Non sono stati il tuo sguardo,
il fruscio,
la fragranza della sottogonna inamidata,
al ballo dei grandi,
quel giorno di festa.
Neppure il primo bacio di bocca
chiesto e ottenuto la mattina dopo,
all’ombra dei tigli appena fioriti.
E non è stato percorrere insieme
il lungo viale di quell’estate nascente,
già odorosa di suo, immagina il tuo.
Neanche l’accostarsi impacciato
delle labbra protese, occhi chiusi,
tu in punta di piedi
mani conserte di dietro,
desiderio bagnato da subito.
No, non si tratta di questo,
o meglio non solo,
piuttosto è stato importante
custodire questo grande segreto di terra
che fra tante miserie dà valore alla vita,
il suo ricordo mi ha sempre indicato la via
nell’inseguirlo ogni volta
fra i misteri del cielo infinito.
Ero arrivato così vicino al mistero,
l’avevo dinanzi l’istante prima,
nulla,
presupposto supremo,
nessun messaggero alla porta
che avevo intuito,
neanche uno spicchio di cielo,
nebbia,
o il fumo di un lontano camino,
niente,
e l’onda che fin lì
mi aveva portato
si dileguò a quel tempo,
rimasi sospeso nel vuoto
trattenuto da eterna risacca,
perciò son tornato,
per vivere l’attimo dopo,
aspettare altro mare
concepito da lacrime senza pianto,
raccolte in quel fazzoletto
divenuto importante,
stretto fra ossute falangi
dell’estrema, unica fonte.
Vivo, sto sognando,
penso, scrivo,
colgo l’istante,
godo.
Vedo, ascolto pure il silenzio,
sono.
Percepisco il tuo corpo,
accarezzo l’immenso,
mi acquieto,
desidero baciarti,
sfiorarti con il mento.
Alzo lo sguardo al cielo,
m’interrogo,
definisco l’orizzonte,
il canto della risacca
scompiglia ogni certezza,
abbasso gli occhi,
l’ombra di un gabbiano
mi attraversa rapida
e nell’allontanarsi
veloce sulla rena
dà senso di tremolio dei sassi
per svanire nel vento,
invano l’ho seguita
per guadagnare tempo.
Alive, I’m dreaming,
I think, I write,
I perceive the moment,
I exist.
I see, I also listen to the silence,
I am.
I feel your body,
I caress the immense,
I calm down,
I want to kiss you,
caress you with my chin.
I lift my eyes to the Sky,
I question myself,
I define the horizon,
the song of the undertow
throws every certainty into disarray,
I lower my eyes,
the shadow of a seagull
it cuts me in two
and moving away quickly on the sand
conveys the sensation of rocks trembling
and vanishes in the wind,
I followed it in vain
to gain time.
Un pensiero,
mistero,
è andato,
troppo veloce,
non l’ho afferrato,
era grande,
ma così grande,
pesante,
dico davvero,
proveniva dall’oltre,
l’oltre mi parla,
ho creduto poter ricordare,
presuntuoso che sono,
impossibile dimenticare
fra me e me ho sussurrato,
invece è fuggito,
succede spesso,
perciò scrivo
quanto non è stato detto,
o pensato,
vissuto.
Era così maledettamente fluido,
toccava sottigliezze inconcepibili,
come bava di ragno,
a tal punto trasparente
che prima di tramutarsi in filo
diventa lente.
Ritornerà,
queste voci hanno orbite iperboliche,
di fuga,
ed io sono il fuoco,
sarà mio,
prima o dopo.
Questo racconto è la naturale prosecuzione di “Ecco perché Juanita”, antologia elaborata nel 2012, certamente originale nella composizione al punto che non trovavo termini adatti a definirla. Per descriverne la “costruzione” decisi di utilizzare il verbo “comporre” vale a dire “mettere insieme varie parti allo scopo di costituire un tutto organico” ovvero “produrre, realizzare un’opera di carattere letterario o artistico in generale”. Conclusi che il termine più adeguato a designarla fosse proprio “libro” intendendosi con tale parola “volume di fogli cuciti tra loro, scritti, stampati o bianchi”. Desidero ricordare che la parola “bibbia” significa insieme di generi letterari diversi. Non è casuale che “biblia”, dal greco “biblos” (corteccia interna del papiro che cresce sul delta del Nilo utilizzata per produrre materiale scrittoio) sia un plurale che indica l’insieme di opere scritte e narrate (nella Chiesa greca dell’epoca di Giovanni Crisostomo si cominciò a usare l’espressione “Ta Biblìa”, che significa “I libri”). Infatti, il Vecchio e Nuovo Testamento sono compendi di elaborati vari per origine, genere, compilazione, lingua e datazione, prodotti in un periodo abbastanza ampio, preceduti da tradizione orale difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito dagli inizi della nostra era. In parole povere la prima grande raccolta, copiatura e forse pure sofisticazione della storia. Tornando a “Juanita” dico che l’idea della sua realizzazione s’insinuò nella mia mente quando decisi di riunire diversi e preziosi frammenti della letteratura (sottotitolo “arabesco letterario”) di circa cinquanta autori e un centinaio di brani e citazioni disponendoli all’interno di una narrazione secondo il mio gusto. Occorreva solo la base di appoggio. Quale migliore “cronologia” potrebbero regalarci altri capolavori che non siano “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” del grande Saramago, seguito da “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov per agganciarlo a “Il Procuratore della Giudea” di France e concludere con “Il Grande Inquisitore” di Dostoevskij? Nessuna, un’avventura lunga 1700 anni. Saramago descrive la vita di Gesù con un’autenticità da lasciare senza fiato, ineguagliabili lo stile e la prosa. Nel suo Vangelo neppure è sfiorata la personalità di Ponzio Pilato perché marginale al messaggio che l’autore ci ha compiutamente trasmesso. Per approfondirne la figura siamo quindi costretti a immergerci nelle strabilianti pagine di Bulgakov dove il procuratore della Giudea è assalito dal rimorso per una condanna decretata suo malgrado; la collera verso se stesso lo dilania, realizza di essere entrato nel mito dalla porta sbagliata e la sua ignavia (qui ci sarebbe da discutere) lo inchioderà per sempre nella penombra del porticato, dietro la brocca del servitore che versa l’acqua sulle sue mani sudate. Che ne sarà di lui? Allora lo seguiamo nell’epico “Il procuratore della Giudea” di Anatole France dove, vecchio e dolorante, si reca ai Campi Flegrei per curarsi la gotta che lo tormenta. I tempi del fasto e del potere li ricorda con il fedele e ritrovato Lamia che, riferendosi al Cristo, gli chiede: “Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?” ed egli “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non ricordo”. Non ricordo… Perché? Amnesia senile? Inconscia rimozione di una rievocazione ostica? Menzogna? Indulgenza divina? Non lo sapremo e il Gesù de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskji, che chiude il mio saggio, non dice alcunché in proposito. Essendo stato vano il sacrificio estremo, Egli torna in questo mondo per riparare l’errore sennonché, riconosciuto e incarcerato dal Grande Inquisitore, non pronuncia una sillaba durante l’eccitazione verbale dell’aguzzino che a sera si reca nella cella per comunicargli la condanna al rogo. Il confronto tra i due si trasforma in un delirante monologo del prelato. Che cosa rappresenta l’unica risposta del Nazareno, il bacio sulle labbra del suo persecutore con cui suggella il loro incontro? Quali potrebbero essere stati i pensieri di Yuzaf nel momento in cui, graziato per tale gesto, si diresse verso nuovi orizzonti? Dove sarà andato? Che panorami gli si apriranno? Come esplorerà l’intrico che custodisce l’oggetto della sua ricerca? La reinterpretazione delle Scritture? Il leggìo a nove posizioni? Mauro Giovanelli – Genova
Alessandro Arvigo (Alex), Palermo (Italia), prefazione a “IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI” di Mauro Giovanelli 1a Edizione – giugno 2019 – Vertigo Edizioni srl – Roma
Introduzione alla nuova edizione 2023
Yuzaf non è asceso al cielo come c’è raccontato. In cerca di una risposta impossibile, almeno quanto il dubbio che lo avrebbe colto durante il supplizio, lamentando l’abbandono del Padre, ha invece continuato a vagare fra le dimensioni del reale e del fantastico. Questa la sua missione, la croce alla quale sembra condannato dalla stessa natura di cui è composto, che gli fa incontrare altri “inverosimili” come lui: Corto, Srinivasa, Ramòn, Judex, dando vita a una ratatouille filosofica in salsa spirituale, insaporita con un melting pot delle migliori spezie antropologiche, raccolte dall’Autore ai crocevia della vicenda umana, nella sua mente, lungo le sconfinate praterie dell’investigazione fantastica. Bene e Male, Divino e Umano, sono le invisibili sbarre della gabbia di Mānī che imprigionano il pensiero di Yuzaf nella speculazione dell’Oltre, lo costringono a surreali dialoghi con personaggi della storia e della fantasia che cucineranno a fuoco lento le convinzioni del lettore fino a dissolverle con la sola spiegazione alla nostra portata. Le molecole letterarie dell’opera sembrano formate da atomi privi di legami, gli elettroni saltano dall’orbita di un nucleo all’altro, collidono, rilasciano quanti di energia che riempiono di tracce luminose l’etere della narrazione: preziose indicazioni che, per il lettore attento e motivato dalla ricerca terrena e spirituale, rappresentano la segnaletica del sentiero che conduce a concepire l’inspiegabile. La ricostruzione storica e filosofica della religione sotto l’aspetto di “urgenza esistenziale” è onesta, accurata, priva d’intenzionalità alcuna di negare o affermarne l’esattezza, lasciandoci liberi di manovrare il leggìo a nostro piacimento per interpretare i manoscritti che su esso via via si alternano e incrociare lo sguardo del topo al fine di rispondere come possiamo a una domanda priva di senso: “Qual è la verità?”
Dio non esiste
quindi,
neanche il Demonio,
i dèmoni sì,
entrano in te
fulminei
senza alcun preavviso,
non li senti,
sordidi e quatti
s’impossessano
della mente,
portano ricordi
tuoi e suoi,
nulla sfugge loro,
sanno della vita,
morte, dolore, gioia,
esaltazione, pena,
orgasmo, quiete,
e molto altro ancora.
Del resto ti sono figli,
tu li hai generati,
questo succede
quando sei sbadato
e lasci qualcosa
di troppo importante.
God does not exist,
hence,
the Devil does not either.
Demons do –
like lightning
they enter your very persona,
without knocking,
you do not hear them
but they take possession
of the mind,
they bear memories
both yours and hers,
nothing eludes them,
they taste of life,
death, pain, joy,
and more besides – everything.
After all,
they are your offspring,
generated by you –
such is the outcome
when you are thoughtless
and you leave something
too important.
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