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POTREBBE IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA…

POTREBBE IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA…

Domenica scorsa si è verificato un episodio che potrebbe sembrare banale, invece credo possa fornire spunti interessanti a chiunque desideri coglierli oltre che, ovviamente, al sottoscritto. Ho avvertito la necessità di raccontarlo più per me stesso che per altro.
Serata fredda per la stagione, tra poche ore sarà giugno, anno strano questo 2014. Salotto, amici, discorsi conviviali, poi la chiacchierata scivolò sui vari matrimoni. Fingevo di ascoltare gli aneddoti di quelle feste e quando la conversazione cominciò a virare sulle fotografie venni assalito da un pensiero compulsivo, in un istante realizzai di non aver mai visto immagini dei miei vecchi nel giorno in cui si abbozzò l’idea che avrei potuto esistere. Inutile ogni tentativo di ricostruire racconti che avevo sempre inteso con distrazione, l’unica cosa certa è che l’evento avvenne durante la guerra e, dato che mio padre prestava servizio a Taranto nella Regia Marina, potrebbe essere stato celebrato in quella città. Qualcosa però non mi convinceva.
Ero intento a questa ricostruzione ma non mi sfuggivano le occhiate complici che gli ospiti scambiavano tra loro, uno domandò con cautela se per caso stessi poco bene. Mi alzai di scatto come fossi stato seduto su una molla e, con un pretesto qualsiasi, mi appartai per telefonare a mia madre, novant’anni compiuti.
Così riemerse un passato che mi appartiene. Il nonno paterno Aldo, figlio di Armando e Virgilia, era il secondo di sette fratelli. Uno di questi, “zio” Mirko, sembrerebbe fosse uomo da non fare vane promesse. Convocato per andare a difendere gli ideali dell’asse Roma-Berlino, appena imbarcato venne contraccambiato da un sorriso benevolo del comandante dopo che gli ebbe intimato “se lei non mi fa scendere subito da questa nave, lo farò domani con i piedi in avanti”. È proprio in questa posizione che ritornò a terra. Non sono riuscito a sapere in che modo decise di onorare la parola data, e la cosa mi interesserebbe molto. Per tornare alla bisnonna Virgilia, femmina di grande carattere e temperamento, si può ben capire come questo fatto l’avesse segnata non poco, decise quindi che il nipote non avrebbe più dovuto continuare a combattere. Suo malgrado si rivolse pertanto al cugino ammiraglio, quello che in famiglia aveva ferree idee al punto che, nell’arco di nemmeno un giorno, fece tornare a casa il giovanotto scopertosi sofferente di nefrite. Il sottomarino di papà fu centrato nella missione che seguì portando per sempre in fondo al mare l’intero equipaggio. Mi informerò circa il nome del battello, chissà quanti sono stati, per la nostra flotta, gli accadimenti del genere. Sta di fatto che, tra un allarme e l’altro, i miei genitori convolarono a nozze nel gennaio ’43, cornice Genova superba e l’incantevole chiesa di Santa Maria Maddalena.
Avevo un anno o poco più quando mi portarono da nonna Virgilia. Era inferma a letto causa una malattia incurabile, la vecchiaia, ma aveva chiesto di vedermi assolutamente. Mentre ascoltavo con avidità il racconto di questo solenne evento, intervallato da molti “non ti puoi ricordare”, fui colto da qualcosa di molto simile alla paura, la stessa che si prova di fronte a fatti incomprensibili. Nella mia mente riaffiorava tutto di quel giorno caldo, soleggiato, anzi nell’ascoltare constatai di non averlo mai rimosso. Il viaggio in treno fino a La Spezia, vagone stipato di gente euforica, la dimora cui giungemmo, una testata del letto in ferro battuto decorato, clamore che proveniva dalla strada in fondo al viale, lenzuola bianco avorio a formare accoglienti panneggi, parevano umide, l’incessante ronzio di una mosca. Avevo smesso di prestare attenzione a mia madre perché vedevo, tra le pieghe della sofferenza, il candido sorriso sul viso dolcissimo, immobile, della bisavola, l’intenso luccichio dei suoi occhi vivi che mi traguardavano, le braccia magrissime che sollevava in alto a comunicarmi il suo affetto, benedirmi con le mani irrigidite, le dita si muovevano lente come zampe e antenne di nobili crostacei e lame di luce, filtrata dai pesanti tendaggi socchiusi, rompevano la penombra della camera. “Sai Mauro” mi sentivo dire “ero incerta se portarvi da nonna Virgilia, temevo potesse impressionarvi, così vecchia, invece le avete fatto tante feste, Alda saltava sul letto e tu la accarezzavi. Incredibile”.
Chiedendo scusa mi ripresentai agli amici giusto in tempo per soccorrere mia moglie in quegli estenuanti saluti, ripetuti mille volte, nel tragitto dall’ingresso all’ascensore.
Rimasi inebetito anche il giorno seguente e pure il successivo. Come potevo, ad appena un anno, rievocare così nitidamente? Se al posto del cervello avessi uno scanner potrei decodificarvi ogni immagine di quel pomeriggio. Chissà che non fosse proprio il 2 giugno 1946, quando gli italiani furono chiamati a scegliere tra Repubblica e monarchia. Oltre a ciò non riuscivo a disconnettere la mente dall’evidenza di essere a questo mondo grazie a uno “zio” educato a rispettare gli impegni presi, al favore di un congiunto salito al potere ma comprensivo verso i parenti stretti e infine ad una persona eccezionale di nome Virgilia.
Che serata interessante è stata l’ultima di maggio. L’indomani avrei chiesto a mamma di mostrarmi le sue vecchie fotografie e allo stesso tempo riflettevo sul concetto elaborato da Turing ed analizzato da Lorenz “potrebbe il battito d’ali di una farfalla nel golfo del Tonchino scatenare un uragano a New York?” (1)

Mauro Giovanelli – Genova
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(1) “Potrebbe il batter d’ali di una farfalla nel golfo del Tonchino provocare un uragano a New York?” fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1972. Si ritiene che l’ipotesi abbia tratto spunto da uno dei più celebri racconti fantascientifici di Ray Bradbury, “Rumore di tuono” (A Sound of Thunder) del 1952. L’idea è che piccole modifiche nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.

VENTO IDIOTA (IDIOT WIND) – SENZA PERDERE LA TENEREZZA Versione 2

VENTO IDIOTA (IDIOT WIND)
SENZA PERDERE LA TENEREZZA – Versione 2

Il Pontefice ha lasciato Cuba esortando il popolo, i governanti, e la Nazione tutta alla “rivoluzione della tenerezza”. Bella persona papa Francesco, da agnostico quale sono è la prima volta che provo emozione di fronte al capo della Chiesa Cattolica, e massimo rispetto: la borsa che si porta appresso un po’ logora, modesta, gonfia, la gestualità dell’uomo semplice, le scarpe nere “comode”, pianta larga e suola robusta, la papalina sempre in equilibrio precario che non sopporta. È una persona che “cade”, non teme di mostrare la sua vulnerabilità. Quando ha incespicato mentre saliva la scaletta dell’aereo mi ha strappato dalla mente la considerazione che in quell’istante non c’era alcun Simone di Cirene a raccogliere la croce, neppure una Veronica a detergergli con un panno di lino il volto sporco di sudore e sangue, che ha dentro di sé, nella sua solitudine. Lo vedo un uomo isolato nella battaglia che conduce per cercare di cambiare l’umanità. Si è alzato da solo, senza aiuto alcuno, con orgoglio, naturalezza e volontà incredibili. Soprattutto mi colpisce il suo sguardo sincero, aperto, con un’ombra di malinconia, sconforto, che ti dilania, penetra i tuoi dubbi, vorresti abbracciarlo, sento che ha necessità di aiuto, avverto che vive la sua fede con profonda convinzione, ma ho l’impressione che allo stesso tempo si renda conto quanto potrebbero essere vani l’impegno e la dedizione che profonde nella missione che gli è stata assegnata.
Il Vicario di Cristo si è poi recato negli USA presentandosi dinanzi al Congresso e successivamente al Palazzo dell’ONU, immagino portando alla Nazione più potente della Terra e a tutti i “governanti” lo stesso messaggio, il richiamo alla rivolta dell’amore.
Tenerezza! Deve essere una parola magica. Ha subito indirizzato il mio pensiero a una delle migliori e più complete biografie su Ernesto Che Guevara, giocatore di rugby, appassionato di scacchi, eccellente poeta, ottimo fotografo, medico competente specializzato in allergologia, appassionato lettore che passava con disinvoltura da Jack London, Jules Verne ed Emilio Salgari ai saggi di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung fino ai trattati filosofici di Bertrand Russell, sebbene l’esempio che lo attirasse di più fosse Mohandas Karamchand Gandhi conosciuto come il “Mahatma” ossia “Grande Anima”. Fu anche un provetto motociclista tanto che con la sua Norton, cui venne dato il soprannome di “La Poderosa II”, dopo la laurea viaggiò per tutto il Sudamerica, Bolivia, Ecuador, Panamá, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala. A proposito della più importante guida spirituale dell’India, che teorizzava e praticava la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa fino a regalare l’indipendenza al suo Paese, Ernesto Guevara, dopo aver visto la povertà delle popolazioni che incontrava ed essere stato influenzato dalle letture sulle teorie marxiste, concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell’America Latina coltivando il sogno di vedere un giorno il Sudamerica come un’unica entità. Per arrivare a ciò riteneva quindi necessaria una strategia di ampio respiro che non poteva certamente identificarsi con la “non violenza”. Nell’itinerante momento della sua vita si fermò per prestare attività di volontariato presso il lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni. Quanti sono i legami che ci uniscono tutti! E lavoriamo solo per scioglierli. Basta una semplice parola, un gesto onorevole, per fare collegamenti impensabili, intessere una tela di bei gesti tutti mirati al bene comune, la fratellanza e la solidarietà… e l’amore. Almeno così capita a me. San Francesco! Che nel 1203/4, dopo la sua conversione maturata nel 1154 a seguito dell’esperienza della guerra fra Perugia guelfa e Assisi ghibellina, quest’ultima soccombente dopo la sconfitta nel 1202, e la conseguente prigionia, rimase sconvolto a tal punto da indurlo a un totale ripensamento della sua vita. Da lì iniziò un cammino di mutamento che col tempo lo portò “a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore”. Ciononostante pensò di partecipare alla Crociata, quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere a questa missione era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d’Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente ed ebbe un profondo ravvedimento. La malattia potrebbe essere stato un “segno” per far sì che non fossimo privati di questo santo? Il fatto è che Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare ed in lui germogliò un crescente senso di compassione, che gli ispiravano i deboli, i lebbrosi, i reietti, gli ammalati, gli emarginati che si sarebbe trasformato poi in una vera e propria “febbre d’amore” verso il prossimo. In questo senso, e non solo, uno degli uomini più “illuminati” della nostra epoca, Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore e regista, un genio della erudizione mondiale, che mai viene citato dai mass media o dalla TV ed è tenuto pure ai margini della cultura ufficiale, come non fosse esistito, diceva: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”.
Sta di fatto che Francesco, amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso il lebbrosario di Gubbio, intitolato a “san Lazzaro di Betania”, restando con i lebbrosi e servendoli con estrema cura. Dunque il “Che” nel lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni, san Francesco 750 anni prima a prestare la stessa opera in Toscana, Pasolini a percorrere negli anni ‘60 le polverose periferie di Roma nell’estenuante ricerca di un perché alle ingiustizie di questo Mondo. Ciascuno spinto dalla necessità di tenerezza.
A volte penso che sia tutto inutile e vengo assalito da una profonda afflizione. Mi domando se quanto viene detto negli incontri fra Capi di stato, dai “politicanti”, sui quotidiani o nei dibattiti televisivi, nelle omelie pronunciate nei funerali dei morti ammazzati per i motivi più abietti, seguiti da applausi al passaggio dei feretri, insomma questa marea di bla, bla, bla in fondo non siano altro che parole al vento, un vento idiota, “Idiot wind” come cantava Bob Dylan negli anni ’70, che lasciano il tempo che trovano. L’ultima strofa di questa poesia/canzone dice “…vento idiota che soffia tra i bottoni dei nostri cappotti, che soffia tra le lettere che abbiamo scritto, vento idiota che soffia tra la polvere sui nostri scaffali, siamo degli idioti, bambino, è un miracolo persino che riusciamo a nutrirci da soli”.
Il resto lo conosciamo tutti, o quasi, ma il punto è rispondere alla domanda che di certo vi state ponendo, cioè per quale motivo mi sono infilato in questo discorso. Perché sono convinto che il Santo Padre conosca la vita e le opere del grande talento italiano che trovò la morte nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975, ucciso in maniera brutale, percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma, “crocifisso” da un balordo, uno dei tanti “ragazzi di vita” che voleva salvare. Credo che apprezzi anche il menestrello del Minnesota, il poeta del country e del rock, mica il Vicario di Cristo è uno che porta calzature di vernice rossa griffate Prada. Neppure ho dubbi che il papa non abbia letto la biografia sul braccio destro e consigliere di Fidel Castro, redatta da “Paco Ignacio Taibo II” e che consiglio pure a voi di dare un’occhiata. L’autore scrive: “Ernesto Che Guevara continuerà a farmi visita nei sogni, rimproverandomi come mai non sono in qualche parte del Mondo a costruire una scuola”. Il titolo del libro? Dimenticavo: “Senza perdere la tenerezza”.

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L’articolo “VENTO IDIOTA (IDIOT WIND) – SENZA PERDERE LA TENEREZZA – Versione 2” è stato pubblicato il 5 luglio 2015 sul sito www.memoriacondivisa.it e inviato a Papa Francesco il 1° ottobre 2015.
Di seguito la sua risposta:

Egr Signore
Sig. Mauro Giovanelli
via______________
16129 GENOVA GE

La Segreteria di Stato porge distinti ossequi e, nel comunicare che quanto è stato inviato al Sommo Pontefice è regolarmente pervenuto a destinazione, esprime a Suo nome riconoscenza per il premuroso pensiero e Ne partecipa il benedicente saluto.

Ho riproposto questo pezzo per ringraziare Francesco della Sua attenzione. Allo stesso tempo mi pongo diverse domande ma, per non dilungarmi troppo, al momento desidero solo rendervene partecipi aggiungendo una riflessione: mi chiedo se in questo Paese il Pontefice non sia l’unica figura rassicurante. Sono certo di sì. I traumi che quotidianamente la politica ci impone diventano ogni volta più grevi. Altra considerazione, per quanto mi riguarda, è che nel quarantesimo anniversario della sua morte non credo ci sia miglior riconoscimento per il grande Pier Paolo Pasolini se non quello di essere entrato, pur nelle poche righe delle quali vi suggerisco la rilettura, all’interno della società occupando il posto che gli compete fra coloro che si sono spesi, e si prodigano tuttora, nella ricerca della tenerezza.

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QUANDO IL NILO GIUNGE AL CAIRO…

QUANDO IL NILO GIUNGE AL CAIRO…

Si chiamano Se e Ma. Sono due sprovveduti che girano per il Mondo, cercano soluzioni ai vari problemi dopo che, bene o male, sono stati risolti, elaborano sempre nuove idee che si rivelano irrealizzabili perché riferite a fatti già avvenuti, espongono concetti senza capo né coda in quanto superati, si spendono molto nella loro affannosa ricerca della verità ma in ritardo, sono idealisti senza rimedio, non riescono a comprendere o non conoscono l’aforisma di un poeta arabo di cui, chiedo venia, non rammento il nome: “Quando il Nilo giunge al Cairo non può più tornare indietro”. Quindi, mi dispiace, inutili ascoltarli, però… una volta tanto può capitare di cadere nel tranello come mi sta succedendo ora. Vi propongo la lettura di questo pezzo:
Quali che siano le circostanze della mia dipartita, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fiducia nell’uomo e nel suo destino mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai fornirmi.
Per quarantatre anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario e per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto da capo cercherei di evitare questo o quell’errore, ma le mie scelte resterebbero sostanzialmente immutate. Morirò da rivoluzionario proletario, marxista, materialista dialettico, quindi da ateo inconciliabile. La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente, anzi è ancora più salda, che nei giorni della mia giovinezza. Se si produrrà l’esplosione sociale che spero e la rivoluzione socialista trionferà in diversi Paesi, quegli stessi lavoratori avranno la missione di aiutare i loro compagni sovietici a liberarsi dai gangster della burocrazia stalinista… vedo la verde striscia d’erba oltre la finestra e il cielo limpido azzurro al di là del muro, la luce del sole dappertutto. La vita è bella, i sensi celebrano la loro festa. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione, violenza e goderla in tutto il suo splendore.(1)
Quando Trotsky lo scrisse era in uno dei tanti momenti di sconforto, sentiva la morte vicina. Dopo la dipartita di Lenin e a seguito della sua lotta politica nonché il duro contrasto con Stalin, favorevole al concetto di socialismo in un solo Paese, il Presidente del soviet di Pietrogrado dovette fuggire dal suo Paese per sottrarsi all’odio di quello che sarebbe diventato il suo più acerrimo nemico. Era consapevole che un avversario di tale spessore volesse ucciderlo per far sì che non potesse riorganizzare all’estero il partito in cui credeva e votato alla rivoluzione permanente. Però la causa di tale delitto non doveva essere riconducibile al dittatore dell’Unione Sovietica. Venne pertanto esiliato ad Alma Ata (oggi nel Kazakistan) il 17 gennaio 1929. Fu poi espulso e per lui cominciò un lungo vagabondaggio in diversi Paesi, sempre in fuga dai sicari dell’opposizione.
Nonostante questo egli continuò la propaganda in ogni luogo, auspicando una rinascita dell’URSS e del comunismo come lui lo intendeva. Si spostò dalla Turchia alla Francia poi in Norvegia, tenterà anche di stabilirsi negli Stati Uniti ma Roosevelt gli negherà il visto d’ingresso. Dopo aver lasciato la Turchia, dove ritornò per breve tempo, si stabilì in Messico (fu ospitato anche da Frida Kahlo e Diego Rivera) sotto la protezione del Governo di Lázaro Cárdenas del Río, precisamente a Coyoacan, un sobborgo di Città del Messico. Qui era continuamente spiato dai sicari dei Servizi Segreti sovietici che studiavano il sistema di penetrare la barriera protettiva che il Governo messicano aveva messo a sua difesa.
Non usciva mai di casa, viveva segregato in compagnia di sua moglie, trascorreva il tempo a comporre il suo progetto che avrebbe dovuto portare all’affrancamento dell’umanità dalla schiavitù. Nonostante ciò fu anche vittima dell’attentato da parte di un commando diretto da David Alfaro Siqueiros, famosissimo pittore e muralista messicano, che nella notte fra il 23 e 24 maggio 1940 assalì la villa di Lev Trotsky con l’obiettivo di ucciderlo. Il tentativo criminoso fallì ma il 21 agosto dello stesso anno venne assassinato da un killer di origine spagnola al soldo dell’U.R.S.S., tale Jaime Ramón Mercader del Río Hernández.
Se anziché Stalin, che ha trasformato la parola “comunismo” in un termine osceno, quasi impronunciabile, al potere ci fosse andato Lev Trotsky, cosa sarebbe cambiato? Intanto la guerra civile spagnola avrebbe potuto vedere la vittoria dei repubblicani i quali non ebbero alcun aiuto dall’Unione Sovietica, se non di facciata, anche perché la colpa della loro sconfitta sarebbe stata fatta ricadere sui trotskisti e gli anarchici così da giustificarne l’annientamento politico. I nazionalisti erano invece fortemente appoggiati in tutti i modi dalla Germania nazista e l’Italia fascista. Questo sanguinoso e cruento conflitto fu ritenuto il banco di prova dello scontro che avrebbe di lì a poco contrapposto le dittature nazi-fasciste al regime stalinista dell’Unione Sovietica e ai Paesi democratici dell’occidente: la seconda guerra mondiale.
In relazione a questa congettura possiamo almeno aggiungere la seconda domanda? Ma è pensabile che un uomo in procinto di morire (ormai Trotsky era cosciente quanto fosse vicino alla fine) potesse manifestare il falso, finanche a sé stesso, nella stesura del proprio testamento che precedette di qualche settimana la sua dipartita? In particolare il concetto da lui espresso all’ultimo capoverso?
Interrogativi senza risposta. L’abbiamo detto che Se e Ma sono due creduloni, visionari però… in certi pomeriggi silenziosi, quando sei solo con te stesso, può capitare di ascoltarli. Del resto sognare e fantasticare non ha mai nuociuto a nessuno, tutto il male possibile è già stato fatto.

Mauro Giovanelli – Genova
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L’articolo “Quando il Nilo giunge al Cairo…” è stato pubblicato il 18 giugno 2015 sul sito www.memoriacondivisa.it

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(1) Tratto dal testamento di Trotsky, scritto a Coyoacán (Città Del Messico), pochi mesi prima di essere assassinato su ordine di Stalin nell’agosto 1940 da Jaime Ramón Mercader del Río Hernández che si era spacciato per un comunista trotskista canadese di nome Frank Jackson allo scopo di conquistarne la fiducia.

ALLA FIN FINE… PERCHÉ ?

ALLA FIN FINE… PERCHÉ ?

Di solito scrivo di tutto ciò che mi impone domande su aspetti importanti del nostro vivere quotidiano, e non riesco a decifrare, non per ignoranza bensì per avversione alle contraddittorie risposte ottenute sia dai libri consultati, sia dalle persone che in materia dovrebbero essere luminari. Provo perciò la sgradevole sensazione di essere l’unico ad avere certi dubbi, mi sorge il sospetto che gli altri siano a conoscenza di qualcosa che ignoro. In merito a quanto segue sono pertanto disponibile a qualsiasi osservazione che finalmente mi illumini. Preciso che questo “pezzo” lo sto redigendo più per me che per l’ipotetico lettore che avesse la pazienza di arrivare fino in fondo ed in esso eviterò di parlare del “trascendente”, ma di “fatti” storici ad esso intimamente legati e loro conseguenze.
La data di morte di Gesù non è determinabile con precisione, in quanto le indicazioni presenti nei documenti a disposizione, a partire dai Vangeli, non sono sufficienti, anche perché spesso stilate con intento più teologico che storico. I tre evangelisti sinottici concordano nel dire che Egli morì di venerdì, durante le festività collegate alla Pasqua ebraica (il 15 di Nisan), mentre il Vangelo secondo Giovanni (canonico ma non sinottico) ne colloca la dipartita al giorno precedente, quello di preparazione alla Pasqua (14 di Nisan). Inoltre tutti e quattro non specificano l’anno. Le date comunemente accettate sono il 7 aprile del 30, il 27 aprile 31, o il 3 aprile 33. In particolare, se si accettano le indicazioni di Giovanni, tra queste sembra doversi scegliere la prima.
Vi siete mai chiesti quali distinzioni ci sono e perché tra tutte le Chiese cristiane non cattoliche? In cosa credono? Quali le loro liturgie? Come sono nate? Per fermarci a queste, senza parlare di Ebraismo e Islam (comunque anch’esse “abramitiche”) se non per inserirle nella cronologia, la “religiosità” nel suo complesso ha avuto tanta parte nella storia dell’umanità, sta all’origine dei fatti salienti che l’hanno contraddistinta, pure quelli attuali, odierni, e ancora saremo investiti dai suoi riverberi negli anni, se non secoli, a venire.
L’Ebraismo esiste dalla notte dei tempi. Secondo il Vecchio Testamento gli ebrei sono il popolo eletto sa Dio.
La Chiesa cattolica (Apostolica Romana) è quella cristiana che riconosce il primato di autorità al vescovo di Roma, in quanto successore dell’apostolo Pietro sulla cattedra di Roma. Il nome richiama alla sua universalità, è stata fondata a partire dalla predicazione di Gesù Cristo e dei suoi Apostoli, ed è costituita dalla “stirpe di Dio” a sua volta formata da “tutte le nazioni della terra”.
Nel 325 d. C. l’imperatore Costantino, assillato dai problemi della gestione del suo regno, convoca il Concilio di Nicea per eliminare almeno le diatribe interne sorte fra le varie correnti del cristianesimo. Già si rende necessario fare un inciso: «coniugare i termini “correnti” e “cristianesimo” è un ossimoro, sono incompatibili tra loro». Il motivo è semplice «In verità, in verità io vi dico che il Figliuolo non può da sé stesso far cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa similmente» [Giovanni, 5 17, 19]. Il Salvatore predicava uguaglianza, fraternità, tolleranza, solidarietà quindi, se non sto dicendo una sciocchezza, pochi anni dopo la Sua scomparsa la Parola venne tradita e disattesa dagli uomini. Per il Cristo esisteva una sola concezione di vita e le fonti erano le Tavole della Legge e la Sua Predicazione. Ovunque Egli sia, mineralizzato per atei e agnostici, o alla destra del Padre per i credenti, immagino che ciò non gli abbia fatto piacere. I principi stabiliti a Nicea non impedivano che la Pasqua cadesse il 14 di nisan (bastava che il giorno fosse una domenica) né che potesse coincidere con la data ebraica della Pasqua. La regola che la pasqua cristiana fosse sempre successiva al 14 di nisan ebraico fu stabilito solo secoli dopo per l’accumulo di errori nel calendario solare Giuliano e in quello lunare ebraico. L’autorevolezza ebraica sulla data della Pasqua era consolidata dalla tradizione e per scardinarla Costantino non esitò ad utilizzare argomentazioni apertamente antisemite. Eusebio di Cesarea scrive che Costantino si espresse con queste parole: «…sembrava una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa si dovesse seguire la pratica dei Giudei, che hanno insozzato le loro mani con un peccato enorme, e sono stati giustamente puniti con la cecità delle loro anime… è bene non avere alcunché in comune con la detestabile cricca dei Giudei in quanto abbiamo ricevuto dal Salvatore una parte diversa.» Anche Teodoreto di Cirro pronunciò frasi analoghe: «…fu prima di tutto dichiarato improprio seguire i costumi dei Giudei nella celebrazione della santa Pasqua perché, a causa del fatto che le loro mani erano state macchiate dal crimine, le menti di questi uomini maledetti erano necessariamente accecate… non abbiamo nulla in comune con i Giudei, che sono i nostri avversari… evitando ogni contatto con quella parte malvagia… le cui menti, dopo avere tramato la morte del Signore, fuori di sé, non sono guidate da una sana ragione, ma sono spinte da una passione irrefrenabile ovunque la loro follia innata le porti… un popolo così completamente depravato… quindi, questa irregolarità va corretta, in modo da non avere nulla in comune con quei parricidi e con gli assassini del nostro Signore… neanche un solo punto in comune con quegli spergiuri dei Giudei…». Personalmente ritengo la questione della data di santificazione della Pasqua un problema minimale, non ci vedo alcunché di “spirituale” nella sua soluzione, un conflitto tra cavillosi signori abituati a fare la manicure alle formiche piuttosto che gustarsi il panorama che li circonda.
In ogni caso, per farla breve, i successivi problemi ai principi stabiliti a Nicea furono di grande portata, la soppressione dell’eresia di Melezio, scismatico già dall’anno 304 o 305, la dichiarazione di eretici per gli Ariani che portò all’unione delle due fazioni causando dissensi ancora più gravi, il battesimo degli eretici, la persecuzione di Licinio e altre infinite diatribe. Infine il Concilio promulgò venti nuove leggi ecclesiastiche, chiamate canoni (sebbene il numero esatto sia oggetto di dibattito) che sono elencati nella Patristica relativa a Nicene.
Sta di fatto che da allora il Cattolicesimo divenne in pratica religione di Stato dando inizio al cosiddetto cesaropapismo, cioè un coinvolgimento di Chiesa e Stato che seguiterà fino ai nostri giorni ad essere oggetto di controversia.
Nel 622, lungo la Penisola araba, precisamente nella cittadina higiazena de La Mecca, si manifestò l’Islam ad opera di Maometto (Arabo محمد Muḥammad), considerato dai musulmani l’ultimo profeta inviato da Dio (Arabo الل Allāh), una religione monoteista il cui compito era quello di ribadire definitivamente la Rivelazione, annunciata per la prima volta ad Adamo (آدم Ādam).
Nel 1054 avvenne la prima frattura dell’unica Chiesa, ossia lo “Scisma d’Oriente” da cui si originarono la Chiesa Cattolica, che fa capo al papa di Roma, e la Chiesa Ortodossa, che fa capo al Patriarca di Costantinopoli.
Nell’anno 1517 Martin Lutero condannò la vendita delle indulgenze, ossia la cancellazione delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale) del penitente che avesse confessato, inoltre respinse alcune dissoluzioni della Chiesa Cattolica alle quali la medesima non rinunciò. Così si ebbe lo “Scisma d’Occidente” da cui nacque la Chiesa Protestante. Se le diatribe interne sorte tra i primi cristiani sono un ossimoro per il messaggio lasciato nei Vangeli figuriamoci questi sommovimenti dal sapore più politico e di conquista del potere terreno che di predicazione e salvezza dell’anima.
In ogni caso ambedue gli scismi ebbero come effetto il disconoscimento del potere assoluto del papa.
La Chiesa Ortodossa d’Oriente non riconosce il papa e la sua pretesa giurisdizione per le Chiese orientali (motivo dello scisma, che è rimasto inalterato). Professa comunque la medesima fede e gli stessi dogmi della Chiesa cattolica: Dio, Trinità, divinità di Gesù, maternità divina di Maria, culto di Maria e dei santi. L’unica differenza nei confronti della Chiesa cattolica è che i pastori ortodossi possono sposarsi e ammettono anche un solo divorzio per i loro fedeli. Sarebbero propensi ad una riconciliazione con Roma e a riconoscere il primato del papa a patto che il papa stesso non pretenda che il suo monarchianismo assoluto si estenda anche alla Chiesa d’oriente. Roma invece pretende non solo il primato riguardo alla fede e alla morale ma pure la supremazia giurisdizionale del papa. Riguardo ai sacramenti sono in tutto simili alla Chiesa Cattolica, per cui Roma riconosce il battesimo operato dagli Ortodossi. Non possono celebrare insieme l’eucaristia (la messa) non essendo in comunione con il papa di Roma. Ma… tutto ciò non vi fa pensare? Considerando che Gesù lasciò la sua eredità spirituale a Simone, detto Pietro, uno dei dodici apostoli riconosciuto come il primo papa della Chiesa cattolica e, come abbiamo potuto vedere, i suoi successori si dimostrarono indegni di riceverne a loro volta l’insegnamento evangelico passando la loro esistenza in continui conflitti… di cosa stiamo parlando oggi? E con chi?
Il protenstantéṡimo comprende due Chiese più grandi:
Quella Luterana, frutto dello Scisma d’Occidente del 1517 che estromise dalla sua dottrina, oltre il primato del papa alla stregua degli ortodossi come abbiamo visto, anche tutta la tradizione della Chiesa Cattolica dagli inizi fino al 1517, disconoscendo ogni Concilio collocato in questo arco di tempo e mantenendo solo la Scrittura come deposito della fede. Non riconoscono Maria come madre di Dio quindi ne vietano il culto, così come vietano il culto dei santi e delle reliquie. Hanno una loro celebrazione eucaristica ma è valida solo al momento della celebrazione e non al di fuori di essa come fanno invece i cattolici con la sua adorazione. Inoltre riconoscono il sacerdozio e la celebrazione della messa. Riguardo ai sacramenti, oltre alla confessione che è un atto a sé stante, affermano il battesimo e l’eucaristia stessa.
La Chiesa Anglicana che ha origine nel XVI secolo (1534) e riguarda l’Inghilterra, fa riferimento alla Regina che ne è il capo assoluto. Riguardo alla fede, le Chiese protestanti hanno mantenuto come fondamento solo la Scrittura e scartato la tradizione a cui la Chiesa Cattolica dà ampio risalto. Nella Chiesa Anglicana esiste un sacerdozio esteso anche alle donne così come l’episcopato. Gli anglicani, come i Luterani, celebrano la messa e amministrano i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia.
Nel tempo, poi, si sono formate altre confessioni legate alla dottrina Protestante, ossia la Chiesa Valdese, Battista, Avventista, Episcopale, Presbiteriana, Evangelica, Pentecostale ed altre professioni di fede che hanno una propria identità, distaccata pure dalla Chiesa originaria, per cui è difficile dare, di queste piccole comunità di credenti, una connotazione ben specifica delle loro convinzioni. Per grandi linee i Battisti pongono l’accento sul Battesimo degli adulti che scelgono spontaneamente di appartenere alla comunità cristiana, gli Avventisti aspettano il ritorno di Gesù, gli Episcopali promuovono il Vangelo sociale, fra i Presbiteriani non ci sono vescovi ma una organizzazione degli anziani, gli Evangelici animano la predicazione evangelica esclusivamente laica e i Pentecostali pongono l’accento sulla diffusione dello Spirito Santo che anima la comunità cristiana. La cosa che più risalta in tutte queste religioni è la mancanza di un sacerdote e l’esaltazione della laicità per cui tutti possono predicare il Vangelo.
La più importante di queste Chiese, venuta fuori dalla Riforma Protestante, è quella Valdese che ha una sua struttura di fede che si richiama alla Scrittura, non riconosce i sacramenti né una morale da rispettare ma lascia liberi i suoi fedeli di autodeterminare la propria vita secondo coscienza. Non esistono sacerdoti di culto ma solo Pastori predicatori. La sua teologia è molto all’avanguardia rispetto al cattolicesimo e anche rispetto alle altre confessioni protestanti. Ritengo sia la Chiesa che, più di altre, è vicina al messaggio evangelico di Gesù, in quanto esalta la laicità dell’uomo e delle istituzioni.
In questo lungo percorso, costellato di guerre, occupazione di territori, violenza intervenne pure l’Inquisizione, istituzione ecclesiastica fondata dalla Chiesa cattolica per indagare e punire, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica (eresie). Nella sola Spagna ed in Portogallo (e relative colonie), dal XVI secolo tale collegio giudicante fu sotto il controllo del re, quindi univa al contrasto dell’eresia o della stregoneria anche la persecuzione degli avversari politici. Il resto è storia recente.
Da tutto quanto precede, che ho cercato di riassumere ad uso e consumo mio ma pure degli indifferenti, pigri, menefreghisti nella speranza di stimolarli alla conoscenza, ultima speranza, a mio modo di vedere, per cercare di cambiare il modo di intendere la vita in società, credo di percepire cosa abbia fatto muovere il mondo e in che modo e quanto tuttora questo coacervo di differenze, incomprensioni, sottigliezze, mancanza di volontà a superarle e strumentalizzazione, ad uso e consumo dell’ignoranza del popolo, condizioni la nostra esistenza. Ecco il punto: l’inettitudine delle masse e la fatica a pensare. Quindi mi congedo lasciando la parola a un grande filosofo che in poche righe ha fatto un estratto della storia:
«Ed ecco una controversia incomprensibile, che ha tenuto in esercizio per più di sedici secoli la curiosità, la sottigliezza dialettica, lo spirito di intrigo, la bramosia di potere, il furore di persecuzione, il fanatismo cieco e sanguinario, la credulità barbarica, e che ha provocato sulla terra più orrori che non l’ambizione dei principi, la quale ne ha pur provocati moltissimi: Gesù è egli Verbo? E se egli è Verbo, è emanato da Dio nei tempi o prima dei tempi? E se è emanato da Dio, è coetaneo e consustanziale con lui o è invece di una sostanza simile? È distinto da lui o no? È creato o generato? E può generare a sua volta? Ha la paternità, o la virtù produttiva senza la paternità? E lo Spirito Santo è creato o generato, prodotto o procedente dal Padre, o procedente dal Figlio, o procedente da tutti e due? E può generare, o può produrre? E la sua ipostasi è consustanziale con l’ipostasi del Padre e del Figlio? E in quale modo, avendo essa precisamente la stessa natura, la medesima essenza del Padre e del Figlio, non può fare le stesse cose di quelle due persone, che sono lui stesso? Io non ci ho capito niente. Nessuno ci ha mai capito niente. E per questo ci si è scannati a volontà». [Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet, (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778)]

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

L’articolo “ALLA FIN FINE.. PERCHÉ?” è stato pubblicato il 12 ottobre 2015 sul sito www.memoriacondivisa.it

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