PUTTANE (racconto breve) – Il presente scritto è rivolto ad un pubblico di soli adulti

PUTTANE
(racconto breve)

Il presente scritto è rivolto ad un pubblico di soli adulti

Milano, giornata di sole, aria tersa, pulita. Seduto al “Biffi” osservavo la fauna umana che scorrazzava frenetica, senza tregua, come formiche a fine estate, ciascun membro aveva il proprio bottino, ventiquattrore i professionisti, borsette Luis Vuitton le professioniste, alcuni portavano con scioltezza eleganti sacchetti dello shopping appena consumato, reclamizzati Hermes, Bulgari, Armani. Riecheggiavano i tacchetti delle signore e lo scalpiccio dei mocassini maschili, accompagnati da dissonanti fischi che ogni tanto scaturivano dallo strascicare delle orribili scarpe con suola di gomma sul pavimento.
Accanto al mio tavolo due coppie degustavano l’aperitivo, a occhio gli uomini parevano persone importanti, mi davano la schiena, le donne classiche femmine che si accompagnano alle persone che si credono importanti, una di esse ero certo averla conosciuta, me lo riferì l’aumento del ritmo cardiaco, ci scambiammo una veloce ed eloquente occhiata.
D’improvviso, rivolgendosi all’altro, uno dei due chiede:
– “Ma che tipo di uomo è questo Mauro Giovanelli? Con chi abbiamo a che fare?”.
In una frazione di secondo l’amico risponde secco:
– “Il migliore!”
Pausa brevissima, bastante a sistemare l’oliva che stava succhiando, poi aggiunge:
– “Nessuno è mai riuscito a batterlo su quel terreno.”
Le due compagne si fissano pochi istanti e, mentre la bionda prende il bicchiere, estende pure al sottoscritto i suoi occhi azzurri. Ora ricordo! Ma dai! Non è possibile! Sempre bella, qualche anno in più non l’hanno scalfita, è la moglie del tizio piccoletto, brutto, prepotente, il pezzo “grosso”, si fa per dire, della politica. Dalla voce riconosco pure il suo interlocutore, il celebre giornalista con cui ho avuto qualche scambio epistolare. Adesso è tutto chiaro e vengo colto da profonda emozione! Sposto di poco la sedia, quel tanto da non poter essere visto dai maschioni nel caso si dovessero muovere ma abbastanza da sbirciare lei. L’amica non la scorgo bene, capelli neri, che sia… l’altra?
– “E sei stato un perfetto idiota, dovevi pubblicarglielo quell’articolo, magari tagliandolo un po’ con la scusa degli spazi, se ti confronti con quello riuscirebbe perfino a dimostrarti che ha ragione qualora avesse torto, figurati il contrario…”
La conobbi al “Mangini” di Genova quando si tennero le amministrative, stava in fondo al salone, sola, elegantissima, stupenda, appena ci guardammo scattò quella… famosa, indefinibile “forza” reciproca, irrefrenabile attrazione che al confronto le onde gravitazionali appena scoperte sono quelle delle pozzanghere. Il richiamo dei sensi. Scrisse qualcosa su un biglietto, si alzò dirigendosi alla toilette, gambe da brivido, fondoschiena… il sogno, mai si voltò nel breve raffinato tragitto ma i cenni del capo, come volesse girarsi, parlavano. Aspettai che entrasse e, rivolgendomi alla brigata: “Scusate! Devo occuparmi di una faccenda.” e mi avviai ai servizi. Neppure chiusi completamente la porta alle spalle che sentii un paio di braccia al collo, era agitata, le sue mani tremanti, nervose, viaggiavano lungo il viso, la nuca, i capelli, io fermo come un palo, interdetto, poi la strinsi forte a me, così forte da farle male, le alzai la gonna, il suo profumo mi inebriava, stavo per inginocchiarmi, dovevo… “No! Non ora per favore” disse turbata. “Conosco il proprietario, è mio amico” pronunciai a bassa voce per calmarla mentre stavo frugando sotto le sue mutandine, finissime, eccitanti… l’Eden! “Possiamo chiuderci dentro, sei bella, bellissima…” aggiunsi. “Non ora!” replicò con tono di femmina abituata al comando. Mi staccai, si ricompose la pettinatura guardandosi allo specchio, diede un’aggiustata all’abito, si voltò, bacio tenero sulla guancia, infilò un biglietto nella mia tasca, uscì. Rimasi stranito! Quando rientrai in sala la prima cosa che udii fu “Ma… pisci dal cervello? L’ho sempre detto che sei una testa di cazzo! Guardati!” Era svanita. Intontito mi voltai e l’alzata dietro il bancone rifletteva l’immagine di un mohicano, mi diedi una rassettata “…hai pure la patta bagnata, sei ambivalente?” E giù risate. “Affanculo ragazzi, pensateci voi, ho preso un negroni, ho premura, devo andare…” e mi incamminai come uno zombie seguito da “Il negrone l’hai preso nel bagno… lo dice anche il Maestro!”.
Che storia senza tempo! I nostri punti di incontro erano a metà strada, Tortona dove c’era pure un ristorante pregevole, o Binasco, motel di gran lusso, mai Genova o Milano. D’estate in spiaggia, a lei piaceva molto farlo in cabina, anche la sera in riva al mare, una o due volte di giorno nascosti dietro la boa, sempre riviera di Levante, trattorie dell’entroterra, locali caratteristi della Liguria, tutti con camere.
Dovevamo stare molto accorti, prudenti. Ciò che mi mise in tasca era il biglietto da visita del marito, quello brutto e potente che avevo accanto, orecchie piccole e attaccate alla testa, faccia da roditore, incisivi sporgenti, simpatici animali proprio perché il loro muso ha l’espressione sciocca. Dietro c’era il suo numero e l’ora in cui avrei dovuto chiamarla, cosa che feci il giorno dopo. La prima volta non riuscimmo ad arrivare in camera, nell’ascensore facemmo l’amore in modo feroce, da bestie, sudati, desiderio incontrollabile, complicità assoluta, totale, e poi ancora, e ancora, bastava passasse una mezz’ora. Ordinavamo da bere, si fumava, godevamo di ogni secondo, mi piaceva quando alla fine di ogni rapporto domandava, con sovrumana sensibilità in contrasto alla sua persona: “Sei soddisfatto?” passandomi le mani sul torace, lenta, assaporava la vita. Era imprevedibile, ogni volta mi stupiva ma… la sera che improvvisamente si alzò… era una meraviglia vederla camminare nuda, sarebbe sciocco dire che pareva ci fosse nata, come tutti noi, ma lei venne alla luce in modo speciale, spogliata di ogni limite, aveva l’apparenza di un angelo… si mise a frugare tra i miei abiti sparsi sul parquet insieme ai suoi, sparpagliati ovunque, tornò con la mia cintura e comandò: “Frustami!”. Non scherzava mai quando si trattava di sesso, avvertii un misto di stupore ed eccitazione, lanciò la cinghia sul letto e si mise a pancia sotto, piegata sul tavolo, le mani aggrinfiate al bordo opposto, gambe larghe. “Sono una puttana, come mio marito, puniscimi… ad ogni colpo io ti potrò dire solo tre cose: Basta, ancora o più forte… tu ubbidisci… quando ti dirò basta mi sodomizzi, con forza, violenza!”. Qualora avessi pensato di aver fatto tutto nella vita da quella sera capii quanto mi ero sbagliato.
Nei momenti in cui stavamo abbracciati osservando le stelle, il soffitto, il tetto della macchina, i vitigni del pergolato, parlavamo di ogni cosa, nulla ci era precluso. Aveva… ha così fame di… esistere quasi quanto me. Mi disse tutto del mondo del consorte. “Non esistono puttane perché ogni donna ha l’accortezza di innamorarsene prima di sposare un miliardario.” Esordì una sera. “Questa l’ho già sentita.” Ribattei. “Taci tesoro, ascolta… ti sposi quello che può darti tutto, gioielli, vestiti, sicurezza, futuro per te e i tuoi figli, nulla ti manca, neppure il suo amore i primi anni, solo… lo guardi e ti fa schifo ma cerchi di trovarci i lati buoni, ti convinci che…” Si interruppe, stava piangendo, per la prima volta la sentii mia, completamente, pure delle sue debolezze mi ero appropriato, ne possedevo il corpo, la mente e… qualcos’altro che mi sfuggiva, dovevo capire di che potesse trattarsi, la stavo amando al di là di ogni confine perciò la spiegazione stava di certo fissata alle pareti dell’Universo come un dipinto. Pensavo a questo mentre la accarezzavo. “…neppure sarebbe in grado di dare amore…” proseguì con voce roca riportandomi sulla terra “…non esiste nella sua dimensione, lui è la vera puttana, i suoi colleghi e colleghe, segretari, sottosegretari, corrotti, corruttori, ladri, parassiti, arroganti, frustrati, insensibili all’esistenza non solo degli altri ma arriverei a dire perfino dei familiari, i bambini… mirano unicamente al potere, ci si trovano invischiati come mosche in una ragnatela, pure a loro agio, cercano la sottomissione di tutto e tutti, giornalisti, opinionisti, conduttori della televisione, baciano i piedi dei superiori pensando a come e quando li pugnaleranno e sono spietati con i subalterni… vili! Ecco che sono, allora…” La interruppi: “Ascolta me adesso, calmati, non sei obbligata a palarmene…” Neppure mi sentì “…allora ti rendi conto di aver perso tutto, almeno la parte più preziosa di te, ho assistito a cose… sono a conoscenza di fatti che non potresti immaginare neppure tu, con la tua fantasia, il desiderio di conoscenza che ti possiede… le troie, le puttane da marciapiede sono le persone più buone e oneste che ci siano, quelle che vogliono farlo per loro scelta, al loro confronto poi sono regine…” Alzò la testa per guardarmi in viso, mi fissò qualche istante… “Mi ami?” In quel momento toccammo la punta massima dell’umana congiunzione, abbracciandola venni pervaso da effluvi femminili, brama di sacralità, in lei avvertii inconfessabile mitezza, desiderio di soddisfare appetiti fondamentali e sincera commozione. Non mi permise di risponderle che la veneravo, mise una mano sulla mia bocca. “Ti amo ma presto non potremo più vederci, mio mar… quello sta sospettando qualcosa, è furbo, poco intelligente ma furbo, non gli interessa tanto per me, ha nugoli di ronzanti sgualdrinelle attorno, ma la sua posizione… sta arrivando molto in alto… ed io devo farlo per te, potresti trovarti in guai seri, è gente maleducata…”
L’ultima volta che la vidi si presentò con l’amica, quella che avevo quasi a fianco, era il suo alibi più sicuro, trascorremmo una serata a tre in un delirio di onnipotenza tutto nostro.
Non mi accorsi che il cameriere stava chiedendomi se desideravo assaggiare i dolci della casa appena sfornati.
– “Vuoi che ci facciamo fare le scarpe da quattro fottuti decisi a rovesciare il mondo? Affiancati da intellettualoidi da strapazzo? Che cazzo gli hai risposto a fare?”
– “Pensavo…”
– “Tu a quello non devi rispondere, in particolare se scrivi sciocchezze, ti massacra, lascia perdere. Ok?”
– “D’accordo, ma…”
– “Niente ma! Voi non dovete più pensare, se mai l’avete fatto, scrivete ciò che diciamo noi, nei modi e termini che già sapete, cercate di non fare dell’ingenuità una valore. Cameriere!”
All’istante si materializzò il gestore, con cautela depose aperta sul tavolo una cartellina in cuoio, questi firmò il conto e ritirò la credit card consegnata in precedenza. Si alzò di scatto come avesse una molla sotto il sedere e schiaffò il tovagliolo in malo modo tanto che finì sulla sedia ammucchiato, sudicio da far ribrezzo. L’altro fece lo stesso con garbo, le signore con eleganza e indolenza tanto da innervosire il “potere”. Il responsabile salutò accennando un inchino mentre la compagnia si diresse verso l’auto blu in attesa, doppie frecce accese, lampeggiante sul tetto, vetri oscurati, guardie del corpo, quelle che ho descritto in un mio articolo “I replicanti”, nugolo di curiosi distanziati dalle transenne.
Li osservai allontanarsi, lei rimase un po’ indietro e procedendo faceva cenni con il capo, come volesse girarsi. Quando si voltò ci scambiammo uno sguardo da far aprire il cielo, i suoi occhi erano umidi, la sbavatura del rimmel e una lacrima che scese lungo la mia guancia tradirono la verità, la vita, l’amore.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Nota: Questo racconto è frutto della fantasia dell’Autore. Ogni riferimento a persone e cose reali o esistite è da considerarsi puramente casuale.

Immagine in evidenza – A sinistra: Egon Schiele, fanciulla in ginocchio, 1917 – A destra: Claudio Bindella , olio su tela

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