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IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI (Lo sguardo del topo)

Mauro Giovanelli
IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI
(Lo sguardo del topo)

6a edizione – pagg. 178
codice ISBN: 9788892306882

si può acquistare:

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Presentazione

Yuzaf non è asceso al cielo come ci viene raccontato. In cerca di una risposta impossibile, almeno quanto lo sarebbe stato il dubbio che lo avrebbe colto durante il supplizio, lamentando l’abbandono del Padre, ha invece continuato a vagare tra le dimensioni del reale e del fantastico. Questa la sua missione, la croce alla quale sembra condannato dalla stessa natura di cui è composto, che gli fa incontrare altri “inverosimili” come lui: Corto, Srinivasa, Ramòn, Judex, dando vita a una ratatouille filosofica in salsa spirituale, insaporita con un melting pot delle migliori spezie antropologiche, raccolte dall’Autore ai crocevia della vicenda umana, nella sua mente, lungo le sconfinate praterie dell’investigazione fantastica…
Bene e Male, Divino e Umano, sono le invisibili sbarre della gabbia di Mānī che imprigionano il pensiero di Yuzaf nella speculazione dell’Oltre, lo costringono a surreali dialoghi con personaggi della storia e della fantasia che cucineranno a fuoco lento le convinzioni del lettore fino a dissolverle con la sola spiegazione alla nostra portata. Le molecole letterarie dell’opera sembrano formate da atomi privi di legami, gli elettroni saltano dall’orbita di un nucleo all’altro, collidono, rilasciano quanti di energia che riempono di tracce luminose l’etere della narrazione: preziose indicazioni che, per il lettore attento e motivato dalla ricerca terrena e spirituale, rappresentano la segnaletica del sentiero che conduce a concepire l’inspiegabile.
La ricostruzione storica e filosofica della religione sotto l’aspetto di “urgenza esistenziale” è accurata, onesta, priva d’intenzionalità alcuna di negare o affermarne l’esattezza, lasciandoci liberi di manovrare il leggìo a nostro piacimento per interpretare i manoscritti che su esso via via si alternano e incrociare lo sguardo del topo al fine di rispondere come possiamo a una domanda priva di senso: “qual è la verità?”
Alessandro Arvigo scrittore – Palermo

Premessa

Questo racconto è la naturale prosecuzione di “Ecco perché Juanita”, un’antologia elaborata nel 2012 decisamente originale nella composizione al punto che non trovavo termini adatti a definirla. Per descriverne la “costruzione” decisi di utilizzare il verbo “comporre” vale a dire “mettere insieme varie parti allo scopo di costituire un tutto organico”1 e “produrre, realizzare un’opera di carattere letterario o artistico in generale”2. Invece conclusi che il termine più adeguato a designarla fosse proprio “libro” intendendosi con tale parola “volume di fogli cuciti tra loro, scritti, stampati o bianchi”3. Desidero ricordare che, con tutto il rispetto, la parola Bibbia significa insieme di generi letterari diversi. Non è casuale che “biblia”, dal greco biblos, la corteccia interna del papiro che cresce sul delta del Nilo, utilizzata per produrre materiale scrittoio, sia un plurale che indica l’insieme di opere scritte e narrate (nella Chiesa greca dell’epoca di Giovanni Crisostomo4 si cominciò ad usare l’espressione “Ta Biblìa”, che significa “I libri”). Infatti il Vecchio e Nuovo Testamento sono insiemi di elaborati vari per origine, genere, compilazione, lingua e datazione, prodotti in un lasso di tempo abbastanza ampio, preceduti da una tradizione orale più o meno lunga e comunque difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito a partire dagli inizi della nostra era. In parole povere la prima grande raccolta, copiatura e forse pure sofisticazione della storia.
Tornando a “Juanita” dico che l’idea della sua realizzazione si insinuò nella mia mente quando decisi di riunire diversi e preziosi frammenti della letteratura (sottotitolo “arabesco letterario”) di circa cinquanta autori e un centinaio di brani e citazioni disponendoli all’interno di una narrazione secondo il mio gusto. Occorreva solo una base di appoggio. Quale migliore “cronologia” potrebbero regalarci altri capolavori che non siano “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” del grande Saramago, seguito da “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov per agganciarlo a “Il Procuratore della Giudea” di France e concludere con “Il Grande Inquisitore” di Dostoevskij? Nessuno! Un’avventura lunga 1700 anni.
Saramago descrive la vita di Gesù con una autenticità da lasciare senza fiato, ineguagliabili lo stile e la prosa. Nel suo Vangelo neppure viene sfiorata la personalità di Ponzio Pilato in quanto marginale al messaggio che l’autore ci ha compiutamente trasmesso. Per approfondirne la figura siamo quindi costretti ad immergerci nelle strabilianti pagine di Bulgakov dove il procuratore della Giudea viene assalito dal rimorso per una condanna decretata suo malgrado; la collera verso sé stesso lo dilania, realizza di essere entrato nel mito dalla porta sbagliata e la sua propria ignavia (qui ci sarebbe da discutere) lo inchioderà per sempre nella penombra del porticato, dietro la brocca del servitore che versa l’acqua sulle sue mani sudate. Che ne sarà di lui? Allora lo seguiamo nell’epico “Il procuratore della Giudea” di Anatole France dove, vecchio e dolorante, si reca ai Campi Flegrei per curare la gotta che lo tormenta. I tempi del fasto e del potere li ricorda con il fedele e ritrovato Lamia che, riferendosi al Cristo, gli chiede: “Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?” ed egli risponde: “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non ricordo”5. Non ricordo… perché? Amnesia senile? Inconscia rimozione di una rievocazione ostica? Menzogna? Indulgenza divina? Non lo sapremo e il Gesù de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskji6, che chiude il mio saggio, non dice alcunché in proposito. Essendo stato vano il sacrificio estremo, Egli torna in questo mondo per riparare l’errore senonchè, riconosciuto e incarcerato dal Grande Inquisitore, non pronuncia una sillaba durante l’eccitazione verbale dell’aguzzino che a sera si reca nella cella per comunicargli la condanna al rogo. Il confronto tra i due si trasforma in un delirante monologo del prelato. Cosa rappresenta l’unica risposta del Nazareno, il bacio sulle labbra del suo persecutore con cui suggella il loro incontro? Quali potrebbero essere stati i pensieri di Yuzaf nel momento in cui, graziato per tale gesto, si diresse verso nuovi orizzonti? Dove sarà andato? Che panorami gli si apriranno? Come esplorerà l’intrico che custodisce l’oggetto della sua ricerca?
La reinterpretazione delle Scritture? Il leggìo a nove posizioni?
Mauro Giovanelli -Genova

P. S.
A parte alcune citazioni, avrei potuto omettere diverse note pie’ di pagina della cui inutilità sono convinto. Ho preferito inserirle ugualmente.

Due righe su me medesimo

Potrebbe essere un buon libro, o una cosa insensata, una tesi, componimento, anche una favola. Comunque credo sia una discreta idea in quanto scaturisce da una esigenza che risulta difficile spiegare. Ritengo però di conoscerne la causa: una memoria eccellente (solo per ciò che trovo interessante) che mi accompagna ovunque. Lo strumento invece sono le buone letture, mie fedeli amiche fin dall’infanzia merito l’educazione ricevuta da mamma, papà e la sorella maggiore. Quindi da “Pinocchio”, “Un capitano di quindici anni” o “Il corsaro nero” piuttosto che “Il barone di Munchausen” e “Il tesoro della Sierra Madre” sono precocemente saltato, usando i punti di appoggio dei Cronin, Vicki Baum e l’indimenticabile “Il villaggio sepolto nell’oblio” di Theodor Kròger, ai Melville, Cervantes, “La saga dei Forsyte” poi ancora “L’amante di lady Chatterley” e tanti altri della famosa superba collana Omnibus Mondadori. Quanto ero attratto dalle illustrazioni delle copertine! Approdare poi, in breve tempo, ai Calvino, Cassola, Moravia, Pratolini, Fenoglio, Pavese e… Pasolini, seguire le tracce di Hemingway e Caldwell per passare ai “maledetti americani” del calibro dei Ginsberg, Burroughs e Kerouac è stato facile perché inevitabile. I dissociati da questi ultimi, o “seconda generazione”, quelli del tipo Bukovski, Henry Miller, John Fante tanto per intenderci, hanno avuto un particolare irresistibile fascino, la mia personalità ne è stata influenzata non poco. Sbarcare sui classici russi, i francesi Camus, Mauriac e Sartre, i tedeschi tipo Gunter Grass, il portoghese Fernando Pessoa, i latino-americani della statura di Márquez, gli ebrei americani alla Philip Roth, i Cormac McCarthy, e… continuo? È stato utile per sfociare infine nella filosofia alla ricerca di risposte impossibili. Per quelli della mia generazione Marcuse è stata una tappa obbligata. Se aggiungo che il 27 febbraio 1945 sono nato a Genova dove risiedo, sposato, due figlie, due splendide nipotine. Che nel mio percorso mi sono stati affidati diversi lavori “importanti” che ho portato a conclusione con afflizione mentale (a me parevano inutili) e nel frattempo scrivevo, leggevo… mi sono stati assegnati incarichi e mansioni di responsabilità che non avrei voluto avere, ho viaggiato molto e, a parte una certa predisposizione per “L’apparato umano” (ho adottato il titolo dell’unico libro scritto da Jep Gambardella ne “La grande Bellezza”) femminile che non è il caso di approfondire… intanto leggevo, scrivevo, e scrivo… ecco che ho completato la mia biografia.
Mauro Giovanelli – Genova
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I TRE MOSCHETTIERI – Alexandre Dumas (per raccontare un po’ di me)

I TRE MOSCHETTIERI – Alexandre Dumas
(per raccontare un po’ di me)

Nella vita mi è accaduto, e succede tutt’ora come certamente capiterà a ciascuno di voi, di incontrare individui, anche virtualmente, che disturbano, emettono riverberi negativi, lo si avverte subito, all’istante poiché, come le onde gravitazionali appena rilevate, attraversano il tuo “essere” lasciando segni negativi nel cuore, incidono sull’educazione ricevuta, ti domandi il motivo per cui tale e tanta ignoranza, incapacità di riflettere, pensare, ragionare si possa concentrare in una sola persona.
Tra l’altro nel tentativo di ferirti, essendo questo il loro unico obiettivo e scopo di vita per trascinarti nell’alveo melmoso in cui si riproducono, gli appartenenti a questa tribù ti apostrofano (considerandoli epiteti) con “PROFESSORE” o “INTELLETTUALE”, evidenziati così, in maiuscolo, che sta a significare lo scritto urlato.
Io sono professore, ho insegnato alcuni anni alle medie superiori, sono un intellettuale poiché fa parte di me, ho svolto pure incarichi di prestigio e comando nelle aziende e nell’esercito e, a causa di ciò, ho avuto accesi confronti con sindacati che abusavano del loro potere, li avevo avvertiti di questo, non mi hanno ascoltato ed ora contano meno di zero.
Mi relaziono anche con scrittori e giornalisti, artisti, ecc. Adesso i mediocri diranno: “Ma va! Chi è costui?” Senza ovviamente sapere chi fosse Carneade. Rispondo subito:
Per diversi anni trascorsi lunghi periodi estivi in villa, nell’entroterra genovese. Avevo incaricato un contadino, viveva solo in una baracca poco distante, di gestire giardino, terreno e quant’altro durante la mia assenza. Aveva la terza elementare e spesso lo invitavo la sera a bere qualcosa con me, di fronte al caminetto acceso si chiacchierava di ogni cosa, era un vero piacere ascoltarlo, la sua vita, esperienze, i segreti del bosco, come riconoscere una pianta, il canto degli uccelli, il rumore del vento, viceversa lui stava a sentire le mie iperboli, con interesse non comune, e capiva, rimaneva affascinato, mi poneva domande, argute, intelligenti; facevamo le ore piccole a conversare. Costui era un intellettuale e filosofo a sua insaputa. Io sono così e ho cercato di condividere questo caro ricordo per illustrare il metro che adotto nel valutare i miei simili. Lo stesso criterio ho applicato in giro per il mondo, da est a ovest, nord e sud, ancora adesso, sempre affascinato dagli ultimi, come l’inarrivabile Pasolini che, è vero, aveva l’accento friulano, come tanti nostri politici il loro, solo che… lui era Pasolini.
Adesso mi è capitato di incrociare (solo via etere per mia fortuna) una “signora”, non ricordo il nome, ma dal suo modo di porsi si evince l’ignoranza, mancanza di intelligenza, cultura ai minimi termini, maleducazione, volgarità assoluta, priva di un solo barlume di stile, in poche parole una che, senza alcun senso, lancia fendenti a vanvera, a destra e manca, come se si confrontasse in duello a fianco dei tre moschettieri che solo lei vede (da qui il titolo del mio pezzo) come eroi, personaggi certo (immaginari) ma comunque al servizio del Potere. Penserà di essere una d’Artagnan della conoscenza.
Personalmente mi accosto più a Don Chisciotte, scrivo cose sul Potere che altrove non vedo così “dirette” e sono orgoglioso di essere stato definito “Bukowskiano”, preceduto da apprezzamenti che mi hanno compiaciuto, da un eccellente scrittore e uomo di levatura morale non comune. Il suo libro “Un commissario”, autore Ennio Di Francesco, Castelvecchi Editore, dovrebbe essere adottato nelle scuole e obbligatoriamente fatto leggere da chi si mette a gestire la “Res publica” (Bersani compreso).
Però non sono ancora arrivato a mandare direttamente “affanculo”, tipico del grande Henry Charles, “Hank” per gli amici, ci sono vicino se non altro per guadagnare tempo.
Stavo dicendo di questa persona che ha avuto l’onore di sfiorarmi appena nell’etereo che la circonda, secondo lei in singolar tenzone, nel senso che parla da sola, permettendosi pure di “colloquiare” con terzi sul mio post. Ciò è prova della sua scorrettezza, “qualità” che va nel sacco insieme a tutto il resto, basterebbe che alzasse lo sguardo per rendersi conto che il suo ring ideale potrebbe essere la stalla poco avanti a destra o il recinto dei somari a sinistra.
Che tempi stiamo vivendo! Neppure credo si sia arrivati al fondo. Ringrazio tutti dell’attenzione e, per coloro arrivati fin qui, un abbraccio affettuoso (escluso alcuni, quelli che sanno di non meritarlo).

Mauro Giovanelli – Genova
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L’articolo “I TRE MOSCHETTIERI – Alexandre Dumas (per raccontare un po’ di me)” è stato pubblicato il 16 MARZO 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it:

Immagine in evidenza: a sinistra “Don Chisciotte” di Pablo Picasso – a destra “i tre moschettieri” ricavata dal web

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HO RICEVUTO UNA CARTOLINA DAL BOSCO DELLE FATE – PAOLA MICOLI

HO RICEVUTO UNA CARTOLINA DAL BOSCO DELLE FATE
PAOLA MICOLI

Le belle persone esistono, meravigliose, ne ho conosciuta una che chiamo Fatina, splendida, luminosa, di una dolcezza infinita, la cui voce risveglia i sensi e le sue parole sono lenimento dell’anima che diventa leggera, trasparente. Vive nei magici boschi della Svizzera e mi ha inviato i saluti che voglio qui condividere. Grazie Fatina, auguri di ogni bene. Ti abbraccio.
Mauro

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Cartolina ricevuta dall’amica Paola Micoli

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COMMENTO SU PASOLINI – “La ricotta”

COMMENTO SU PASOLINI – “La ricotta”

Questa pellicola, “La ricotta”, fu sequestrata per vilipendio alla religione di Stato. Soltanto nel 1964 la Corte d’Appello di Roma assolverà il regista che rilascerà poco dopo un’intervista di cui si riporta uno stralcio (dal post Facebook della cara amica Selvaggia Rodriguez, 4 marzo 2016):

“- Cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?
– Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.
– Che cosa ne pensa della società italiana?
– Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.
– Che cosa ne pensa della morte?
– Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.”
Pier Paolo Pasolini, “La ricotta”, 1963

Commento:

La Chiesa cattolica, 1963… quando nel resto del mondo occidentale, appena usciti da un reading, o subito dopo aver visto “Gioventù bruciata”, in Italia falsificando la carta d’identità per entrare al cinema perché vietato ai minori (ma questo era prima, nel ’55), o “Easy Rider” e qui saltiamo al ’69, seguito da “Fragole e sangue” del ’70, o tornando al ’61 con “Splendore nell’erba”, stesse acrobazie per vederli, non ne ho perso uno, ricordo a memoria, giuro, la poesia di William Wordsworth “… Ma se la radiosa luce che una volta, tanto brillava negli sguardi è tolta, se niente può far che si rinnovi all’erba il suo splendore e che riviva il fiore, della sorte funesta non ci dorrem, ma ancor più saldo in petto godrem di quel che resta…” che alla fine viene recitata in classe, fra le lacrime, dalla bellissima Natalie Wood. E naturalmente le pellicole di Pasolini, dal celeberrimo “Accattone” del ’61 a “Salò o le 120 giornate di Sodoma” del 1975 e “Porno-Teo-Kolossal”, incompiuto a causa della sua morte. Fece capolino postumo nel ’76 ma tutto era già cambiato da quasi un lustro. Lui fu il Maestro, ci accompagnò lungo tutto il tragitto tenendoci per mano, con le sue poesie, il pensiero, la narrativa, teatro, saggi, dialoghi. Precettore di vita e di contemplazione del divino che c’è in noi.
Stavo dicendo… la Chiesa cattolica, 1963, e la censura, il bigottismo, ipocrisia, puritanesimo. Però si rubava l’amore e lo si faceva coricati su sellino e serbatoio della moto, per la strada, in un angolo buio, solo qualche fioco riflesso dell’unico lampione aggrinfiato al muro, tipo quelli dei caruggi di Genova, sufficiente per vedere i corpi sudati, esattamente come piaceva a me… o nella mitica “Fiat 500”, che non era quella di adesso, una scatoletta di sardine, ma quante posizioni per prenderci l’un l’altra, leccarci, stringere e godere. Al confronto il Kamasutra è un corso di catechismo…
E adesso scomunicatemi, cazzo!

Mauro Giovanelli – Genova
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Il commento su Pasolini “LA RICOTTA” è stato pubblicata il 05 marzo 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it di “Memoria Condivisa”.

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COMMENTO SU PASOLINI – L’ultima generazione

COMMENTO SU PASOLINI – L’ultima generazione

“Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l’ultima generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedrà intorno a sé che l’entropia borghese.”
PIER PAOLO PASOLINI

Commento:

Cazzo!!! Scusatemi, mi è scappato, ma… qui ci troviamo di fronte a qualcuno che non poteva essere racchiuso entro i confini dei nostri limiti, dell’umanità intendo, neppure sarebbe stato possibile imprigionarlo in una lampada anche se i differenti autori che dal X secolo hanno composto la famosa fiaba potrebbero essersi ispirati ad un uomo fuori da ogni regola così detta razionale… Pasolini era un corpo estraneo, la società ne soffriva, provava dolore, sofferenza, pativa in continuazione di crisi di rigetto fino a quando non decise di disfarsene rivolgendosi a chirurghi esperti, autentici professionisti del bisturi. Quasi sarebbero da comprendere, nel profondo significato cristiano: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Mauro Giovanelli – Genova
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COMMENTO SU PASOLINI – Senza più alcun segno

COMMENTO SU PASOLINI
Senza più alcun segno

“Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere di che segno sei”.
( Pier Paolo Pasolini, ultima intervista a Furio Colombo, 1 novembre, 1975 ).

Commento:

“La semplicità è una complessità risolta” (Costantin Brancusi – scultore rumeno). Qui si evince il senso di libertà intellettuale e morale cui Pasolini era legato, una immensa malinconia che di giorno in giorno si stratificava nella sua mente perché il domani si sarebbe presentato di un dx (infinitesimo) diverso dal giorno prima, una sommatoria, addizioni su addizioni di frazioni del tempo, fino a raggiungere l’integrale, l’entalpia, l’area, la superficie ordinata, senza alcun segno, preconfezionata dal Potere affinché la conflittualità del diseredato non mirasse più ad abbattere il “padrone” per ottenere giustizia bensì tendesse ad attribuirsi la medesima collocazione sociale al fine di diventare essa stessa demonio.

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COMMENTO SU PASOLINI – Entropia

COMMENTO SU PASOLINI

“Chi è nato in questa entropia, non può in nessun modo, metafisicamente, esserne fuori. È finita.”
Pier Paolo Pasolini

Commento:

Come tutti sappiamo l’entropia viene interpretata come una misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi incluso l’Universo. È un termine scientifico che non credo Pasolini abbia usato a caso. Infatti, per ricondurre il dibattito alla frase del poeta, che non escludo fosse rivolta a studenti in materie tecniche e appartenenti a famiglie umili, a mio modesto parere intendeva dire, in un linguaggio a loro comprensibile, che quella generazione di giovani sarebbe stata l’ultima a vedere operai e contadini aggregati e ben riconosciuti nella classe di appartenenza. Successivamente sarebbe seguito uno sconvolgimento (disordine) voluto, oserei dire studiato a tavolino dalle “caste” (di questo potremmo parlare in altra sede) che in quel contesto lui definì “borghesi” il cui termine individua sì nella sua più ampia accezione l’uomo amante del vivere quieto e ordinato, legato al proprio benessere materiale a lui sufficiente, e perciò conservatore, che per il “proletario” rivoluzionario rappresenta invece già una sorta di “padrone”, uno o due gradini sopra la sua condizione.
Pasolini si esprimeva anche in relazione alla scolarizzazione dell’interlocutore cui rivolgeva il suo messaggio. Mica era uno sprovveduto.

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COMMENTO SU PASOLINI – Perdere o vincere – Entropia

COMMENTO SU PASOLINI
Perdere o vincere – Entropia

“Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù”.
Pier Paolo Pasolini

“Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l’ultima generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedrà intorno a sé che l’entropia borghese”.
Pier Paolo Pasolini

Commento:

Cazzo! Scusatemi signore, mi è scappato, ma… qui ci troviamo di fronte a qualcuno che non poteva essere racchiuso entro i confini dei nostri limiti, dell’umanità intendo, neppure sarebbe stato possibile imprigionarlo in una lampada anche se i differenti autori che dal X secolo hanno composto la famosa fiaba potrebbero essersi ispirati ad un uomo fuori da ogni regola così detta razionale… Pasolini era un corpo estraneo, la società ne soffriva, provava dolore, sofferenza, pativa in continuazione di crisi di rigetto fino a quando non decise di disfarsene rivolgendosi a chirurghi esperti, autentici professionisti del bisturi. Quasi sarebbero da comprendere, nel profondo significato cristiano: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

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LA CALUNNIA

LA CALUNNIA

Sarebbe forse giunta l’ora che la Chiesa chiedesse perdono al più grande filosofo dell’Umanità, e a noi per averci privato anzitempo degli scritti e i pensieri che ancora Giordano Bruno avrebbe potuto donarci. Riabilitarlo sarebbe il minimo ma, per recuperare la coerenza con il pensiero cristiano, ancor più non sarebbe disdicevole “rivisitare” la figura di Roberto Bellarmino, suo aguzzino, incomprensibilmente fatto santo e dottore della Chiesa tre volte da Pio XI.
Papa Francesco sarebbe l’uomo adatto e il gesto di giustizia avrebbe ridondanza in tutto il mondo, un grande significato di progresso, tolleranza e misericordia. Egli sta operando nella direzione giusta e ogni suo sforzo è mirato a ricondurre l’uomo alla Parola del Vangelo. Non è un rivoluzionario come molti vorrebbero fare intendere al solo scopo di screditarne la grande personalità, la morale, il suo darsi per gli altri, la fede sincera e la tenerezza che invoca nei riguardi degli umili, i deboli, gli oppressi.
Purtroppo la calunnia, arma dei vigliacchi, è diventata sistema in questo mondo che ha perso ogni connotato di civiltà, ha smarrito la via della solidarietà e della comprensione, dove il senso di umanità è un optional che viene comodo solo quando si tratta di ottenerne un vantaggio personale. In Italia, collocata nella top ten dei Paesi più ignoranti e corrotti del mondo, l’opportunismo e la diffamazione sono diventati, mi duole dirlo, regole di vita.
Per invertire questa rotta che ci può solo condurre al disfacimento completo della nostra millenaria cultura dobbiamo ispirarci al pensiero di Giordano Bruno, la sua coerenza, la fulgida mente. La maldicenza, il pettegolezzo, il cercare di screditare il prossimo sono riverberi della mediocrità della mente umana. Sento il dovere di riportare questo pezzo del grande filosofo tratto da “De Immenso”:

Alla mente che ha ispirato il mio cuore con arditezza d’immaginazione piacque dotarmi le spalle di ali e condurre il mio cuore verso una meta stabilita da un ordine eccelso, in nome del quale è possibile disprezzare e la fortuna e la morte. Si aprono arcane porte e si spezzano le catene che solo pochi elusero e da cui solo pochi si sciolsero. I secoli, gli anni, i mesi, i giorni, le numerose generazioni, armi del tempo, per le quali non sono duri né il bronzo né il diamante, hanno voluto che noi rimanessimo immuni dal loro furore. Così, io sorgo impavido a solcare coll’ali l’immensità dello spazio, senza che il pregiudizio mi faccia arrestare contro le sfere celesti, la cui esistenza fu erroneamente dedotta da un falso principio, affinché fossimo come rinchiusi in un fittizio carcere e il tutto fosse costretto entro adamantine muraglie. Ma per me migliore è quella mente che ha disperso ovunque quelle nubi e ha distrutto l’Olimpo che accomuna gli altri in un’unica prigione dal momento che ne ha dissolto l’immagine, per cui da ogni parte liberamente si espande il sottile aere. Mentre m’incammino sicuro, felicemente innalzato da uno studio appassionato, divengo Guida, Legge, Luce, Vate, Padre, Autore e Via. Mentre mi sollevo da questo mondo verso altri mondi lucenti e percorro da ogni parte l’etereo spazio, lascio dietro le spalle, lontano, lo stupore degli attoniti.

Gli attoniti appunto, gli impostori, denigratori, trasportati dal vento della loro mediocrità e invidia. A costoro dobbiamo rispondere con l’etica, andare avanti a testa alta “non ti curar di loro ma guarda e passa” disse il sommo poeta. Solo una condotta irreprensibile fatta di azioni trasparenti e, proprio perché laica, priva della doppiezza morale di tanti sedicenti “credenti” che nella loro incoerenza pretenderebbero di insegnarci a vivere e comportarci cristianamente.
Lasciamoci alle spalle, il più lontano possibile, lo stupore degli attoniti, ignoriamoli, non ascoltiamo le loro patetiche menzogne, involiamoci verso l’etereo spazio e inseguiamo morale e consapevolezza di noi stessi.

Mauro Giovanelli – Genova
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COMMENTO A “L’AMACA” del 21 febbraio 2016

COMMENTO A “L’AMACA” del 21 febbraio 2016

Se gli eruditi sono mortalmente noiosi sarebbe interessante sapere cosa ne pensa Michele Serra del gregge di pecoroni, solitamente di destra, incolti per loro stessa natura essendo incapaci di pensare. Di solito appartengono alla tribù dei “sono pienamente d’accordo” a qualsiasi corbelleria gli venga propinata, locuzione faticosamente partorita dopo vani tentativi di esprimere una propria opinione. Il resto de “L’Amaca” mi risulta incomprensibile, lo ammetto, forse avrei necessità di rileggerlo da sdraiato ma ho cose più interessanti cui dedicarmi.

Mauro Giovanelli – Genova
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