per “Il pendolo di Focault” che mi ha fatto stare sveglio una notte intera per terminare le ultime duecento pagine e sapere cosa avrebbe dovuto accadere a mezzanotte in punto nel museo di Parigi che lo custodisce. Grazie per “L’isola del giorno prima” dove ho accompagnato il naufrago Roberto de la Grive a risolvere il mistero del punto fisso nel mondo meraviglioso che hai descritto. Grazie per “Il nome della Rosa” e i suoi indimenticabili personaggi. Grazie per i tuoi insegnamenti e il concetto di società che hai cercato di trasmettere a noi tutti. Grazie. Che la terra ti sia lieve.

Mauro Giovanelli – Genova
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Pubblicato da “Memoria Condivisa” il 21 febbraio 2016 sito www.memoriacondivisa.it:

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NO ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

DALL’INIZIO DELL’ANNO 116 FEMMINICIDI IN ITALIA per non parlare di violenze, stupri, umiliazioni, oltraggi…
DEDICATA A TUTTE LE FEMMINE
25 novembre 2016

NO ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Adesso sto per dire una cosa banale, così scontata da meravigliarmi di scriverla, davvero stupida, di basso livello, quasi fossi uno scolaretto che fa il suo primo tema, ma.. tu maschio, come puoi usare violenza alla forma animale più bella e amabile che ci sia a questo Mondo, appagante, che attira solo carezze, baci, forse qualche piccolo morso come si fa con i neonati, ti dà l’unico motivo per cui esisti, ed esisti in quanto vieni da lei ed in lei vieni, versi il tuo seme dentro quel corpo tornito, morbido, bello, da sfiorare appena per paura di farle male, e lei ti regala la continuità di una tua parte, maschio, che nutre con lo stesso seno da cui attingi piacere, godimento, amore, senso di appartenenza, gioia di esserci… tu maschio conti nulla, non credere alle tante corbellerie che migliaia di anni fa si sono trasmessi i popoli nomadi quando sostavano nei caravanserragli e decidevano intorno al fuoco le leggi da applicare.
Quelli hanno reso soccombente la parte debole, indifesa, dotata di muscoli usi solo ad offrire soavità.
Per questo tu, maschio, puoi cadere nella vigliaccheria, ti credi destinato a chissà che, sei nulla senza lei.
Ritorni fango nel momento stesso in cui solo puoi pensare di far male a quella creatura divina, in qualunque modo si voglia interpretare questa parola.
Sei tu maschio la parte derivata. Non dimenticarlo, è lei l’integrale che risolve l’equazione della vita.

Mauro Giovanelli – Genova
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