La tosse dell’operaio (Pier Paolo Pasolini) – Commento di Mauro Giovanelli

La tosse dell’operaio (Pier Paolo Pasolini)
Commento di Mauro Giovanelli

Sento tossire l’operaio che lavora qui sotto; – la sua tosse arriva attraverso le grate che dal pianterreno – danno nel mio giardino. Sicché essa pare risuonare tra le piante, – toccate dal sole dell’ultima mattina di bel tempo. Egli, – l’operaio, là sotto, intento al suo lavoro, tossisce ogni tanto, – certamente sicuro che nessuno lo senta. É un male di stagione – ma là sua tosse non è bella; è qualcosa di peggio che influenza. – Egli sopporta il male, e se lo cura, immagino, come noi – da ragazzi. La vita per lui è rimasta decisamente scomoda; – non l’aspetta nessun riposo, a casa, dopo il lavoro, – come noi, appunto, ragazzi o poveri o quasi poveri. Guarda, la vita ci pareva consistere tutta in quella povertà, – in cui non si ha diritto neanche, e con naturalezza, – all’uso tranquillo di una latrina o alla solitudine di un letto; – e quando viene il male, esso è accolto eroicamente: – un operaio ha sempre diciotto anni, anche se ha figli – più grandi di lui, nuovi agli eroismi. – Insomma, a quei colpi di tosse – mi si rivela il tragico senso di questo bel sole di ottobre.
PIER PAOLO PASOLINI – n. 45 a. XXXI, 8 novembre 1969 ” Il Caos”

COMMENTO:

L’insostenibile leggerezza della semplicità, il vivere comune, suoni dei clacson, la caffettiera che brontola, il cicaleccio della gente, il loro calpestio, un colombo che guardingo si aggrinfia svolazzante al bordo del davanzale per tenere le distanze e reclamare cibo, i panni stesi e… quei colpi di tosse che giungono dagli inferi, richiamo di una vita che si va spegnendo nella rassegnazione e sfiducia di un mondo sgarbato. Dunque tu chi sei Pasolini? Perché ti soffermi a declamare una tragedia tra le quinte di un palcoscenico inesistente? Quanto sono tese le tue corde? Dove potrebbe arrivare la sensibilità di cui ti nutri ad ogni istante?
Mi sovviene un pezzo che si attaglia alla perfezione, immagino tu lo conosca, una poesia di PÄR FABIAN LAGERKVIST. Il titolo?  Eccola:

“SE CREDI IN DIO E NON ESISTE UN DIO”

Se credi in dio e non esiste un dio,
allora è la tua fede miracolo anche maggiore.
Allora è davvero qualcosa d’incomprensibilmente grande.
Perché giace una creatura nel fondo delle tenebre
ed invoca qualcosa che non esiste?
Perché così avviene?
Non c’è alcuno che ode la voce invocante nelle tenebre.
Ma perché la voce esiste?

Ciò che voglio dirti Pier Paolo è che ci sei tu solo ad udire quella specie di rantolo che giunge attraverso le grate del pianterreno, pure ci rimugini sopra, formuli deduzioni che non ti competono. Chi ti assicura che la creatura là in basso non abbia latrina o un letto? Da che lo ipotizzi? Perché affermi che quando a quello di sotto dovesse sopraggiungere il male, esso sarebbe accolto eroicamente? Potrebbe lamentarsi e strillare come un maiale che stanno sgozzando. E poi sei certo esista?
Il problema, caro amico, è che non hai alcun diritto di rivelare il tragico senso di questo bel sole di ottobre, sei tu a vederlo così, altri ne staranno godendo il tepore, e dico ciò per il semplice fatto che non dovresti fare attenzione ai colpi di tosse che provengono dal basso, nessuno gli bada, la creatura crede di non essere udita, se non dal vuoto. quindi svela il suo affanno a qualcosa che non esiste, nessuno ci deve essere ad ascoltare la sua deserta sofferenza e la sola domanda che ci si può porre, caro Pasolini, che hai fatto tua con un brano meraviglioso è:
Ma perché quei lamenti esistono?

Mauro Giovanelli – Genova
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UNO È L’INTERO

UNO È L’INTERO

Amore, solo amore.
In questo istante
trascorso nel silenzio
dell’inconcludenza,
e nel successivo,
adesso, anch’esso fuggito.
Mentre scrivo scorrono attimi
Inarrestabili e silenziosi.
Amore, sempre amore.
Per te.
“Tanti sono gli uomini
a questo mondo…”,
mi dicesti una volta,
neanche troppo tempo fa.
Ora tarda, acquazzone,
chiusi in auto,
vetri appannati.
Non concludesti la frase,
necessità di fare pipì,
di ciò mi informasti
con soavità, uscendo.
Accoccolata come bambina,
mutandine a mezza coscia,
stavi espellendo
tutto lo champagne…
non più ghiacciato!
Scesi con il tuo ombrello
mi inginocchiai dinanzi,
proteggendoti,
eravamo a fianco della vettura,
ti fissavo, mi guardavi.
La pioggia battente sulla tela
unica intrusa a ricordarci
di non essere lontani,
in un punto remoto di questo
Universo solo nostro.
Il braccio si protese fra le tue gambe,
e il liquido caldo fu fonte sorgiva
che riempì il palmo della mia mano
fattosi coppa.
Aumentò il piacere di saperti mia,
e solo il bello mi apparteneva.
Mi sovvenne il Petrarca
“Mostrar la palma aperta…”
così, al femminile, i “grandi”
definivano la superficie opposta
al dorso delle estremità,
che pure questo offrii
al battesimo tuo che infuse calore,
e il gocciolar dalle punte delle dita
amabile visione.
Come tu facesti molte volte con me.
Ricordi? Ti piaceva guardare,
frapporti al getto,
poi accarezzavi il sesso
e ogni volta esclamavi:
“Ma con tutti quelli
che ci sono a questo mondo
perché voglio solo lui?
Lo ambisco, lo amo
come fosse un altro di te.
Irrinunciabile.”
Oggi è amore, ricordi, nostalgia,
sofferenza, assenza, inutilità.
I secondi scorrono,
monchi di una metà.
Non so dove sei.
Affronto i giorni, mattina che fugge,
pomeriggio pura formalità,
pausa fugace la sera.
Il buio della notte comprime i ricordi,
dilata i sogni, è ingannatore,
bugiardo, dà la speranza
di un domani diverso
ma il pensiero non è negligente.
La mia mente è la prora
di un battello infernale
al centro di perfide
tempeste che si susseguono.
Due masconi le mie tempie che pulsano,
a intervalli schiaffeggiate dai tuoi gesti,
buccia di pesca la pelle,
il modo di offrirti, adorarmi,
frangenti implacabili,
ondate di dolore pungente
che travolgono e si allontanano…
tra un gorgogliare di schiuma
bianca, effervescente,
bolle e bollicine, chiazze,
come vino spumante versato
sbadatamente a terra,
o urina benedetta…
per ritornare con più forza,
violenza inaudita
mettendo a dura prova l’involucro
e il meccanismo interno.
Quante mi passano accanto,
incrociano la mia vita! Ma…
perché voglio solo te?
E tutto ciò che ti porti appresso?
Qual è il mistero?
La dualità che diventa armonia,
fusione.
Ecco cos’è! Ho trovato
l’incastro perfetto nella loghia 22,
testo gnostico di Tommaso,
l’autentico insegnamento
del Rabbi Jeoshu ha Nozri.
Allorché di due farete uno…
troverete l’entrata del Regno

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI – Della serie “L’amante di Lady Chatterley” – Collezione privata.

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PAOLA MICOLI (Fatina del bosco – in attesa della sua biografia)

PAOLA MICOLI
(Fatina del bosco – in attesa della sua biografia)

Tutte le persone, anche le peggiori fra noi, hanno momenti in cui desiderano ritornare bambini. Credo sia non solo la necessità di allontanarsi dalla lotta per la sopravvivenza che, più o meno velatamente, la società impone all’individuo in conformità alla sua appartenenza al regno animale ed alla legge universale che reclama inarrestabile competizione, ma pure un rigurgito di quella che definiamo “anima” la quale esige una pausa, desidera attimi in cui ritornare all’innocenza adolescenziale, riappropriarsi della propria verginità. Quando poi capita, come è successo a me, di incontrare l’eccezione a questo assunto allora la mente si immerge in una dimensione incantata di cui non conosceva l’esistenza e ci si accorge che un altro mondo è possibile, necessario e imprescindibile.
Si chiama Paola Micoli, soprannominata Fatina, genitori di origine pugliese, contadini e piccoli imprenditori, nata in Svizzera dove la famiglia si trasferì. Cresciuta in una fattoria immersa nel verde, facente parte di un villaggio di agricoltori in cui tutti si conoscono e convivono in completa armonia, già in tenera età cominciò a conoscere le piante, ogni loro caratteristica, distinguere l’alternarsi delle stagioni dalla trasformazione che le cose subiscono, si ammaliava ad osservare i riverberi del sole filtrati dal fitto fogliame, i primi fiori selvatici che in primavera fanno capolino attraverso il manto erboso, i frutti, le varie forme della natura. Il fratello maggiore frequentava gli amici e si dedicava agli studi, terminati i quali imboccò la strada di missionario laico come insegnante presso orfanotrofi dell’America Latina.
Suo padre, orgoglioso e affascinato da tale predilezione della figlia verso le meraviglie dell’ambiente circostante decise di costruirle una casetta di legno su una grande quercia che diventò il regno di Fatina e lì il tempo si fermò, non ne venne più registrato lo scandire se non quando rimase orfana del genitore. Il suo dolore fu grande, totale, e autentico conforto lo ricevette dagli esseri di un’altra comunità, lassù, in quel nido fra i rami. Come nelle fiabe furono molti gli animali che ogni giorno andavano a trovarla, castori, conigli selvatici, i solitari e notturni ghiri, donnole, ricci. Imparò ad ammirare i colori e le abitudini dei cervi volanti, le salamandre alpine, ed a distinguere ogni tipo di insetto che fra latifoglie e conifere piuttosto che nella bassa vegetazione procedevano instancabilmente a partecipare all’equilibrio di un ecosistema perfetto dove vige la legge dell’Universo.
In questo mondo Fatina imparò ad ascoltare i suoi nuovi compagni, scoprì e interpretò i versi di ciascuno distinguendone i segnali, intese i diversi idiomi anche riconoscibili dal loro comportamento, in tal modo le parlavano e lei assimilò ogni manifestazione, modo di esprimersi per cui arrivò a dialogare anche senza emettere suoni ma con la sola trasmissione del pensiero, la gestualità, l’affinità che si era venuta a creare.
Intanto gli anni passavano e Fatina divenne una bellissima fanciulla, la sua figura magica come l’ambiente in cui crebbe e tuttora vive la plasmò nella stupefacente donna di oggi, lineamenti perfetti racchiusi in un corpo dalle sorprendenti fattezze che trovano nelle proporzioni del suo fisico la compiutezza della forza generatrice femminile. I suoi capelli, fluenti come cascate di soavità, sono castano chiaro ma durante l’estate, quando il sole è alto sul filo dell’orizzonte e i suoi riverberi li irradiano con più potenza essi diventano biondi. Il viso ha lo splendore e l’immutabilità delle antiche statue greche che si possono ammirare solo nei musei ed i suoi occhi strabilianti, profondi, sprigionano la dolcezza infinita che abita dentro lei in un trionfo di riflessi da rischiarare finanche il giorno. Per questo passa inosservato il fatto che non abbia mai usato orecchini, anelli, braccialetti, monili in generale, orologio al polso e, tranne un leggero tocco di matita alle palpebre, non usa trucco, neppure rossetto alle labbra in quanto già la sua presenza è un prezioso ornamento della Terra. Una semplice collana, a sostenere il simbolo della croce di Gesù o un cristallo di rocca, guarnisce il suo collo che potrebbe essere stato disegnato o scolpito solo dalla mano di un grande e geniale artista.
Fatina è cresciuta con la sua mamma, donna profondamente cattolica e rigorosa, e la presenza assidua di un’anziana amica di famiglia e vicina di casa di nome Eveline dalla quale rimase affascinata per la sua costante allegria forse legata al rispetto della tradizione ellenica e il culto dei quattro elementi, Fuoco, Terra, Aria e Acqua che aggregano l’esistente e coesistono nell’etere, la quintessenza che, secondo Aristotele, si andava a sommare agli altri inglobandoli. Fu così che Fatina fece suo l’insegnamento di Empedocle: “Conosci innanzitutto la quadruplice radice di tutte le cose: Zeus è il fuoco luminoso, Era madre della vita, e poi Idoneo, Nesti infine, alle cui sorgenti i mortali bevono” [Empedocle, frammento].
Paola vive dei proventi della piccola azienda di tessuti della quale abbiamo parlato, eredità di famiglia. Ha frequentato le elementari e dopo la scuola dell’obbligo studiò mineralogia e botanica. Esegue dolci melodie con il violino che la domenica rimbalzano tra le volte delle chiese durante le funzioni. Fatina dipinge, disegna, ma l’occupazione che predilige è aiutare il prossimo, i più bisognosi, gli ultimi, per i quali prepara quasi giornalmente pagnotte e prelibati pasticcini che porta con sé a Zurigo e Berna distribuendoli ai mendicanti. Alleviare le pene delle persone malate e soprattutto confortare le prostitute, obbligate dalla necessità a vendere il proprio corpo per procacciarsi cibo e sostentamento dei figli lo considera un dovere. Non di rado si reca nelle loro abitazioni a suonare il violino regalando note liete al loro cuore provato dalle vicissitudini della vita.
In un mondo sovrastato dal vero monoteismo del Dio denaro molti sono i modi di prostituirsi, sia con il corpo che la mente e dignità, senza dubbio le persone cui Fatina dona la sua amicizia ed a volte pure sostegno economico sono mentalmente più oneste di molte altre, donne e uomini, che vendono la loro vita, integrità, valori morali, per rincorrere ricchezza e potere. Considerate disonorevoli al contrario esse rappresentano per tanti individui con difficoltà di confrontarsi con l’altro sesso la sola risorsa di trovare un po’ di calore umano, uno sfogo, anche il sogno, la speranza in mancanza dei quali potrebbe trasformarli in frustrati e depressi indotti a scaricare in diversi modi la rabbia dell’isolamento cui sarebbero costretti. Raramente la gente si guarda allo specchio per scrutare il proprio volto ma sono molto bravi nello scoprire le rughe e cicatrici in quello degli altri.
Così come per gli animali Fatina comunica con i suoi simili in varie lingue che parla e scrive correttamente. Il dialetto svizzero, l’italiano appreso dalla mamma, tedesco francese e inglese obbligatori negli istituti frequentati successivamente alla scuola dell’obbligo, ed infine rudimenti di arabo, turco e celtico che ha voluto imparare per sua passione. Il salotto di Fatina è la sua casa nel bosco, suoi amici sono la natura e gli animali, la sua fonte i fiumi e laghi incantevoli che abbondano nel territorio, le varie sorgenti fra rocce calcaree e granitiche dai mille sfavillii dei minerali inclusi, la fede è in ciò che ha appreso da tutto quanto la circonda e l’amore risiede nel suo animo puro e generoso.
Purtroppo la vita rincorre i suoi percorsi obbligati e imperscrutabili che a volte farebbero precipitare nello sconforto chiunque ma non la nostra Fatina che dal suo modo di concepire l’esistenza ha attinto forza, volontà e risorse che le consentono di affrontare serenamente ogni avversità, anche le più maligne. Da circa sei anni Paola accudisce la sua adorata mamma colpita da un tumore inoltre nell’autunno scorso proprio alla nostra Fatina venne`diagnosticata una patologia rara, ereditaria, che potrebbe lentamente portarla alla perdita della memoria. Si spera e ci auguriamo tutti che la sua dolcezza e sensibilità elargiti quali bagliori di una personalità unica, e con l’aiuto della scienza, possano allontanare il male dalla nostra insostituibile amica.
Anche se con modeste parole mai degne del valore ed eticità della sua persona eccovi presentata Paola Micoli, designata la Fatina del bosco.
Comunico a tutti che ha comunque deciso di raccogliere ogni particolare del suo mondo favoloso in una biografia che sarà pubblicata a breve la cui lettura regalerà forti emozioni facendoci viaggiare oltre gli angusti limiti imposti dalla crescente urbanizzazione.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Paola Micoli

RIPRODUZIONE RISERVATA – PUBBLICAZIONE AUTORIZZATA A PAOLA MICOLI

CREDO IN… PASOLINI

CREDO IN… PASOLINI

Credo di essere entrato nella mente di Pasolini al di là di ciò che è stato scritto e detto di lui, neppure per quanto assorbito dai suoi insegnamenti. Credo di essere entrato nella mente di Pasolini perché è lo specchio della mia anima (qualunque cosa essa sia) nonché del mio modo di traguardare il mondo. Credo di essere entrato nella mente di Pasolini per il semplice fatto che nel momento in cui ascolto la sua parola essa si incastra perfettamente con il mio ragionare. I santi e santini non mi hanno mai impressionato, difficile mi lasci condizionare da chicchessia, credo di essere davvero libero dalle catene della morale comune e dagli aberranti condizionamenti della società. Se oltre duemila anni fa un uomo chiamato Rabbi Jeoshu Ha Nozri ha meritato l’appellativo di Messia, allora Pasolini è degno di essere chiamato tale non per investitura divina ma grazie alla “regalità” del suo pensiero ed i percorsi indicati. Credo che Pasolini avrebbe potuto essere protagonista di un miracoloso rinnovamento, l’unico e forse l’ultimo intellettuale in grado di poter risolvere la complicata convivenza fra gli umani ed a questo fine il suo cuore palpitava. Credo che Pasolini sia stato pure un profeta, senza alcuna attribuzione trascendente, ma solo per il fatto che ogni sua previsione si è avverata quindi è il propulsore che fa interagire le mie sinapsi quando leggo le sue parabole.

Mauro Giovanelli – Genova
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L’articolo “CREDO IN PASOLINI” è stato pubblicato il 22 giugno 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it

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MI DICHIARO CITTADINO DI ATENE del 431 a. C.

MI DICHIARO CITTADINO DI ATENE del 431 a. C.

IO SOTTOSCRITTO MAURO GIOVANELLI DICHIARO DI ESSERE CITTADINO DI ATENE DEL 431 a. C. NONCHÈ SEGUACE DI PERICLE – MI SONO OSCURI GLI EVENTI O LE CAUSE CHE HANNO RESO POSSIBILE IL MIO TRASFERIMENTO IN QUESTO PAESE CHE AMO E GENTILMENTE MI STA OSPITANDO DA TEMPO – A COLORO CHE AL MOMENTO SONO PREPOSTI AL GOVERNO DELL’ITALIA CHIEDO PERTANTO VENGANO APPLICATE LE PROPOSIZIONI DI SEGUITO ESPRESSE AFFINCHÉ NON MI SI FACCIA SENTIRE STRANIERO, IMMIGRATO, “DIVERSO”, INGOMBRANTE, A DISAGIO – MI APPELLO AI DIRITTI DELL’UOMO.
Atene, 431 a. C. – Mauro Giovanelli

PERICLE – DISCORSO AGLI ATENIESI, 431 a.C.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

Mauro Giovanelli – Genova
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L’articolo “MI DICHIARO CITTADINO DI ATENE del 431 a. C.” è stato pubblicato il 20 giugno 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it

Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)

Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36

(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)

 

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Jalāl al-Dīn Rūmī – (Balkh, settembre 1207 – Konya, 17 dicembre 1273)

Al di là delle idee
di giusto e sbagliato,
vi è un vasto campo.
Come vorrei incontrarvi là!
Quando colui che cerca
raggiunge quel campo,
si stende e si rilassa.
Là non esiste credere
o non credere…

Jalāl al-Dīn Rūmī
(Balkh, settembre 1207 – Konya, 17 dicembre 1273)

Anche conosciuto come Jalāl ad-Dīn Muḥammad Rūmī, Mevlānā in Turchia e Mawlānā nell’Iran e in Afghanistan. Ulema, teologo musulmano sunnita e poeta mistico di origine persiana. Fondatore della confraternita sufi dei “dervisci rotanti” (Mevlevi), è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagini in evidenza: A sinistra rappresentazione Jalāl al-Dīn Rūmī – A destra dervisci rotanti dell’omonima confraternita “sufi”

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OMAGGIO A SALVATORE QUASIMODO – (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968)

OMAGGIO A SALVATORE QUASIMODO
(Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968)

“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera.”

Salvatore Quasimodo

Commento:

…sarebbero bastate le ultime quattro parole, un buco nero, nulla si potrà mai più scrivere sullo scorrere del tempo senza che ne venga inghiottito. L’incipit è geniale, l’istante di luce risucchiato dalla sera. Inarrivabile!
Grazie.

Mauro Giovanelli – Genova
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