HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Monica Vendrame, Fiore Sansalone, Eugenio Maria Gallo In merito alla lirica “Spaventapasseri”, 1 dicembre 2016, 1a Rassegna Nazionale “Apri il cuore alla poesia”

«Un canto filosofico, si direbbe un canto di ricerca teso a rispondere al bisogno di conoscere il senso dell’oltre e, in primis, di cogliere e capire anche il senso dell’esserci, dell’essere. È con questa ansia di sapere che il poeta si rivolge alla “donna amata” quasi a volerle carpire il senso dell’abitare dell’uomo nell’universo o, meglio, tra “le grandi masse celesti” e “le particelle elementari”, cioè al centro del “Tutto”. E mentre si tende alla ricerca del “varco” per l’eterno trova pace alla propria ansia nella natura e nella serenità che proviene dal contemplarla».
Monica Vendrame, Fiore Sansalone, Eugenio Maria Gallo

Spaventapasseri

Non saranno certo coloro che hanno fede,
essi dicono, a farmi desistere dal cercare
la risposta, individuare la meta stabilita
dalla notte dei tempi. Pure dal mio osare
voler intendere il presupposto d’esser qui,
tra la prescelta folla dei contendenti.
Gli indagatori dell’ulteriore vengono
definiti sciocchi e superbi dai drogati
di antiche e incongrue narrazioni,
nel convincimento di essere stati eletti
alla conoscenza, chissà da chi e perché,
a tal punto da imbalsamare loro la mente, il cuore,
l’anima, lo spirito. Congelati nell’inerzia.

Dunque a te, donna amata, venerata
desiderata, dico solo, non lasciarti sedurre
da ingannevoli, primitivi miraggi, impedisci
che la notte ci avvolga, avvinghiamoci nella
nostra illuminata singolarità, tu sei me.
La disattesa promessa di aver separato la luce
dal buio è illusoria, da sempre il grande
splendore è compagno di ciò che fatalmente
ci lasciamo alle spalle e tenendoci per mano
rischiara il percorso imboccato,
non smorziamolo, impediamo alla vita
di ottenebrare il tempo che ci appartiene,
scambiamoci baci, abbracci, carezze, i corpi.

Impossibile sfidare l’enigma in solitudine.
Già te lo dissi amore, siamo misura
di riferimento dell’Universo?
Se le grandi masse celesti interagiscono
obbedendo a regole certe e le particelle elementari
non soggiacciono ai medesimi principi
abitiamo noi fra queste due grandezze?
Saremmo quindi al centro del Tutto?
E procedendo nell’infinitesimale o nell’immenso
arriveremo a scoprire altre entità di mezzo?
La somma degli interi positivi fino all’incomputabile
genera un numero più piccolo di ciascuno di essi,
per di più negativo. Ciò potrebbe indicare stravolgimento
di ogni precetto? Un domani senza confini?
Voglio condurti nell’inesauribile, donarci eternità.

Immerso in questo pensare eccomi giunto nell’ospitale spiazzo
dove avverto gli aromi del nostro primo, sregolato prenderci.
Ora finissimi steli d’erba formano un morbido tappeto,
gli umori che un giorno remoto abbiamo disperso
in questo terreno gli hanno dato nutrimento.
Ruoto su me stesso e siedo sfinito ai piedi della quercia,
sguardo fisso verso l’attraente, soleggiata radura,
gambe raccolte, avambracci sulle ginocchia,
mani abbandonate. Indicibile tristezza non veder più
lo spaventapasseri, nessun sfarfallio piumoso di corvi
che gracchiando si alzano in volo, la natura è ferma.
Nell’accendermi una sigaretta, smanioso di assurda
malinconia, gli occhi vanno oltre,
al distante pendio che chiude il cerchio,
indugio a lungo nel contemplare i ruderi
di quella discosta abbazia.

© 2016 Mauro Giovanelli – “Tracce nel deserto – Poesie e varie riflessioni”

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Pamela Michelis, dicembre 2020, prefazione a “PULSIONALE POESIA III MILLENNIO” 2a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma – VEDERE “PULSIONALE POESIA III MILLENNIO 3A EDIZIONE PUBBLICAZIONI “ILLEGGìo A NOVE POSIZIONI”-

È sempre incantevole ritrovare un’opera di Mauro Giovanelli, leggerlo è come riscoprire il viaggio creativo sedimentato nella nostra mente, nel modo di un apparente letargo che aspetta solo d’esser sollecitato – o solleticato – per riprendere vita, inebriarsi di nuovi approdi e scoprire inedite possibilità espressive. I suoi componimenti sono caleidoscopiche opportunità per essere rapiti da un vortice poliedrico che non segue mai un’unica intuizione, si fa piuttosto guidare da una voce lontana – Musa ante-litteram – capace di emergere, di volta in volta, da angoli diversi, attimi di luce sorgente quasi fossero comete.

[…]
Alzo lo sguardo al Cielo,
m’interrogo,
definisco l’orizzonte,
il canto della risacca
scompiglia ogni certezza,
abbasso gli occhi,
l’ombra di un gabbiano
dà percezione di tremolio dei sassi
e svanisce nel vento.
Invano l’ho seguita
per guadagnare tempo. […]
(Sum)

Ci troviamo di fronte a un’avventura dei sensi e per i sensi, tenuti desti dallo scorrere di pagine che non ne prediligono mai uno solo, scegliendo di mescolarli fra loro, inebriando il lettore di un appassionante discorso, un harem elegiaco di godimento intellettuale ed estatico. Ogni brano è come il gioiello forgiato dalla passione creativa del poeta, che non si limita a trasmettere alla materia (in questo caso le parole) un significato, ma lo compenetra, plasmandolo a un’esigenza di possessione letteraria per fondersi in un vero e proprio godimento creativo, intensa voluttà espressiva.

[…]
Verso sera…
si comincia a vivere o morire,
fare l’amore
o la notte accanto al congiunto in coma,
in attesa dell’alba
che vedrà esecuzioni di sorelle e fratelli.
Verso sera
sai che il tuo pensare
ti aspetta più agguerrito che mai,
potresti trascinarlo fino al sorgere del sole,
annuncio che hai superato l’ostacolo
e il fardello comincia a pesare
sull’altra parte di mondo. […]
(Verso sera…)
E se il vigore delle immagini descritte colpisce quanto la tela più raffinata, il sotto-testo della creazione e l’elegante contestualizzazione letteraria trascinano il lettore nel vortice della percezione coinvolgendolo in un vero e proprio sabba dell’inventiva da cui è avvolto nell’accezione più compiuta, profonda, quella che lega indissolubilmente l’arte alla vita in uno scambio emozionale continuo, e negli attimi in cui siamo chiamati alla più intima riflessione si nutre anche di eccessi e raccoglimento.
È bene notare che nella silloge non troviamo riverberi di una sola vita, ma più esistenze che s’incrociano: da una parte quelle vissute dallo stesso autore, dall’altra ogni germoglio generato dall’attenta osservazione del reale, raccolti nello spettro di un immaginario senza fine, sussurri, sguardi, letture, percezioni, un incontro, il bacio che ci ha tolto il respiro per un attimo, per sempre; segnali indelebili che hanno influenzato l’animo e la genialità dell’artefice.

[…]
Attenta alle mie parole
hanno perso sostanza
potrebbero affascinarti
come sempre
ma sono menzognere
non per volontà loro
del mio pensare
ha preso il sopravvento
va per conto suo
non ne ho controllo
valgono solo il momento
in cui le pronuncio
e subito dopo
pur nel rimpianto
mi accorgo che già
hanno cambiato gioco. […]
(Rinuncia)

Caro lettore, immergiti in questa raccolta, immagina d’essere su un picco a strapiombo nel mare dell’intelletto e tuffati fra le pagine in burrasca, ti accoglieranno – stanne certo – in un abbraccio fecondo, per condurti sulle più belle spiagge dell’ingegno umano.

Pamela Michelis

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Pamela Michelis, agosto 2020, prefazione a “LE TESSERE DEL PÀMPANO” 1a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma – ORA IN COMMERCIO LA 2A EDIZIONE pubblicazioni “ILLEGGìOANOVEPOSIZIONI”

Questa nuova silloge di Mauro Giovanelli ancora una volta sorprende per la sua modernità, per la capacità di sapersi adattare ed esprimere, attraverso le parole, il profondo disagio che nasce da uno sconvolgimento emotivo improvviso e del tutto improbabile. Ciascuno di noi è cosciente di quanto questi primi mesi del 2020 abbiano avuto un impatto devastante sul nostro essere persone. Senza entrare nello specifico di tante, tantissime situazioni drammatiche che hanno coinvolto ogni aspetto della vita, quello che probabilmente accomuna tutti è il profondo senso di smarrimento, uno sconquasso che affonda le radici nelle paure più sedimentate del nostro animo, che hanno trovato la via per l’esterno, smosse dal terremoto degli eventi attuali.
Se le precedenti opere di Mauro Giovanelli ci avevano portato in una creatività poetica multiforme e liricamente sofisticata, ora ci troviamo di fronte a un nuovo modo di fare poesia, urgenza comunicativa che scardina gli stilemi autoriali e sembra anticipare un’ulteriore, feconda
evoluzione che darà altri frutti solo quando tutto ciò sarà completamente assorbito e rielaborato, sebbene già ora ci lasci senza parole:

[…]
Ciò che accompagna alla fine non è tanto la vecchiezza
quanto una sorta di crisi di rigetto, sociale ancor prima
che naturale, spirituale piuttosto che materiale, che
produce senso di esclusione dalla vita perciò causa
dell’inaridimento dei tessuti, originato più dalla crescente
percezione di eccezionalità ad essere partecipi di questo
mondo che dal fisiologico deperimento. […]
(Crisi di rigetto)

… dall’altra percepiamo la scomparsa totale di una patina temporale che affondava le radici in un tempo passato, necessario in quel frangente poetico, ma ora superato da una immediatezza potremo dire post-moderna:

[…]
Ed è stata un’altra stagione,
ancora,
ed è come non l’avessi vissuta,
la transitorietà…
aggrinfiato a suoni dissonanti,
poi un canto,
fugace,
delizioso,
e via,
di seguito,
più intenso,
forse,
andare avanti per non morire […]
(Piano Forte)

A farla da padrone in questa raccolta è una sorta di poesia-verità, versi a metà strada tra un intento aneddotico e uno drammatico, che vuole essere più immediata senza abbandonare l’avvincente armonia della parola scelta in funzione della più complessa e articolata espressività. Se una sorta di stato di crisi ha messo in discussione la nostra identità, solo combattendola – destrutturandola – la si potrà vincere, preferendo appunto una “discordante armonia” di struggente bellezza ad una certezza più classicheggiante:

[…]
Se Gerusalemme fosse inizio e fine del Mondo mi domando
dove dirigerci, quale parte dell’universo esplorare per
giungere nella città in cui le cose abbiano un senso,
dimora della verità, così da incontrarla alle fermate della
rettitudine, parlare con lei d’innumerevoli soli che sorgono
e muoiono, ricordare insieme le battaglie, quando lunghe
carovane di certezze s’incrociavano, superare passato
presente e futuro di ogni estensione dell’abisso, divenire
creature senza tempo. […]
(Gerusalemme)

Non siamo più solo di fronte alla poesia come finalità creatrice e forma letteraria, ma anche nella veste di “dispensatrice di senso” quando sembra non essercene più possibilità; le pagine che si susseguono, dove ai versi si affiancano testi in apparente prosa, sono l’evoluzione della letterarietà che s’inoltra in un futuro sempre più in grado di mescolare le suggestioni, dando vita a una nuova forma d’arte, a conferma che ogni crisi è opportunità di rinascere in una dimensione ancora più pura.
Pamela Michelis

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Alessandro Arvigo (Alex), Palermo (Italia), prefazione a “IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI” 1a Edizione – giugno 2019 – Vertigo Edizioni srl – Roma – ORA IN COMMERCIO EDIZIONE 8 PUBBLICAZIONI “ILLEGGìOANOVEPOSIZIONI” SU ILMIOLIBRO.IT

Yuzaf non è asceso al cielo come c’è raccontato. In cerca di una risposta impossibile, almeno quanto lo sarebbe stato il dubbio che lo avrebbe colto durante il supplizio, lamentando l’abbandono del Padre, ha invece continuato a vagare tra le dimensioni del reale e del fantastico. Questa la sua missione, la croce alla quale sembra condannato dalla stessa natura di cui è composto, che gli fa incontrare altri “inverosimili” come lui: Corto, Srinivasa, Ramòn, Judex, dando vita a una ratatouille filosofica in salsa spirituale, insaporita con un melting pot delle migliori spezie antropologiche, raccolte dall’Autore ai crocevia della vicenda umana, nella sua mente, lungo le sconfinate praterie dell’investigazione fantastica.
Bene e Male, Divino e Umano, sono le invisibili sbarre della gabbia di Mānī che imprigionano il pensiero di Yuzaf nella speculazione dell’Oltre, lo costringono a surreali dialoghi con personaggi della storia e della fantasia che cucineranno a fuoco lento le convinzioni del lettore fino a dissolverle con la sola spiegazione alla nostra portata.
Le molecole letterarie dell’opera sembrano formate da atomi privi di legami, gli elettroni saltano dall’orbita di un nucleo all’altro, collidono, rilasciano quanti di energia che riempiono di tracce luminose l’etere della narrazione: preziose indicazioni che, per il lettore attento e motivato dalla ricerca terrena e spirituale, rappresentano la segnaletica del sentiero che conduce a concepire l’inspiegabile.
La ricostruzione storica e filosofica della religione sotto l’aspetto di “urgenza esistenziale” è accurata, onesta, priva d’intenzionalità alcuna di negare o affermarne l’esattezza, lasciandoci liberi di manovrare il leggìo a nostro piacimento per interpretare i manoscritti che su esso si alternano e incrociare lo sguardo del topo al fine di rispondere come possiamo a una domanda priva di senso: “Qual è la verità?”.
Alessandro Arvigo (Alex)

Premessa dell’Autore:

Questo racconto è la naturale prosecuzione di “Ecco perché Juanita”, antologia elaborata nel 2012, certamente originale nella composizione al punto che non trovavo termini adatti a definirla. Per descriverne la “costruzione” decisi di utilizzare il verbo “comporre” vale a dire “mettere insieme varie parti allo scopo di costituire un tutto organico” ovvero “produrre, realizzare un’opera di carattere letterario o artistico in generale”. Conclusi che il termine più adeguato a designarla fosse proprio “libro” intendendosi con tale parola “volume di fogli cuciti tra loro, scritti, stampati o bianchi”. Desidero ricordare che la parola “bibbia” significa insieme di generi letterari diversi. Non è casuale che “biblia”, dal greco “biblos” (corteccia interna del papiro che cresce sul delta del Nilo utilizzata per produrre materiale scrittoio) sia un plurale che indica l’insieme di opere scritte e narrate (nella Chiesa greca dell’epoca di Giovanni Crisostomo si cominciò a usare l’espressione “Ta Biblìa”, che significa “I libri”). Infatti, il Vecchio e Nuovo Testamento sono compendi di elaborati vari per origine, genere, compilazione, lingua e datazione, prodotti in un periodo abbastanza ampio, preceduti da tradizione orale difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito dagli inizi della nostra era. In parole povere la prima grande raccolta, copiatura e forse pure sofisticazione della storia.
Tornando a “Juanita” dico che l’idea della sua realizzazione s’insinuò nella mia mente quando decisi di riunire diversi e preziosi frammenti della letteratura (sottotitolo “arabesco letterario”) di circa cinquanta autori e un centinaio di brani e citazioni disponendoli all’interno di una narrazione secondo il mio gusto. Occorreva solo la base di appoggio. Quale migliore “cronologia” potrebbero regalarci altri capolavori che non siano “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” del grande Saramago, seguito da “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov per agganciarlo a “Il Procuratore della Giudea” di France e concludere con “Il Grande Inquisitore” di Dostoevskij? Nessuna, un’avventura lunga 1700 anni.
Saramago descrive la vita di Gesù con un’autenticità da lasciare senza fiato, ineguagliabili lo stile e la prosa. Nel suo Vangelo neppure è sfiorata la personalità di Ponzio Pilato perché marginale al messaggio che l’autore ci ha compiutamente trasmesso. Per approfondirne la figura siamo quindi costretti a immergerci nelle strabilianti pagine di Bulgakov dove il procuratore della Giudea è assalito dal rimorso per una condanna decretata suo malgrado; la collera verso se stesso lo dilania, realizza di essere entrato nel mito dalla porta sbagliata e la sua ignavia (qui ci sarebbe da discutere) lo inchioderà per sempre nella penombra del porticato, dietro la brocca del servitore che versa l’acqua sulle sue mani sudate. Che ne sarà di lui? Allora lo seguiamo nell’epico “Il procuratore della Giudea” di Anatole France dove, vecchio e dolorante, si reca ai Campi Flegrei per curarsi la gotta che lo tormenta. I tempi del fasto e del potere li ricorda con il fedele e ritrovato Lamia che, riferendosi al Cristo, gli chiede: “Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?” ed egli “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non ricordo”. Non ricordo… Perché? Amnesia senile? Inconscia rimozione di una rievocazione ostica? Menzogna? Indulgenza divina? Non lo sapremo e il Gesù de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskji, che chiude il mio saggio, non dice alcunché in proposito. Essendo stato vano il sacrificio estremo, Egli torna in questo mondo per riparare l’errore sennonché, riconosciuto e incarcerato dal Grande Inquisitore, non pronuncia una sillaba durante l’eccitazione verbale dell’aguzzino che a sera si reca nella cella per comunicargli la condanna al rogo. Il confronto tra i due si trasforma in un delirante monologo del prelato.
Che cosa rappresenta l’unica risposta del Nazareno, il bacio sulle labbra del suo persecutore con cui suggella il loro incontro? Quali potrebbero essere stati i pensieri di Yuzaf nel momento in cui, graziato per tale gesto, si diresse verso nuovi orizzonti? Dove sarà andato? Che panorami gli si apriranno? Come esplorerà l’intrico che custodisce l’oggetto della sua ricerca? La reinterpretazione delle Scritture? Il leggìo a nove posizioni?
Mauro Giovanelli – Genova

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Me medesimo, prefazione a “ECCO PERCHÉ JUANITA” Arequipa, Perù, 28 ottobre 2011 – Genova, 27 gennaio 2012 1a Edizione Illeggìoanoveposizioni, 27 gennaio 2012 Volume non in vetrina

Alcune considerazioni su questo lavoro. Due righe su di me.

Potrebbe essere una buona antologia. Oppure una cosa insensata. O una tesi, un componimento, anche una favola. Comunque credo sia una discreta idea. Specialmente quando nasce da un’esigenza che è difficile spiegare. Credo, però, di conoscerne la causa: una memoria eccellente (solo per ciò che trovo interessante) che mi accompagna ovunque. Lo strumento invece sono le buone letture, mie fedeli amiche fin dall’infanzia merito l’educazione ricevuta da mamma, papà e la sorella maggiore. Quindi da “Pinocchio”, “Il capitano di quindici anni” o “Il corsaro nero” piuttosto che “Il barone di Munchausen” e “Il tesoro della Sierra Madre” sono precocemente saltato, usando i punti di appoggio dei Cronin, Vicki Baum e l’indimenticabile “Il villaggio sepolto nell’oblio” di Theodor Kròger, ai Melville, Cervantes, “La saga dei Forsyte” poi ancora “L’amante di lady Chatterley” e tanti altri della famosa superba collana Omnibus Mondadori. Ricordo benissimo quanto ero attratto dalle illustrazioni delle copertine. Approdare poi, in breve tempo, ai Calvino, Cassola, Moravia, Pratolini, Fenoglio, Pavese, seguire le tracce di Hemingway e Caldwell per passare ai “maledetti americani” del calibro dei Ginsberg, Burroughs e Kerouac è stato facile perché inevitabile. I dissociati da questi ultimi, o “seconda generazione”, quelli del tipo Bukovski, Henry Miller, Fante tanto per intenderci, hanno avuto un particolare irresistibile fascino, la mia personalità ne è stata influenzata non poco. Sbarcare sui classici russi, i francesi Camus, Mauriac e Sartre, i tedeschi tipo Gunter Grass, il portoghese Fernando Pessoa, i latino-americani della statura di Márquez, gli ebrei americani alla Philip Roth, i Cormac McCarthy… è stato utile per sfociare infine nella filosofia alla ricerca di risposte impossibili. Per quelli della mia generazione Marcuse è stata una tappa obbligata. Se aggiungo che il 27 febbraio 1945 sono nato a Genova dove risiedo, sono sposato, ho due figlie, due splendide nipotine, Lucrezia e Angelica, ho fatto diversi lavori che in fondo non mi piaceva fare e ho avuto incarichi e mansioni di responsabilità che non avrei voluto avere, ecco che ho anche completato la mia biografia.
Questo non è un libro nel senso stretto del termine, cioè, tanto per restare in tema, una “creazione” nata dall’idea buttata giù dall’estro di una persona che vuole raccontare una storia. Neppure lo classificherei un saggio, anche se gli somiglia. Lo definirei, come dice il sottotitolo, un “arabesco”, un “ordito”, una “mescolanza” dei pensieri di diversi autori che, a mio avviso, hanno affrontato l’unico vero tema sensibile dell’umanità le cui ramificazioni s’intrecciano con la lotta tra il Bene e il Male, la ricerca del destino dell’uomo, il significato della sua presenza in questo immenso spazio, l’enigma del fine ultimo, il rapporto con le Chiese e le religioni imperanti. Tutto quanto visto da angolazioni diverse ma sempre convergenti su questi ossessionanti interrogativi.
La sua “costruzione” non è stata semplice per i motivi che spiegherò più avanti. Per gli autori geniali qui citati è sicuramente meno difficoltoso edificare ex novo partendo dalle fondamenta piuttosto che assemblare perfette opere architettoniche come in questo mio modesto lavoro.
C’erano una volta quattro grandissimi scrittori, Saramago, Bulgakov, France e Dostoevskij, che, fra tutte, hanno composto in particolare quattro opere da sembrare fatte apposta per essere messe in fila una dietro l’altra al solo scopo di realizzare una profezia. Ho ritenuto che la loro unione potesse tradursi in un nuovo Vangelo, ovviamente apocrifo, oppure in un romanzo lungo di fantascienza. La cronologia è perfetta. Allora l’impulso è stato irrefrenabile. Mi si era insinuata una spina nella mente e dovevo assolutamente toglierla. Era maturata in me la convinzione che in un modo o nell’altro gli Autori avessero un comune denominatore che è poi di tutti, compresi quelli che dichiarano di esserne esenti, cioè la ricerca di risposte ai troppi dubbi che la vita impone. Questi quattro scritti, stavo dicendo, sono stati creati apposta per coniugarsi tra loro. Almeno così mi è sembrato. Come se gli ideatori avessero stretto un patto segreto. Congruenti gli accadimenti che vi si narrano, i diversi stili irreprensibili, sublimi, non potevo fare a meno di realizzare l’intreccio. In conclusione: mi erano stati forniti i pezzi per mettere insieme questo gioco d’incastri e ho assolutamente dovuto lavorarci sopra per vedere come sarebbe stata l’opera finita, e poi che occasione unica aver la possibilità di poter mettere in bocca a Dio, Satana e Jeshua le risposte alle domande che ci poniamo. Non avevo alternative. Tra l’altro ne intravedevo l’utilità per il potenziale lettore, come se per lui dovessi posizionare uno scivolo per invogliarlo a calarsi nel mondo della letteratura e filosofia con estrema facilità e renderlo partecipe degli stessi quesiti che questi scritti hanno insinuato nella mia mente. A questo scopo, per dirne una, del vangelo di Saramago ho evitato di citare la grandiosa descrizione dell’incisione del Dürer sulla crocifissione, roba da palati finissimi, per affrontare direttamente il “racconto” vero e proprio. Così, senza preamboli, al fine di catturare da subito l’attenzione e la curiosità dell’anonimo e paziente interlocutore. In generale una “storia” suscita maggiore interesse che l’analisi, eccelsa, di un’opera d’arte. E questa è una vera storia, anzi la storia.
In totale gli scrittori, poeti, registi, filosofi riportati, sono una cinquantina, autentici giganti della cultura mondiale. I quattro che costituiscono la spina dorsale dell’intero percorso già li ho nominati, gli altri, dei quali ho raccolto i riverberi, li incontrerete di volta in volta. Per ciascuno ho riportato i vari riferimenti fin dove la memoria mi ha aiutato. Sto lavorando a questo libro da qualche tempo, adesso che l’ho terminato, mi lascerà un gran vuoto. La “costruzione” ha richiesto diversi aggiustamenti per poter “incastrare” adeguatamente e coerentemente la cronologia e gli avvenimenti narrati nelle opere degli autori che ne costituiscono le fondamenta. Ho dovuto quindi prendermi qualche licenza e tante libertà. In concreto e in ordine sparso:
La conclusione del dialogo tra il cavaliere di ritorno dalle crociate e la morte l’ho adeguata allo spirito di tutta l’impalcatura. Ne “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman, Antonius Bloch incarna il secondo e il terzo dei tre paradigmi di uomo teorizzati dalla filosofia di Kierkegaard: l’etica e la religiosità rappresentati in un solo personaggio, il cavaliere appunto. L’esempio del nobile che ha svolto il proprio dovere andando in guerra (etica) si coniuga con la sua forte tensione di ricerca del divino (religiosità) che lo pervade durante il viaggio di ritorno in patria. Egli ha come unico obiettivo il ricongiungimento con la moglie e sfida a scacchi la Morte per rinviare il momento della sua dipartita. Nel nostro racconto si è omesso che per vincere il confronto, la Morte lo inganna due volte, la prima durante la sua confessione: fingendosi un frate, la Morte ottiene dal cavaliere utili informazioni circa la strategia che intenderà adottare per le prossime mosse sulla scacchiera; la seconda quando, con un movimento del suo ampio e nero mantello, scompiglia i pezzi del gioco per ricomporli a suo favore. Invece nel nostro racconto il dialogo dei due personaggi si concentra esclusivamente ai dubbi e tormenti del cavaliere. Mi pare anzi di ricordare che non si faccia alcun cenno della sfida a scacchi tra i due. A incarnare invece il primo dei tre paradigmi di Kierkegaard, cioè l’estetica è Jons, il fido scudiero di Antonius Bloch. Egli è uomo cinico e pragmatico legato alla soddisfazione terrena e al puro godimento fisico. Vuole ottenere il massimo dei piaceri che la vita può concedergli e il suo essere è riassunto nelle parole che esprimono il suo pensiero: “La miapancetta è tutto il mio mondo, la mia testa è la mia eternità, le mie mani due soli meravigliosi, le mie gambe sono i dannati pendoli del tempo, e i miei
piedi sporchi sono le due splendide basi della mia filosofia. Tutto quanto ha esattamente il valore di un rutto, l’unica differenza è che un rutto dà più soddisfazione”. Anche con questo personaggio mi sono preso qualche libertà.
Nei primi due libri, “Il Vangelo secondo Jeshua Cristo” e “Il Maestro e Margherita”, la morte di Giuda di Kiriat avviene in due diversi modi. Intanto in Saramago Giuda non è un traditore bensì esegue un ordine preciso di Jeshua. È lo strumento necessario al completamento del disegno divino. Non prende denari per la delazione, e subito dopo aver compiuto la sua missione, s’impicca a un albero di fico perché non riesce a sopportare il peso di tale macigno. In Bulgakov invece Giuda si vende per trenta tetradracme per essere poi assassinato e rapinato della borsa con il denaro. Per conciliare questi due aspetti rispettando ciò che gli autori hanno concepito ho dovuto fare ricorso a un artificio. Durante il tragitto di Jeshua verso il patibolo, circondato dalle guardie di Erode che lo scortano, l’uomo trovato impiccato all’albero di fico è somigliante a Giuda di Kiriat al punto che Jeshua s’inchina per osservare attentamente il suo volto deturpato. L’artificio ha dovuto anche conciliare le due personalità di Giuda di Kiriat che in Saramago è un fedele discepolo del Cristo mentre in Bulgakov è un uomo normalissimo con tutte le debolezze che gli competono. Altre sono le differenze che si è reso necessario “incastrare” e “adattare” una con l’altra come nell’interrogatorio di Jeshua da parte di Ponzio Pilato e nel colloquio fra Dio, Satana e Jeshua in barca fra le acque del mare di Galata. Nello specifico:

  • In Saramago Jeshua è affisso alla croce con chiodi che gli perforano i polsi nello spazio fra le due ossa (radio e ulna) al contrario di quanto sovente viene raffigurato nell’iconografia classica che vede il Cristo, crocifisso con chiodi conficcati nelle mani. Cosa quest’ultima impossibile anche “tecnicamente” poiché tale sistema non avrebbe consentito che il corpo del condannato potesse essere sorretto senza provocare la completa lacerazione delle stesse. Un’ipotesi è che ciò fosse una crudeltà ulteriore.
  • Il tragitto fino al Golgota è compiuto a piedi. Il mendicante (Satana) lascia la ciotola ai piedi della croce, dove è raccolto il suo sangue dopo averlo dissetato con una spugna imbevuta di acqua e aceto.
  • Personaggi di contorno sono tutti i discepoli.
  • Uno dei tre pastori (Magi) è il diavolo.
    In Bulgakov:
  • Jeshua è affisso alla croce con corde che gli legano le braccia alla traversa del patibolo.
  • Il tragitto fino al Golgota è compiuto su un carro, insieme ai criminali Disma e Hesta, dove sono deposti anche i pali degli strumenti di tortura.
  • È il boia che disseta Jeshua con la spugna prima di finirlo con la lancia.
  • Solo Giuda Iscariota (di Kiriat) e Levi Matteo sono suoi amici e compagni.
  • Levi Matteo s’impossessa di un coltello per tagliare le corde e liberare il corpo di Jeshua dalla croce. Ho dovuto fargli eseguire la stessa operazione sui chiodi con siffatto strumento, evidentemente improprio a tale scopo. Sommando quindi questa complicazione alla fretta, l’ansia e il dolore intimo dell’apostolo, questi nel manovrare l’attrezzo ferisce anche i palmi delle mani del Cristo provocando profonde lacerazioni. Ecco, tra l’altro, come potrebbe essere spiegata la presenza delle stigmate.
  • Amici fedeli di Ponzio Pilato sono Afranio (capo del servizio segreto) e l’Amazzatopi.
  • Nella parte finale del supplizio Levi Matteo porta via il corpo di Jeshua.
    In Anatole France il solo L. Elio Lamia è prezioso e insostituibile collaboratore di Ponzio Pilato.
    In Dostoevskij:
  • Si è eliminato il dialogo tra i due fratelli Ivan e Alesa quindi è rimasto solo il confronto fra Jeshua e il Grande Inquisitore.
  • Alla frase pronunciata dal Grande Inquisitore “il Grande Spirito ti parlò nel deserto” è stato aggiunto “e in mezzo al lago di Galata” per rendere il tutto congruente con il vangelo di Saramago.
    Nel capitolo che fa da “ponte” tra il finale del vangelo di Saramago e l’inizio del Ponzio Pilato di Bulgakov sono evidenziate in corsivo le parti del primo inserite nell’episodio dell’altro e viceversa.
    Tutte le citazioni sono in corsivo tra virgolette e così i “pezzi” di altri autori inseriti nello sviluppo della narrazione vera e propria. Ho inoltre applicato un diverso carattere grafico “normale” a quanto è stato aggiunto dal sottoscritto per poter “modellare” gli incastri tra un autore e l’altro.
    L’illustrazione di copertina è un’opera dell’amico e artista genovese Enrico Bafico che si attaglia perfettamente all’argomento. Le dotte conversazioni fra noi mi hanno dato lo stimolo per comporre quest’arabesco letterario.
    Mauro Giovanelli – Genova, 27 gennaio 2012

Ecco perché… Juanita (spagnolo: Momia Juanita), è il nome di una bella bambina che tra il 1440 e il 1450 d. C. fu sacrificata dai sacerdoti Inca al Dio Apu Illapu (conosciuto anche come Illapa, Ilyap’a, Katoylla) che era il dispensatore della pioggia e del tuono. Un Dio molto importante e venerato dalla gente, dato che la pioggia era fondamentale per la vita. Gli Inca credevano che Apu Illapu prendesse l’acqua della pioggia dalla Via Lattea e la portasse fino a loro. I templi di Apu Illapu solitamente erano situati in luoghi molto elevati. Quando le persone invocavano la pioggia, si arrampicavano fino al tempio e celebravano un sacrificio. In periodi di grande siccità gli erano offerti sacrifici umani. Si riteneva che Apu Illapu agisse in accordo con Apocatequil, il Dio della luce e dei lampi. Si narrava inoltre che, soprattutto in occasione di tempeste molto violente, i due Dèi lavorassero insieme per placarle. La mummia di questa bambina fu rinvenuta vicino alla vetta del Monte Ampato (parte della cordigliera delle Ande), nel Perù meridionale, nel settembre del 1995, dall’antropologo Johan Reinhard e dal collega peruviano Miguel Zarate. L’Ampato è un vulcano delle Ande. La sua vetta raggiunge i 6.288 metri e fa parte di un gruppo di tre grandi stratovulcani, insieme all’Hualca Hualca, 6.050 metri, e al Sabancaya, 6.040 metri.
Nota anche come Signora di Ampato o Ragazza congelata, la piccola Juanita, al momento della sua morte, aveva l’età di circa 12-14 anni.
Tra i molti cerimoniali che si officiavano per quest’offerta, era previsto che la Bambina fosse portata al luogo del rituale da una corte di persone importantissime della regione, essendo attesa e poi ricevuta dal gran sacerdote Inca il quale le avrebbe trasmesso la divinità. Da quel momento la Bambina assumeva la realtà della sua morte e il contatto con gli dèi della montagna, per cui era pronta per il viaggio senza ritorno verso la sua deità. Ci furono grandi festeggiamenti e liturgie. Prima che un colpo sicuro sull’arco sopracciliare destro le provocasse la morte, la bimba fu addormentata. Fu l’eruzione del vulcano Sabancaya, che favorì il disgelo della vetta del vicino Ampato, la causa prima del ritrovamento della mummia, ritenuto una delle più importanti scoperte recenti. La Bella Bambina del vulcano Ampato è oggi mostrata al mondo affinché la scienza e le cognizioni umane traggano profitto dallo studio dei suoi resti ottimamente conservati. Uno scrigno prezioso d’informazioni per ogni disciplina.
Al Museo Santuarios Andinos di Arequipa, mentre osservavo la mummia della piccola Juanita e ascoltavo la spiegazione asettica che la guida dava del suo dramma, ebbi finalmente l’ispirazione per il titolo da dare a questo mio componimento. Ci stavo lavorando da diverso tempo, volevo raccogliere le prove dell’unico, vero e autentico messaggio che i resti di questa bimba ci trasmettono. Esso è nell’affermazione di uno dei più grandi fisici e filosofi della storia:

“Ci sono due cose infinite: l’Universo e la stupidità umana, ma riguardo all’Universo ho ancora dei dubbi…”. Albert Einstein

Mauro Giovanelli, Arequipa, Perù, 28 ottobre 2011

A proposito della follia umana:

“Sia Clark, che ha guidato la spedizione dell’anno scorso nella zona più remota dell’Etiopia settentrionale, sia Tim D. White dell’Università di Berkeley, hanno anche affermato che un riesame condotto su un cranio umano fossile di trecentomila anni fa trovato in precedenza nella stessa regione ha dimostrato che il proprietario era stato scalpato”.
“The Yuma Daily Sun”, 13 giugno 1982

“L’uomo che crede che i segreti del mondo resteranno nascosti per sempre vive nel mistero e nella paura. La superstizione lo trascinerà in basso. La pioggia eroderà gli atti della sua vita. Ma l’uomo che si assume il compito di individuare nell’arazzo il filo che tutto ordisce, in virtù di questa sola decisione si fa carico del mondo, ed è soltanto facendosene carico che egli può trovare il modo di dettare i termini del proprio destino”. Cormac McCarthy

Mauro Giovanelli – Genova

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Ilaria Orzo “La poesia di Mauro Giovanelli”, note critiche su “LE MUSE” – Bimestrale per il mondo dell’Arte e della Cultura – Anno XVIII – Aprile 2018 – pag. 38

Versi liberi che evocano nostalgia: Questi sono i componimenti di Mauro Giovanelli. Colonna portante delle sue parole, mezzo utilizzato per dar voce ai pensieri, è il suo amore per la letteratura.
Le poesie trattano temi differenti, ma in ciascuna di esse è palpabile lo struggente sentimento nostalgico. Esso viene declinato e sviscerato in tutte le sue forme.
C’è la nostalgia per la patria. Quasi come se l’autore fosse un Leopardi moderno non riesce a staccarsi da ciò che è stato e volge lo sguardo a Recanati, accarezzando le gesta del grande vate, con umiltà e rimostranza.
Nostalgico è anche l’amore perduto. Il poeta si rivolge alla sua Silvia, l’amore andato, la rievoca, le parla, le spiega. C’è anche la malinconia per la cara madre. Con tono pasoliniano, si rivolge a lei, alla donna che gli ha donato la vita e che sempre sarà accanto a lui con grande affetto. Non ha dimenticato alcunché del suo passato. Tutto è perennemente vivido in lui. Ma questo universo non si accompagna solo alla malinconia e alla tristezza: Se inizialmente si lascia andare ai sentimenti di rabbia e delusione, successivamente giungerà alla conclusione che i tempi andati sono per lui dolci ricordi dell’anima e monito per vivere il presente. Il suo passato è il migliore insegnante, ricco di esperienze intense e indimenticabili. Ed è da lì che trae la speranza calmiera, come si evince da alcuni versi estratti dal componimento “Eterna carezza”:
[…] Così attenderò sereno / il giungere del nostro segnale, / vedrei il film che abbiamo vissuto, / mi immergerei negli impulsi / generati dai nostri corpi / palpito dopo palpito. / Con pazienza, senza fretta, /aspetterò la fine / /[…]
Pochi virtuosismi, solo tante importanti parole pregne di significato che sottolineano il suo attaccamento al sapere e la sua attenzione nei confronti del bello e dell’assoluto necessario: Figura femminile vissuta con trasporto e instancabile passione.
È difficile rimanere impassibili all’intensità dei suoi sentimenti, descritti e raccontati senza filtri mediante versi intrisi di pathos che si animano.
Notevole risulta la capacità comunicativa dell’autore in grado di creare nel lettore quella preziosa relazione empatica, abilità dei grandi poeti. I versi del Giovanelli sono racconti, schegge autentiche che disegnano l’animo dell’artista. Le sue parole sono pennellate, sfumature emotive, giochi cromatici del cuore che raccontano la sua sentimentale fragilità, in un intreccio di vibranti sensazioni.
Ilaria Orzo – Note critiche – “LE MUSE” Bimestrale per il mondo dell’Arte e della Cultura – Anno XVIII – Aprile 2018 – pag. 38

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Dario Rossi Speranza, 16 luglio 2018, elogio inserito quale presentazione a “PULSIONALE POESIA III MILLENNIO” “2a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma

Mauro, sei proprio una cara persona, ricca di risorse e sorprese, come non volerti bene, il tuo magma intellettuale si auto produce senza pause in gran profusione e così accade che la tua copiosa messe venga giù come un fiume carsico che filtra in ogni dove e non conosce ostacoli. In questo tuo precipuo tratto ti vedo, se me lo concedi, molto somigliante nell’impeto, nel volume, nel massivo impatto e nella “follia” al geniale padre di Zarathustra, novello Nietzsche postmoderno, anche alquanto nichilista ed esistenziale, con il quale condividi la gran Virtù di scrivere argomentare e produrre Senso anche “senza pensare” come confessava alla sua rigorosa Coscienza il gran pensatore di Röcken. Ma non sarò certo io a censurarti nella tua iperattività caro amico mio, perché noi siamo involontari complici nell’aggressione totale ai Saperi ed alla Conoscenza. Siamo troppo simili per non sostenerci a vicenda sino all’ultima strenua parola immagine o pensiero! Anche se il Filosofo asseriva che “nessuno è perfezione”, noi tendiamo sovente a quella, la lambiamo pericolosamente e siamo costantemente molestati dal suo pensiero. Ma non per nutrire scioccamente i nostri rispettivi Ego, giammai potremmo essere vanagloriosi o peggio narcisi, ma solo per rendere più fruibile ed allettante la nostra produzione e per sopravvivere a noi stessi provando a vincere la Caducità dell’Essere, dell’Esistere e delle Cose tutte attraverso la Ricerca senza tregua nella Bellezza, Verità e Conoscenza Universale, che da Forma incolore senza consistenza quale oggi noi siamo si traduca in Essenza primigenia di ogni inizio, a dispetto di quel Dio troppo assente nella drammatica Vicenda Umana…

Dario Rossi Speranza, New York/Milano for Mauro Giovanelli.

HANNO SCRITTO PER MAURO GIOVANELLI: Luana Bottacin, 16 luglio 2018, per “PULSIONALE POESIA III MILLENNIO” 1a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma

Racchiudere in pochi paragrafi un’opera di più di trecento pagine non è semplice, tanto più se, man mano che si procede nella lettura, si riporta alla luce un insieme che non è fatto soltanto di versi poetici. Mauro rivela senz’altro, oltre al possedere doti eccelse di scrittura, un bagaglio culturale che abbraccia le arti e le scienze più disparate: e coloro che l’hanno aiutato nella stesura e nella composizione del libro lo testimoniano, attraverso le fotografie, le riproduzioni di quadri, i disegni, i commenti in calce alla poesia…l’autore è senza dubbio una personalità che non lascia niente al caso, quanto alle sue idee sul mondo e sulla società.

Uno degli elementi più significativi dell’opera è l’amore, che assume via via una componente sensuale, visivamente e stilisticamente propria dell’Eros decantato da Nietzsche e dai suoi discepoli; parole e immagini si ricalcano sulla carta in una forma che ai più può apparire morbosamente intrigante, perfino la scelta lessicale si aggrappa su una parete tendenziosamente lussuriosa, velatamente erotica, in un susseguirsi di situazioni che rischierebbero di essere imbarazzanti. Dal mio punto di vista, però, Mauro non si spinge a questo: perché nella sua poesia c’è ben di più di un carosello di foto “oscene”, di termini che stridono con la morale, di considerazioni puramente soggettive sulla società e sull’umanità in movimento.

L’amore per la donna si mescola a quello più universalmente vicino per gli uomini retti, deboli, che non cadono schiavi delle trappole del progresso…la visione del mondo è spesso affiancata alle equazioni matematiche, ma non in un sistema che voglia ridurre del suo significato il sentimento e l’anima. Mauro si annida nei meandri del Cosmo senza perdere il filo che gli consenta di tornare con i piedi sulla Terra, è una figura ricca di complessità ma sicuramente un uomo coerente nel suo pensiero, la cui prosa ridondante (non lo si prenda come un difetto) si getta e si riversa sui fogli come un fiume. Il libro è una summa di molteplici elementi, che richiedono pause di riflessione; e nel suo insieme, un quadro articolato nel quale i temi universali di amore, morte, guerra, convivenza, si muovono in binari talvolta distinti, talvolta amalgamati con sapiente tecnica e padronanza di stile.
Luana Bottacin

“Settantanove scritti o giù di lì” – Vita, amore, morte, i soliti discorsi… / “Seventy-nine writings or thereabouts” – Life, love, death and the usual…

Prefazione

Cosa ci spinge a scrivere poesia? Noi crediamo sia la necessità di dare forma spirituale alla sequenza di parole, restituire al pensiero il candore di una rosa, la morbidezza di un petalo, la soavità del profumo di un giardino in fioritura.
La poesia è, in fondo, un bocciolo dell’anima e, proprio come l’omaggio floreale, sa essere dono inaspettato e forse, proprio per questo, maggiormente gradito. Ogni verso è bellezza unica che arriva al cuore e lì rimane perché eterno, non nell’immobile restare a memoria, ma nel rinnovarsi costante nell’animo del lettore che decide di farlo proprio, di assorbirne la linfa infusa dall’Autore nell’atto della creazione.
La poesia è trionfo ed eredità, è decidere di lasciare la parte più nobile di sé non solo a una discendenza di sangue ma anche a coloro che semplicemente varcheranno le porte di questa vita dopo di noi.
Mauro Giovanelli ama la poesia, la accudisce, la cresce, la vivifica, la immortala, persino la santifica quando decide di farne elemento sacro, non solo da venerare ma da proteggere e amare sopra ogni cosa.
È per questo che nel corso della sua vita, ha dedicato a essa gran parte del suo impegno, anzi, della sua dedizione, e se è stato capace di dare alle stampe diverse raccolte, ora è pronto per un progetto più complesso, più intenso, realizzare appunto un’antologia delle sue opere arricchita da testi esclusivi, ciò che siamo qui oggi a presentarvi insieme a brani in nuova edizione già pubblicati.
“Settantanove scritti e mezzo – Vita, amore, morte, i soliti discorsi…” è il titolo di quest’ambiziosa raccolta, valorizzata dalla traduzione in inglese a fronte, per cui il titolo aggiuntivo “Seventy-nine and a half writings – Life, love, death and the usual…”.
La raccolta contiene testi di “Pulsionale, poesia III Millennio”, 1a e 2a edizione, e “Le tessere del pàmpano”, entrambe Vertigo Edizioni, oltre a recenti produzioni inedite, quali Il cimitero delle api, Pulsione, Ti amo, L’altra faccia di Giacomo Leopardi (Ancóra), Il tuo spessore, Quel che resta, Riproverò, Annichiliti, Tomba bisoma per citarne alcune.
A colpirci, negli scritti precedenti, c’era stata un’innata poliedricità, capace di esprimersi con un verso sorprendente, “attivo”, nel modo di organismo vivente privo dell’intenzione d’adagiarsi semplicemente sulla pagina ma in grado di rifulgere a ogni tocco, sguardo, come se da questi traesse nutrimento e al passaggio del lettore facesse sbocciare un nuovo elemento interpretativo.
In Pulsionale (1a edizione), per esempio, a questo discorso si affiancava anche un elemento artistico aggiuntivo, poiché il testo era stato arricchito da quelle che ci piace definire impressioni d’arte «…riproduzioni inserite dall’Autore di opere presenti nella sua collezione privata, immagini familiari storiche, foto da lui stesso scattate e altre universalmente conosciute per il loro valore artistico…» (dalla Prefazione alla prima edizione). Tale pubblicazione, dunque, è stata un’esperienza pregnante, come se Mauro Giovanelli avesse voluto farci sentire circondati dalla lirica e dall’arte, avvolti dalla bellezza, alla maniera di un abbraccio sensuale e affettuoso allo stesso tempo, un caldo invito a stringerci al riparo delle sensazioni sotto la portentosa protezione della creatività che emoziona, e lasciarsi trasportare in un mondo sconosciuto, accogliente come nessun altro mai.
A traghettarci nei successivi lavori, fino a “Le tessere del pàmpano”, la sottile capacità intellettuale dell’Autore che affonda le sue radici in una conoscenza che non è didascalica ma appassionata, dunque vera e sincera, ricca di stimoli e instancabilmente “vogliosa” di nuove scoperte, inesauribile sete di comprensione.
Proprio quest’atteggiamento è ciò che gli ha permesso di dare voce a un’esigenza nata in concomitanza ai tragici eventi vissuti negli ultimi diciotto mesi, un periodo che sembra drammaticamente lungo per l’impronta lasciata su tutti noi e che ancora oggi non siamo capaci di tarare in base alle nostre esistenze attuali. Ed è con questa silloge che Mauro Giovanelli dimostra non solo capacità adattative da un punto di vista artistico ma anche spiccata propensione di rimanere al passo con i tempi ed esserne innovatore, cercando nella poesia l’esatto spunto per salpare alla ricerca di esperienze incisive frutto di un’urgenza vigorosa che nasce sì dal disagio, ma anche da quell’innata capacità dell’uomo di non fermarsi alle difficoltà e superarle, anche quando sia ancora impossibile comprenderne l’effettiva portata. È, in fondo, quella resilienza che s’invoca in continuazione, ma a pochi è data la capacità di metterla in pratica.
I nuovi componimenti non giungono inattesi – come si può, infatti, arrestare l’onda creatrice? – ma necessariamente accolti, perfino voluti, fiduciosi che pure questa volta l’Autore sarebbe stato capace di offrire un apporto sincero e produttivo al nostro desiderio di ascolto. Infatti, il florilegio interno alla raccolta spazia in un’espressività strutturale varia; alcune, per esempio, molto vicine alla prosa (pensiamo a un testo come “Il tuo spessore”, di cui riportiamo alcuni passaggi) con un verso più lungo, articolato, energico flusso di coscienza che necessita d’infiniti elementi, quasi fossero appigli di senso per una rapidissima scalata alla consapevolezza. Da lettore ci si sente partecipi di un breve monologo fatto nella solitudine della propria anima ma con l’ardente desiderio che sia condiviso con chi sappia realmente ascoltare.

[…]
… sai, alla fine una cosa m’è rimasta impressa, non ci crederesti, anch’io fatico a spiegarmi, neppure saprei in che modo descriverlo, o rispondere al perché mi ricordo quel pomeriggio assolato, cicaleccio lontano, luce fredda e tagliente del giorno, insomma voglio dire, tu stavi seduta su un sasso a margine del sentiero, aria sbarazzina, ginocchia unite, piedi divaricati, calzini bianchi, lo sguardo, ma non è questo, è quando ci coricammo sul prato, io ti venni sopra, mai potrò dimenticare il morbido spessore, sì la consistenza del tuo corpo […]
(Il tuo spessore)

A questi brani si affianca una scelta più contenuta, minimalista, quasi aforistica che intende scandagliare il significato primordiale dell’uomo, come se l’interrogativo sul mistero della vita si fosse fatto impellente e non più procrastinabile. Sentiamo che l’idea stessa dell’essere uomini è stata ribaltata, non semplicemente stravolta, e percepiamo forte questa ricerca del nostro posto nel mondo.

[…]
La domanda non è
“Che cos’è l’universo?”,
la domanda è
“Io ero previsto? E perché?”. […]
(A caso)

Anche:

[…]
È poeta chi scrive sotto dettatura di un alto principio convertendone l’idioma a lingua universale. […]
(È poeta…)

La scelta di una metafora potente come quella dell’ape operaia nel componimento “Il cimitero delle api” è rappresentativa: la forma di vita che più simbolizza l’insetto verso un’agonia lenta che sembrerebbe inarrestabile per mancanza di volontà da parte di chi potrebbe fare qualcosa, rabbia e impotenza che si uniscono in una desolazione che sfiora i lidi stessi di quella umana, e viene da chiedersi se si stia parlando solo delle api e non di ciascuno di noi, in una simbiosi che è fratellanza ancestrale.
Rimane una sensazione struggente e cruda nel lettore ma che non sovrasta la consapevolezza di possedere la chiave per superare tutto questo, è il desiderio di un mondo migliore, è quella stessa poesia cui affidiamo i nostri messaggi e che desideriamo divulgare, come un volo d’api, a portare polline salvifico ovunque, pure nello spazio siderale che l’Autore apre alla vista:

[…]
Nulla so di te, distante la tua luce,
mentre perviene, narra il passato,
ma del tuo fulgore assorbo ogni stilla,
mi disseta e fortifica,
sorgente di vita indica la via
da seguire per annullare spazio fra noi,
così da annichilirci all’infinito
in una sola sostanza ogni volta
più lieve nel liberare energia.
In virtù di un principio ignoto
sei destinata a me,
il resto è vuoto. […]

Non di rado la visione del mondo di Mauro Giovanelli lambisce le equazioni matematiche, le leggi della fisica, ma non in un sistema che intenda ridurre di significato il sentimento e l’anima, al contrario per dargli respiro, esaltarli nel tentativo di possederne la formula. L’Autore si annida nei meandri del Cosmo senza perdere il filo che gli consenta di tornare sulla Terra, è una figura ricca di complessità ma sicuramente uomo coerente nel suo pensiero, la cui prosa si getta e si riversa sui fogli come un fiume. Ogni suo libro è una summa di molteplici elementi che necessita anche di pause di riflessione, rilettura, e il loro insieme vanno a plasmare un quadro articolato dove i temi universali di vita, amore e morte si muovono in binari talvolta distinti, talvolta amalgamati con sapiente tecnica e padronanza di stile.
Buona lettura, e buon viaggio.
The Editors

Preface

What drives us to write poetry? It is our belief that it is the necessity to endow word sequences with spiritual form, to restore to our thought the candour of a rose, the soft touch of a petal, the agreeable scent of a garden in flower.
Essentially, poetry is a bud of the soul and, just like the month of May in full bloom, it knows how to be an unexpected gift and perhaps for this very reason it is more appreciated. Every line of verse is unique beauty which reaches the heart and therein remains because it is eternal, not a motionless sojourn in the memory – on the contrary, in constant renewal in the soul of the reader who decides to make it his own, absorbing the sap infused by the poet at the moment of creation.
Poetry is triumph and heritage, it is a decision to bequeath the most noble part of oneself not only to blood descendants but also to all those who will simply pass through the doors of this life after us.
Mauro Giovanelli loves poerty, he tends to it, he cultivates it, he gives life to it, he immortalizes it, he even sanctifies it when he decides to make it a sacred element, not only to be venerated but also to be protected and loved above all else.
This is why in the course of his life he has endeavoured devotedly, indeed totally committed himself – if he has succeeded in having various collections published, now he is ready for a more complex and intense project. It comes in the form of an anthology of his works, comprising exclusive texts now presented alongside already published pieces, all in a new edition.
“Settantanove scritti e mezzo – Vita, amore, morte, i soliti discorsi…” is the title of this ambitious collection, along with the parallel text presented in English, entitled “Seventy-nine writings or thereabouts” – Life, love, death and the usual…”.
The collection includes texts from “Pulsionale, poesia III Millennio, 1a e 2a edizione” and “Le tessere del pàmpano”, both published by Vertigo Edizioni, as well as recent, first-time productions, such as “The cemetery of the bees”, “Pulsion”, “I love you”, “The other side of Giacomo Leopardi”, “Your thickness”, “What remains”, “I shall try again”, “Annihilated”, “Bisomus tomb” – to mention but a few.
In the previous writings what struck the reader was an innate versatility, capable of expressing itself in lines of verse apt to take by surprise, “active” as a living organism devoid of any plan to simply recline on the page. Giovanelli’s poetry is, indeed, capable of glowing at every touch, glance, as if whence it drew nourishment and, once passed on to the reader, it causes a new element of interpretation to blossom.
In Pulsionale (1a edizione), for example, such a claim is boasted by an adjoining artistic element, since the text had been enriched by what we like to define as art impressions, «…the poet includes reproductions of works belonging to his private collection of historical family pictures, photographs taken by the poet himself and others of universal acclaim because of their artistic merit…» (from Preface to the first edition). Hence, such a publication constituted an experience of some wealth, as if Mauro Giovanelli had wished to let us feel surrounded by lyric poetry and art, wrapped in beauty, in the fashion of an embrace both affectionate and sensual, a warm invitation to cling to each other in the shelter of the sensations under the portentous protection of the creativity which excites and allows itself to be carried to an unknown world – welcoming like no other before.
It is the poet’s subtle intellectual capacity which ferries us across to the ensuing works, up to “Le tessere del pàmpano”; his roots are anchored in a knowledge which is no mere caption but passion, hence true and sincere, rich in stimuli and tirelessly “desirous” for new discoveries, a boundless thirst for understanding.
It is this very attitude which has allowed him to give voice to a demand come to life in conjunction with the tragic events experienced over these past eighteen months – a period which seems dramatically prolonged because of the mark left on all of us and even now we are still unable to gauge re respective present existences. It is with this anthology that Mauro Giovanelli shows his ability to adapt not only from an artistic point of view but also with an unmistakable inclination to keep apace with the times and innovate, seeking in poetry the exact cue so as to set out in search of incisive experiences, the fruit of vigorous urgency which certainly hails from discomfort, but also from that inborn ability of man not to give in when faced with adversity; the choice is to face this latter, even when it remains impossible to grasp the effective full scope. The poet possesses a continually triggered resilience which few are granted the ability to put into practice.
The new components do not arrive unexpectedly – indeed, how can you halt the creative wave? Through necessity they are accepted, even expected, by the reader confident that this time too the poet might be able to offer a sincere and productive contribution to our desire to listen. As a matter of fact, as it appears in the volume, the florilegium covers a range of varied structural expressiveness; for example, some are very close to prose (consider the text “Il tuo spessore”, of which some excerpts are reported) with longer more articulated lines bordering on an energetic stream of consciousness requiring infinite elements – almost as if footholds for lightning ascent to awareness. The reader feels a part of a brief monologue created in the solitude of his own soul but with the ardent desire to have it shared with whoever truly knows how to listen.

[…]
you know, in the end one thing remained impressed upon me, you would not believe it, I myself have got difficulty in explaining, and I would not know how to describe it, or to answer why I remember that sunny afternoon, distant babble, cold and cutting light of the day, in a word, I mean, you were sitting to one side on a stone along the path, saucy air about you, knees together, feet outspread, white socks, your look, but this is not the point, it is when we lay down on the grass, I got on top of you, never will I be able to forget the supple volume, yes the substance of your body […]
(Your thickness)

These pieces are accompanied by a more contained, minimalist, almost aphoristic choice which is aimed at sounding the primordial meaning of man, as if the question on the mystery of life had become compelling and no longer deferrable. We sense that the very idea of being humans has been not simply altered but overturned and the search for our place in the world is perceived as enormous.

[…]
The question is not
“what is the universe?”,
the question is
“was I planned? And why?”. […]
(At random)

Also consider:

[…]
A poet is whoever writes,
under dictation,
about a high principle
converting its tongue
to a universal language. […]
(A poet is…)

The choice of a powerful metaphor such as the worker bee in the composition “The cemetery of the bees” is indicative. Witnessed is a form of life most akin to the insect’s in a slow agony, which might seem ceaseless for lack of will on the part of whoever could do something, anger and impotence which unite in a desolation which impinges upon the very shores of man’s existence, and the question is begged as to whether we are talking merely of bees or of each one of us, in a symbiosis which is ancestral brotherhood.
A heart-rending and raw sensation remains in the reader but it does not tower above the awareness of possessing the key to overcome all this, it is the desire for a better world, it is that same poem we entrust our messages to and which we wish to divulge, like the flight of the bee as he carries redeeming pollen, even in the sidereal space which the poet opens to our vision:

[…]
I know nothing about you, distant is your light,
as it arrives, narrates the past,
but of your radiance I absorb every drop,
it quenches my thirst and strengthens me,
life’s source show me which turning
to take in order to nullify space between us,
so as to annihilate us towards infinity
making us one sole substance
each time lighter in releasing energy.
Thanks to an unknown principle
you are destined to me,
everything else is emptiness. […]
(Annihilated)

It is not infrequent for the vision of Mauro Giovanelli’s world to approach mathematical equations and the laws of physics, but not in a system designed to reduce the meaning of sentiment and the soul, on the contrary it affords them breath, exalting the same in the attempt to possess the formula. The poet nestles in the meanders of the Cosmos without losing the thread which allows him to return to Earth, he is a figure rich in complexity and most certainly a man consistent in his thought, a man whose prose empties itself, spilling onto paper as would a river. His every book is a sum of multiple elements requiring pauses for reflection, re-reading and their totality go on to mould an articulated picture where the universal themes of life, love and death move along tracks at times separate, at times intersecting – the technique is knowing and the style that of a master.
Enjoy the read and the trip.
The Editors

“Settantanove scritti o giù di lì” – Vita, amore, morte, i soliti discorsi… / “Seventy-nine writings or thereabouts” – Life, love, death and the usual…

Prefazione

Cosa ci spinge a scrivere poesia? Noi crediamo sia la necessità di dare forma spirituale alla sequenza di parole, restituire al pensiero il candore di una rosa, la morbidezza di un petalo, la soavità del profumo di un giardino in fioritura.
La poesia è, in fondo, un bocciolo dell’anima e, proprio come l’omaggio floreale, sa essere dono inaspettato e forse, proprio per questo, maggiormente gradito. Ogni verso è bellezza unica che arriva al cuore e lì rimane perché eterno, non nell’immobile restare a memoria, ma nel rinnovarsi costante nell’animo del lettore che decide di farlo proprio, di assorbirne la linfa infusa dall’Autore nell’atto della creazione.
La poesia è trionfo ed eredità, è decidere di lasciare la parte più nobile di sé non solo a una discendenza di sangue ma anche a coloro che semplicemente varcheranno le porte di questa vita dopo di noi.
Mauro Giovanelli ama la poesia, la accudisce, la cresce, la vivifica, la immortala, persino la santifica quando decide di farne elemento sacro, non solo da venerare ma da proteggere e amare sopra ogni cosa.
È per questo che nel corso della sua vita, ha dedicato a essa gran parte del suo impegno, anzi, della sua dedizione, e se è stato capace di dare alle stampe diverse raccolte, ora è pronto per un progetto più complesso, più intenso, realizzare appunto un’antologia delle sue opere arricchita da testi esclusivi, ciò che siamo qui oggi a presentarvi insieme a brani in nuova edizione già pubblicati.
“Settantanove scritti e mezzo – Vita, amore, morte, i soliti discorsi…” è il titolo di quest’ambiziosa raccolta, valorizzata dalla traduzione in inglese a fronte, per cui il titolo aggiuntivo “Seventy-nine and a half writings – Life, love, death and the usual…”.
La raccolta contiene testi di “Pulsionale, poesia III Millennio”, 1a e 2a edizione, e “Le tessere del pàmpano”, entrambe Vertigo Edizioni, oltre a recenti produzioni inedite, quali Il cimitero delle api, Pulsione, Ti amo, L’altra faccia di Giacomo Leopardi (Ancóra), Il tuo spessore, Quel che resta, Riproverò, Annichiliti, Tomba bisoma per citarne alcune.
A colpirci, negli scritti precedenti, c’era stata un’innata poliedricità, capace di esprimersi con un verso sorprendente, “attivo”, nel modo di organismo vivente privo dell’intenzione d’adagiarsi semplicemente sulla pagina ma in grado di rifulgere a ogni tocco, sguardo, come se da questi traesse nutrimento e al passaggio del lettore facesse sbocciare un nuovo elemento interpretativo.
In Pulsionale (1a edizione), per esempio, a questo discorso si affiancava anche un elemento artistico aggiuntivo, poiché il testo era stato arricchito da quelle che ci piace definire impressioni d’arte «…riproduzioni inserite dall’Autore di opere presenti nella sua collezione privata, immagini familiari storiche, foto da lui stesso scattate e altre universalmente conosciute per il loro valore artistico…» (dalla Prefazione alla prima edizione). Tale pubblicazione, dunque, è stata un’esperienza pregnante, come se Mauro Giovanelli avesse voluto farci sentire circondati dalla lirica e dall’arte, avvolti dalla bellezza, alla maniera di un abbraccio sensuale e affettuoso allo stesso tempo, un caldo invito a stringerci al riparo delle sensazioni sotto la portentosa protezione della creatività che emoziona, e lasciarsi trasportare in un mondo sconosciuto, accogliente come nessun altro mai.
A traghettarci nei successivi lavori, fino a “Le tessere del pàmpano”, la sottile capacità intellettuale dell’Autore che affonda le sue radici in una conoscenza che non è didascalica ma appassionata, dunque vera e sincera, ricca di stimoli e instancabilmente “vogliosa” di nuove scoperte, inesauribile sete di comprensione.
Proprio quest’atteggiamento è ciò che gli ha permesso di dare voce a un’esigenza nata in concomitanza ai tragici eventi vissuti negli ultimi diciotto mesi, un periodo che sembra drammaticamente lungo per l’impronta lasciata su tutti noi e che ancora oggi non siamo capaci di tarare in base alle nostre esistenze attuali. Ed è con questa silloge che Mauro Giovanelli dimostra non solo capacità adattative da un punto di vista artistico ma anche spiccata propensione di rimanere al passo con i tempi ed esserne innovatore, cercando nella poesia l’esatto spunto per salpare alla ricerca di esperienze incisive frutto di un’urgenza vigorosa che nasce sì dal disagio, ma anche da quell’innata capacità dell’uomo di non fermarsi alle difficoltà e superarle, anche quando sia ancora impossibile comprenderne l’effettiva portata. È, in fondo, quella resilienza che s’invoca in continuazione, ma a pochi è data la capacità di metterla in pratica.
I nuovi componimenti non giungono inattesi – come si può, infatti, arrestare l’onda creatrice? – ma necessariamente accolti, perfino voluti, fiduciosi che pure questa volta l’Autore sarebbe stato capace di offrire un apporto sincero e produttivo al nostro desiderio di ascolto. Infatti, il florilegio interno alla raccolta spazia in un’espressività strutturale varia; alcune, per esempio, molto vicine alla prosa (pensiamo a un testo come “Il tuo spessore”, di cui riportiamo alcuni passaggi) con un verso più lungo, articolato, energico flusso di coscienza che necessita d’infiniti elementi, quasi fossero appigli di senso per una rapidissima scalata alla consapevolezza. Da lettore ci si sente partecipi di un breve monologo fatto nella solitudine della propria anima ma con l’ardente desiderio che sia condiviso con chi sappia realmente ascoltare.

[…]
… sai, alla fine una cosa m’è rimasta impressa, non ci crederesti, anch’io fatico a spiegarmi, neppure saprei in che modo descriverlo, o rispondere al perché mi ricordo quel pomeriggio assolato, cicaleccio lontano, luce fredda e tagliente del giorno, insomma voglio dire, tu stavi seduta su un sasso a margine del sentiero, aria sbarazzina, ginocchia unite, piedi divaricati, calzini bianchi, lo sguardo, ma non è questo, è quando ci coricammo sul prato, io ti venni sopra, mai potrò dimenticare il morbido spessore, sì la consistenza del tuo corpo […]
(Il tuo spessore)

A questi brani si affianca una scelta più contenuta, minimalista, quasi aforistica che intende scandagliare il significato primordiale dell’uomo, come se l’interrogativo sul mistero della vita si fosse fatto impellente e non più procrastinabile. Sentiamo che l’idea stessa dell’essere uomini è stata ribaltata, non semplicemente stravolta, e percepiamo forte questa ricerca del nostro posto nel mondo.

[…]
La domanda non è
“Che cos’è l’universo?”,
la domanda è
“Io ero previsto? E perché?”. […]
(A caso)

Anche:

[…]
È poeta chi scrive sotto dettatura di un alto principio convertendone l’idioma a lingua universale. […]
(È poeta…)

La scelta di una metafora potente come quella dell’ape operaia nel componimento “Il cimitero delle api” è rappresentativa: la forma di vita che più simbolizza l’insetto verso un’agonia lenta che sembrerebbe inarrestabile per mancanza di volontà da parte di chi potrebbe fare qualcosa, rabbia e impotenza che si uniscono in una desolazione che sfiora i lidi stessi di quella umana, e viene da chiedersi se si stia parlando solo delle api e non di ciascuno di noi, in una simbiosi che è fratellanza ancestrale.
Rimane una sensazione struggente e cruda nel lettore ma che non sovrasta la consapevolezza di possedere la chiave per superare tutto questo, è il desiderio di un mondo migliore, è quella stessa poesia cui affidiamo i nostri messaggi e che desideriamo divulgare, come un volo d’api, a portare polline salvifico ovunque, pure nello spazio siderale che l’Autore apre alla vista:

[…]
Nulla so di te, distante la tua luce,
mentre perviene, narra il passato,
ma del tuo fulgore assorbo ogni stilla,
mi disseta e fortifica,
sorgente di vita indica la via
da seguire per annullare spazio fra noi,
così da annichilirci all’infinito
in una sola sostanza ogni volta
più lieve nel liberare energia.
In virtù di un principio ignoto
sei destinata a me,
il resto è vuoto. […]

Non di rado la visione del mondo di Mauro Giovanelli lambisce le equazioni matematiche, le leggi della fisica, ma non in un sistema che intenda ridurre di significato il sentimento e l’anima, al contrario per dargli respiro, esaltarli nel tentativo di possederne la formula. L’Autore si annida nei meandri del Cosmo senza perdere il filo che gli consenta di tornare sulla Terra, è una figura ricca di complessità ma sicuramente uomo coerente nel suo pensiero, la cui prosa si getta e si riversa sui fogli come un fiume. Ogni suo libro è una summa di molteplici elementi che necessita anche di pause di riflessione, rilettura, e il loro insieme vanno a plasmare un quadro articolato dove i temi universali di vita, amore e morte si muovono in binari talvolta distinti, talvolta amalgamati con sapiente tecnica e padronanza di stile.
Buona lettura, e buon viaggio.
The Editors

Preface

What drives us to write poetry? It is our belief that it is the necessity to endow word sequences with spiritual form, to restore to our thought the candour of a rose, the soft touch of a petal, the agreeable scent of a garden in flower.
Essentially, poetry is a bud of the soul and, just like the month of May in full bloom, it knows how to be an unexpected gift and perhaps for this very reason it is more appreciated. Every line of verse is unique beauty which reaches the heart and therein remains because it is eternal, not a motionless sojourn in the memory – on the contrary, in constant renewal in the soul of the reader who decides to make it his own, absorbing the sap infused by the poet at the moment of creation.
Poetry is triumph and heritage, it is a decision to bequeath the most noble part of oneself not only to blood descendants but also to all those who will simply pass through the doors of this life after us.
Mauro Giovanelli loves poerty, he tends to it, he cultivates it, he gives life to it, he immortalizes it, he even sanctifies it when he decides to make it a sacred element, not only to be venerated but also to be protected and loved above all else.
This is why in the course of his life he has endeavoured devotedly, indeed totally committed himself – if he has succeeded in having various collections published, now he is ready for a more complex and intense project. It comes in the form of an anthology of his works, comprising exclusive texts now presented alongside already published pieces, all in a new edition.
“Settantanove scritti e mezzo – Vita, amore, morte, i soliti discorsi…” is the title of this ambitious collection, along with the parallel text presented in English, entitled “Seventy-nine writings or thereabouts” – Life, love, death and the usual…”.
The collection includes texts from “Pulsionale, poesia III Millennio, 1a e 2a edizione” and “Le tessere del pàmpano”, both published by Vertigo Edizioni, as well as recent, first-time productions, such as “The cemetery of the bees”, “Pulsion”, “I love you”, “The other side of Giacomo Leopardi”, “Your thickness”, “What remains”, “I shall try again”, “Annihilated”, “Bisomus tomb” – to mention but a few.
In the previous writings what struck the reader was an innate versatility, capable of expressing itself in lines of verse apt to take by surprise, “active” as a living organism devoid of any plan to simply recline on the page. Giovanelli’s poetry is, indeed, capable of glowing at every touch, glance, as if whence it drew nourishment and, once passed on to the reader, it causes a new element of interpretation to blossom.
In Pulsionale (1a edizione), for example, such a claim is boasted by an adjoining artistic element, since the text had been enriched by what we like to define as art impressions, «…the poet includes reproductions of works belonging to his private collection of historical family pictures, photographs taken by the poet himself and others of universal acclaim because of their artistic merit…» (from Preface to the first edition). Hence, such a publication constituted an experience of some wealth, as if Mauro Giovanelli had wished to let us feel surrounded by lyric poetry and art, wrapped in beauty, in the fashion of an embrace both affectionate and sensual, a warm invitation to cling to each other in the shelter of the sensations under the portentous protection of the creativity which excites and allows itself to be carried to an unknown world – welcoming like no other before.
It is the poet’s subtle intellectual capacity which ferries us across to the ensuing works, up to “Le tessere del pàmpano”; his roots are anchored in a knowledge which is no mere caption but passion, hence true and sincere, rich in stimuli and tirelessly “desirous” for new discoveries, a boundless thirst for understanding.
It is this very attitude which has allowed him to give voice to a demand come to life in conjunction with the tragic events experienced over these past eighteen months – a period which seems dramatically prolonged because of the mark left on all of us and even now we are still unable to gauge re respective present existences. It is with this anthology that Mauro Giovanelli shows his ability to adapt not only from an artistic point of view but also with an unmistakable inclination to keep apace with the times and innovate, seeking in poetry the exact cue so as to set out in search of incisive experiences, the fruit of vigorous urgency which certainly hails from discomfort, but also from that inborn ability of man not to give in when faced with adversity; the choice is to face this latter, even when it remains impossible to grasp the effective full scope. The poet possesses a continually triggered resilience which few are granted the ability to put into practice.
The new components do not arrive unexpectedly – indeed, how can you halt the creative wave? Through necessity they are accepted, even expected, by the reader confident that this time too the poet might be able to offer a sincere and productive contribution to our desire to listen. As a matter of fact, as it appears in the volume, the florilegium covers a range of varied structural expressiveness; for example, some are very close to prose (consider the text “Il tuo spessore”, of which some excerpts are reported) with longer more articulated lines bordering on an energetic stream of consciousness requiring infinite elements – almost as if footholds for lightning ascent to awareness. The reader feels a part of a brief monologue created in the solitude of his own soul but with the ardent desire to have it shared with whoever truly knows how to listen.

[…]
you know, in the end one thing remained impressed upon me, you would not believe it, I myself have got difficulty in explaining, and I would not know how to describe it, or to answer why I remember that sunny afternoon, distant babble, cold and cutting light of the day, in a word, I mean, you were sitting to one side on a stone along the path, saucy air about you, knees together, feet outspread, white socks, your look, but this is not the point, it is when we lay down on the grass, I got on top of you, never will I be able to forget the supple volume, yes the substance of your body […]
(Your thickness)

These pieces are accompanied by a more contained, minimalist, almost aphoristic choice which is aimed at sounding the primordial meaning of man, as if the question on the mystery of life had become compelling and no longer deferrable. We sense that the very idea of being humans has been not simply altered but overturned and the search for our place in the world is perceived as enormous.

[…]
The question is not
“what is the universe?”,
the question is
“was I planned? And why?”. […]
(At random)

Also consider:

[…]
A poet is whoever writes,
under dictation,
about a high principle
converting its tongue
to a universal language. […]
(A poet is…)

The choice of a powerful metaphor such as the worker bee in the composition “The cemetery of the bees” is indicative. Witnessed is a form of life most akin to the insect’s in a slow agony, which might seem ceaseless for lack of will on the part of whoever could do something, anger and impotence which unite in a desolation which impinges upon the very shores of man’s existence, and the question is begged as to whether we are talking merely of bees or of each one of us, in a symbiosis which is ancestral brotherhood.
A heart-rending and raw sensation remains in the reader but it does not tower above the awareness of possessing the key to overcome all this, it is the desire for a better world, it is that same poem we entrust our messages to and which we wish to divulge, like the flight of the bee as he carries redeeming pollen, even in the sidereal space which the poet opens to our vision:

[…]
I know nothing about you, distant is your light,
as it arrives, narrates the past,
but of your radiance I absorb every drop,
it quenches my thirst and strengthens me,
life’s source show me which turning
to take in order to nullify space between us,
so as to annihilate us towards infinity
making us one sole substance
each time lighter in releasing energy.
Thanks to an unknown principle
you are destined to me,
everything else is emptiness. […]
(Annihilated)

It is not infrequent for the vision of Mauro Giovanelli’s world to approach mathematical equations and the laws of physics, but not in a system designed to reduce the meaning of sentiment and the soul, on the contrary it affords them breath, exalting the same in the attempt to possess the formula. The poet nestles in the meanders of the Cosmos without losing the thread which allows him to return to Earth, he is a figure rich in complexity and most certainly a man consistent in his thought, a man whose prose empties itself, spilling onto paper as would a river. His every book is a sum of multiple elements requiring pauses for reflection, re-reading and their totality go on to mould an articulated picture where the universal themes of life, love and death move along tracks at times separate, at times intersecting – the technique is knowing and the style that of a master.
Enjoy the read and the trip.
The Editors

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