UNO È L’INTERO

UNO È L’INTERO

Amore,
solo amore.
In questo istante
trascorso nel silenzio
dell’inconcludenza,
e nel successivo,
adesso,
anch’esso fuggito.
Mentre scrivo
scorrono attimi
inarrestabili
e silenziosi.
Amore,
sempre amore.
Per te.
“Tanti sono gli uomini
a questo mondo…”,
mi dicesti
una volta,
neanche troppo tempo fa.
Ora tarda, acquazzone,
chiusi in auto,
vetri appannati.
Non concludesti la frase,
necessità di fare pipì,
di ciò mi informasti
con soavità, uscendo.
Accoccolata come una ranocchia,
mutandine a mezza coscia,
stavi espellendo
tutto lo champagne,
non più ghiacciato.
Scesi con il tuo ombrello
mi inginocchiai dinanzi,
proteggendoti,
eravamo a fianco
della vettura,
ti fissavo, mi guardavi.
La pioggia battente sulla tela
unica intrusa
a ricordarci di non essere
lontani, in un punto remoto
di questo Universo
solo nostro.
Il braccio si protese
fra le tue gambe,
e il liquido caldo
fu fonte sorgiva
che riempì il palmo
della mia mano
fattasi coppa.
Aumentò il piacere
di saperti mia,
e solo il bello mi apparteneva.
Mi sovvenne il Petrarca
“Mostrar la palma aperta…”
così, al femminile, i grandi
definivano la superficie
opposta al dorso delle estremità,
che pure questo offrii
al battesimo tuo
che infuse calore,
e il gocciolar dalle punte delle dita
amabile visione.
Come tu facesti
molte volte con me.
Ricordi? Ti piaceva
guardare, frapporti al getto,
poi accarezzavi il sesso
e ogni volta esclamavi:
“Ma con tutti quelli
che ci sono a questo mondo
perché voglio solo lui?
Lo ambisco, lo amo
come fosse un altro di te.
Irrinunciabile.”
Oggi è amore,
ricordi, nostalgia,
sofferenza,
assenza, inutilità.
I secondi scorrono,
monchi di una metà.
Non so dove sei.
Affronto i giorni,
mattina che fugge,
pomeriggio pura formalità,
pausa fugace la sera.
Il buio della notte
comprime i ricordi,
dilata i sogni,
è ingannatore,
bugiardo, dà la speranza
di un domani diverso
ma il pensiero
non è negligente.
La mia mente è la prora
di un battello infernale
al centro di perfide
tempeste che si susseguono.
Due masconi
le mie tempie che pulsano,
a intervalli schiaffeggiate
dai tuoi gesti,
buccia di pesca la pelle,
il modo di offrirti,
adorarmi,
frangenti implacabili,
ondate di dolore pungente
che travolgono
e si allontanano…
tra un gorgogliare di schiuma
bianca, effervescente,
bolle e bollicine,
chiazze,
come vino spumante versato
sbadatamente a terra,
o urina benedetta,
…per ritornare con più forza,
violenza inaudita
mettendo a dura prova
l’involucro
e il meccanismo interno.
Quante mi passano accanto,
incrociano la mia vita! Ma…
perché voglio solo te?
E tutto ciò che ti porti appresso?
Qual è il mistero?
La dualità
che diventa armonia,
fusione.
Ecco cos’è! Ho trovato.
L’incastro perfetto della loghia 22,
testo gnostico di Tommaso,
l’autentico insegnamento
del Rabbi Jeoshu ha Nozri:
“Allorché di due farete uno…
troverete l’entrata del Regno”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: opera di Kenne Gregoire

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VOLVER

VOLVER

Dio non esiste,
quindi
neppure il Demonio.
I dèmoni sì.
Ti entrano dentro
all’improvviso,
senza bussare,
non li senti ma…
s’impossessano
della mente,
portano ricordi
tuoi e suoi.
Nulla gli sfugge,
loro sanno
della vita, la morte,
dolore, gioia,
esaltazione, pena,
orgasmo, quiete…
e altro ancora.
Tutto.
Del resto
ti sono figli,
tu li hai generati.
Questo succede
quando sei sbadato
e lasci qualcosa di
troppo
importante.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Fulvio Leoncini artista toscano – Fotografia ad intervento digitale

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MANCANZA

MANCANZA

Vorrei sapere
se capita pure a voi.
Ci sono momenti
in cui ho contezza
del volume,
non la mole,
neppure la massa,
più corretto dire
cubatura
o tutte le cose insieme.
L’estensione che occupo
nello spazio,
la porzione
infinitesimale,
quel tanto che basta
a definire me.
Per ora.
Lo penso spesso
anche degli altri
quando mi aggiro
tra la folla.
Meglio ancora mentre,
seduto su una panchina,
lascio che defluisca dinnanzi.
Noi siamo ciò
che occupiamo
e
a pensarci bene
non è una situazione
confortante.
Condannati all’instabilità,
in senso strutturale intendo.
Importante no?
E terribile!
Ciò che pensiamo,
sogni, speranze, ambizioni,
non potranno essere
supportati a lungo.
Come il diamante,
forma allotropica
del carbonio
i cui atomi,
disposti in reticoli cristallini,
realizzano un volume
che cattura luce
e la irradia.
Ma attimo dopo attimo
tende all’appiattimento
diventerà grafite,
bidimensionale,
scura, poi…
neppure più quello.
Materia!
Di ogni cosa resterà
materia,
forse,
senza riverberi,
concetti,
ricordi,
brillantezza.
In questi istanti
intuisco il nulla.
Allora devo correre
da te.
Sei a letto, dormi,
mi spoglio,
scivolo con cautela
sotto le coperte,
mi avvicino
al tuo corpo.
Il calore
che avverto
mi dona
l’eternità.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Opera di Jean-Michel Basquiat

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JE SUIS…

JE SUIS…

Adesso molti cominceranno a dire: “Io sono Lussemburgo”, “Je suis Luxembourg”, “I’m Luxembourg”, ed è giusto, è accaduta l’ennesima strage di “persone occidentali”, un ulteriore schiaffo alla “blindatura” di cui sproloquiano i vari leader di partiti che da questi fatti drammatici attingono nuova linfa per obiettivi puramente elettorali, null’altro. Sono vicino ai parenti delle vittime del tristissimo accadimento odierno come mi sento altrettanto colpito dalle quotidiane notizie che ci informano della inarrestabile moria di bambini, donne, uomini che stanno fuggendo dalla guerra. Per tralasciare la Palestina e altri “siti” infuocati.
Si vocifera di un possibile “attacco” a Roma e come prevenire tale evenienza, contrastarla, cautelarci poiché, al contrario alle rassicurazioni di Alfano, c’è chi ritiene che la situazione di molti quartieri ne “La grande bellezza” sia fuori controllo per assenza completa di ogni tipo di sicurezza e rispetto della legge. Io mi fido più di costoro.
Se così fosse… da un punto di vista pratico, dell’emergenza, non sarebbe solo un problema di alcuni rioni della Capitale, bensì dell’intero Paese in cui tale latitanza di “protezione” dei centri urbani e mancato rispetto della legge è ai massimi livelli ossia dai centri di Potere finanziario e politico discende fino alle periferie e campagne. Non a caso l’Italia è testé entrata nella top ten delle Nazioni più corrotte e ignoranti del Pianeta. Ben “protetti” sono i nostri Governanti con tanto di scorte e auto blu superblindate.
Cercando di essere un po’ lungimiranti mi permetto di aggiungere che nel celebrare il funerale del comunismo e la conseguente caduta del muro di Berlino, nel 1989 ebbe inizio la fine del “sistema” economico su cui si reggevano e tutt’ora vengono puntellati i rapporti internazionali. Il “capitalismo” o “liberismo” o come diavolo lo si vuol chiamare è un malato in fase terminale e porterà tutti al massacro qualora non si dovessero adottare le necessarie contromisure. Non è sostenibile un Mondo dove all’ 1% dell’intera popolazione spetta la metà della ricchezza globale e il resto delle risorse è in mano a un quinto degli abitanti. O no?
L’ignoranza e il fanatismo religioso, di qualsiasi fede esso si colori, faranno il resto.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web

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CONTRATTEMPI

CONTRATTEMPI

Due volte!
Riprendermi ciò
che sempre ho avuto.
Andare lontano,
disgiungermi,
coprire distanze,
cercare.
Colpa mia se
ogni volta
è svanito.
Importante curare
i dettagli,
metodo pratico,
veloce,
bagagli stipati
nella memoria.
In un solo sguardo
muti saluti
agli affetti importanti.
Territorio isolato,
indugio un istante,
non è semplice avviarsi.
La scelta
trascina qualcosa.
Tremore,
aroma di erba bagnata,
Foglia dispersa
portata dal vento
mi afferra e si acquieta.
Avverto profumi
nell’aria,
in cielo
nuvole bianche mai viste,
dense, massicce.
Fragore del vuoto,
ricordi, immagini, istanti di gioia.
Non ho valutato
un aspetto,
diventa opprimente,
si insinua,
scava il cervello,
lo soffri per gli altri.
Può avere importanza?
È opportuno rinviare:
neppure uno scritto
ho lasciato.
Sono presente,
stanco, svogliato.
Alzo la testa,
mi sta dinanzi,
è capitato,
neppur l’ho cercata.
Però la sentivo.
Un’altra di lei!
Senza dubbio.
La pelle, il sangue,
gli occhi, armonia,
non mentono mai.
Com’è accaduto?
Il senso del mio tragitto,
dal prima
all’oltre che attende,
di colpo svanisce.
Anni vitali,
attrazione, passione violenta,
sesso sfrenato senza pudore,
intesa perfetta,
soavità, desiderio,
calore, amore.
Ho vinto di nuovo!
Mi sento immortale.
Ma il tempo…
questo concetto
che non riesco a ghermire
mi segue.
Perché non rimane
fra quanti mai nati?
Bella domanda,
non sarebbero tali,
dunque è compagno
molesto
di un percorso
che non ho reclamato.
Gualcisce consistenze,
nulla gli sfugge,
penetra ovunque,
mi tiene per mano,
pigramente uccide
e spegne la luce.
Nella penombra decido:
lo devo annientare,
stavolta…
vietato esitare.
Felice, risoluto,
giornata perfetta,
mi godo i parenti,
la gente, spuma del mare,
strade, viali alberati, amici,
mi incanto
a guardare vetrine,
risate insolenti,
un caffè da gustare
tutto è plausibile ormai.
Sono partito!
Viaggio stupendo,
ogni cosa sbiadisce,
turbinio convulso
in abissi accoglienti,
lontananze prive
di diversità,
mi sento al caldo
e sicuro.
D’improvviso
son sveglio.
Cazzo!
Mi hanno bloccato.
Eppure…
neanche due righe
avevo lasciato.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: L’inizio di una storia sulla pelle. @marchiaturificio ‪#‎educazionesiberiana ‪#‎storiesullapelle ‪#‎marchiaturificio ‪#‎tattoo ‪#‎siberiancriminaltattoo

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NON È MAI ACCADUTO

NON È MAI ACCADUTO

Se della vita
ho capito tutto,
quanto mi basta,
ciò che ho conosciuto,
vissuto,
è consono,
chiaro,
inequivocabile.
La visione
del percorso umano
è a tal punto nitida,
abbagliante
da scorgerne pure
il futuro…
Se non vedo
altri miraggi
da inseguire
in questo viaggio
che si riduce,
senza sosta,
ad attraversare
varchi,
entrare e uscire,
porte da aprire
e chiudere,
penetrare, venire,
staccarsi,
riaversi.
Abbandonare,
lasciarsi qualcosa
alle spalle,
andare incontro
a qualcos’altro…
Se il bagaglio
che ho accumulato
è impegnativo,
pesante,
stracolmo di sogni,
speranze,
compiacimenti,
ricordi,
rimpianti,
melanconia,
bene e male,
dubbi e certezze,
alternanze di
eccitazione e
mancanza…
Se più nulla
mi stupisce,
un gabbiano
che vola basso
sfiorando,
con abilità,
i marosi,
il deserto,
Petra,
basalti,
Leptis Magna,
nuvole,
Teotihuacan,
calore del sole,
il confortevole
abbraccio
del mare…
Allora è il momento
di partire,
guardare oltre,
abbandonare l’intero,
portando con me
un inconsistente
frammento
del dubbio che,
solo per te Amore,
potrei sbagliare.
Anche se mai
è accaduto.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Fulvio Leoncini artista toscano – 13 stazioni per Lady Cahatterley – cm. 30 x 30 – tecnica mista

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COSI PARLÒ SᾹDHUS

COSI PARLÒ SᾹDHUS

Non siete statisti,
tantomeno donne e uomini
provvisti di senso morale.
Vi differenziate, questo sì,
dalla massa di salariati e stipendiati,
lavoratori, precari e non,
pensionati e casalinghe,
perché essi, con i loro sforzi,
stanno reggendo le sorti
di questo Paese che
non si riesce a comprendere
come abbia potuto partorire
gente come voi, privi di cultura,
illetterati, grossolani,
vi fate chiamare “dottore”,
“onorevole”, “cavaliere”
e ciò basta ad appagare
il vostro ego.
“Cogito ergo sum”
ma se non pensate
“sin autem non estis”.
Avete la spocchia di chi è conscio
della propria mediocrità.
Siete parassiti.
Di più, sanguisughe
che assorbono sangue e sudore
fino all’ultima goccia. Di più,
metastasi di un tumore maligno.
Miserabili! Privi di orgoglio,
incapaci di vergognarvi,
sprovvisti di sentimenti.
Siete il trucco di un illusionista
da baracconi.
Siete i “bamboccioni” della Nazione.
Sono certo non abbiate mai letto
un solo libro in vita vostra,
con emozione almeno,
cercando di capire i messaggi
nascosti fra le righe dei grandi.
Siete vigliacchi,
qualcuno ve lo deve dire,
tentare di rendervi consapevoli
della vostra misura.
Siete un branco di disperati
avete avuto un solo intuito,
la furbizia di aggrinfiarvi
all’unica zattera
che potesse tenervi a galla,
sentirvi alla fine qualcuno,
qualcosa,
ci siete riusciti sicuramente
in forza di tutte le protezioni,
appigli, intrighi, complotti, imbrogli,
poiché da soli non sareste all’altezza
di ricoprire il ruolo di un acaro.
Siete gente poco raccomandabile,
usate il potere che vi è stato dato
per diabolica volontà,
lo utilizzate avverso i deboli,
dinanzi ai forti e potenti
vi inchinate, al punto da toccare
il pavimento con la fronte
dalla posizione di attenti
in cui per natura vi ponete
dinanzi a chi servite,
con tale rapidità da intaccare,
con la fronte, i pregiati pavimenti
dei palazzi storici che
indegnamente occupate,
e in quella posizione
che sta ad indicare massima disponibilità
ad offrire, alla bisogna,
pure i vostri flaccidi glutei,
femmine e maschi, vecchi o giovani,
che venissero reclamati a richiesta
di chiunque vi stia al di sopra.
Vi cavalchi.
Siete codardi, finti comandanti solerti,
senza la minima titubanza,
nell’abbandonare la nave
in procinto di naufragare,
lasciando a bordo donne e bambini,
vecchi e malati
che a voi si sono affidati.
Siete anime senza la pur minima cicatrice
in quanto privi di storia,
lotta vera, competizione.
Siete in fondo disadattati,
da compatire.
L’Etruria! l’incrociatore corazzato
di 3ª classe.
Ecco chi c’era il 13 agosto 1918
mentre era ormeggiato nel porto di Livorno
e affondò causa l’esplosione di un trasporto
di munizioni che le stava affiancato.
Chi avrebbe potuto essere l’artefice
e l’artificiere di una scempiaggine del genere?
Un battello che partecipò alla guerra
fra Italia e Turchia, che percorse
73 mila miglia effettuando due volte
il periplo del Sud America,
attraversando lo Stretto di Magellano.
Di chi fu la colpa? Chiaro! Del postino
che stava recapitando un telegramma,
voi eravate a fare bisboccia,
in ciò siete maestri,
con le barbie modello gigante,
quelle gonfiabili e trombabili.
Considerato che il battello
affidato alla vostra “perizia”
stava alla fonda, poco distante
da dove eravate a divertirvi
in quel di Roma,
dove stanno le vostre sedi permanenti,
i nascondigli dei disadattati,
inconsapevolmente al confine estremo
dell’antica regione dell’Italia centrale,
la VII tra quelle dell’impero augusteo,
che da lì arrivava all’estremo sud
della Liguria comprendendo Toscana
e parte dell’Umbria
e si chiamava Etruria.
Sempre Etruria.
Ma da dove venite?
Da un’incisione di Escher
dove tutto è possibile, perfino viaggiare
nel tempo, non parliamo dello spazio,
le prospettive incongrue rese coerenti
delle quali alcunché avete capito,
anzi l’esatto contrario…
No, neppure quello.
Eh, sì! Perché siete specializzati
nel demolire le prospettive,
al popolo, alla gente inerme,
creando per voi un mondo finto,
neppure onirico, indecifrabile perfino a Dalí
che ha vissuto nel surreale,
lui era un genio
quindi impossibilitato a dedicarsi al nulla.
Ma esistete davvero? Cavalcate i secoli?
Diteci almeno chi realmente siete,
se fate il bunga bunga in Etruria nel 27 a.C.
sotto il dominio di Ottaviano Augusto,
il primo imperatore romano,
e poi vi ritrovate a fare danni nel 1918
lasciando distruggere una nave storica e,
come non bastasse
pretendete nel III millennio
di fondare una banca,
forse per sistemarvi
stanchi del lungo percorso
che il destino ha tracciato per voi.
Avete lunga vita come i patriarchi
del Vecchio Testamento,
sotto diverse sembianze cavalcate i secoli,
è giusto, avvertite un po’ di fiacca,
dovete riposare, mettere a posto tutti,
i famigli che diano
continuità alla specie cui appartenete,
e gli amici dei famigli, gli amici degli amici,
mi sembra corretto oltre che doveroso.
Ma come vi è venuto in mente di chiamarla
“Etruria”?
Chi è stato ad avere la grande idea?
Almeno su questo dateci soddisfazione.
Avreste potuto ritirarvi nei Boschi,
ce ne sono tanti, costruirvi un capanno
dove riposare i vostri cervelli, vivendo
di bacche selvatiche, radici.
Invece no! Pur essendo in un Paese,
disgraziatamente sempre lo stesso,
ma in un’epoca dove c’è la separazione
fra Stato e Chiesa, seppur finta,
vi siete messi in testa di tutelare anche
i valori e i principi del Vaticano,
nobile causa se vogliamo,
ma voi ne siete servi, tappetini,
passatoie, stuoini, zerbini,
senza riflettere sull’ epocale
cambiamento oggi in corso.
Riflettere… “That is the question!”.
Non vi frega alcunché dei disoccupati,
esodati, cassintegrati, disgraziati, questo no,
ma battervi per la presenza di simboli
religiosi cattolici nei siti pubblici
allora sì che conta, per ingraziarvi
i voti di coloro che vi acclamano
senza considerare,
come voi ma giustificati
dal vostro potere mediatico,
l’inevitabilità del mutamento,
la vana lotta.
Forse l’unica vostra cognizione
è quella di percepire,
negli abissi fradici dei vostri cervelli,
quanto siate inutili, un pesante
sovraccarico di niente.
Siete meschini, bugiardi, infingardi.
Anche se avete usato l’accortezza di
farvi tagliare le orecchie,
si vede lo stesso che siete asini,
senza offendere questi nobili animali
che con umiltà, modestia e rassegnazione
danno un contributo alla società,
da voi resa marcia,
portando nei loro stracarichi basti
il peso della pochezza degli uomini.
E il sovrappeso di voi tutti.
Non illudetevi! Quando le vostre
presenze occupano ogni palinsesto,
anche il vicino di casa, intento a fare i conti
delle tasse che deve versare,
si accorge cosa siete dai ragli che
elargite a profusione, non è solo
la vostra immagine a tradirvi.
Nell’istante in cui varcate
con aria supponente
gli ingressi dei Palazzi,
ma anche prima, durante e dopo,
si nota che vi trascinate
qualcosa appresso,
non passano inosservate le code
virtuali di cui siete dotati,
in continuo movimento
per scacciare il nugolo di mosche
e insetti affamati che vi assediano.
Siete la tara, spessa, consistente,
la parte eccedente il netto,
impurità, sostanze estranee
che sciaguratamente ci accompagnano.
Siete infingardi, viscidi,
come anguille spalmate di grasso.
Fra tante immagini tragiche che,
in questo 2015 ci sono passate davanti,
il corpo del bimbo sulla spiaggia di Bodrum,
la tragedia al Batatlan di Parigi,
le stragi di civili, donne bambini e uomini
nelle città della Siria, Yemen, Libia, Iraq,
e mi fermo altrimenti farei il giro
del Mondo rischiando di incappare nelle
abbaglianti località di villeggiatura
dove portate, da bravi cattolici,
le vostre seconde, terze mogli giovanissime
e sode, e innamorate pazzamente di voi,
ma non avete segni, unghiate nella schiena,
perché quando scopate e le vostre
inutili teste sono affondate nel cuscino
loro si gustano una mela
o fissano spazientite il soffitto,
sbuffano, guardano l’orologio
diventato la persistenza della memoria
dallo schifo e dalla noia che provano.
Potrei pure imbattermi nelle vostre dimore
di campagna, montagna, fronte mare,
posti mal frequentati,
distruttivi delle meningi.
Meglio rischiare i colpi dei kalashnikov,
andare ad aiutare chi veramente vale.
Ma avete mai provato un’ebbrezza,
una soddisfazione che non sia solo
quella di dovervi guardare tutti i giorni
in faccia, l’un l’altro, intanto che studiate
come rimediare una nefandezza?
Vi siete mai discostati dall’obbedienza,
la bassezza e pavidità cui siete condannati?
Tanto per fare il più infimo degli esempi
trovarvi al privè del casinò di Montecarlo
seduti al tavolo dello chemin de fer,
posto numero cinque,
intorno i vip del mondo,
quelli cui dovete rispondere, relazionare,
lì girano anche sceicchi,
gente che non ha mai capito
da dove gli arrivino tutti quei soldi.
Io sì, per provare tutto,
umiliare quelli ancora
più in alto di voi,
e le carte mi stanno dicendo,
è il momento, mio è il sabot,
mica mi ero seduto allo scanno del baccarat,
qui a turno ogni giocatore tiene il banco,
e sono al quinto colpo, non passo, tento il sesto,
non ci sono spartizioni fra gli avversari
per coprire la mia enorme puntata,
c’è sempre chi lo chiama “da solo”,
così si dice in gergo.
Per suoi problemi, sentirsi grande
in quanto lui può,
però deve farlo vedere che può,
la gente intorno, nei loro puntuali
abiti da sera, donne e uomini,
signore e gentleman. “Da solo!”
e tutti a fare “Oooohhhh!” di ammirazione,
poi cala il silenzio,
stavolta non vola una mosca.
Al via del croupier estraggo una carta per lui,
una a me, con disinvoltura, placido,
ancora carta a lui e a me.
Non guardo le mie,
proibito finché non ti dà indicazioni
l’avversario, che le incrocia con aria soddisfatta.
“Sto” significa, non chiama, gli bastano.
Giro rapido come un fulmine le mie,
e le sbatto come un ceffone sul panno verde,
donna e sei, ho vinto, ma veloce come
un pensiero distorto estraggo l’ultima carta
per me e la spiaccico sulle mie, brusio del
pubblico per la brutta giocata,
contro ogni regola, priva di logica,
gli altri sette avversari si raddrizzano indignati
agli schienali delle poltrone,
in lui il sorrisetto depresso che gli si era spento
nel vedere il mio punto si tramuta
in un ghigno distorto sul bel dieci in caduta,
prende le sue carte e le sbatte sul tavolo,
al suo miserabile cinque
avevo dato una possibilità,
per dimostrargli come sono fatti gli uomini,
e gli astanti intorno al tavolo,
numerosi come insetti su una sotta,
così chiamano da noi
la cacca delle vacche,
bella, grande, rotonda,
gli indiani di Varanasi le mettono
a seccare al sole per poi usarle
come combustibile nelle stufe.
Dicevo che gli osservatori escono in coro
a fare un prolungato “Ooooooooohhhhhhhh!”
e i commenti sussurrati per non
disturbare i gladiatori si sprecano.
Il mio contendente si alza,
pareva avesse una molla sotto il culo,
mi lancia uno sguardo come volesse trafiggermi,
umiliato, incazzato, questa volta “non può”,
l’impressione è che debba scoppiare
da un momento all’altro,
mette i soldi sul banco
e fila via, una freccia, poi lo vedo girare
per il lussuosissimo salone come fosse
una scorreggia impazzita che non sa se uscire
dalla porta o dalle finestre.
Ho rotto la sequenza delle carte,
passo il banco, contro di lui
avrei tentato il settimo colpo,
perché sono folle, a modo mio,
osservo la montagna di pezzi di plastica,
di tutti i formati, fra quelle grandi
ne do una a caso di mancia al croupier che,
dopo aver detto “le banc gagne!”,
raccoglie rapido le carte
impila ordinatamente le fiches, con il rastrello
me le pone dinanzi, mi lancia un sorriso,
forse lui ha capito.
Consegno tutto al mio amico, quello brutto,
ma brutto brutto, cui permetto di venire con me
solo se lui se lo guadagna, mi ammira, ci tiene,
gli ho prestato perfino uno dei miei vestiti,
cravatta e camicia comprese,
per permettergli di entrare, e poi mi piace,
bravo ragazzo, fare il viaggio da solo
verso il tempio di tante solitudini non mi andava.
Va alla cassa a cambiare e ritorna
con mazzette di franchi, tante, spesse,
ne regalo un paio a lui, gli voglio bene,
ripartiamo tranquilli per la nostra Genova.
Avete capito cosa ho voluto dirvi?
No! Non potete, troppo complicato,
non ci arrivereste mai. Perché?
Perché ve ne fottete dei morti annegati
nel “mare nostrum”, o stipati nelle stive
dei barconi i cui “scafisti”, al soldo di infami
commercianti in carne umana
conniventi con altrettanti infami
di occidentale provenienza,
cittadinanza e cultura,
trasportano sulle nostre coste
facendo intravedere loro il sogno,
la speranza.
Nella vostra scalata al successo
non vi passa proprio per la mente
dei bambini del centro Africa,
scheletri viventi, linfonodi che sembrano cisti,
sotto la pelle trasparente,
pance gonfie di aria,
occhi spenti, con inclusioni bianche,
non arriva più ossigeno ai capillari,
mosche intorno agli occhi,
già se li stanno mangiando,
le stesse che vengono a trovarvi e scacciate
con la coda asinina di cui siete attrezzati,
ectoplasma della ancestrale provenienza
dei vostri ricordi, privi di sogni, inesistenti,
non a tutti è dato vedere la vostra
regione caudale,
il prolungamento della colonna vertebrale.
Ebbene stavo dicendo,
ma se per caso mi sbagliassi
saltando di palo in frasca fa lo stesso,
non me ne frega alcunché,
stavo dicendo che fra tante immagini tragiche
passate davanti agli occhi assuefatti
di questo popolo, che ha perso coraggio,
la più turpe, sconcia, improbabile, assurda,
eppure emblematica come un tatuaggio
siberiano, è stata quella di vedere
il leader in smoking, in prima fila
sul palco d’onore
del teatro alla Scala di Milano,
palesemente inadatto e all’abito,
del resto mica avrebbe potuto andarci
in salopette, a lui più congeniale,
e all’opera. Figuriamoci! Giuseppe Verdi,
il dramma lirico Giovanna d’Arco,
l’eroina che nella Francia del XV secolo
sacrifica la propria vita per il suo Paese.
Andiamo! Dovevate darvi malati,
inventarvi un parente
stretto in Alaska che sta per morire.
Quel palco è stato l’emblema
del travestimento, travisamento, camuffamento
mascheramento, mimetizzazione, trucco,
modificazione del bello.
Sì! Lo so, tutti sinonimi
ma ciascuno è germogliato proprio
per dare un minimo di differenza
rispetto al vocabolo primario,
e voi coprite tutto l’arco,
non quello costituzionale si intende.
Non avete capito un fottuto cazzo
dalla vita, in fondo siete dei miserabili,
non sapete cosa voglia dire un asso
alla quinta che cade e va ad incastrarsi,
la giocata sbagliata al momento giusto,
proprio non riuscite a concepire
di tirare due dadi e fare cista su un piatto
che è diventato una montagna,
e lasciare con disinvoltura che gli altri
se lo spartiscano, così, come gettare
una sigaretta fumata a metà
ed accenderne subito un’altra.
Ma vi siete visti prima di andare a teatro?
O vi è pure mancato il coraggio
di guardarvi allo specchio?
Già! Lo specchio vi spaventa, è una cosa viva,
ribalta la vostra figura, quello che è a destra
fa finta di diventare sinistra, ma ciò che
è a sinistra diventa tutta destra.
Perché lo specchio pensa, ragiona, esamina,
è giudice severo ma… giusto.
Lo hanno interpellato regine, monarchi,
imperatori, condottieri, streghe, fate, dittatori,
cardinali, papi, ed ha sempre fornito loro
la giusta risposta. Per questo sono impazziti
ed hanno commesso efferatezze, barbarie.
Lo specchio vi avrebbe detto la verità,
ma voi e la verità siete incompatibili,
come il Diavolo e l’acqua santa.
Che esempio banale ho portato,
non esistono entrambi, il Diavolo
è stato inventato per tener fermi gli
imbecilli in modo che si lascino
sodomizzare senza troppa fatica
e l’acqua… solo quella per rinfrescare.
Cosa cazzo apprezzerete dell’arte
tutta in generale non mi è dato capire,
voi partecipate per dovere di cronaca,
fingete di entusiasmarvi invece pensate
agli aumenti della casta, applaudite
neppure sapete cosa, fate come i primati,
e quando uscite, ad opera terminata
perché obbligati a restare fino alla fine,
vi grattate la testa procedendo ciondolando
per rendervi conto se ci siete o ci fate,
soprattutto dove siete e perché.
Commercianti di favori,
ecco il termine giusto per voi,
è attraverso gli scambi
che venite ulteriormente ricompensati,
la corruzione, il malaffare, emettete leggi
che vi proteggano e questo è viltà,
intanto sempre più numerosi sono i cittadini
che vanno a frugare nell’immondizia per
ricavarne qualcosa da mangiare, coprirsi,
mentre voi siete intenti a curare gli esosi
e intollerabili privilegi di cui godete,
in virtù di un consenso al potere
che non vi è stato dato dal popolo.
La noncuranza con cui aggirate l’infamia
di deputati arrestati per aver rubato milioni
di soldi pubblici che continuano a percepire
migliaia di €uro al mese di vitalizio,
per un Genovese come me
è davvero insopportabile.
Come certi assessori,
anche donne avvenenti,
che proprio per le prestazioni
che fornivano nel pubblico ma,
ahimè, pure in privato,
quindi avendo fatto scoppiare,
è il caso di dirlo, un casino infernale,
sono state mandate a casa
a trent’anni con appropriato vitalizio.
Che bassezza parlare così di vile denaro con voi.
Vi sembrerà una saga, una specie di “Via col vento”
dove la piccola Diletta muore in tenera età
cadendo dal pony regalatole da papà Rhett Butler .
No! Abbiate pazienza, questa è una narrazione
epica che si cerca di mettere in prosa sciolta,
senza quartine, terzine, la metrica
e le precise regole sull’accentazione
degli endecasillabi che non interessano.
Qui, di Letta, ne abbiamo solo uno,
vivo e vegeto per fortuna.
Ex Presidente del Consiglio che
ha deciso di andare ad insegnare
in una Università di Parigi,
non riesco ad immaginare quale,
ciononostante al compimento
del sessantesimo anno di età
percepirà il suo bravo assegno mensile
da ex deputato in Italia.
In ogni caso è ancora tutto avvolto
nel più fitto mistero. Lo facesse uno di noi,
del popolo crasso intendo,
come minimo, se ci andasse bene,
prenderemmo una stretta di mano,
la pacca sulla spalla,
e un biglietto da cento nel taschino.
Anche tanti auguri.
Nel frattempo vengo a sapere
che l’esercito nigeriano
ha massacrato trecento sciiti…
Ne sta parlando qualcuno? Interessa?
Due righe su un giornale?
Niente affatto, il nostro premier è impegnato
a raccontare fole nel salotto di Giletti
uno dei tanti conduttori “slurp!”, insieme a Vespa
che è “slurp, slurp!” i due preferiti dalla
guida capo scout cattolici italiani.
D’altronde mi sembra giusto
ci siano questi trattamenti di favore.
“Loro”, e da questo momento
mi sto rivolgendo alle mie amiche ed amici,
si sacrificano per noi, mica vanno all’osteria
a giocare a scopone.
Si logorano. Per questo i trentenni di oggi
andranno in pensione a 75 anni con il 25%
in meno della retribuzione. Altrimenti “loro”
come potrebbero andarci a 27, 37, 47, 57,
così tanto per dare i numeri,
con vitalizi mensili da minimo seimila €uro?
E baffetto? C’è veramente da ridere,
in fondo sono divertenti, avete capito chi?
Non quello che parlava tedesco, mi riferisco
al nostro, quello che parla e cammina come
avesse un palo lungo e dritto piantato nel sedere.
Ebbene così procedendo pensate che,
per portare il cane a pisciare,
pare abbia a disposizione tre uomini di scorta
e due auto… blu.
Comunque vediamo di contare sulla misericordia,
intanto che scrivo si stanno aprendo
ancora porte sante del Giubileo 2015
e c’è una corrente che non solo
mi spettina ma fa volare tutti i miei appunti,
sparsi ovunque, forse è per questo che sto
scrivendo in modo confuso, ambiguo,
senza mezzi termini, sfuggente.
Bene così, il Natale è passato
e certamente abbiamo dato di più,
immagino per “loro”,
che in periodi normali,
feriali tanto per intenderci,
ogni volta che qualcuno va a curiosare
nelle note spesa e trova mutande,
biglietti dell’autobus, scontrini
di varia provenienza per acquisti
di equivoci prodotti,
finanche i 2 €uro per il parcheggio (dell’auto blu?).
Però c’è gente che non scherza,
no, qui è necessaria un minimo di serietà.
Come l’ex sindaco di Firenze
che nel corso di tale mandato sembrerebbe,
Corte dei Conti canta, sia stato rilevato di tutto
e di più, comprese cene da duemila €uro a botta
e seicentomila €uro per viaggi all’estero
e aragoste. Ma non sono ospiti?
Non usano già i voli di Stato?
Naturale che tutto il sistema
sia ormai un castello di carte
che non potrà reggere più a lungo.
E poi siete molti!
Ho di nuovo ripreso a parlare con “voi”.
Ma come fate a trovare complici che siano
vostri cloni mentali? Dirigenti pubblici e privati
che non solo arrivano a ricoprire
simultaneamente venticinque poltrone
d’oro, da guadagnare tanto da mettere a posto
in un solo anno sette generazioni,
ma che pure rubano
e qualche volta vengono arrestati.
Certo! Forse sono costretti a farlo per
restituire il favore. Essere riconoscenti
è un norma intoccabile del Paese.
Qui mi sembra di essere nella narrativa,
neppure Giovanni Verga con il suo
Mastro Pasqua… no! Che dico Mastra…
devo essere un po’ confuso… Ecco!
Con il suo Mastro Don Gesualdo
avrebbe potuto concepire un coacervo
infernale come questo. Eh, sì!
Perché ci sono pure i parenti da sistemare.
Mogli avvocato di appartenenti all’esecutivo
che ricevono di punto in bianco
consulenze milionarie dalla concessionaria
dei servizi assicurativi pubblici.
E mariti di… insomma per non
farla troppo lunga tra i familiari, congiunti
e amici di questo mostruoso complesso
che parte dal più piccolo Comune per arrivare
al Quirinale l’indice di disoccupazione
è zero!
Del resto, a pensarci bene,
considerando che tutti i vostri sforzi sono
concentrati a salvare la Penisola,
e come vi sgolate ai congressi che
organizzate in vecchie stazioni ferroviarie
riadattate alla bisogna, per convincere
gli invitati, quasi tutti finanzieri,
imprenditori, gente che conta,
quelli che vanno al Casinò
tanti ne hanno da buttare,
gente che possa dare il proprio contributo
avendo sedi legali e fiscali all’estero,
produzione in Paesi
dove si sfrutta il lavoro di minori
e residenza nei paradisi fiscali.
Ma anche per convincere voi stessi.
Nel momento in cui sto scrivendo
ho saputo che, come era logico,
è stata respinta la mozione di sfiducia
verso un vostro membro
avanzata da un movimento di giovani leali,
onesti e immaturi per la dimensione
in cui galleggiate.
E in preparazione di ciò il premier si è sfiatato,
mai visto così, in chiusura della “Leopolda”
dicendo che con i provvedimenti presi
dal “suo” Esecutivo in merito al salvataggio
di banche fallite, di una delle quali il ministro
in questione possiede un pacchetto azionario,
subito dopo la sua nomina a tale incarico
il di lei padre, di femmina trattasi,
ne fu nominato vicepresidente, nonostante
fosse stato sanzionato dalla Banca d’Italia,
il di lei fratello ne è direttore generale, la di lei
cognata ne è dipendente manager di qualcosa,
sembrerebbe che tale Istituto di Credito
abbia a suo tempo finanziato
qualche propaganda elettorale,
o cose del genere, che il padre di questa signora,
sempre lei, e quello di un pezzo grosso
fossero soci o lo fossero stati.
Ebbene in chiusura dell’assemblea
il premier declama che se non avessero
posto in atto quello che hanno fatto
un milione di posti di lavoro
sarebbero andati perduti (i dipendenti),
in parole povere vi difendete
dalle proteste dei deboli truffati
facendovi scudo dei deboli che lavorano,
esattamente come quei malviventi
inseguiti dalla polizia che
appena vedono un adolescente o una donna inerme
la afferrano, si proteggono dalla giustizia
con carne umana innocente.
Non viene detto che quei posti di lavoro
non avrebbero corso alcun pericolo
se la gestione fosse stata “pulita”.
Non ha fatto cenno come siano spariti
quei quattrini dove siano andati e… No!
“Voi” pensate a salvare posti di lavoro.
Ma guardate che gufi
volteggiano nell’aria o stanno appollaiati
sui rami più bassi per portarvi sfiga…
però mi è testé giunta un’altra notizia,
fresca fresca, dovrò leggere l’articolo
ma il titolo in “prima” dice:
“Da Gelli agli ex Dc l’ombra del patto
tra cattolici e massoni per dividersi
“Etruria” (Alberto Statera)”
Venerdì 18 Dicembre 2015 17:24
Mah! Vedremo…
Comunque queste “adunanze”,
come quelle dei boy scout,
oggi le chiamate “convention”,
il piano per il lavoro “Jobs act”,
copyright Renzi Matteo,
“ultra partes” è la soluzione
di una questione importante,
di solito la verifica di qualche imbroglio,
che debba avere effetti neutrali
per tutti i personaggi coinvolti.
“Spending review” la revisione
della spesa pubblica
e tanti altri ancora, per semplificare le cose.
Il premier mi ricorda, alla lontana,
il personaggio interpretato
dal nostro grande Alberto Sordi
nel film “Un americano a Roma”.
È pur vero che anche nei sobborghi
di New York, “Little italy” a Manhattan ad esempio,
con popolazione di origine italiana,
figli e nipoti di nostri migranti,
ancora oggi si usa un linguaggio variegato;
ad esempio Brooklyn diventa “Bruculinu”
e via discorrendo.
Un modo per mantenere vive
le proprie radici, l’identità,
e distinguersi dagli altri.
Tornando a voi, mi viene in mente
per le distinzioni linguistiche
che stavo rimarcando,
con tutte queste associazioni,
comitati, unioni, leghe, confraternite,
con implicazioni e denominazioni
che si richiamano pure al cattolicesimo,
che altro non sono che differenziazioni
di classi sociali visti gli iscritti e i partecipanti,
tipo “Comunione e liberazione”
per prenderne una a caso,
che si radunano periodicamente
per studiare il modo di dare
un grosso contributo al Paese, possiamo dire,
in forma forse un tantino azzardata
che alla fin fine evasori fiscali, malavita organizzata
e finti consorzi siano dei patrioti?
In fondo non coprono quegli spazi cui lo Stato
non riesce a penetrare in modo efficace
come il problema della disoccupazione
e la circolazione del denaro?
Va bene, lasciamo perdere…
L’indifferenza, supponenza e sfrontatezza
con le quali intascate gli spudorati stipendi
che percepite, i più alti del Pianeta,
del Cosmo finché non sarà provata l’esistenza
di altra vita intelligente, anzi “furba”, nell’Universo.
E la dissolutezza nell’anomalo,
ingiustificato ed abnorme trattamento retributivo
che elargite ai dipendenti, impiegati, segretari,
sottosegretari, portavoce, portaborse,
a salire nella scala gerarchica nell’ambito
dell’organico di ciascuna struttura
che supporta la vostra “attività”,
si fa per dire, di onorevole e ministro.
Capisco! In questo modo
vi propiziate alleati nei lavoratori,
li dividete, così litigano, si frantuma la “classe”.
Di tali irregolari, nonché incomprensibili
privilegi, non restano esclusi,
ad elitario vostro servizio,
nemmeno i salariati e stipendiati
per così dire di “supporto”,
dall’ultimo addetto alla ricarica
degli orologi a pendolo fino ai commessi,
barbieri, idraulici, imbianchini,
per arrivare ai professionisti,
medici di tutte le specializzazioni,
infermieri, fiscalisti e quant’altro i quali
percepiscono redditi da fare invidia,
tanto per fare un altro esempio,
ad uno scienziato e, ovviamente,
smisurati rispetto a quanto guadagnano
le pari categorie
che operano all’esterno dei Palazzi.
Per citare un caso sembrerebbe,
qui è d’uopo usare sempre il condizionale,
insomma parrebbe che la segretaria generale
del Senato percepisca poco meno
di 1.200 €uro al giorno. Avete letto bene!
Al giorno. I commessi, coloro che aprono
le porte ai parlamentari, appena undicimila
€uro al mese, i barbieri… beh, lasciamo
stare, mica voglio imitare il grande
Allen Ginsberg rifacendo “Urlo”,
innanzi tutto non sono alla sua altezza,
e questo è palese, e poi come potrei addolcire,
inserire un poco di poesia in un ginepraio
di numeri cifre, conteggi, balletti, danze
da un partito all’altro, piroette, gruppo misto,
indipendenti, appoggio esterno, interno,
punta e tacco, tacco e punta… casqué.
Lasciamo stare i sindacalisti della mitica
triade, a cominciare da quella che somiglia
a Ward Bond di “Sentieri Selvaggi”.
Non ditemi che avete snobbato questo
capolavoro della cinematografia western?
Lui è quello che faceva la parte
del reverendo Clayton.
Ebbene oggi guadagnano più di Obama,
per l’esattezza 336 mila e rotti €uro all’anno.
Ma tornando a voi, perché ce ne sarebbero
tante altre, giuro, ed elencandole la sinfonia “Urlo”
del grande Ginsberg, al confronto diventerebbe
“M’illumino d’immenso”
di Giuseppe Ungaretti. Potrei sconfinare
nell’Iliade, l’Odissea con un pezzo
dell’Eneide, tutte insieme,
in quanto a lunghezza intendo.
Lascio in pace il poeta sommo altrimenti
sì che lui vi avrebbe sistemati a dovere.
Vi ingraziate la Chiesa, con i gelatinosi
cardinali e vescovi di cui si compone,
che negano il funerale
a un suicida per disperazione,
al contempo accordano le onoranze funebri
a usurai, malavitosi,
tollerando gli inchini dinanzi alle loro abitazioni
di pesanti e pagane statue della Madonna,
o di Cristo, o dello Spirito Santo
nel corso di processioni fuori del tempo
e della logica.
Ma voi avete pur sempre una parte
di elettorato che vi sostiene poiché
appartengono alla vostra tribù,
quelli che si permettono di andare
a caccia di elefanti, giraffe, leoni
nei parchi dell’Africa centrale pagando
fior di quattrini per portare a casa una fotografia
con la vittima, l’immagine della loro pochezza.
Siete proprio miseri,
avete perfino la presunzione di aver la capacità
di ritoccare la nostra Costituzione,
per acquistare sempre più potere ovvio,
senza cognizione della misura dei vostri
limiti ristretti, un minimo di senno
è necessario per far ciò.
Ma sapete chi erano i nostri padri costituenti?
E vi rendete conto chi ci sarebbe
oggi intorno a quel tavolo
per riformare un documento di tale portata?
Questo i giornalisti dovrebbero denunciare,
ma già, ci sono i finanziamenti pubblici
anche per le “grandi” testate.
La sola soddisfazione che provo,
considerando la situazione di disagio
e impotenza in cui la vostra arroganza
e voracità sta cercando di infilarci,
è di percepire l’abisso dentro voi,
tutti, e non mi sbaglio, lo sapete,
quelli che almeno ho il dispiacere di vedere
e ascoltare quotidianamente
attraverso i vostri amici video e quotidiani,
quelli sul palcoscenico intendo,
magari su 951 fra deputati e senatori
che siete, chissà non ce ne siano di buoni
relegati dietro le quinte,
o nei sotterranei dei palazzi
che abusivamente occupate, strapieni,
stanno per scoppiare,
mentre continuate imperterriti la vostra strada,
e la sola aspettativa che inseguiamo
è che arriviate ad esagerare.
Non siete intelligenti, tanto meno alla stregua
dei rapinatori professionisti, quelli geniali,
che al decimo colpo andato bene,
quando potrebbero ritirarsi a vita privata,
vogliono tentare l’undicesimo…
Certo che questi ci mettono faccia e cervello,
rischiano in proprio,
potrebbero fare pure delle
vittime, è vero! Ma voi?
Quante morti avete sulla coscienza
a vostra insaputa? Senza esporvi,
seduti comodamente sulle poltrone luigi XIV
o XV, barocche, che commessi da undicimila
€uro al mese vi spingono sotto il fondoschiena.
Giuro che avevo iniziato con l’intenzione
di esporre tutto ciò in prosa, anche un minimo
di poesia, ma come è possibile “andare a capo”
per indicare una separazione concettuale?
O sottostare a regole metriche,
esigenze ritmiche?
Qui c’è solo da incazzarsi e basta.
Pensare che ci sono persone degne,
questo è sicuro, quelle relegate negli scantinati,
o messi a tacere con minacce, massacrati.
Un certo Pier Paolo Pasolini sarebbe stato
il nuovo messia, le parole, versi, opere
cinematografiche, aforismi che ci ha lasciato
sono immensi. Nei suoi 53 anni di vita,
prima di essere trucidato, disse (ed eravamo
negli anni ’70): “La società italiana: il popolo
più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.(1)
Qualcuno sostiene che un altro Mondo non
solo sia possibile ma stia arrivando.
Come dovrebbero tornare,
è una legge di natura,
quella dei corsi e ricorsi storici,
persone del calibro del grande poeta
citato, solo parlarne già mi calmo,
dà tranquillità, speranza.
Purtroppo i suoi messaggi sono
ancora indecifrabili, per molti, troppi,
o rifiutati.
Io sono un ‘tollerato’. La tolleranza è solo
e sempre puramente nominale.
Non conosco un solo esempio o caso
di tolleranza reale. E questo perché
una ‘tolleranza reale’ sarebbe
una contraddizione in termini.
Il fatto che si ‘tolleri’ qualcuno
è lo stesso che lo si ‘condanni’.
La tolleranza è anzi una forma
di condanna più raffinata.” (1)
Se solo riusciste a intendere una minima
parte di ciò che ci è stato lasciato
con queste parole,
la sottilissima eppure immensa traccia
insita in esse della strada da percorrere…
La serietà! Dio mio la serietà!
Ma la serietà è la qualità di coloro
che non ne hanno altre: è uno dei canoni
di condotta, anzi il primo canone,
della piccola borghesia!
Come ci si può vantare
della propria serietà?
Seri bisogna esserlo, non dirlo,
e magari neanche sembrarlo!
Seri si è o non si è: quando la serietà
viene enunciata diventa ricatto e terrorismo.(1)
…allora questa nostra splendida Penisola
sarebbe migliore, perfetta.
Speriamo il tempo sia vicino
perché non se ne può più,
è anche una questione di dignità.
In ogni caso a voi
non toccherebbe alcunché.
Siete senza speranza,
sogni, gioia di vivere,
privi di un’esistenza reale,
siete ologrammi di voi stessi,
intaccate perfino i vostri affetti più vicini,
siete il vuoto,
la prova vivente che contraddice il principio
di indeterminazione di Heisenberg:
Il vuoto assoluto esiste, e si vede.
E siete tanti!

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

ILLUSTRAZIONE DELLA COPERTINA: SᾹDHUS – Fotografia scattata dall’autore a Varanasi (Benares) India – Mannandir Ghat – Sponda occidentale del Gange.

RIPRODUZIONE RISERVATA SE NON PER “POETI ITALIANI DEL ‘900” E CONDIVISIONE INTEGRALE SU FACEBOOK

(1) Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista ed editorialista italiano, considerato uno dei nostri maggiori artisti e intellettuali del XX secolo.

FINE DELLA LEZIONE

FINE DELLA LEZIONE

So che stai soffrendo
come un animale in calore.
Purtroppo non ci sono
a soddisfare i tuoi istinti,
la smania che ti assale
rimane inappagata.
E ti vai spegnendo.
Adesso non puoi dire
che il mio egoismo è senza limiti,
tanto da farti sentire uno zero,
avrei dovuto darti di più,
queste le tue ultime parole,
altro ancora,
ed erano solo inutili convenzioni,
nulla valevano ma tu non lo capivi.
Ora beneficia della tua ovvietà.
Nell’ultimo anno mi hai pressato,
non hai inteso, due come noi
sono senza alternative,
avresti dovuto pensare come un uomo,
prendere e gioire, dare e godere,
solo così avremmo sfidato il tempo.
E insieme… risultare vincitori.
Non sei riuscita,
proprio non ce l’hai fatta
ad anteporre i sensi,
passione, la carne, gli umori
di cui restavamo impregnati,
sudore, sperma, liquidi escretori
delle tue fertili mucose.
Mi stringevi, con le unghie
ti avvinghiavi a me,
perciò si aggiungeva sangue,
gradevole dolore.
E noi a mugolare di piacere.
Tutto qui!
È semplice in fondo. Stolta!
Ma come puoi non aver inteso
che l’Universo è questo,
il resto sono cantine ammuffite,
strade senza sbocco,
lavori in corso,
chiedere permesso,
ricerca di un parcheggio,
falsi valori, passeggiate senza meta.
Se non hai una tua vita segreta.
Inviti a cena, convenevoli,
raduni salottieri, insopportabili opinioni,
consuetudini, discussioni,
condivisioni, visite di cortesia,
amici di facciata,
un caffè al bar, saluti stiracchiati,
presenze fastidiose mentre accanto
si incrociano destini di altri…
alla disperata ricerca di amore.
Che noi avevamo… ora è dolore.
Non è possibile!
Né smetterò mai di chiedermelo,
eppure te l’avevo insegnato,
spiegato bene,
avevamo compiuto il prodigio,
un caso su mille, diecimila…
che dico? Unico.
Solo noi eravamo arrivati
a destinazione, la compiutezza,
il gioco dei corpi, l’attrazione.
Ma ha vinto la necessità della finzione.
Ed io di questo godo,
soffro da morire ma gioisco
della tua angoscia. Donna insensata!
Quante volte ho detto:
“devi essere mia, come una schiava”,
quando lo sussurravo al tuo orecchio,
te lo chiedevo
mentre ti ero dentro,
nei tanti modi che da me hai imparato
e che volevi…
“Sono tua, prendimi!” Rispondevi.
“Farò ciò che vuoi… ti scongiuro,
amami per sempre!” Supplicavi.
Sempre!
Avevamo resa autentica questa parola.
E dove lo trovo un altro come te!
Piangevi…
A parte questo, nulla hai capito,
e ogni giorno che mi vorrai
non ci sarò
mentre davanti ai tuoi fornelli
con un lui sereno
chinato sulla tavola a fare i conti,
chissà perché me lo immagino
in salopette, per cattiveria sai,
se non la indossa è nel cervello
che di sicuro ce l’ha.
Allora mentre ti asciugherai
le mani, i piatti avrai lavato,
getterai uno sguardo
furtivo al mio anello,
ti tornerà alla mente l’attimo
in cui decidesti di pianificare
la tua vita, paura dell’insicurezza
che ora è terrore della ripetitività.
Difficile poter tornare indietro.
La vecchiaia… sei stata tu
a richiamare la sua attenzione,
hai voluto sederti ad aspettarla,
con me correvi, era lei disperata,
non ci raggiungeva,
adesso piano piano ti si avvicina,
ogni giorno lascia il segno,
ferite sul tuo corpo,
le ore passano in silenzio,
la tua mente è svuotata,
hai già fatto la spesa,
il momento del suo rientro si avvicina,
a questo pensi mentre sei in cucina.
Cerchi di scacciare il mio ricordo…
ti dilania il pensare,
ritrovarsi il biglietto vincente della lotteria
e incassarlo a metà
anziché spendere tutto,
fino in fondo, all’avventura.
Che follia è stata!
Ma il fondo mai l’avremmo toccato,
e tu sai perché,
il nostro sentimento
dilatava sempre i confini.
Ne scoprivamo di nuovi
stando vicini.
E adesso che più non ti usi?
Che manca il maestro?
I glutei andranno infiacchendosi,
la pelle si indebolirà,
già avviliti sono i capezzoli,
piangenti e nostalgici i seni perfetti.
E il clitoride rosa che feci risorgere?
Era nascosto, umiliato.
Ricordi? Le piccole labbra…
hai gemuto la prima volta,
poi mi chiedesti di succhiarle ancora,
prenderle, viziarle…
mi tenevi premuta la testa,
pervasa dall’eternità.
Ma chi potrebbe mai
sfiorarti le gambe come so fare io?
Lentamente arrivavo
fino alle mutandine ma…
non andavo oltre,
pregustavo ciò che sarebbe stato,
tornavo alle ginocchia, i polpacci,
i piedi, tu fremevi,
e allargavi le cosce sempre più,
seduta al mio fianco, in auto,
guidavo e ti toccavo,
tornavo su, pizzicavo la parte più tenera…
il loro interno, in alto,
vicinissimo alla vagina.
E lì avvertivo calore di femmina,
plasmata per me, compiuta,
sentivo umido, caldo umido,
così abbiamo girato
per motel e ristoranti
musei, chiese romaniche, barocche,
ci sposavamo nelle sacrestie,
poi alberghi, birrerie,
ogni sorta di pub, bar,
spiagge di sera, di giorno,
scogliere protettive, cabine,
e tu bruciavi…
a volte dicevi di accostare subito,
non potevi aspettare.
Non mi è possibile perdonarti,
mai potrò farlo,
è come se tu avessi inferto
uno squarcio all’Infinito
che avevamo raggiunto, toccato,
in cui abitavamo. Ricordi bene
che sembrava un susseguirsi di dune,
sabbia finissima, il sole sempre basso,
al nostro fianco,
e il mondo era solo lontana percezione
ad occidente…
le nostre ombre unite, lunghe,
guardavano l’oriente.
Anteporre la sicurezza,
la stabilità, il timore
di un futuro incerto
che neppure sai se arriverà,
cominciare a pensare
di sistemarti, organizzarti!
Parole orribili, prive di libertà.
Dove? Con chi? Come?
Per aspettare di morire?
E quando quel momento
dovesse giungere?
Sai che cercherai la mia mano,
annasperai, ed io… dove sarò?
Come hai fatto a non capire
che di ciascuno di noi
stavamo cogliendo il meglio…
nascondendoci da tutto.
Splendido! Assoluto!
Ci incontravamo solo
nel nostro reale vissuto
fossimo stati insieme,
come due coniugi o compagni,
non avrebbe potuto durare…
Solo i clandestini arrivano
alla meta senza smettere di amare.
Stolta! Ottusa! Te l’avevo detto
di abbandonare la normalità,
ubbidire a me passivamente,
senza nulla pensare se non a noi. Ma…
la tua indole femminile, il timore,
ti hanno corrotta, ed io ho fallito.
Però… ho scoperto qual è la verità!
Questa è l’ultima lezione.
Alla fine sta in un pensiero
che a tutto sopravvive,
e accetta il passaggio offerto
dalla prima foglia che s’invola,
da una brezza amica che si fa messaggera,
il riverbero di un raggio di sole distratto,
il vento di scirocco,
un gabbiano che sconfina,
il bagliore complice della luna
per giungere in tempo fino a te…
e farti sentire la mia mano
che tiene stretta la tua.

 

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Fulvio Leoncini – 13 stazioni per lady Chatterley – 2012 – Dedicato alla passione – Collezione privata

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FERMATA D’AUTOBUS

FERMATA D’AUTOBUS

– Bello…
– Dice a me? Questo? È un mio primo piano ritagliato dalla foto a figura intera di pochi giorni fa. Me la sono fatta scattare per abbinarla ad una poesia che mi è stata dedicata. Almeno è attuale e qui sorrido un po’.
– Non mi pare, è così serio!
– Chi ha parlato? Scusi chi è? La conosco? Non ci vede bene forse… osservi che sguardo sereno.
– Decisamente bella la fotografia, non le dia retta.
– Un’altra ancora? Perdoni se le stavo dando le spalle… tutte donne? Mi sembra di avervi già viste, non siete volti ignoti.
– Non si preoccupi di questo. Purtroppo qui lo spazio non è mai abbastanza, non ci si rende conto della quantità di persone che circolano, un numero spropositato, enorme, ogni tanto passa un mezzo e riparte a pieno carico per distribuirci su altri piazzali… e avanti, senza sosta, continuamente. Lei è tanto che aspetta?
– Pochissimo, oppure… mi lasci pensare… stavo dicendo a queste due signore… non ci sono più! Svanite!
– No! Hanno appena preso l’autobus insieme a nuovi arrivati, non c’erano più posti ed è ripartito quasi subito. Non se n’è accorto?
– Assolutamente no! Oltre voi non ho visto nessuno. Che strano… qui è tutto deserto, la piazza sembra enorme e… che silenzio! Dunque ero rimasto che questa istantanea è un mio primo piano ritagliato da una più grande. Mentre ero in posa per lo scatto, in quel preciso istante, dal bar uscì la voce di Claudio Baglioni, cantava “Questo piccolo grande amore”. Fu come se il tempo si fosse fermato e una forte emozione mi ha fatto ripercorre tutti, proprio tutti i grandi e piccoli amori…
– Sempre bravissimo quello… un cantautore esaltante.
– È senza dubbio un grande, come le sue canzoni, ma io accennavo ad alcune signorine, ragazze… effettivamente, ripensandoci, li ho usati come taxi, lui e sapesse quanti artisti, per farmi trasportare, insieme alle mie amiche, nel mondo del piacere…
– L’accenno è stato notato… so a che si riferiva.
– Come fa a sap… ecco! C’è un’altra signora, non eravamo rimasti soli, si sta asciugando le lacrime, mi pareva di aver sentito dei singhiozzi, piange… Ehi! La conosco… che ti succede piccola? Come mai sei triste? Lo sai che affliggi anche me…
– Penso al tempo trascorso troppo velocemente…
– Perché? Il tempo è passato? Di nuovo? Me l’ha detto anche… non c’è più, sparita pure lei. Che sta succedendo? Allora è salita ed io non me ne sono accorto, ho perso pure questo. Beh! Aspetterò il prossimo…
– Ottima scelta, anch’io… con te.
– Sì però l’ombrello l’hai portato? Io non ne uso da sempre, lo sai, ma stasera… hai notato? Comincia ad imbrunire e le nuvole sono basse e pesanti, non si può mai sapere, nel caso piovesse… ho l’impressione ci sia tanto da attendere.
– E se il conducente non ci vedesse? Nel caso passasse dritto, in questo settore può accadere di tutto…
– Chi te l’ha detto?
– Mi sembra un’eternità che sto qui, so come funziona, tu… sei appena arrivato.
– Meglio se non si accorge di noi!
– Intendo l’uomo al volante vestito di nero, potrebbe scendere, arrabbiarsi… amore, io ho paura.
– Di che? L’autista del Tempo? Ma quello è un vile oltre che stanco e distratto, il suo percorso è lungo e tortuoso… al massimo ti coglie all’improvviso, alle spalle, dobbiamo stare in guardia, non perderlo d’occhio, controllare che faccia sempre la stessa linea, senza deviazioni… l’hai vista la mia foto?
– Aspetta, prima ti prendo a braccetto, mi è sempre permesso? Con te mi sento in pace, serena. Dunque vediamo… eccoti qui, ci sei rimasto bene, sei sempre bello ma…
com’è che la carta si è così ingiallita?

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Salvador Dalì – La persistenza della memoria – Olio su tela.

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