DECONTESTUALIZZARE o CONTESTUALIZZARE? Questo è il problema

DECONTESTUALIZZARE o CONTESTUALIZZARE?
Questo è il problema

C’era una volta… anzi è in circolazione uno dei tanti ammiratori del signore con la sciarpa bianca, strenuo sostenitore dei valori del primo ventennio quindi aggrinfiato anche a quelli del secondo, idealmente vicino al negazionismo dell’olocausto pertanto convinto assertore della parentela di Ruby Rubacuori con un ex presidente dittatore di uno stato estero. Insomma un uomo tutto d’un pezzo e devoto discepolo di ogni concetto venga pubblicato da alcuni mezzi di ”informazione” editi dalla “famiglia” del suo eroe senza mai mettere minimamente in dubbio la miriade di altre amenità dello stesso spessore intellettuale di cui sopra. Strano a dirsi è un tipo che a prima vista sembrerebbe evoluto culturalmente e, in ultimo, potrebbe forse definirsi una brava persona. Dico ”forse” solo perché se fosse cattivo lo sarebbe a sua insaputa come l’esigua minoranza degli appartenenti alla sua categoria. Tutti gli altri lo sono con cognizione. Con lui intrattengo rapporti di sana frequentazione e amicizia purché, parole sue, “non si parli di politica”. È importante sottolineare come questo genere di soggetti, che a un attento lettore sarà facile collocare in un preciso e definito schieramento della politica italiana, sia avvezzo a lanciare provocazioni con frasi dritte, sottili e appuntite come aghi che, all’occorrenza, possono rimanere conficcati o essere estratti alla bisogna. In poche parole buttano là una frase che potrà poi essere contestualizzata o decontestualizzata dal quadro generale secondo la necessità del momento. Non vorrei annoiarvi ma un caso emblematico di questa tecnica, accaduto qualche tempo fa, che ha trovato proseliti finanche tra le mura vaticane, è rappresentato da una barzelletta sugli ebrei, con bestemmia finale, raccontata in pubblico da un nostro ex presidente del consiglio. A tale riguardo un noto monsignore minimizzò l’accaduto sostenendo quanto fosse necessario “contestualizzare le cose”. Il telegiornale della principale rete nazionale snobbò la notizia con viscida e minzoliniana svagatezza ma di quest’altra categoria parleremo in diversa occasione.
Il motivo per cui vi racconto questo aneddoto? Perché se vi guardaste bene intorno potreste scoprire, non si sa mai, molti individui tutti appartenenti alla stessa specie di questo amico.
Improvvisa come il classico fulmine a ciel sereno dal tizio ricevo una mail:
“Ti invio queste considerazioni di Leonardo Sciascia, formulate nel lontano ma attualissimo 1986: «Il potere di giudicare dovrebbe avere radice nella ripugnanza a giudicare, nell’accedere al giudicare come a una dolorosa necessità, nell’assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio. Non da questo intendimento i più sono chiamati a scegliere la professione di giudicare. Una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è stato assegnato, ad assumerlo come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto a esteriorizzarlo. Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli.»”(1)
Non una parola di più a parte il “ciao” finale, secco e risolutivo come uno schiaffo. Circa i motivi per cui si fosse deciso a trasmettermi un messaggio subliminale di tale portata potrei scrivere una ventina di pagine fitte fitte che preferisco, anche per praticità oltre che stanchezza e buon gusto, sintetizzare in due considerazioni. La prima è che costui, nella convinzione di aver finalmente trovato la prova inoppugnabile delle sue ragioni, abbia deciso di esporsi. Illuminato da tale scoperta ha voluto rendermene partecipe posseduto di colpo da una sorta di frenetica volontà a convertire gli eretici. La seconda, collegata alla prima ma molto più diretta, è che a suo modo di vedere il passo da lui citato sarebbe la dimostrazione evidente della persecuzione di un potente nostrano da parte della Magistratura.
Il patto è stato infranto da colui che l’ha sancito e imposto cosicché mi sono permesso di inviargli la mia cauta e immediata risposta pensando che non avrebbe avuto alcun prosieguo:
“Troppe le cose da dibattere, precisare e confutare su questo delicatissimo tema, ciò che comunque fece l’Autore stesso nella prefazione a «Storie di ordinaria ingiustizia» (Raffaele Genah, Valter Vecellio, Sugarco Edizioni, Milano 1987). È un film già visto. Appena avrò qualche minuto di tempo sarà un piacere inviarti un mio personale commento. Intanto il problema: che tipo di società potrebbe essere deputata a giudicare i Giudicanti? E come con il potere che in questo modo assumerebbero?”
Con stupefacente meraviglia arriva la sua meditata replica (è pervenuta dopo qualche giorno), sintetica e ratta come la lingua di un camaleonte. Eccola:
“Credo non vi sia alcunché da dibattere o da commentare. Dalla lettura del libro o del sintetico brano solo considerazioni e giudizi che ciascuno di noi elabora nel suo succubo silenzio.”
Succubo silenzio? Ma come? Ero qui tranquillo, a pensare ai casi miei, mi viene lanciata una sfida su un terreno che tra l’altro prediligo e dovrei pure tacere? Ho riflettuto non più di cinque secondi prima di far partire la folata decontaminante del modo di intendere il dialogo, lo scambio di opinioni fra amici e conoscenti, incancrenitosi nel tessuto sociale a partire dalla famosa “discesa in campo” di quel signore divenuto miliardario che dagli spalti della tribuna d’onore della sua squadra di calcio meneghina, esibendo una sciarpa démodé e borsalino in testa, elargiva a profusione concetti sul suo modo di intendere politica e società:
“Caro amico, ecco le mie considerazioni e giudizi elaborati da tempo che non posso rinunciare ad esporti. Dunque «Il potere di giudicare dovrebbe avere radice nella ripugnanza a giudicare…». Bella frase peccato sia ovvia, scontata. Chi potrebbe non condividerla? Il problema è che ad espletare la «dolorosa necessità», l’ingrato compito, debbano necessariamente essere investiti esseri “umani” e, in quanto tali, imperfetti e deboli. Solo una continua correzione del “sistema”, pur sempre “edificato” e gestito da uomini, potrebbe ridurre il margine di errore nella scelta di coloro che dovessero «assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio». Ripeto: potrebbe ridurre, non eliminare. In ogni caso dove sta scritto che i Giudicanti, o buona parte di essi, non siano assillati dall’inquietudine, dal dubbio? Proseguo: «Non da questo intendimento i più sono chiamati a scegliere la professione di giudicare». Potrebbe essere vero. Ammettiamo lo sia. Anzi lo è! L’alternativa? In che modo selezionare questi “illuminati”, tali da destinarli ad ergersi moralmente al di sopra di tutto e tutti? Se si trovasse cotanto efficace sistema neppure sarebbe male applicarlo al potere politico (ad esempio nella selezione dei candidati alle elezioni), a quello dei medici, degli avvocati (assumere il compito di assistere l’imputato come un continuo sacrificare sé stesso per l’interesse del prossimo, dell’imputato non già del “cliente”). Credo gioverebbe applicare siffatto metodo anche al potere del clero, delle banche, degli imprenditori, dei potenti, per non parlare degli insegnanti, del personale addetto a mantenere i sepolcri imbiancati dell’apparato statale, dall’usciere al ministro, e via di questo passo. «Una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è stato assegnato, ad assumerlo come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto a esteriorizzarlo». Pure questa affermazione ad effetto, così come proposta e non ”contestualizzata” (termine oggi di gran moda) all’intero saggio, lascia il tempo che trova. Arriverei a dire sia banale. Quanta parte della Magistratura? Quale? E’ un fatto che in ogni settore della “società” vi sia una frazione del tutto non all’altezza del compito assegnatogli dagli uomini o dalla Natura. Sbaglio o la perfezione non è di questo mondo? In poche parole si ritorna al paragrafo precedente, al “Sistema” con la S maiuscola. «Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli». Affermazione grandiosa nella sua tragicità ma ci riporta inevitabilmente al “già detto”. Allora sorgono le domande che ti avevo posto: che tipo di società potrebbe essere deputata a giudicare i Giudicanti? La stessa che li ha partoriti o un’altra? E come applicare l’immenso potere che questi nuovi inquisitori si troverebbero fra le mani? Godrebbero nell’esercitarlo? Avrebbero ripugnanza nell’assumere la decisione ultima? Sarebbero assillati dal dubbio? Ha ragione Leonardo Sciascia in chiusura della sua presentazione di «Storie di ordinaria ingiustizia»: il problema vero, assoluto, è di coscienza, di “religione”. Appunto. Mi fermo perché solo ora rammento quanto tu prediliga il succubo silenzio infatti mi sono stupito della tua sortita. Scusami se mi sono lasciato andare e non ho rispettato l’accordo da te imposto, del resto non l’ho infranto io. In questi momenti di libertà che le festività appena trascorse ancora mi concedono ho trovato il tempo per una doverosa controreplica e sarei felicissimo di approfondire il tema.”
Con chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui una riflessione finale: questi quattro lustri di connivenza politica tra personaggi inquietanti deputati alla gestione della cosa pubblica, sopra tutti uno che continua a brillare di luce propria, hanno diffuso riverberi perfino, come ho detto, nei rapporti tra le persone, a volte pure all’interno delle famiglie o fra parenti. Volete sapere come è finito il confronto di opinioni banalissimo e, proprio per questo triste per come conclusosi? Il mio amico si è rinchiuso in un ancor più serrato e succubo silenzio ad elaborare considerazioni e giudizi di chissà quale portata cerebrale, io ho ripreso a rispettare il suo patto in un aperto e chiassoso confronto con il resto dell’umanità. Fino alla prossima lezione.

Mauro Giovanelli – Genova

Immagine in evidenza ricavata dal web – fotomontaggio dell’Autore – foto a destra Burne-Jones

(1) “Storie di ordinaria ingiustizia”, Raffaele Genah – Valter Vecellio, Sugarco Edizioni, Milano 1987

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CARI AMICI VI SCRIVO…

CARI AMICI VI SCRIVO…

   …è successo ancora! Ci siamo nuovamente assuefatti al peggio e la narcosi propinataci durante l’ultimo ventennio non ha esattamente la stessa composizione che in passato. Considerati i tempi, questa volta alla miscela è stato aggiunto un principio attivo dalla molecola piuttosto complessa, le dosi più che raddoppiate, i cicli di somministrazione hanno previsto intervalli ristrettissimi e la “terapia” ha coinvolto gran parte della popolazione impedendoci di distinguere fra ciò che è logico e illogico, giusto e sbagliato, lecito o illecito. Una cura che ci depriva della capacità di realizzare l’incubo e il paradosso in cui siamo precipitati così che qualsiasi forma di resistenza è stata scongiurata. Siamo regrediti allo stato di muti pesci che un certo “signore”, coadiuvato da corifei di ogni schieramento politico, ha addestrato a sopravvivere nella melma di un acquario infernale dotandoci di branchie sintetiche, all’uopo progettate, e da lui generosamente offerte in omaggio insieme al sacchetto ristoro e la mezza minerale. Nessuno fa più caso al tipo di “informazione” di certi quotidiani di “famiglia”, ed è diventato normale disquisire ogni giorno sulla parentela di una minorenne identificata quale presunta nipote di un capo di stato, piuttosto che di ingenti somme sottratte al fisco, o ancora di sistematici “aiuti economici” ad avvenenti signorine parcheggiate a utile distanza dal benefattore, di impropri stallieri e, concludendo ma non per difetto di altri argomenti, di “scippi” di aziende fra miliardari uno dei quali viene descritto come presunto comunista spalleggiato dalle toghe rosse. Siamo così in grado di digerire personaggi singolari tipo i leghisti Borghezio, Calderoli e Salvini dopo il duo Bossi e il “plurilaureato” Trota. Abbiamo assistito impassibili ai comportamenti di un ministro di Grazia e Giustizia della stazza della Cancellieri che espresse cordoglio e sentita partecipazione all’arresto di potenti amici di famiglia, spendendosi poi per farli rilasciare; di vice premier della sostanza di un Alfano sia prima maniera, ispiratore di leggi ad uso e consumo del suo padrone, sia al secondo stadio evolutivo che, con l’espressione costantemente imbronciata che si ritrova c’è quasi da credergli, a sua insaputa consentì la violazione della nostra sovranità nazionale da parte di fin troppo ben identificate forze kazake. Per chi avesse memoria corta vedi casi Ligresti e Ablyazov. Per non parlare dell’uomo con il baffetto, D’Alema, che da quando cammina e parla come avesse un palo lungo e dritto conficcato nel sedere continua a tramare nell’ombra a difesa di un apparato bulgaro del suo partito o a salvaguardia di chissà che altro. Il monumento alla supponenza.

Infine dai Monti e attraverso Letta giunge a valle la guida scout Renzi Matteo che dai suoi esordi alla trasmissione “la ruota della fortuna”, rete Mediaset, con vincita di 48 milioni di Lire, il balzo da co.co.co. a manager dell’azienda del su’ babbo nelle 48 ore che precedettero la sua candidatura a Presidente della Provincia così da addebitare le proprie “marchette” alla collettività, il passaggio in un lampo dalla bici all’auto blu per recarsi al “patto del Nazareno” e arrivare, tralasciando il resto, al salvataggio di Antonio Azzollini e la composizione del peggiore CdA della RAI, composto in perfetta sintonia con Berlusconi, ci sarebbero da scrivere almeno tre volumi. Ma arriveremo pure a quelli.

L’unica speranza siete voi giovani, vi dovrete impegnare nel delicatissimo lavoro di attenti osservatori per analizzare ed esporre fatti. Le branchie che vi hanno applicato non sono ancora ben salde, potete facilmente rimuoverle così da recuperare la respirazione polmonare, riemergere dal liquame, immagazzinare ossigeno, tanto, tantissimo, e lanciare l’urlo feroce e liberatorio che risvegli la folla impazzita.

Qualcuno ci salvi, per carità! Se non voi, chi?

Mauro Giovanelli – Genova

mauro.giovanelli@gmail.com

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FERRARA ovvero LA VENDETTA PERFETTA (1)

FERRARA
ovvero
LA VENDETTA PERFETTA (1)

È stupefacente assaporare gli articoli di Ferrara ogni volta che me ne capita l’occasione, per puro caso, quando vengono “ripresi” da redattori che apprezzo. E pure le interviste che rilascia, come quella apparsa il 13 agosto scorso (2013 n.d.a.) su “Il Fatto Quotidiano”, il cui titolo è appropriato alla sua grandezza, alla dimensione che questo eclettico articolista, opinionista, politico e conduttore televisivo occupa nel mondo della carta stampata, e non solo. Affascinanti le sue teorie ardite, le citazioni dotte, gli intrecci di palazzo, senza tempo, come la terra di Maremma dove Ferrara, affidandosi alle regole della transumanza, reca al pascolo la Sua eccelsa mente per alimentarla di nuova linfa, abbeverarla alla fonte dell’ispirazione.
Giuliano è un virtuoso del paradosso, saltimbanco dell’allegoria, il raffinato dell’ansia che instilla alla sua platea sempre in trepidante attesa dei suoi colpi di genio. Per tornare all’incipit “LA VENDETTA PERFETTA, DI SANGUE” dedicato all’eventuale “ascensione” di una Berlusconi nel gotha di coloro che si sacrificano per il Paese, esso racchiude in sé la risposta definitiva al farneticare di tutti i soloni della politica, dell’informazione, esperti costituzionalisti circa la soluzione del dilemma che attanaglia l’intero Paese: la scappatoia per il sig. B. e l’agibilità politica di almeno un B. Mi ha colpito molto e sono certo che pure il condannato abbia condiviso.
Pensare che nel titolo la cosa più appropriata è la virgola. Chissà quanti avranno apprezzato questa sottigliezza. Sì, la virgola, non i banali puntini di sospensione, ma quel segno meno nobile della punteggiatura mi ha strabiliato. Che grande, che cervello immenso, c’è da non credere che il suo cranio possa contenerlo tutto, mi viene il sospetto possa essere tracimato in altre parti del corpo. Una semplice, insignificante, a volte inutile, non certo in questo caso, virgola. È quella cosa lì che fa da collante fra il leader e il suo “pubblico”. Chi mai l’avrebbe solo immaginato? Che in un breve segno di pausa potesse concentrarsi il potere di spalancare le porte all’intesa, la complicità con la platea, la comunione perfetta. Come la tempesta che il giornalista richiama per dare vigore alla tanto anelata “salita in cielo” di Marina. Perché alle persone che lo compongono, mi riferisco sempre al pubblico di Ferrara, non sarebbe bastato “La vendetta di sangue”, non avrebbero capito, e poi non sufficiente a fargli raggiungere l’acme del piacere, troppo rapida la frase, liscia, quasi innocua, diretta. Invece il richiamo alla pellicola di Wolfgang Petersen e quel trattino… “La vendetta perfetta” rappresenta i preliminari così le pulsazioni vanno fuori controllo, sale l’odio, l’aspettativa ingigantisce, il desiderio diventa forte, irresistibile, il momento della rivalsa è più vicino poi… lo stacco, ed è proprio qui la bravura del condottiero, per esondare subito dopo fra i suoi discepoli con… “DI SANGUE”.
Ahhh! Che godimento, che metafora appropriata. Il tocco del maestro, la stoccata finale dopo l’incipit strepitoso che esclude ogni altra elucubrazione dei microscopici consiglieri del perseguitato, avvocati compresi. LA VERA VENDETTA (VIRGOLA) DI SANGUE!! Ferrara è grande, immenso, come giornalista, uomo, trascinatore, guitto, poeta. Non bastasse, anche un raffinato della comunicazione! L’epigono perfetto per scaldare i cuori dei nostalgici seguaci del cavaliere.

Mauro Giovanelli – Genova

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(1) Elogio all’intervista pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” del 13/08/2013 – Titolo: “LA VERA VENDETTA, DI SANGUE”

L’UOMO CON LA SCIARPA BIANCA (GENITORI ESODATI)

L’UOMO CON LA SCIARPA BIANCA
(GENITORI ESODATI)

Barbara e Valentina, le mie figlie.
Erano adolescenti
quando dalla tribuna d’onore
della sua squadra di calcio meneghina,
sciarpa bianca démodé e borsalino in testa,
un signore divenuto miliardario
cominciava a rilasciare
striscianti dichiarazioni politiche
che mi inquietavano.
Ne intuivo la minaccia,
percepivo l’insidia,
mi infastidivano.
Ecco le sue prime apparizioni televisive
che non sarebbero finite mai.
Non gli diedi peso più di tanto
nella convinzione che le istituzioni
lo avrebbero rifiutato,
il sistema si sarebbe automaticamente protetto
attivando gli anticorpi,
quell’uomo
non avrebbe potuto costituire un pericolo.
Il tempo è passato in un lampo.
Solo ora prendo coscienza
quanto la mia fiducia fosse mal riposta,
sia guardando alla parte politica in cui credevo
che a quella avversa, oggi alleate.
All’improvviso avverto la necessità
di chiedere scusa alle mie figlie
per non aver fatto di più,
il massimo,
un estremo sforzo
nel cercare di evitar loro un ventennio
culturalmente e socialmente decomposto.
Io posso dire
che i miei genitori
mi hanno lasciato la Costituzione.
Ma loro, di me,
cosa racconteranno?

Mauro Giovanelli – Genova

“L’UOMO CON LA SCIARPA BIANCA – GENITORI ESODATI)” è stato pubblicato il 28 ottobre 2013 sul sito www.memoriacondivisa.it: – Su “la Repubblica” del 22 ottobre 2013 pag. 24 – su “Il Segno” novembre 2013 pag. 7 – http://ilsegnoroccadipapa.blogspot.it

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DELRIO ovvero CREDO CHE… (con chi abbiamo a che fare)

DELRIO ovvero CREDO CHE…
(con chi abbiamo a che fare)

   Ho buona memoria, lo ammetto, e quando era ancora Ministro della Repubblica Delrio Graziano, intervenuto al meeting di CL in ordine alla famigerata IMU, aveva dichiarato: “Credo che i cittadini possano permettersi di pagare 400 €uro l’anno, è meno di un abbonamento ad una TV privata”. Ora si tratterebbe di capire se i nostri governanti sappiano, quando si esprimono, di cosa stiano parlando. Intanto l’incipit “credo che…” palesa incertezza, approssimazione, quindi scarsa o nessuna conoscenza dell’argomento che l’esperto di affari regionali e autonomie sta approcciando. Poi “cittadini facoltosi”. C’è da tremare pensando quali fasce di reddito, nella mente di questo signore, rientrino in tale categoria. Per il bocconiano Monti Mario e la piagnona Fornero, ad esempio, il contributo di solidarietà mensile è stato prelevato, retroattivamente, dalle pensioni superiori a circa 3 mila €uro lordi/mese (solo per gli stellari emolumenti dei politici i medesimi si riferiscono al “netto” o “lordo” a seconda della loro convenienza). E infine il finale strepitoso: “Credo che i cittadini… possano permettersi di pagare 400 €uro l’anno, è meno di un abbonamento a una TV privata”. Ma questo Delrio, con tutti i suoi “credo che…”, lo sa che per categorie sempre più ampie 400 €uro possono ormai fare la differenza fra ridere o piangere una volta di più all’anno? Credo che… NO! Visto che lui dall’alto di stipendi e benefit “intoccabili”, come tutti i suoi “colleghi”, si avvale di barbieri da 136 mila €uro all’anno (pagati dai cittadini facoltosi).

Comunque è coerente. Adesso che è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel Governo Renzi, quello di “yes we can”, enfatizza gli 80 €uro (lordi) mensili promessi dal suo capo a un ristrettissimo numero di lavoratori “agiati”, cioè coloro che ne guadagnano 1.500 (lordi) al mese, e sembrerebbero essere, a suo dire, il toccasana a tutti i mali del Paese. Naturalmente gli esclusi da tale beneficenza, i “facoltosi” pensionati e assimilabili, possono arrangiarsi, lui crede che… abbiano parenti ricchi.
Vai a capire questo spendaccione di Delrio, con quell’espressione un po’ così…

Mauro Giovanelli – Genova

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BRUNETTA NON HA IL SENSO DELL’UMORISMO (e dovremmo averlo noi…)

BRUNETTA NON HA IL SENSO DELL’UMORISMO
(e dovremmo averlo noi…)

   Martedì 7 agosto 2013 sui maggiori quotidiani nazionali:

«Lo spettacolo di Roberto Benigni non mi è piaciuto. Un buon motivo per non andare all’Inferno – incalza Brunetta – è l’idea di trovarci Benigni che ripete la sua solfa uccidendo Dante anche là. Per il resto, finché Benigni ripete pateticamente le battute sul sottoscritto e altri colleghi del PDL, attinte dal repertorio di Grillo e Crozza, non fa ridere, ma pazienza. Invece non c’entra alcunché con l’umorismo, ed è pura menzogna sostenere, come fa lui, che per la manifestazione di domenica a Roma abbiano pagato tutto e tutti. Un’infamia che colpisce non solo gli organizzatori ma diffama volgarmente tanta gente comune e perbene, che è capace di provare affetto per Berlusconi e rabbia per l’ingiustizia, ed è la stessa che prezzola Benigni con il canone quando ci rifila a tariffe milionarie i suoi flop danteschi.»
Ecco quanto affermato da Brunetta Renato criticando e attaccando a testa bassa il comico toscano che la sera prima, in apertura del suo spettacolo su Dante, si era permesso di ironizzare in ordine alla condanna definitiva per frode fiscale inflitta a Silvio Berlusconi. Sono stupefatto, oltre che affranto, dello scarso senso dell’umorismo dimostrato dal capogruppo PDL alla Camera, una triste sorpresa e desidero esprimergli la mia delusione. Infatti anche se appartengo ad altro schieramento ideologico ho sempre nutrito grande rispetto per Brunetta, sia per la diversa angolazione da cui traguarda la politica, sia per il guizzo spiazzante dei suoi interventi che lo elevano dal mediocre profilo tenuto dai suoi compagni di cordata, Santanchè in testa. Mi sono pertanto sorpreso delle sue esternazioni su Roberto Benigni scaturite da una battuta che lo associa ad una sorta di Rambo italiota. Mi rifiuto persino di immaginare che per una tale minuzia Brunetta pensi ciò che ha detto del nostro genio italico, probabile non fosse di umore particolarmente alto. Deve essere proprio così. Andiamo! Una persona della sua levatura mai cadrebbe in una simile meschinità.
Anche se Brunetta è un falco fra i fedelissimi di Berlusconi, il volo delle sue esternazioni è però sempre contenuto, rasoterra, quindi il profilo che tiene lo innalza di almeno quattro spanne dalla grossolanità dei colleghi di partito. E pure se, a pensarci bene, non ho mai capito quel ghigno, il rattrappirsi del naso sulle labbra del suo faccione, accompagnato da un maligno riverbero delle pupille alle domande di giornalisti “scomodi”, non posso essermi sbagliato sul suo conto. Ritengo che Brunetta abbia reagito d’impulso non esprimendo pertanto il suo vero pensiero circa il nostro più grande ed eclettico artista. A parer mio lui ha mentito pure a sé stesso, almeno così voglio credere, ma desidero ricordargli uno dei tanti vecchi adagi: alla fine le bugie vengono sempre a galla e si scopre che… hanno le gambe corte.

Mauro Giovanelli – Genova

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L’UOMO CON LA SCIARPA BIANCA (GENITORI ESODATI)

L’UOMO CON LA SCIARPA BIANCA (GENITORI ESODATI)

Barbara e Valentina, le mie figlie. Erano adolescenti quando dalla tribuna d’onore della sua squadra di calcio meneghina, sciarpa bianca démodé e borsalino in testa, un signore divenuto miliardario cominciava a rilasciare striscianti dichiarazioni politiche che mi inquietavano. Ne intuivo la minaccia, percepivo l’insidia, mi infastidivano. Ecco le sue prime apparizioni televisive che non sarebbero finite mai. Non gli diedi peso più di tanto nella convinzione che le istituzioni lo avrebbero rifiutato, il sistema si sarebbe automaticamente protetto attivando gli anticorpi, quell’uomo non avrebbe potuto costituire un pericolo. Il tempo è passato in un lampo e solo ora prendo coscienza quanto la mia fiducia fosse mal riposta, sia guardando alla parte politica in cui credevo che a quella avversa, oggi alleate.
All’improvviso sento la necessità di chiedere scusa alle mie figlie per non aver fatto di più, il massimo, un estremo sforzo nel cercare di evitar loro un ventennio culturalmente e socialmente decomposto.
Io posso dire che i miei genitori mi hanno lasciato la Costituzione. Ma loro, di me, cosa racconteranno?

Mauro Giovanelli – Genova

“L’UOMO CON LA SCIARPA BIANCA – GENITORI ESODATI)” è stato pubblicato il 28 ottobre 2013 sul sito www.memoriacondivisa.it: – Su “la Repubblica” del 22 ottobre 2013 pag. 24 – su “Il Segno” novembre 2013 pag. 7 – http://ilsegnoroccadipapa.blogspot.it

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UOMINI, MEZZI UOMINI, OMINICCHI, PIGLIANCULO E QUAQUARAQUÀ (1)

UOMINI, MEZZI UOMINI, OMINICCHI, PIGLIANCULO E QUAQUARAQUÀ 

Dunque… ricapitoliamo anche se, a forza di perdere tempo a riassumere, va a finire che questo Paese capitolerà. Il capo del Governo:
Trascorsero nove anni arrivando quindi al 2003… il Renzi era un co.co.co. nella Chil Post srl, azienda del su’ babbo Tiziano, successivamente indagato per bancarotta fraudolenta. Non so come andò o andrà a finire, neppure mi interessa. Quello che invece desta curiosità è che l’allora segretario provinciale de “La Margherita” (niente di meno), in quanto parasubordinato, non costava alcunché alla società del genitore. Il giorno 27 del mese di ottobre dello stesso anno, due giorni prima dell’annuncio dato dall’allora presidente nazionale e leader del medesimo partito contraddistinto dal fiore, simbolo di semplicità e purezza, ovvero Rutelli Francesco, che lo indicava quale candidato a Presidente della Provincia, la nostra guida scout si fece assumere a pieno titolo da papà in qualità di dirigente così, da quando eletto, nel giugno 2004, è stata la Provincia a versargli le consone “marchette”, cioè noi cittadini, tra l’altro adeguate allo stipendio da manager.
Da quella data e fino a tutto il 2014, due lustri, il nostro leader ci è costato non meno di 300 mila euro. Scoperto da “Il Fatto” con le mani nel vaso della marmellata, come si usa dire, pare abbia rinunciato a tale beneficio. Ma il “maltolto” l’ha restituito? A consentire una porcata del genere, estesa pure a Sindaci, Assessori regionali, provinciali, comunali e chi più ne ha più ne metta, è il decreto legislativo 267 che all’articolo 86 recita: “…l’Amministrazione Locale (la Provincia n.d.a.) prevede a proprio carico… il versamento degli oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi ai rispettivi istituti per… i Presidenti di Provincia…”. Credo sia tuttora in vigore.
Altro che balzo della quaglia ha fatto il giovanotto, questo è un triplo salto mortale, flic flac, verticale sulle spalle, squadra e retta, corpo teso. Et voilà! Nondimeno ha inciampato in qualche valido giornalista che ancora abbiamo.
La famiglia Boschi:
Al termine di due ispezioni avviate nel 2012 e nel 2013, Banca d’Italia multò la “Popolare dell’Etruria e del Lazio” per 2,54 milioni di euro. La maxi sanzione è a carico di 18 tra ex componenti del collegio sindacale e del CDA, tra cui Boschi Pier Luigi nominato vicepresidente della Banca Popolare “Etruria e del Lazio” un mese dopo che la figlia Boschi Maria Elena divenne braccio destro del Presidente del Consiglio quindi ministro delle Riforme, per caso piccola azionista del medesimo Istituto di Credito nonché direttore generale della fondazione Open, la cassaforte che finanzia l’attività politica di Renzi Matteo, ed aveva coperto, tra l’altro, l’esborso di circa 300 mila euro per la recente “Leopolda”. Sempre fortuitamente uno dei direttori generali della “Etruria” è il di lei fratello e la moglie di costui, ovvero la cognata, è manager della… “Etruria”.
Ora, e vi stupirete di quanto sto per dire, non è tanto significativo il fatto che la “Etruria” sembrerebbe una banca della famiglia Boschi, che tale Istituto di Credito ricevesse favori di vario genere dal Governo tra i quali un Decreto salva banca dello stesso ministro Boschi che, con un altro Atto, solleva pure suo padre da ogni responsabilità gestionale, ma…
…ciò che accomuna Renzi Matteo e il sig. Boschi Pier Luigi (e famiglia) è che quest’ultimo dismise le azioni della “Etruria” due giorni prima che fallisse (mettendo sul lastrico i piccoli risparmiatori) mentre a suo tempo due giorni prima che venisse candidato ed eletto Presidente della Provincia, la nostra guida scout si fece assumere a pieno titolo da papà in qualità di dirigente per l’abietto scopo di cui ho già parlato.
Fucksia Serenella ex Movimento Cinque Stelle:
Poiché sempre di vile denaro trattasi e identici sono gli espedienti sordidi di ingannare il popolo per appropriarsene, a questi si aggiunge Fucksia Serenella espulsa il 28 dicembre 2015 dal Movimento 5 Stelle venendogli giustamente contestato di non aver rispettato i regolamenti interni del partito circa la restituzione di parte del suo stipendio (dalla medesima sottoscritti e controfirmati prima di entrarvi). Adesso tale soggetto classe ’66 si ritrova nel “cerchio magico” dei parlamentari che vivono alle nostre spalle passando (Razzi, Scilipoti & C. docere) in qualche altro gruppo di scellerati che siedono nel “Palazzo”. Già un primo segnale del senso morale di questa “signora” si ebbe quando disse “chapeau!” al discorso da “fine recita di una scolaretta delle elementari” o da “Piccola fiammiferaia” che la Boschi Maria Elena pronunciò nell’aula di Montecitorio a discolpa della mozione di sfiducia mossa contro di lei; in sintesi: “Lasciatemi dire quello che ho nel cuore. Amo mio padre, è una persona per bene, sono fiera di lui e fiera di essere la prima nella famiglia Boschi ad essersi laureata”… tanto di cappello aggiungo io in italiano volgare.
Qualora con questo compendio fossi riuscito a focalizzare appieno il “taglio” dello squallido abito mentale che vestono coloro che reggono i fili del nostro futuro sarebbe già un grosso risultato sebbene fermarci qui vorrebbe dire annullarci.
Pensare che ci sono state, e forse esistono ancora nascoste da qualche parte, persone dello stampo del più grande pensatore del ‘900 che risponde al nome di Pier Paolo Pasolini. Fate un confronto, vi scongiuro, con le sue parole:
“Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”

Mauro Giovanelli – Genova

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(1) Da “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia

“DIO NON GIOCA A DADI CON L’UNIVERSO” (*)

“DIO NON GIOCA A DADI CON L’UNIVERSO” (*)

Il sabot dello chemin de fer contiene sei mazzi,
da 52 carte ciascuno, totale 312, più una neutra
che interrompe la sequenza, giacché la sua comparsa
dà il segnale che si è giunti alla duecentesima estrazione
e il colpo che si sta giocando sarà l’ultimo della “taglia”,
dopodiché esse saranno tutte nuovamente mischiate
per ricominciare da capo. Perché questo?
Per evitare che chi avesse eccellente memoria,
quindi ricordando le duecento già estratte,
sia avvantaggiato nel considerare le probabilità
di uscita delle rimanenti 112.
E fanno 313 carte totali,
una per “solidarietà” verso i più deboli.
Il gioco si sviluppa in senso antiorario,
come la rotazione della Terra intorno al proprio asse.
Un anno comprende 365 giorni, un mazzo esatto in più.
Oggi abbiamo estratto l’ultima carta,
“Rien ne va plus, les jeux sont faits”.
Altro giro.
Sì! Nella nostra società globale
la taglia non si mischia in anticipo
onde evitare che chi avesse più capacità sia favorito,
altrimenti avremmo dovuto interromperci
il 233esimo giorno ovvero il 22 agosto scorso,
e fare il rendiconto.
Pensate quante cose sono accadute nel restante periodo.
Quindi molto più serio e “democratico”
lo chemin de fer dove le regole sono precise, inconfutabili,
valgono per tutti, al contrario della continua finzione
cui ci stiamo adeguando in ogni campo.
Persino il giorno più corto dell’anno,
quello che corrisponde al Solstizio d’Inverno,
che si verifica tra il 21 o il 22 dicembre
ci piace festeggiarlo nove giorni prima,
il 13, la notte di Santa Lucia quando essa morì,
nel 304 d. C. durante le persecuzioni
dell’imperatore Diocleziano.
Questo “stacco” lo dobbiamo a Papa Gregorio XIII
che nel 1582, con la bolla papale “Inter gravissimas”,
promulgata a Villa Mondragone,
impose il passaggio direttamente dal 4 al 15 Ottobre,
togliendo quindi 10 giorni dal calendario giuliano,
tale era la sfasatura accumulata
negli oltre 10 secoli precedenti,
quando il solstizio coincideva
proprio con la dipartita della Beata.
Il calendario gregoriano è quello ufficiale
nella maggior parte del Mondo.
Molto accorti i papi nel gestire il tempo.
Villa Mondragone… Monte Porzio Catone,
presso Frascati a Roma…
fu residenza di papa Clemente VIII che,
spalleggiato da tal Roberto Bellarmino,
gesuita, vescovo e dottore della Chiesa Cattolica,
fatto santo, mummificato ed esposto,
per la venerazione dei fedeli,
nella terza cappella di destra della diocesi
di Sant’Ignazio di Loyola, in Campo Marzio,
sempre a Roma, poco distante da Campo de’ Fiori
dove il più grande filosofo mai esistito
fu arso vivo dal Sant’Uffizio per eresia,
dopo otto anni di duro carcere e supplizi.
Quando si parla di questo episodio,
il più turpe della storia dell’umanità,
e tantissimi altri commessi dai Pontefici,
occorre essere precisi,
come lo sono stati con i calendari.
Infatti il 22 dicembre 1920 papa Benedetto XV
promulgò il decreto della eroicità delle sue virtù,
sempre dell’inquisitore Roberto Bellarmino parliamo;
il 13 maggio 1923, durante il pontificato di Pio XI,
fu celebrata la sua beatificazione
e dopo sette anni, il 29 giugno 1930 fu canonizzato.
Ancora più rapida la nomina a Dottore della Chiesa,
conferitagli il 17 settembre 1931 sempre da parte di Pio XI.
La sua festa liturgica è attualmente il 17 settembre
quando avvenne il suo trapasso, chissà per quale direzione…
mentre tempo addietro era il 13 maggio,
giorno della sua beatificazione.
Come ho detto importante è la scrupolosità.
E’patrono della Pontificia Università Gregoriana,
dei catechisti, degli avvocati canonisti,
dell’arcidiocesi della città di Cincinnati negli USA.
Direte che c’entra, lo vedremo, anche se per ora,
sempre per l’esattezza,
essendo l’ubicazione della mummia
nella terza cappella di destra della basilica anzidetta,
e forzatamente entrato in un clima, chissà perché,
gaudente, mi verrebbe da dire:
“Tarapìa tapiòco! Prematurata la supercazzola, o scherziamo?
No, mi permetta. No, io… scusi, noi siamo in quattro.
Come se fosse antani anche per lei soltanto in due,
oppure in quattro anche scribài con cofandina?
Come antifurto, per esempio.
No, aspetti, mi porga l’indice; ecco lo alzi così…
guardi, guardi, guardi. Lo vede il dito?
Lo vede che stuzzica? Che prematura anche?
Ma allora io le potrei dire, anche con il rispetto per l’autorità,
che anche soltanto le due cose come vicesindaco, capisce?
No, no, no, attenzione! Noo!
Pàstene soppaltate secondo l’articolo 12,
abbia pazienza, sennò posterdati, per due,
anche un pochino antani in prefettura…
senza contare che la supercazzola prematurata
ha perso i contatti col tarapìa tapiòco… dopo…
antani, come se fosse antani, anche per il direttore,
la supercazzola con scappellamento a destra, per due, grazie” (1)
Questa è divagazione? Bestemmia? Nonsense?
Ma non rispecchia il consorzio umano
dove finzione, ipocrisia, trucco, stratagemmi, imbrogli,
incomprensioni trovano terreno fertile?
Dobbiamo stare alle regole che ci siamo dati?
Quindi stasera farci tanti begli auguri di buon anno
e chi, in tale circostanza, dovesse dire, così tanto per…
che la prima cosa che un papa, Capo della Chiesa Cattolica,
dovrebbe fare appena eletto sarebbe quella di rivalutare
il più grande pensatore dell’umanità: Giordano Bruno.
Chiedergli scusa e perdono per averlo bruciato vivo,
averci privato di chissà quali altre invenzioni,
prostrarsi di fronte al suo genio e…
lasciare Roberto Bellarmino dove si trova,
per la famosa regola d’oro…
Sarebbe un guastafeste chi osasse tanto?
E se uno qualunque aggiungesse, puro azzardo questo,
di augurarsi che per il 2016 sarebbe giunto il tempo
di passare dalle parole ai fatti come, ad esempio,
che il Vaticano rinunciasse “motu proprio”
all’otto per mille in modo da “alleggerire”
il carico fiscale degli italiani,
mettere a disposizione l’enorme patrimonio
immobiliare di cui dispone,
esigere che venga tassato su ogni sua proprietà
che occupi suolo pubblico italiano,
luoghi di culto compresi, pure le chiese intese come edifici,
che nel nostro Paese si aggirano intorno alle 36 mila,
così a valere per tutte le confessioni,
come del resto è imposto ai cittadini e persone giuridiche.
Convocare i Capi di Stato e colloquiare direttamente
con loro sbattendogli in faccia i reali interessi
per cui fanno politica e organizzano
“esportazione di democrazia” o “missioni di pace”…
solo dove c’è abbondanza di materie prime,
nonché risorse energetiche.
Dichiarare apertamente che i Palestinesi
sono stati espropriati di gran parte del loro territorio,
che qualsiasi persona di buon senso
sa benissimo cosa si nasconde dietro il terrorismo
e i continui conflitti in Medio Oriente.
Fare piazza pulita nello IOR,
liberarsi della moltitudine di cardinali e vescovi
dai quali è circondato, coloro che tutto perseguono
meno che la Parola di Cristo.
Schierarsi davvero e concretamente con i deboli,
invitare e sollecitare per una “informazione”
giusta, imparziale, “civile”.
Denunciare gli spudorati stipendi dei parlamentari italiani,
i più alti del Pianeta, e i vergognosi benefici di cui godono…
invece di riceverli in udienza con tutti gli onori.
Adesso che il Capo del Governo va dicendo
ai quattro venti che tante cose sono state realizzate
e l’anno prossimo sarà quello dei “valori”,
mi sembrerebbe il momento giusto.
Insomma ci sarebbe molto da fare, senza alcun dubbio.
Gesù buttò all’aria i banchi dei pubblicani e commercianti
cacciandoli dal Tempio…
“Dio non gioca a dadi con l’Universo” (*)
fu la celebre affermazione di Albert Einstein
mentre era in procinto di sviluppare ed elaborare
la teoria della Relatività.
Il Potere non applica le regole eque e precise
dello chemin de fer, aggiungo io,
neppure inserisce una carta neutra tanto
per ridurre un poco la sproporzione.
Si muove a caso, a vanvera, un tanto al chilo
nel depredare la gran parte di umanità
a favore di una minuscola porzione di autoproclamatisi “eletti”.
Se per caso vi avessi annoiato, o portato a pensare che non
ci sia poi tanto con la testa o, ancora peggio,
vi avessi guastato la giornata chiedo scusa e…
vi faccio tanti auguri.

Mauro Giovanelli – Genova

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Immagine ricavata dal web – fotomontaggio eseguito dall’Autore

(1) da “Amici miei” – film italiano del 1975 – diretto da Mario Monicelli – La sequenza di frasi sono del Conte Lello Mascetti magistralmente interpretato da Ugo Tognazzi.

UNO È L’INTERO

UNO È L’INTERO

Amore,
solo amore.
In questo istante
trascorso nel silenzio
dell’inconcludenza,
e nel successivo,
adesso,
anch’esso fuggito.
Mentre scrivo
scorrono attimi
inarrestabili
e silenziosi.
Amore,
sempre amore.
Per te.
“Tanti sono gli uomini
a questo mondo…”,
mi dicesti
una volta,
neanche troppo tempo fa.
Ora tarda, acquazzone,
chiusi in auto,
vetri appannati.
Non concludesti la frase,
necessità di fare pipì,
di ciò mi informasti
con soavità, uscendo.
Accoccolata come una ranocchia,
mutandine a mezza coscia,
stavi espellendo
tutto lo champagne,
non più ghiacciato.
Scesi con il tuo ombrello
mi inginocchiai dinanzi,
proteggendoti,
eravamo a fianco
della vettura,
ti fissavo, mi guardavi.
La pioggia battente sulla tela
unica intrusa
a ricordarci di non essere
lontani, in un punto remoto
di questo Universo
solo nostro.
Il braccio si protese
fra le tue gambe,
e il liquido caldo
fu fonte sorgiva
che riempì il palmo
della mia mano
fattosi coppa.
Aumentò il piacere
di saperti mia,
e solo il bello mi apparteneva.
Mi sovvenne il Petrarca
“Mostrar la palma aperta…”
così, al femminile, i grandi
definivano la superficie
opposta al dorso delle estremità,
che pure questo offrii
al battesimo tuo
che infuse calore,
e il gocciolar dalle punte delle dita
amabile visione.
Come tu facesti
molte volte con me.
Ricordi? Ti piaceva
guardare, frapporti al getto,
poi accarezzavi il sesso
e ogni volta esclamavi:
“Ma con tutti quelli
che ci sono a questo mondo
perché voglio solo lui?
Lo ambisco, lo amo
come fosse un altro di te.
Irrinunciabile.”
Oggi è amore,
ricordi, nostalgia,
sofferenza,
assenza, inutilità.
I secondi scorrono,
monchi di una metà.
Non so dove sei.
Affronto i giorni,
mattina che fugge,
pomeriggio pura formalità,
pausa fugace la sera.
Il buio della notte
comprime i ricordi,
dilata i sogni,
è ingannatore,
bugiardo, dà la speranza
di un domani diverso
ma il pensiero
non è negligente.
La mia mente è la prora
di un battello infernale
al centro di perfide
tempeste che si susseguono.
Due masconi
le mie tempie che pulsano,
a intervalli schiaffeggiate
dai tuoi gesti,
buccia di pesca la pelle,
il modo di offrirti,
adorarmi,
frangenti implacabili,
ondate di dolore pungente
che travolgono
e si allontanano…
tra un gorgogliare di schiuma
bianca, effervescente,
bolle e bollicine,
chiazze,
come vino spumante versato
sbadatamente a terra,
o urina benedetta,
…per ritornare con più forza,
violenza inaudita
mettendo a dura prova
l’involucro
e il meccanismo interno.
Quante mi passano accanto,
incrociano la mia vita! Ma…
perché voglio solo te?
E tutto ciò che ti porti appresso?
Qual è il mistero?
La dualità
che diventa armonia,
fusione.
Ecco cos’è! Ho trovato.
L’incastro perfetto della loghia 22,
testo gnostico di Tommaso,
l’autentico insegnamento
del Rabbi Jeoshu ha Nozri:
“Allorché di due farete uno…
troverete l’entrata del Regno”

Mauro Giovanelli – Genova

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