Dario Rossi Speranza, 16 luglio 2018, elogio inserito quale presentazione a “PULSIONALE POESIA III MILLENNIO” “2a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma
Mauro, sei proprio una cara persona, ricca di risorse e sorprese, come non volerti bene, il tuo magma intellettuale si auto produce senza pause in gran profusione e così accade che la tua copiosa messe venga giù come un fiume carsico che filtra in ogni dove e non conosce ostacoli. In questo tuo precipuo tratto ti vedo, se me lo concedi, molto somigliante nell’impeto, nel volume, nel massivo impatto e nella “follia” al geniale padre di Zarathustra, novello Nietzsche postmoderno, anche alquanto nichilista ed esistenziale, con il quale condividi la gran Virtù di scrivere argomentare e produrre Senso anche “senza pensare” come confessava alla sua rigorosa Coscienza il gran pensatore di Röcken. Ma non sarò certo io a censurarti nella tua iperattività caro amico mio, perché noi siamo involontari complici nell’aggressione totale ai Saperi ed alla Conoscenza. Siamo troppo simili per non sostenerci a vicenda sino all’ultima strenua parola immagine o pensiero! Anche se il Filosofo asseriva che “nessuno è perfezione”, noi tendiamo sovente a quella, la lambiamo pericolosamente e siamo costantemente molestati dal suo pensiero. Ma non per nutrire scioccamente i nostri rispettivi Ego, giammai potremmo essere vanagloriosi o peggio narcisi, ma solo per rendere più fruibile ed allettante la nostra produzione e per sopravvivere a noi stessi provando a vincere la Caducità dell’Essere, dell’Esistere e delle Cose tutte attraverso la Ricerca senza tregua nella Bellezza, Verità e Conoscenza Universale, che da Forma incolore senza consistenza quale oggi noi siamo si traduca in Essenza primigenia di ogni inizio, a dispetto di quel Dio troppo assente nella drammatica Vicenda Umana…
Dario Rossi Speranza, New York/Milano for Mauro Giovanelli.
Angelo Pulpito, 20 giugno 2016, pensiero critico
“TRACCE NEL DESERTO” di Mauro Giovanelli
1a Edizione – Pubblicazioni
Libro variegato, molteplice, che tiene desta l’attenzione del lettore poiché la vita che scorre è fermata in attimi poetici, in prosa, in riflessioni. L’attenzione è sempre presente pagina dopo pagina “Tu… eri ancora un sogno errante tra i miei pensieri….”,“Mi sono fermato un istante a pensare…”, mentre l’esistenza dell’autore si dispiega in rivoli molteplici in cui il fiume della vita scorre e diviene. Venature filosofiche si spargono nei versi, ricordi, malinconie, amori ammantati di un mondo reale e surreale nel frattempo. Ma, forse, una recensione limita enormemente la creatività dell’autore di quest’affascinante libro per cui preferiamo che siano gli stessi lettori ad apprezzare il contenuto artistico e la capacità espressiva. Sicuramente da leggere tutto.
Angelo Pulpito per “Tracce nel deserto” di Mauro Giovanelli
L’articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2016 da “MEMORIA CONDIVISA” sito www.memoriacondivisa.it
Sospesa la vendita, in preparazione 2a edizione 2023/2024
E voi, “credenti”, “fedeli”, “religiosi”, continuate a pregare, e mentre lo fate, in ginocchio, con la fronte sul pavimento, attaccati al muro, in qualunque maniera vi è stato insegnato, pensate fortemente che in questi ultimi duemila anni e spiccioli sono accadute le peggiori atrocità: l’olocausto, la “Santa Inquisizione”, le “crociate”, Hiroshima e Nagasaki, deportazioni, torture, schiavismo, annientamento di etnie (quella dei nativi delle americhe la più devastante e veloce), due guerre mondiali, conflitti ovunque fra eserciti guidati da “grandi condottieri”, “eroi”, “conquistatori”, e scontri su campi di battaglia trasformati sempre più in cimiteri al milite ignoto e arcinoto…
Pregate pure, tanto poi, con le commemorazioni, c’è sempre qualcuno addetto a ripulire le coscienze dei vivi.
Mauro Giovanelli – Genova
VENTO IDIOTA (IDIOT WIND) SENZA PERDERE LA TENEREZZA
Il Pontefice ha lasciato Cuba esortando il popolo, i governanti, e la Nazione tutta alla “rivoluzione della tenerezza”. Bella persona papa Francesco, da religente quale sono, è la prima volta che provo emozione di fronte al capo della Chiesa Cattolica, e massimo rispetto: la borsa che si porta appresso un po’ logora, modesta, gonfia, la gestualità dell’uomo semplice, le scarpe nere “comode”, pianta larga e suola robusta, la papalina sempre in equilibrio precario che non sopporta. È una persona che “cade”, non teme di mostrare la sua vulnerabilità. Quando è incespicato mentre saliva la scaletta dell’aereo, mi ha strappato dalla mente la considerazione che in quell’istante non c’era alcun Simone di Cirene a raccogliere la croce, neppure una Veronica a detergergli con un panno di lino il volto sporco di sudore e sangue, che ha dentro di sé, nella sua solitudine. Lo vedo un uomo isolato nella battaglia che conduce per cercare di cambiare l’umanità. Si è alzato da solo, senza aiuto alcuno, con orgoglio, naturalezza e volontà incredibili. Soprattutto mi colpisce il suo sguardo sincero, aperto, con un’ombra di malinconia, sconforto, che ti dilania, penetra i tuoi dubbi, vorresti abbracciarlo, sento che ha necessità di aiuto, avverto che vive la sua fede con profonda convinzione, ma ho l’impressione che allo stesso tempo si renda conto quanto potrebbero essere vani l’impegno e la dedizione che profonde nella missione che gli è stata assegnata.
Il Vicario di Cristo si è poi recato negli USA presentandosi dinanzi al Congresso e successivamente al Palazzo dell’ONU, immagino portando alla Nazione più potente della Terra e a tutti i “governanti” lo stesso messaggio, il richiamo alla rivolta dell’amore.
Tenerezza! Deve essere una parola “magica”. Ha subito indirizzato il mio pensiero a una delle migliori e più complete biografie su Ernesto Che Guevara, giocatore di rugby, appassionato di scacchi, eccellente poeta, ottimo fotografo, medico competente specializzato in allergologia, appassionato lettore che passava con disinvoltura da Jack London, Jules Verne ed Emilio Salgari ai saggi di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung fino ai trattati filosofici di Bertrand Russell, sebbene l’esempio che lo attirasse di più fosse Mohandas Karamchand Gandhi conosciuto come il “Mahatma” ossia “Grande Anima”. Fu anche un provetto motociclista tanto che con la sua Norton, cui fu dato il soprannome di “La Poderosa II”, dopo la laurea viaggiò per tutto il Sudamerica, Bolivia, Ecuador, Panamá, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala. A proposito della più importante guida spirituale dell’India, che teorizzava e praticava la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa fino a regalare l’indipendenza al suo Paese, Ernesto Guevara, dopo aver visto la povertà delle popolazioni che incontrava ed essere stato influenzato dalle letture sulle teorie marxiste, concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell’America Latina coltivando il sogno di vedere un giorno il Sudamerica come un’unica entità. Per arrivare a ciò riteneva quindi necessaria una strategia di ampio respiro che non poteva certamente identificarsi con la “non violenza”. Nell’itinerante momento della sua vita si fermò per prestare attività di volontariato presso il lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni. Quanti sono i legami che ci uniscono tutti! E lavoriamo solo per scioglierli. Basta una semplice parola, un gesto onorevole, per fare collegamenti impensabili, intessere una tela di bei gesti tutti mirati al bene comune, la fratellanza e la solidarietà… e l’amore. Almeno così capita a me. San Francesco! Che nel 1203/4, dopo la sua conversione maturata nel 1154 a seguito dell’esperienza della guerra fra Perugia guelfa e Assisi ghibellina, quest’ultima soccombente dopo la sconfitta nel 1202, e la conseguente prigionia, rimase sconvolto a tal punto da indurlo a un totale ripensamento della sua vita. Da lì iniziò un cammino di mutamento che col tempo lo portò “a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore”. Ciononostante pensò di partecipare alla Crociata, quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere a questa missione era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d’Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente ed ebbe un profondo ravvedimento. La malattia potrebbe essere stato un “segno” per far sì che non fossimo privati di questo santo? Il fatto è che Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare e in lui germogliò un crescente senso di compassione, che gli ispiravano i deboli, i lebbrosi, i reietti, gli ammalati, gli emarginati che si sarebbe trasformato poi in una vera e propria “febbre d’amore” verso il prossimo. In questo senso, e non solo, uno degli uomini più “illuminati” della nostra epoca, Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore e regista, un genio dell’erudizione mondiale, che mai è citato dai mass media o dalla TV ed è tenuto pure ai margini della cultura ufficiale, come non fosse esistito, diceva: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci saranno né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui”.
Sta di fatto che Francesco, amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso il lebbrosario di Gubbio, intitolato a “san Lazzaro di Betania”, restando con i lebbrosi e servendoli con estrema cura. Dunque il “Che” nel lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni, san Francesco 750 anni prima a prestare la stessa opera in Toscana, Pasolini a percorrere negli anni ‘60 le polverose periferie di Roma nell’estenuante ricerca di un perché alle ingiustizie di questo Mondo. Ciascuno spinto dalla necessità di tenerezza.
A volte penso che sia tutto inutile e sono assalito da una profonda afflizione. Mi domando se quanto è detto negli incontri fra Capi di stato, dai “politicanti”, sui quotidiani o nei dibattiti televisivi, nelle omelie pronunciate nei funerali dei morti ammazzati per i motivi più abietti, seguiti da applausi al passaggio dei feretri, insomma questa marea di bla, bla, bla in fondo non sia altro che parole al vento, un vento idiota, “Idiot wind” come cantava Bob Dylan negli anni ’70, che lasciano il tempo che trovano. L’ultima strofa di questa poesia/canzone dice “…vento idiota che soffia tra i bottoni dei nostri cappotti, che soffia tra le lettere che abbiamo scritto, vento idiota che soffia tra la polvere sui nostri scaffali, siamo degli idioti, bambino, è un miracolo persino che riusciamo a nutrirci da soli”.
Il resto lo conosciamo tutti, o quasi, ma il punto è rispondere alla domanda che di certo vi state ponendo, cioè per quale motivo mi sono infilato in questo discorso. Perché sono convinto che il Santo Padre conosca la vita e le opere del grande talento italiano che trovò la morte nella notte tra il 1mo e il 2 novembre 1975, ucciso in maniera brutale, percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma, “crocifisso” da un balordo, uno dei tanti “ragazzi di vita” che voleva salvare. Credo che il Vicario di Cristo apprezzi anche il menestrello del Minnesota, il poeta del country e del rock, non è mica uno che porta calzature di vernice rossa griffate Prada. Neppure ho dubbi che il papa non abbia letto la biografia sul braccio destro e consigliere di Fidel Castro, redatta da “Paco Ignacio Taibo II” e che consiglio pure a voi di dare un’occhiata. L’autore scrive: “Ernesto Che Guevara continuerà a farmi visita nei sogni, rimproverandomi come mai non sono in qualche parte del Mondo a costruire una scuola”. Il titolo del libro? Dimenticavo: “Senza perdere la tenerezza”.
@Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web – Fotomontaggio eseguito dall’Autore
L’articolo “VENTO IDIOTA (IDIOT WIND) – SENZA PERDERE LA TENEREZZA – Versione 2” è stato pubblicato il 5 luglio 2015 sul sito www.memoriacondivisa.it e inviato a Papa Francesco il 1° ottobre 2015. Di seguito la sua risposta: Egr Signore Sig. Mauro Giovanelli via______________ 16129 GENOVA GE
La Segreteria di Stato porge distinti ossequi e, nel comunicare che quanto è stato inviato al Sommo Pontefice è regolarmente pervenuto a destinazione, esprime a Suo nome riconoscenza per il premuroso pensiero e Ne partecipa il benedicente saluto.
Ho proposto questo pezzo per ringraziare Francesco della Sua attenzione. Allo stesso tempo mi pongo diverse domande ma, per non dilungarmi troppo, al momento desidero solo rendervene partecipi aggiungendo una riflessione: mi chiedo se in questo Paese il Pontefice non sia l’unica figura rassicurante. Sono certo di sì. I traumi che quotidianamente la politica ci impone diventano ogni volta più grevi. Altra considerazione, per quanto mi riguarda, è che nel quarantesimo anniversario della sua morte non credo ci sia miglior riconoscimento per il grande Pier Paolo Pasolini se non quello di essere entrato, pur nelle poche righe delle quali vi suggerisco la rilettura, all’interno della società occupando il posto che gli compete fra coloro che si sono spesi, e si prodigano tuttora, nella ricerca della tenerezza.
Mauro Giovanelli – Genova
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Mauro Giovanelli – Genova
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Alle nuove generazioni (La guerra in Ucraina, poi la Palestina, e poi…)
Forse dovreste sapere che non è come pensate che sia, non esattamente almeno, perciò sarebbe bene guardaste a noi con riguardo, considerare chi e che cosa siamo, cogliere per intero il nostro vissuto, non solo la dissonanza che oggi contrasta con i vostri fuggevoli suoni, e nell’armonia vi accorgereste delle speranze, i sogni, gli attimi vissuti, ogni desiderio e conquista, i rimpianti, tutti acuti che esistevano molto prima dell’inizio, erano da qualche parte, preconfezionati, fugaci puntini, chissà quanti, illimitate note di uno spartito immutabile eppur mutevole, un po’ come il luccichio dell’albero di natale, intermittenza molto più complessa però, posta fra righe e spazi di una partitura le cui chiavi prevedono infinite posizioni, immisurabili toni determinati da un disegno inesplicabile che dovreste sforzarvi di decifrare anche per noi, quindi non fermatevi alle apparenze, approfondite, esaminate i fatti, le cause, se abbiamo mancato è per ingenuità, ci hanno imbrogliato, ecco perché dovrete fare ancora più attenzione, quando si sviluppa un mostro sono tanti quelli che l’hanno cresciuto, di più ancora coloro che ne traggono un vantaggio, il tempo è sempre più veloce e il potere arriva ovunque, non lasciatevi corrompere dall’informazione veloce, il comunicato lampo, la verità è ogni volta più lontana, distorta, complessa, pensate di vostro, ponderate, tirate le somme, anche voi sarete chiamati a render di conto, sognate almeno fino a quando il cielo sarà luce pura.
Dario Rossi Speranza, 16 luglio 2018,
elogio inserito quale presentazione a
“PULSIONALE POESIA III MILLENNIO”
“2a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma
Mauro, sei proprio una cara persona, ricca di risorse e sorprese, come non volerti bene, il tuo magma intellettuale si auto produce senza pause in gran profusione e così accade che la tua copiosa messe venga giù come un fiume carsico che filtra in ogni dove e non conosce ostacoli. In questo tuo precipuo tratto ti vedo, se me lo concedi, molto somigliante nell’impeto, nel volume, nel massivo impatto e nella “follia” al geniale padre di Zarathustra, novello Nietzsche postmoderno, anche alquanto nichilista ed esistenziale, con il quale condividi la gran Virtù di scrivere argomentare e produrre Senso anche “senza pensare” come confessava alla sua rigorosa Coscienza il gran pensatore di Röcken. Ma non sarò certo io a censurarti nella tua iperattività caro amico mio, perché noi siamo involontari complici nell’aggressione totale ai Saperi ed alla Conoscenza. Siamo troppo simili per non sostenerci a vicenda sino all’ultima strenua parola immagine o pensiero! Anche se il Filosofo asseriva che “nessuno è perfezione”, noi tendiamo sovente a quella, la lambiamo pericolosamente e siamo costantemente molestati dal suo pensiero. Ma non per nutrire scioccamente i nostri rispettivi Ego, giammai potremmo essere vanagloriosi o peggio narcisi, ma solo per rendere più fruibile ed allettante la nostra produzione e per sopravvivere a noi stessi provando a vincere la Caducità dell’Essere, dell’Esistere e delle Cose tutte attraverso la Ricerca senza tregua nella Bellezza, Verità e Conoscenza Universale, che da Forma incolore senza consistenza quale oggi noi siamo si traduca in Essenza primigenia di ogni inizio, a dispetto di quel Dio troppo assente nella drammatica Vicenda Umana…
Dario Rossi Speranza, New York/Milano for Mauro Giovanelli.
Era il 20 luglio 2001, uno dei due registi di quei fatti sarà ritenuto meritevole del funerale di Stato, all’altro solo una casa a Montecarlo. Come passa il tempo…
L’essere umano non è nato – filosofeggiando si potrebbe persino dire “progettato” – per mantenere un’opinione fissa, costante, egli è una sorta di ossimoro vivente, un coesistere di opposti nel tempo… ed è bene che sia così. Si potesse indagare scrupolosamente nel passato di quelle persone che affermano con risolutezza di avere sempre la stessa opinione su un’idea o un concetto, si scoprirebbe quanto dicano il falso, spesso senza neppure averne coscienza.
L’uomo – infatti – è frutto degli eventi, delle esperienze e spesso in lui convivono termini contradditori, ossimori appunto, idee e pensieri totalmente contrastanti che pur tuttavia vivono in perfetto equilibrio poiché costretti ad attraversare i veli del tempo.
Questo ci porta alla riflessione che in alcune menti più illuminate, ossia predisposte a un’apertura intellettiva – potremmo dire metafisica – che vada oltre il loro essere per abbracciare un infinito dal senso più alto, lo stravolgimento delle percezioni sia qualcosa d’impossibile da evitare, una vera e propria impellente e predestinata necessità.
Mauro Giovanelli appartiene a questa categoria di uomini che costantemente mettono in discussione il tutto: non sono mai paghi di porsi domande e nel mantenere punti fissi quei valori imprescindibili, particolarmente capaci di orientarli pur lasciandoli liberi di sperimentare, sono alla continua ricerca di una forma per misurare la sostanza dell’essere, consapevoli della sua transitorietà poiché costantemente in divenire.
Nasce così “Pulsionale poesia III Millennio – L’amore da qui all’eternità”, una silloge che affonda le sue radici nella vasta produzione dell’Autore rispondendo all’urgenza di inserire il nuovo anelito di vita in un contesto amico, familiare, confortevole qual è, appunto, la serie delle sue opere.
Perché questo?
Ce lo svela lo stesso Autore in un verso che dice tutto, che sa d’infinito: “Abbiamo ancora futuro” in chiusura della lirica “Nessuna messa è detta”.
Ecco, la creazione poetica di Mauro Giovanelli fa pensare a un’opera futuristica com’è stata “Forme uniche della continuità nello spazio” di Boccioni, solo che qui è applicata alla scrittura: un movimento perpetuo elegiaco che va verso il divenire, ma nella materica essenza che si rinnova pur senza destrutturarsi. Allora ritroviamo quel sentire familiare nella presenza “femmina”, selvaggia eppure innocente, che trascende in maniera estatica il sentimento – anche carnale – che nulla ha da invidiare alla purezza di un giglio virginale, un’essenza allo stesso tempo tentatrice e timida, riservata (torna l’ossimoro), anch’essa a suo modo caposaldo esistenziale perché il groviglio di sentimenti e sensazioni che la donna fa nascere nell’Autore si dipana come un albero della vita, le cui fronde e le cui radici affondano nel compiuto.
[...] quante volte ho trascorso la primavera
a fare progetti, vagheggiare sul futuro,
adesso ne ho quasi paura,
passo il tempo nel ricordare
ogni proposito toccato e svanito,
m’impigrisco nella nostalgia
quasi fosse la sola distrazione,
forse indolenza, cronica malattia,
timore di fare del male, riceverlo
ricadere nella sana follia. [...]
(Orizzonti)
A fare da sfondo è una natura umana impervia, estrema, in cui le forze ataviche implodono, più che esplodono, dove persino i segni di civiltà – porti, strade, città, costruzioni… – hanno un non so che di artefatto, come se vivessero di un riverbero fuori dimensione, a conferma di quel senza spazio e senza tempo (più che a-spaziale e a-temporale) tanto caro all’Autore.
La sfumatura nuova che avvertiamo in quest’opera è una presenza animica più ponderata, riflessiva, come se Mauro Giovanelli al momento si trovasse coinvolto in una meditazione più consapevole e cosciente, che richiede di fermarsi per andare avanti: sembra essere giunto il tempo di edificare un pensiero che non possa essere portato via dalle alluvioni della vita che con la loro violenza colpiscono nella quiete delle giornate e travolgono tutto, senza rimorso, senza rimpianto, lasciando una distruzione inspiegabile e spesso dolorosamente senza risposta.
[...] pianti pietrificati
in un solo momento
che lungo il filo invisibile,
inesistente, dell’implacabile
curvo orizzonte scorre
come vento generato
da un dio sussistente
unicamente per ricordarmi,
alla fin fine,
essere solo a giocare
la mia partita
con infinito e nulla,
avversari senza volto
e grande abilità
nel mischiare le carte [...]
(Panico)
Ecco la necessità di una silloge definitiva frutto di un ulteriore lavoro di limatura che sembra appunto ripulire il pensiero dai detriti del tempo restituendo se non le fattezze originali perlomeno quel che si è salvato, perché non sempre è possibile recuperare se non ponendo l’accento su ciò che è ora, quel qui e adesso tanto caro alla filosofia come alla psicanalisi.
[...] Per egoismo avevo puntato tutto
su uno sguardo, senza considerare
il dolore dell’anima
che mi stava di fronte,
non me ne accorsi,
e lì mi ero perduto,
e parlai di questo
il giorno dopo, allo specchio,
mentre sistemavo il ciuffo ribelle,
pronto a calpestare altri sentieri
che si stavano aprendo,
e li avrei percorsi uno a uno
con insolenza, indifferente,
neanche fossi stato il vincitore. [...]
(Nessun vincitore)
C’è una consapevolezza più matura fra queste pagine, talmente profonda da essere quasi serena, un’accettazione sincera dell’imponderabile che ricorda moltissimo l’ultima produzione di David Maria Turoldo, quando la morte quasi imminente non era combattuta ma accettata e condivisa quale compagna di viaggio dischiarante un cammino che ora si faceva luminoso, nella sua comprensione totale.
L’imponderabile diventa evidente, quando si comprende che non è possibile fare altro che affidarsi, lasciarsi andare, certi che quella mano che sempre è stata appoggiata alla nostra spalla è ora pronta anche a sorreggere, in una stretta più percepibile ma ancora lontana nel suo ultimo abbraccio finale.
[…] è quando ci coricammo sul prato,
io ti venni sopra, mai potrò dimenticare
il morbido spessore, sì la consistenza del tuo corpo,
da quel momento tutto fu chiaro, come una rivelazione
che mi avrebbe accompagnato per sempre,
la distanza intendo, lo stacco, proprio così, cioè il tuo
frapporti, tenermi discosto dal terreno, proteggermi,
non è facile dirlo, neppure pretendo d’esser capito,
mi riferisco al fatto che esisti, e in virtù di ciò sto separato
dall’abisso, sei scudo fra me e l’ultima dimora, la differenza
tra la vita e la morte, spero ti giunga il mio pensiero… […]
(Il tuo spessore)
La parola, dunque, diventa quel supporto, quello strato a protezione di noi e tutto il resto e nuovamente l’Autore ci indica la strada in questo senso utilizzando un’immagine di grande potenza, dove una metaforica giovane donna, che proprio in quella sua freschezza diviene vita, si frappone tra il compagno e quel mondo che può essere tutto, diventando l’aiuto che ci permette di osare, di affidarci preservati dall’ignoto, a volte minaccioso, venendoci in soccorso dandoci una difesa che è però conforto, amore, piacevolezza… vigorosa presenza quasi sovrannaturale.
Nuovamente arriviamo all’ultima pagina tracimanti di vibrazioni che se da una parte ci lasciano storditi per la loro pienezza, dall’altra non possono che integrare – nuovamente e con più forza – il non detto in noi che chiede risposta.
Pamela Michelis
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