Future

Future

How much future I have seen
in the little girl’s expression,
the instant it suddenly
changed from smile
to observing astonished, attentive,
how heavily the buzzing
hornet rests on the slim
stem of the swaying lavender.

© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Seventy-nine writings or thereabouts”, life, love, death and the usual, second edition – Translation Italian-English: Philip Mc Court. – “Settantanove scritti o giù di lì”, vita, amore, morte, i soliti discorsi”, second edition, publications GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

IL SEGNALE

Il segnale

Cercai di spiegarlo alla presenza che mi stava ascoltando,
perché allo strato uniforme di nuvole, fra il viola e l’indaco,
disposte al tramonto lucente , ultimo fuoco,
bianco, giallo, arancione e rosso,
non saprei dire, di compattezza mai vista, neppure sul mare,
o nei deserti di sabbia e sale e pietre
muro immobile come il destino, profilo di duna,
avrei voluto chiedere se fosse un limite,
ovvero stesse circondando la città malata,
era minaccioso comunque, claustrofobico,
meditando su questo aspettai l’alba, nessun uccello in volo,
neanche un gabbiano, silenzio, senso di vuoto.
Mi fu risposto il mattino seguente, l’istante che mi risvegliai
nel forte vento, breve sonno, forse letargia,
i miei occhi non volevano più osservare la notte chiusa,
il cumulo si era separato nello spettro di due richiami,
sopra di me quello nero come potrei immaginare l’inferno,
a seguire nuvole bianche dirette all’orizzonte,
quindi non ebbi dubbio alcuno,
si trattava solo di scegliere se vivere o morire.

© Copyright 2020 Mauro Giovanelli, “Pulsionale, poesia III Millennio” – 2a edizione Vertigo Edizioni s.r.l., Roma
© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Pulsionale”, poesia III Millennio – 3a edizione – pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

LA CONSERVAZIONE DELL’ISTANTE

La conservazione dell’istante

Stamattina le navi hanno ripreso a scivolare lente, silenziose, accodate, come scorressero su rotaie ben lubrificate, rotta prestabilita chissà dove e quando, mute le sirene. Altre, lontane, piccole e scure, immobili alla linea dell’orizzonte nell’attesa di niente, parevano unidimensionali, disegnate su piatti cartoni ritagliati e poggiati in verticale, allo stesso modo delle quinte di un vecchio teatrino per bimbi, sul filo di confine fra cielo e mare, grigio lo sfondo, acqua pesante, acciaiosa. Tutto sembrava meccanico. Se questo tempo ha avuto un inizio con la materia allora mi domando che deve essere esistito un centro da cui ogni cosa è originata, e di sicuro c’è ancora, allora aggiungo che questo luogo potrebbe pure dare contenuto geometrico all’infinito, e se è previsto che fra tre miliardi di anni o giù di lì la galassia in cui abito si scontrerà con Andromeda, allora mi domando pure se rispetto a lei siamo più avanti o indietro, o in parallelo, voglio dire sulla stessa incurvata traiettoria dello spaziotempo, in sostanza chi insegue o è inseguito, e perché, differenza di massa a parte ovviamente, e non riesco a spiegarmi se questo è un batter dì ciglia, cioè se stiamo vivendo, senza rendercene conto, un insignificante intervallo di chissà quale periodo, rallentati o accelerati, e il senso del sogno che ha preceduto il mio pensiero, c’eri tu, entrambi clandestini, e la segnaletica stradale diversa da prima, sia verticale sia orizzontale, molti sbocchi erano adesso ostacoli, tanti sensi vietati, divieti di transito, lavori in corso, e gigantesche stelle di neutroni appostate nel sottosuolo avevano modificato ogni varco, tuttavia il nostro rifugio era sempre là, sulla collina, nello stesso ambito posto ora inaccessibile.
E quanto è durato il prima di trovare l’attimo in cui, finalmente abbracciati, attratti irresistibilmente, ci siamo uniti? È lo stesso che l’inizio dell’intero? Un istante? E infine si è conservato? In fondo il momento iniziale e finale del nostro sistema non è mica rimasto invariato…

© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Pulsionale”, poesia III Millennio – 3a edizione – pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro
© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Affinché morte non ci separi” – 1a edizione pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

PRIMA O DOPO

Prima o dopo

Un pensiero,
ora mistero,
è andato via veloce,
non l’ho afferrato,
era grande,
ma così grande,
luminoso e pesante,
dico davvero,
proveniva dall’oltre,
l’oltre mi parla,
ho creduto poter ricordare,
presuntuoso,
impossibile dimenticarlo
fra me e me
avevo sussurrato,
invece è fuggito,
succede spesso,
perciò scrivo subito
quanto non è stato detto,
o pensato, vissuto,
che mi è riferito.
Era così maledettamente fluido,
toccava sottigliezze inconcepibili,
come bava di ragno,
a tal punto trasparente
che prima di tramutarsi in filo
diventa lente.

Ritornerà,
tutti percorrono orbite iperboliche,
di fuga,
e per quanto vada lontano
io sono il fuoco,
e sarà mio,
prima o dopo.

© Copyright 2020 Mauro Giovanelli “Le tessere del pàmpano” in forma di poesia – 1a edizione Vertigo srl – Roma
© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Le tessere del pàmpano” in forma di poesia – 2a edizione pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

AT THE COMPARTMENT WINDOW

At the compartment window

There remains little, very little to say, maybe nothing, the artistic expression is at its end, we ride the new course devoid of humanity and overflowing with power that condemns us to consumption, It doesn’t matter whether they’re bombs or diapers, by now fannies are dampened only by piss, this latter action carried out in a hurry to boot, let us resign ourselves, it cannot be said they are wrong, in the end they too are supported by nerves and muscles, tibias and femurs, impulses, and it follows they are used in contributing to the moving of the infernal dynamo rather than in taking care of it, and herein lies why everything has already been written, performed, the only thing left to do is lean your forehead against the window of that perpetual train setting out at dawn every morning, and to look out indifferent, observing the passing of time, without even the hope of catching sight of what is out there, in the distance, small and fleeting, the silhouette of something to be added.

© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Seventy-nine writings or thereabouts”, life, love, death and the usual, second edition – Translation Italian-English: Philip Mc Court. – “Settantanove scritti o giù di lì”, vita, amore, morte, i soliti discorsi”, seconda edizione, publicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

DAL FINESTRINO

Dal finestrino

Resta poco, pochissimo da dire, forse niente,
l’espressione artistica è alla fine,
cavalchiamo il nuovo corso privo di umanità
e stracolmo di potere che ci condanna al consumo,
poco importa siano bombe o pannolini,
e le fiche ormai si bagnano di solo piscio,
per giunta frettoloso, rassegniamoci,
non si può dar loro torto,
in fondo sono anch’esse supportate
da nervi e muscoli, tibie e femori, impulsi,
ed è logico li adoperino per concorrere
a far muovere la dinamo infernale
piuttosto che accudirla,
ecco perché tutto è già stato scritto, rappresentato.

Altro non resta che appoggiare la fronte
al finestrino di quel treno infinito partito a ogni alba
destinazione ignota,
e con distacco guardare fuori,
osservare il tempo che scorre,
senza neppure la speranza di scorgere laggiù,
in fondo, piccola e fugace,
la sagoma di qualcosa da aggiungere.

© Copyright 2020 Mauro Giovanelli “Le tessere del pàmpano” in forma di poesia – 1a edizione Vertigo srl – Roma
© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Pulsionale”, poesia III Millennio – 3a edizione pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro
© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Settantanove scritti o giù di lì”, vita, amore, morte, i soliti Discorsi – 2a edizione pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro – “Seventy-nine writings or thereabouts”, life, love, death and the usual – publications GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro, second edition 2023 Translation Italian-English: Philip Mc Court.

NON È LA TUA RAGAZZA

NON È LA TUA RAGAZZA

Nei giorni scorsi, sulle prime pagine dei quotidiani, nelle locandine delle edicole superstiti e a inizio di ogni trasmissione televisiva, mi è capitato di vedere la faccia di questo individuo accompagnata dalla scritta, esposta a caratteri cubitali:

“HO UCCISO LA MIA RAGAZZA”

Le sole parole che costui ha pronunciato alla polizia tedesca nel momento della sua cattura.
E nessuno, ripeto nessuno che abbia precisato, urlandolo al mondo intero, che la vittima del mostro, l’incantevole, gioiosa Giulia, NON ERA la sua ragazza né mai lo sarebbe stata.
E poi tutti complici nel citarlo col nome di battesimo anziché designarne la sua condizione di assassino (o presunto tale?).
Considerando le due cose insieme, è proprio qui che si evidenzia la netta tendenza, a “umanizzare” le fattezze della “probabile?” bestia, con l’aggravante di accostare la sua foto al celestiale sorriso di lei, alla sua immensa voglia di vivere come se la volontà della ragazza, prenderne le distanze, fosse scomparsa con la sua uccisione.
È così! Del resto c’è rimasto solo lui ma tutto sarà introdotto nel tritacarne di un’informazione demenziale supportata da un clima politico dello stesso livello dal quale uscirà, fra uno spot e l’altro, un macinato di vacue parole lanciate al vento della cultura al consumismo più sfrenato, anche degli affetti.
La gara è appena cominciata, intanto i primi sciacalli bipedi stanno già rovistando nella privacy della sorella Elena dilaniata dal dolore.
Giudice sarà l’auditel.
Mauro Giovanelli – Genova

IMPRESSIONI (ETERNITA’)

Impressioni (Eternità)

Un’emozione,
a giustificare l’intera vita
potrebbe bastarne una,
subitanea, inaspettata,
come improvvisa raffica
di vento gelido,
quella che ti fa portare
la mano al collo,
stringere il bavero
e dal tuo meditare sull’atto istintivo
ti trasporta nell’imminente,
effimera illusione
di duratura appartenenza al mondo.

Che distanza dal tempo in cui
fu concepito questo momento.

Eppure è esistito l’attimo
che programmò il gesto,
insignificante se vogliamo,
ma gli innumerevoli altri germogli
dispersi nell’immisurabile spazio
costituiscono il plasma
del nostro procedere
nell’eternità dell’istante.

© Copyright 2020 Mauro Giovanelli “Le tessere del pàmpano” in forma di poesia – 1a edizione Vertigo srl – Roma
© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Le tessere del pàmpano” in forma di poesia – 2a edizione pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI – PREFAZIONE

Prefazione

«Dunque chi sei tu infine?
Io sono parte di quella forza
che eternamente vuole il Male
ed eternamente opera il Bene»

J. W. Goethe – “Faust”

Il privilegio di poter parlare di e con un’opera di Mauro Giovanelli è che l’esperienza non rimane mai ancorata al testo, piuttosto diventa un crocevia di pensieri, interpretazioni, emozioni.
Terminata la lettura del libro, senza considerare gli appunti presi di getto durante lo scorrere delle pagine, ho sentito la mente focalizzarsi su alcuni liberi pensieri scambiati con l’Autore nel corso di precedenti collaborazioni letterarie. In particolare ricordo una riflessione su come “i tempi” avessero ormai raggiunto una sorta di punto di non ritorno, forse non evidente ai più, e oltrepassato quel limite resterà solo da augurarci ci sia almeno data la possibilità – quasi esprimendoci in termini biblici – di poter ripartire dalle ceneri perché ormai nulla del prima sarà risultato degno d’esser salvato. Da qui la ricostruzione di un nuovo mondo con la determinazione a non ripetere nessuno dei troppi errori commessi nella vita di prima. Un pensiero insolito ma credo non lontano da una delle personalissime letture che mi piacerebbe dare di questo libro.
Infatti “Il leggìo a nove posizioni” è un’opera di confine,
una terra letteraria in cui tutto è stato e, proprio per questo, tutto potrà essere, ma in veste completamente nuova. È un topos letterario vero e proprio, una marginalità filosofica dove, con tale termine, non intendiamo qualcosa di immaginario, bensì un luogo incontaminato che racchiude la bellezza interpretativa primigenia non facile da raggiungere, quindi va ricercata anche a costo di un sacrificio doloroso poiché di fondamentale importanza risorgere in essa.
Pensiamo perfino all’origine del termine leggìo, che deriva dal greco λογειον, loghĕion, che significa anche “pulpito” e, infatti, proprio in ambito sacerdotale ha la sua iniziale e poi più ampia fortuna, ma non è al senso ecclesiastico che mi voglio riferire, quanto alla sua “posizione privilegiata”. Se aveste mai avuto modo di salirci, su un pulpito, avrete notato come lassù sia immediata la sensazione di padronanza che trasmette – quasi di onnipotenza – oltre a quella di una prospettiva ben più ampia dello sguardo comune, rivelando a una persona come il cambio di veduta generi scenari inattesi. Ciò è ampiamente raffigurato nel celeberrimo “L’attimo fuggente” (Dead Poets Society), film del 1989 diretto da Peter Weir, e magistralmente interpretato da Robin Williams nella parte del prof. John Keating che, saltando in piedi sulla scrivania, intende in modo figurativo educare i suoi studenti a mai accontentarsi di osservare le cose da un solo punto di vista. Credo che proprio questo debba essere il senso di un libro, ancor più il suo messaggio più intimo: un dischiararsi su vedute inattese, persino improbabili, se non addirittura improponibili, come se si decidesse di assaggiare il frutto proibito per arrivare alla “vera” conoscenza (termine audace ma appropriato in questo contesto). Qualora non fosse resterebbe comunque il viaggio a essere il tutto.
Lo scorrere narrativo de “Il leggìo a nove posizioni” alterna piani paralleli con un fil rouge nella figura del protagonista, quasi a confondere il lettore, affinché non abbia sempre chiara l’esecuzione temporale (perché è inevitabile: il pubblico cerca sempre gli agganci temporale e spaziale, è una necessità atavica) e che proprio in questo mancato appiglio scopra la chiave dell’indeterminatezza, variante che in certo qual modo ha una sua non circolarità ma chiusura a indefinito e infinito, fondamentale nell’insieme.
Il racconto è affascinante perché, attraverso l’origine della narrazione, che trae linfa da notevoli e diverse pubblicazioni di rilevanza mondiale, ci è presentato un protagonista, Yuzaf, che con altro nome ritroviamo dove era stato abbandonato alla fine di uno dei capitoli, “Il Grande Inquisitore” del magistrale “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij. Sorprendentemente graziato dal Grande Inquisitore ma con l’ordine di scomparire e non farsi mai più vedere avendo lasciato il potere alla Chiesa, proprio lui, Gesù, tornato in terra per rimediare a quanto non è stato fatto dagli uomini nonostante il suo sacrificio, lui che ha un compito così fondamentale da assolvere, d’improvviso scopre di non essere più se stesso, neppure più morto, quasi resuscitato quindici secoli dopo, non a Siviglia, in Spagna, al tempo dell’ormai agonizzante Santa
Inquisizione, ma in Italia, a Genova, nell’epoca attuale, non riabilitato si trova a palesare l’impossibile situazione di una totale assenza di personalità, identità, perciò osserva, e fra se e se annota minuziosamente le caratteristiche del posto, del percorso che affronta nella spasmodica e urgente ricerca di un rifugio, un nuovo calvario con le sue stazioni, ed è così che potrà riprendere coscienza e identità terrena. Yuzaf è ora uomo nel termine più vero, essere in balia della non comprensione, alla ricerca di se stesso e della causa prima. Infatti è Corto, uno dei personaggi che Yuzaf incontra in questo suo ultimo viaggio, a esprimersi nei seguenti termini:

[…] «Il solo fatto che tu stia tentando di giungere alla verità potrebbe essere la prova dell’esistenza di un ulteriore, questo sì che è plausibile. Comunque chiedi troppo, vorresti tutto o niente, non solo il “qui e ora”, pure il “dopo” che possa dare la risposta al “prima”. Vivere e capire, morire e riferire. Ah! Sei troppo romantico amico, io mi accontento di molto meno. A me basterebbe che la giostra in cui mi hanno ficcato si fermasse, forse non ti è ben chiaro chi sono e in quale dimensione fingo di muovermi» […]

Da lettore, il tratto forse più affascinante del protagonista è la sua sordità. Sì, Yuzaf non ascolta, pone interrogativi, disperatamente, quasi con arroganza e violenza, ma in realtà non ascolta la risposta, è come se fosse alla ricerca di un senso perduto senza possedere gli strumenti per averne compiutezza; in questa fase Yuzaf è uomo, tragicamente uomo, che nella sua egocentricità non comprende l’insieme
che lo circonda, formato da personaggi della fantasia e della realtà a loro volta alla ricerca di un senso se non una via d’uscita dalla loro condizione. Forte, notevole l’esposizione del brevissimo incontro con Paperino:

[…] «Portava un berretto azzurro con banda nera e fiocco, direi da marinaio, infatti, mostrava grande rispetto per me. La blusa, anch’essa azzurra con due bottoni dorati, così come i galloni ai polsi, pareva una divisa. Non indossava calzoni ma stranamente non ci facevi caso, camminava scalzo, dondolando, e i piedi e la bocca erano arancioni, inconsueti, non saprei ma… le sue mani, pur avendo le dita e il pollice opponibile, non riesco a spiegarlo, assomigliavano alle estremità di ali, insomma di sostanza piumosa come il resto del corpo, bianchissimo. E la sua voce, la sua voce… era disperato. Diceva di chiamarsi Paolino, sembrava l’anello di congiunzione tra il primo anfibio e un piccolo papero, ed io così l’ho soprannominato, Paperino, mi sembrava non apprezzasse tale nomignolo… era così triste, indifeso, irascibile…» […]

Questo suo porre domande, avanzare dubbi e, in realtà, non trovare il tempo di ascoltare ogni responso, cela l’afflizione di dover recuperare la risposta definitiva, l’unica che possa soddisfarlo, la vera sentenza, la sola possibile: “Qual è la verità?”. Ecco una sua replica all’amico Srinivasa:

[…] «Bravo Ramanujan, tutto perfetto ma non come nelle tue equazioni perché su questo terreno è impossibile arrivare all’equivalenza allo stesso modo che nelle serie infinite di simboli matematici dove, al limite, si potrebbe quantomeno ipotizzarla, attribuirle un valore, inserirla nel calcolo. Qui no, rimane sempre un piccolo scarto, infinitesimale, la
differenza residua, incolmabile anche per una mente come la
tua. Non hai avuto necessità della mia conferma, ne sono certo, e di sicuro avevi intuito da solo come l’impalcatura scricchiolasse se non altro perché indimostrabile.»
[…]

Si dimena, Yuzaf, tra catene che non sono più quelle che lo imprigionavano fisicamente, ma in tutti gli altri sensi. Egli, infatti, è anche cieco, non vuole vedere l’evidenza, i suoi occhi sono coperti dal velo di Maya che gli oscura persino i presagi della salvezza, obliando sempre più la sua identità nonostante gli indizi per il conseguimento della sua liberazione che non riconosce, smarrendolo.
Il primo attimo di lucidità ci appare drammatico, lo si percepisce quando s’accorge di una presenza, da principio impalpabile, poi manifestatasi in quell’essere considerato alla stregua della feccia, un topo, che diventerà immagine potentissima lungo l’intero percorso accompagnando i protagonisti come entità dissolta ma sempre vigile fra le quinte di un teatro infernale.
Sporco, malmenato, sterminato, ha la capacità di salvarsi, risorgere, percorrendo le vie più infere, non semplicemente adattandosi, ma immergendosi nell’immondo proprio quando tutto il sovrastante e soverchiante è ciò che rimane
nella sola verità di un attimo.

[…] «Ci sarà un motivo per cui tu mi abbia suggerito di riconsiderare soprattutto gli ultimi istanti della vita di quell’uomo “perché in quel momento viene fuori la verità” dicesti. Che cosa accadde nelle ore di un supplizio che sono impresse nell’eterno divenire?» […]

E se fosse proprio questo uno degli elementi che manca a
Yuzaf? La capacità di scegliere e discernere? Come già accadde sulla croce per la salvezza sua e dei suoi compagni di sventura? Abbandonando l’impossibile tentativo di far coesistere, fede e ragione? E se fosse angoscia la sordità di fronte all’evidenza di voler andare dritti per una strada che probabilmente non porterà a nulla ma che sembrerebbe l’unica? Egli pare fin troppo trasfigurato nel vivere questa sua “rinascita” (ed è lecito obiettare: Come potrebbe non essere altrimenti? Passare dalla condanna certa, anzi due, a una vita che però in nulla può correlarsi alle sue origini), ossia rimanere sempre distaccato, mancante di quella compenetrazione tra elementi che è fondamentale.

[…] «Il fatto è che io adesso ho assunto una diversa configurazione ai tuoi occhi. Così, di punto in bianco, improvvisamente sono un approdo, e tutto il resto per te è come si fosse pietrificato, ci siamo solo noi, vivi o chissà che altro, di fronte alle possibili risposte che cerchi» […]

Avvertiamo un crescendo nello scritto, un palesarsi ostile di una ricerca per ragione che ci appare di ostacolo, fuorviante, quasi un peso che siamo costretti a trascinare, una croce portata su spalle ferite. Percepiamo opposte energie, vissute in maniera ossimorica, che bruciano in quella che è nascita di consapevolezza, destabilizzando fortemente il lettore come il protagonista, che tuttavia non può e non deve fermarsi, per quanto sia impervia la salita.
Sembra chiara la necessità di rileggere tutto scegliendo un punto saldo, ma contestualizzandolo nell’insieme, poiché lasciarsi sopraffare dal pensiero unico ci porterà ancor più alla deriva. È così che il topo si rivolge a Yuzaf, parole che sgorgano dai neri riflessi di quegli occhi intelligenti, vivi, antichi, dove iride e pupilla sono rese indistinguibili:

[…] «Il sapere deve e può essere dominato, a lui la missione definitiva, conclusiva, la “quadratura del cerchio” […]

Allo stesso modo Ramanujan:

[…] «Ripeto, cosa faceva Dio avanti la venuta del profeta? Dov’era? Perché questo confine, in quel preciso giorno, ora, attimo in cui decise di occuparsi del mondo? Nulla di così terribile e raccapricciante era accaduto prima quanto gli avvenimenti verificatisi dopo il Suo intervento» […]

A Yuzaf la sola eterna domanda cui, in certo qual modo, alla fine darà una risposta nell’estremo tentativo di trasmetterne la chiave di lettura al più umile, quindi il più “vergine” degli attori che lo circondano, l’Oste, ed è proprio da qui che tutto potrà rinascere:

[…] «Mi comprendi? Hai sentito ciò che ho detto? Tu saprai
“qual è la verità”. Sono stato chiaro? Non “cos’è la verità”.
Rispondi, dimmi che hai afferrato la differenza»
[…]

Perché i dubbi che ci insinua Mauro Giovanelli alimentano il senso di vacuo, non semplicemente di vuoto, infatti, se ragioniamo, se meditiamo, pensando di poter credere l’opposto, non tenendo conto che il momento stesso in cui si realizza un concetto ne nasce il suo doppelgänger, abbiamo posto la base che porta in perdita, poiché non è a queste dimensioni che appartiene il senso, tanto meno le risposte. Ce lo dice chiaramente nel momento in cui afferma (nota 1 Capitolo = –1/12):

[…] «Quando si designa un “più” necessariamente s’indica e si fa nascere un “meno”. Questo è il nostro peccato originale, il voler conoscere il Bene e il Male… quando si “definisce” il “bene” automaticamente ciò che ne è fuori individua, per differenza, il “male” creato dalla mente poiché prima non esisteva. Superare questo modo di vedere le cose porta al Regno, alla libertà dello spirito.» […]

L’interpretazione, infatti, che raggiungiamo alla fine è proprio l’evidenza del fallimento della scissione, soprattutto del dualismo, e di come solo una concezione agglomerante possa dare la giusta chiave di lettura e svelare quel mistero che in fondo mistero non è mai stato. Ed ecco che tutti i personaggi mutano, disvelano la loro intima natura, come se da chimere avessero abbandonato
le sembianze imposte per l’essenza “vera” (ed ecco che nuovamente utilizziamo questo termine di fuoco). Perciò, a ciascuno degli “interpreti”, l’Autore fa rivivere, da spettatori, il proprio destino, fino ad arrivare alla nemesi (e qui torniamo al concetto espresso in precedenza, ossia oltrepassato quel limite, c’è solo da sperare che in un certo senso si possa ripartire solo dalle ceneri perché ormai nulla del prima è degno di essere salvato).
Allora eccoci giunti all’ecatombe finale, Yuzaf e i suoi compagni non permetteranno che la “crocifissione” si ripeta, a nulla è servita prima, ancor meno adesso, quindi “muoia Sansone e tutti i filistei”. Il progetto iniziale era sbagliato dalle fondamenta perciò tabula rasa, anche se quella sordida mano a quattro dita, comparsa dal nulla fin dall’inizio, si materializza ancora al solo fine di sottrarre agli uomini la chiave di lettura idonea al conseguimento della piena gratificazione, vivere la vita nel suo splendore.
Sconvolge, tuttavia, il dubbio che forse tutto non sia altro che il frutto della volontà di qualcuno o qualcosa, peggio ancora un delirio della sola materia:

[…] «Sei certo non ti abbia immaginato qualcuno? Chi ci assicura che noi, qui e ora, non siamo il parto di una entità che ci sta manovrando, osserva, determina il nostro parlare? Magari ciò che sto dicendo, sono parole sue pronunciate attraverso me. Hai mai valutato la possibilità che tutti si possa essere strumenti di un’allucinazione? Pensaci.» […]

Allora cosa fare? Che prove sono state raccolte? E qual è l’origine delle Scritture? Divina non sembrerebbe proprio:

[…] «E cosa vuoi che facessero i carovanieri nei rari momenti di riposo? Nelle “pause” pranzo? Quando si trovavano riuniti intorno a un fuoco o in solitudine consideravano la loro meschina presenza sulla Terra? Parlavano. Di grandi gesta, miti, leggende, imprese più o meno inventate o ingigantite, superstizioni, paure, elaboravano improbabili risposte, concepivano entità superiori a giustificazione dell’avvicendarsi degli eventi che li travolgevano. Non c’era mica la taverna sotto casa, gratificarsi era prendere la propria donna quando la carne gli ricordava di essere animali. Per il resto… parlare, fantasticare, sognare altri mondi tanto gli era greve il loro, idealizzare un salvatore, la guida, e alla fine pure crederci. Non è forse vero che in quella lunga storia ci sono solo disperazione e angoscia?».[…]

Quali possibilità restano?

[…] «Se siamo strumenti inconsapevoli di tutto quanto succede è inutile cercare un senso delle cose perché già lo abbiamo sotto gli occhi, in ogni momento della nostra esistenza, ed è nel semplice fatto di aver vissuto, interagito con ciò che ci circonda, compiuto azioni, aver influenzato il
corso del destino, anzi averne fatto parte»
. […]

Il due che si fa uno, proprio sul finale, quando smette di interrogarsi e si abbandona al tutto, al destino, al fluire come suo lascito, quel lascito che la sua donna gli aveva chiesto, ma lui non ha mai compreso nella sua immensità. Ed è proprio da quell’ultimo bacio, riproposto in una veste speculare dall’amata rispetto a quello che gli aveva valso la grazia, che il nostro eroe trae origine, è una leggiadrìa attuale, un senso che si disvela e diventa comprensibile solo dopo aver attraversato il tutto ed essersi confrontato con la parte più profonda di se stessi, della propria natura più intima, che non ha il sapore beffardo della rinuncia alla propria identità ma quello della sua completa realizzazione.
Già! La propria natura, infatti è con un potente racconto-metafora che chiude il testo, quello dello scorpione e della rana, che per altro Mauro Giovanelli approfondisce con grande interesse nelle note.
Che vuol dire “la propria natura”? Che cos’è realmente? Ci sembra quasi negazione del libero arbitrio poiché ad essa incatenati, allora, in una circolarità senza fine si torna al dubbio di essere figli del delirio per uscirne l’istante dopo.
La risposta è personale, dipende dallo sguardo lanciato oltre, e anche quando tutto sembra racchiudersi (e non rinchiudersi) in un ritrovato equilibrio, interviene la variante personale che non può esser trascurata, diventando piuttosto quell’assoluto, la costante statica, immobile, la sola realtà cui tutto confluisce e da cui tutto riparte.

Pamela Michelis

L’istante

L’istante

Stamattina ho percepito l’universo
spostarsi di qualcosa,
definitivamente per ora,
secondo il mio tempo,
era in bilico per me, questo intendo.

Ora che in un sordo rumore compiuto
l’ultimo valico s’è dischiuso,
creando il vortice superluminale,
più nulla del prima perdurerà
nell’ordine del momento.

Ho quindi deciso per l’estrema possibilità
e tutto dinanzi a me rallenta in eterno,
ai lati ampiezze senza confini
accolgono strati d’immutabile passato
che s’impila senza tregua alle mie spalle.

Ecco il mio istante.

© Copyright 2023 Mauro Giovanelli “Le tessere del pàmpano” in forma di poesia – 2a edizione pubblicazioni GEDI Gruppo editoriale S.p.A. sito ilmiolibro

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