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ALLE NUOVE GENERAZIONI

Alle nuove generazioni
(La guerra in Ucraina, poi la Palestina, e poi…)

Forse dovreste sapere che non è come pensate che sia, non esattamente almeno, perciò sarebbe bene guardaste a noi con riguardo, considerare chi e che cosa siamo, cogliere per intero il nostro vissuto, non solo la dissonanza che oggi contrasta con i vostri fuggevoli suoni, e nell’armonia vi accorgereste delle speranze, i sogni, gli attimi vissuti, ogni desiderio e conquista, i rimpianti, tutti acuti che esistevano molto prima dell’inizio, erano da qualche parte, preconfezionati, fugaci puntini, chissà quanti, illimitate note di uno spartito immutabile eppur mutevole, un po’ come il luccichio dell’albero di natale, intermittenza molto più complessa però, posta fra righe e spazi di una partitura le cui chiavi prevedono infinite posizioni, immisurabili toni determinati da un disegno inesplicabile che dovreste sforzarvi di decifrare anche per noi, quindi non fermatevi alle apparenze, approfondite, esaminate i fatti, le cause, se abbiamo mancato è per ingenuità, ci hanno imbrogliato, ecco perché dovrete fare ancora più attenzione, quando si sviluppa un mostro sono tanti quelli che l’hanno cresciuto, di più ancora coloro che ne traggono un vantaggio, il tempo è sempre più veloce e il potere arriva ovunque, non lasciatevi corrompere dall’informazione veloce, il comunicato lampo, la verità è ogni volta più lontana, distorta, complessa, pensate di vostro, ponderate, tirate le somme, anche voi sarete chiamati a render di conto, sognate almeno fino a quando il cielo sarà luce pura.

© Copyright 2022 Mauro Giovanelli “Dalla risacca…raccolta di appunti, riflessioni, note” – I edizione

Cristoforo Colombo

“E il mare concederà a ogni uomo nuove speranze come il sonno porta i sogni”.
Cristoforo Colombo (Genova, fra il 26 agosto e il 31 ottobre 1451 – Valladolid, 20 maggio 1506) – 12 ottobre A.D.

Non perché Cristoforo Colombo fosse italiano, genovese fra l’altro, ma sono il forte desiderio di rimarcare lo spirito dell’uomo, il coraggio di penetrare il mistero, sfidare l’ignoto, Dio se vogliamo, che mi spingono a commemorare questa data.
Onore alla consapevole temerarietà che solo al grande navigatore si può attribuire. Nessun altro come lui, di ogni tempo, astronauti, palombari, aviatori, eroi, esploratori, tutti comunque sulle tracce di un calcolo prefigurato, mappa, indicazione, tracciato. Colombo non ha pari, neppure potranno mai essercene e quando l’uomo dovesse approdare su un altro corpo celeste, sia esso anche fuori del Sistema Solare e oltre, saprà dove andare e, con precisione assoluta, che cosa sta rischiando. È vero che circa milleottocento anni prima Aristotele congetturò la presunta sfericità della Terra, ma la “blindatura” mentale dell’epoca e l’oscurantismo culturale in cui visse il genovese non davano certezze, se mai ne asserivano di contrarie. Colombo vinse pertanto il “lato oscuro” che ciascuno di noi porta dentro e rende unica la sua avventura, atto eroico, geniale e rivoluzionario insieme avverso il pensare comune, l’uniformità, ignoranza, superstizione e dogma.
Per sempre resterà il solo uomo ad aver cavalcato e definito il miraggio.

Mauro Giovanelli – Genova
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EFFETTO “DOMINIO”

EFFETTO “DOMINIO”

…Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Berlusconi II, Berlusconi III, Prodi II, Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni… (Salvini?)… (Martina?)… Non può essere un caso!

Mauro Giovanelli – Genova
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NESSUNO ERA VACCINATO

NESSUNO ERA VACCINATO

Nove agosto a.D. duemiladiciotto.
Uccisi tanti bambini. Yemen, Palestina, Messico. È pure l’anniversario dell’atomica su Nagasaki, la seconda dopo Hiroschima, ignorato dai TG nazionali.
Nessuno era vaccinato.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Fulvio Leoncini artista, dal libro “erosoeros, o del tempo disumano”, 2017

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…E NON SOLO IL GRANDE GIORDANO BRUNO…

…E NON SOLO IL GRANDE GIORDANO BRUNO… – Sono incalcolabili le vittime della Santa Inquisizione, pare sia il più grande olocausto della storia…

DA “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” di JOSÉ SARAMAGO – Universale Economica Feltrinelli, 1997 – pagg. 300÷304

Con citazioni tratte da “Ecco Perché Juanita” di Mauro Giovanelli

«…Per cominciare da chi conosci e ami, il pescatore Simone, che chiamerai Pietro, sarà come te crocifisso, ma con la testa all’ingiù, e crocifisso dovrà essere anche Andrea, su una croce a forma di x, il figlio di Zebedeo, quello di nome Giacomo, lo decolleranno, e Giovanni e Maria di Magdala invece moriranno di morte naturale, quando saranno finiti i loro giorni, ma avrai altri amici, discepoli e apostoli come quelli già nominati, che non sfuggiranno ai supplizi, come per esempio un Filippo, legato alla croce e lapidato fino a quando la vita gli si sarà spenta, un Bartolomeo, che sarà scuoiato vivo, un Tommaso, che ammazzeranno a colpi di lancia, un Matteo, che adesso non ricordo come morirà, un altro Simone, segato a metà, un Giuda, ucciso a colpi d’accetta, un altro Giacomo, lapidato, un Mattia, decollato con una scure, e anche Giuda di Kiriat, ma di questo ne saprai meglio tu di me, tranne la morte, impiccato con le sue stesse mani a un fico e se non troverà la forza di uccidersi, o prima che questo avvenga, verrà assassinato, su di lui non ho ancora le idee chiare, Dovranno morire tutti per te, domandò Jeshua, Se la metti in questi termini, sì, moriranno tutti per causa mia, E poi, Poi, figlio mio, sarà una storia interminabile di ferro e sangue, di fuoco e ceneri, un mare infinito di sofferenza e lacrime, Racconta, voglio sapere tutto. Dio sospirò e, col tono monocorde di chi ha preferito soffocare la pietà e la misericordia, attaccò la litania, in ordine alfabetico per evitare suscettibilità in merito alla precedenza, Adalberto di Praga, ucciso con uno spuntone a sette punte, Adriano, ucciso a martellate sopra un’incudine, Afra di Asburgo, morta sul rogo, Agapito di Preneste, morto sul rogo, appeso per i piedi, Agata di Sicilia, morta con i seni recisi, Agricola di Bologna, crocifisso e trafitto di chiodi, Alfegio di Canterbury ucciso a colpi di osso di bue, Anastasia di Sirmio, morta sul rogo con i seni recisi, Anastasio di Salona, impiccato e decapitato, Ansano di Siena, ucciso per eviscerazione, Antonino di Pamiers ucciso per squartamento, Antonio di Rivoli, ucciso a sassate e bruciato, Apollinare di Ravenna, ucciso a mazzate, Apollonia di Alessandria, morta sul rogo dopo che le avevano strappato i denti, Augusta di Treviso, uccisa per decapitazione e bruciata, Aura di Ostia, annegata con una mola al collo, Aurea di Siria, morta dissanguata, seduta sopra una sedia ricoperta di chiodi, Auta, ammazzata a frecciate, Babila di Antiochia, ucciso per decapitazione, Barbara di Nicomedia, uccisa per decollazione, Barnaba di Cipro, lapidato e bruciato, Beatrice di Roma, uccisa per strangolamento, Benigno di Digione ucciso a colpi di lancia, Biagio di Sebaste, ucciso con carde di ferro, Blandina di Lione, uccisa a cornate da un toro selvaggio, Callisto, strangolato con una mola, Cassiano di Imola, ucciso dai suoi alunni con uno stiletto, Castulo, sepolto vivo, Caterina di Alessandria, uccisa per decapitazione, Cecilia di Roma, uccisa per decollazione, Chiaro di Nantes, ucciso per decapitazione, Chiaro di Vienna, ucciso per decapitazione, Chiteria di Coimbra, decapitata dal proprio padre, un orrore, Cipriano di Cartagine, ucciso per decapitazione, Ciro di Tarso, ucciso ancora bambino da un giudice che gli batté la testa contro le scale del tribunale, Clemente, annegato con un’ancora al collo, Crispino e Crispiniano di Soissons, uccisi per decapitazione, Cristina di Bols uccisa con tutto quanto si possa fare con mola, ruota, tenaglie, frecce e serpenti, Cucufate di Barcellona, ammazzato e sventrato, arrivato alla fine della lettera c, Dio disse, Poi è tutto uguale, o quasi, ormai sono poche le varianti possibili, tranne che nei particolari, i quali sono talmente raffinati che ci vorrebbe un mucchio di tempo a spiegarli, fermiamoci qui, Continua, disse Jeshua, e Dio continuò, abbreviando il più possibile, Donato di Arezzo, decapitato, Elifio di Rampillon, gli hanno segato la calotta cranica, Emanuele, Sabele e Ismaele, il primo col petto trafitto di chiodi, più un chiodo che gli attraversava la testa da un orecchio all’altro, tutti decollati, Emerano di Ratisbona, legato a una scala e ammazzato, Emerita, bruciata, Emilio di Trevi, decapitato, Engràcia di Saragozza, decapitata, Erasmo di Gaeta, detto anche Telmo, dimembrato con un argano, Ermenegildo, finito ad accettate, Eschilo di Svezia, lapidato, Escubiculo, decapitato, Eufemia di Calcedonia, infilzata con una spada, Eulalia di Merida, decapitata, Eutropio di Saintes, testa mozzata con una scure, Fabiano, spada e carde di ferro, Fede di Agen, decollata, Fedele di Sigmaringen, mazza chiodata, Felice e il fratello Adaucto, teste mozzate con la spada, Felicita e i sette figli, idem, Ferreolo di Besançon, decapitato, Filomena, frecce e ancora, Firmino di Pamplona, decapitato, Flavia Domitilla, idem, Fortunato di Evora, forse idem, Fruttuoso di Tarragona, bruciato, Gaudenzio di Francia, decapitato, Gelasio, idem più carde di ferro, Gengulfo di Borgogna, cornuto, assassinato dall’amante della moglie, Gennaro di Napoli, decapitato dopo essere stato condannato alle fiere e buttato dentro un forno, Gerardo Sagredo di Budapest, lancia, Gereone di Colonia, decapitato, Gervasio e Protasio, gemelli, idem, Giovanna d’Arco, bruciata viva, Giovanni di Brito, decollato, Giovanni Fisher, decapitato, Giovanni Nepomuceno di Praga, annegato, Giulia di Corsica, seni recisi e poi crocifissa, Giuliana di Nicomedia, decapitata, Giusta e Rufina di Siviglia, una sulla ruota, l’altra strangolata, Giustina di Antiochia, bruciata con pece infocata e decapitata, Giusto e Pastore, ma non questo che abbiamo qui, di Alcalà de Henares, decapitati, Godeliva di Ghistelles, strangolata, Goretti Maria, idem, Grato di Aosta, decapitato, Ignazio di Azevedo, ammazzato dai calvinisti, questi non sono cattolici, Ines di Roma, sventrata, Ippolito, strascinato da un cavallo, Juan di Prado, pugnalato alla testa, Kilian di Wùrzburg, decapitato, Léger d’Autun, idem dopo avergli cavato gli occhi e strappato la lingua, Leocadia di Toledo, scaraventata da un precipizio, Lievin di Gand, lingua strappata e decapitato, Longino, decapitato, Lorenzo, bruciato sopra una griglia, Ludmilla di Praga, strangolata, Lucia di Siracusa, decollata dopo averle cavato gli occhi, Magino di Tarragona, decapitato con una falce seghettata, Mama di Cappadocia, sbudellato, Margherita di Antiochia, torcia e pettine di ferro, Mario di Persia, spada, amputazione delle mani, Martina di Roma, decapitata, i martiri del Marocco, Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone, decollati, quelli del Giappone, ventisei, crocifissi, infilzati con lance e bruciati, Maurizio di Agaunum, spada, Meinrado di Einsiedeln, mazza, Mena di Alessandria, spada, Mercurio di Cappadocia, decapitato, Moro Tommaso, idem, Nicasio di Reims, idem, Odilia di Huy, frecce, Pafnuzio, crocifisso, Paio, squartato, Pancrazio, decapitato, Pantaleone di Nicomedia, idem, Patroclo di Troyes e di Soest, idem, Paolo di Tarso, a cui dovrai la tua prima Chiesa, idem, Perpetua e Felicita di Cartagine, Felicita era la schiava di Perpetua, incornate da un toro infuriato, Piat di Tournai, sfondamento del cranio, Pietro di Tortosa, decapitato, Pietro di Verona, mannaia sulla testa e pugnale nel petto, Policarpo, pugnalato e bruciato, Prisca di Roma, sbranata dai leoni, Processo e Martiniano, la stessa morte, credo, Quintino, chiodi nella testa e in altre parti, Quirino di Rouen, cranio spaccato, Regina di Alise, gladio, Restituta di Napoli, rogo, Rinaldo di Dortmund, a mazzuolate, Rolando, spada, Romano di Antiochia, lingua strappata, strangolamento, ancora non sei stufo, domandò Dio a Jeshua, e Jeshua rispose, Dovresti rivolgerla a te stesso questa domanda, “Se un Dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere quel Dio, perché il dolore del mondo mi strazierebbe il cuore.”1 continua, e Dio proseguì, Sabiniano di Sens, decollato, Sabino di Assisi lapidato, Saturnino di Tolosa, strascinato da un toro, Sebastiano, frecce, Secondo di Asti, decapitato, Servazio di Tongres e di Maastricht, ucciso a zoccolate, per quanto sembri impossibile, Severo di Barcellona, chiodo conficcato nella testa, Sidwel di Exeter, decapitato, Sigismondo re dei burgundi, scagliato in un pozzo, Sinforiano di Autun, decapitato, Sisto, idem, Stefano, lapidato, Tarcisio, lapidato, Tecla di Iconio, mutilata e bruciata, Teodoro, rogo, Tiburzio decapitato, Timoteo di Efeso, lapidato, Tirso, segato, Tommaso Becket di Canterbury, spada conficcata nel cranio, Torpete di Pisa, decapitato, Torquato e i ventisette, uccisi dal generale Mina alle porte di Guimaràes, Urbano, decapitato, Valeria di Limoges, idem, Valeriano, idem, Venanzio di Camerino, decollato, Vincenzo di Saragozza, mola e griglia con punte, Virgilio di Trento, ecco un altro ucciso a zoccolate, Vitale di Ravenna, lancia, Vittore, decapitato, Vittore di Marsiglia, decollato, Vittoria di Roma, ammazzata dopo averle strappato la lingua, Wilgefortis, o Liberata, o Eutropia, vergine barbuta, crocifissa, e altri, altri, altri, idem, idem, idem, basta. Non basta, disse Jeshua, a quali altri alludi, Lo ritieni proprio indispensabile, Sì, Mi riferisco a quelli che, non essendo stati martirizzati e morendo di morte naturale, hanno sofferto il martirio delle tentazioni della carne, del mondo e del Demonio e che, per vincerle, hanno dovuto mortificare il proprio corpo col digiuno e la preghiera, c’è persino un caso interessante, un tale John Schorn, il quale ha passato tanto di quel tempo inginocchiato a pregare che alla fine aveva i calli, Dove, Ma sulle ginocchia, ovviamente, e si dice pure, questo riguarda te, che rinchiuse il Diavolo in uno stivale, ah, ah, ah, Io, in uno stivale, Pastore manifestò i suoi dubbi, sono leggende, per potermi rinchiudere in uno stivale, ce ne sarebbe voluto uno grande quanto il mondo, e comunque vorrei proprio vedere chi sarebbe riuscito a calzarlo e a sfilarselo, Solo con il digiuno e la preghiera, domandò Jeshua, e Dio rispose, Offenderanno il corpo anche con dolore, sangue e un mucchio di schifezze, e tante altre penitenze, portando cilici e flagellandosi ci sarà pure chi non si laverà per tutta la vita, o quasi, come affermò, afferma o affermerà uno dei grandi filosofi che infetteranno il mondo, a proposito attenzione a questa specie di umani sono molto pericolosi per il nostro potere, schegge impazzite, incidenti di percorso, valuta tu le sue parole di denuncia, “Qui la carne viene disprezzata, l’igiene rifiutata in quanto sensualità, La Chiesa oppone resistenza alla pulizia (la prima misura adottata dai cristiani, dopo la cacciata dei Mori, fu la chiusura dei bagni pubblici, mentre la sola Cordova ne possedeva 270). E le terme romane non furono forse distrutte dai Cristiani?”“I credenti, i mistici, quando gettano il loro sguardo sul mondo, non vedono delle donne belle e provocanti, non vedono degli uomini gaudenti: vedono degli scheletri, vedono teschi dalle occhiaie fonde, mandibole senza lingua, denti senza gengive, teste ignobilmente calve, piedi che sembrano composti di dadi imperfetti, lunghissime mani che sembrano bocchini di pipa infilati.”3 , e cosa ne pensi della ricetta pedagogica per il corpo umano che uno dei tanti santi così illustrò: “Le mie membra ributtanti erano rese ruvide dal sacco. La mia pelle lurida era diventata nera come la carne di un etiope. A me non piacciono per niente i bagni nel caso di una vergine adulta, che deve aver vergogna di sé stessa e non deve sopportare di vedersi nuda. Infatti se macera il suo corpo con veglie e digiuni e lo riduce in schiavitù, se desidera spegnere con il freddo della continenza la fiamma della libidine e gli stimoli della sua età ardente, se ha premura di deturpare il suo naturale splendore con voluta trascuratezza, perché dovrebbe poi risvegliare con l’esca dei bagni i fuochi sopiti?”4 Ci saranno filosofi che addirittura si arrogheranno il diritto di esser loro a perdonare, con sarcasmo, come quel tale, “…ti perdono di essere cristiano: se non si è filosofi ci si può accontentare di ciò. O si pensa o si crede: non c’è altra via…” 5, o indagare per poi sentenziare, “…la religione, come le lucciole, ha bisogno dell’oscurità per risplendere…” 6, oppure, “…Il monoteismo genera l’ortodossia, l’ortodossia il fanatismo, il fanatismo l’odio e l’odio le guerre di religione…” 7, e ancora, “…Beati i poveri di spirito! In effetti il cristianesimo, fin dall’inizio ha sempre considerato la cultura come qualcosa da combattere…”8 . Addirittura, ma questo è un altro discorso, anche se attinente, i nostri seguaci distruggeranno gran parte delle opere d’arte edificate da altre civiltà in onore dei loro dèi, come osa denunciare un altro filosofo, siriano per giunta, ad un imperatore romano, ascolta! “Tu dunque comandasti che i templi non venissero chiusi e che non fosse proibitione di entrarvi, né bandisti il fuoco né l’incenso né le altre offerte di profumi dai templi e dagli altari; questi uomini vestiti di nero invece (i monaci cristiani), che mangiano più degli elefanti, che stancano, per l’abbondanza delle coppe che tracannano, coloro che versano da bere al suono dei loro canti; essi, che nascondono questi eccessi sotto un pallore che si procurano artificialmente, o imperatore, in violazione della legge in vigore corrono contro i templi, i tetti vengono tirati giù, i muri diroccati, le statue abbattute, gli altari rovesciati, i sacerdoti costretti a tacere o morire. Distrutto il primo tempio si corre ad un secondo e poi a un terzo, e trofei si aggiungono a trofei, contro ogni legge. Tutte queste violenze si osano anche in città. Ma per lo più nelle campagne, ed essi, in gran numero, attaccano in ogni luogo; dopo aver causato separatamente mille danni, si riuniscono e l’uno e l’altro si chiedono conto delle imprese: è una vergogna non aver commesso le più infamanti ingiustizie. Vanno all’assalto per le campagne come torrenti, devastano i campi con il pretesto dei templi: nel campo dove hanno distrutto un tempio hanno anche accecato, abbattuto, ucciso!” 9 Poi c’è stato, c’è e ci sarà, ma per te preferisco usare il tempo futuro, chi precipiterà nelle foreste e si rivolterà nella neve per placare le brame della carne suscitate dal Diavolo, cui si devono tutte queste tentazioni, perché il suo scopo è quello di distogliere gli animi dalla retta via che condurrebbe al cielo, donne nude e mostri spaventosi, creature aberranti, lussuria e paura, ecco le armi con cui il Demonio tormenta le povere vite degli uomini, Farai tutto questo, domandò Jeshua a Pastore, Più o meno, rispose lui, mi sono limitato a prendere ciò che Dio non ha voluto, la carne, con la sua gioia e la sua tristezza, la gioventù e la vecchiaia, la freschezza e il marciume, ma non è vero che la paura sia una mia arma, non ricordo di essere stato io a inventare il peccato e il suo castigo, e la paura che li accompagna sempre, Taci, lo interruppe Dio, spazientito, il peccato e il Diavolo sono i due nomi di una stessa cosa, Che cosa, domandò Jeshua, La mia assenza, E l’assenza di te, a che cosa si deve, al fatto che ti sia ritirato tu o che si siano allontanati da te, Io non mi ritiro mai, Ma consenti che ti abbandonino, Chi mi abbandona, mi cerca, E se non ti trova, la colpa, ormai si sa, è del Diavolo, No, la causa di questo non è sua, è colpa mia, che non riesco ad arrivare là dove mi cercano, parole che Dio pronunciò con una pungente e inattesa tristezza, come se all’improvviso avesse scoperto dei limiti al proprio potere…»

1 Arthur Shopenhauer, Nacchera. Munchen 1985, III, 57.
2 Friedrich Nietzsche, L’anticristo. Capitolo 21.
3 Pitigrilli (Dino Segre), Cocaina.
4 San Gerolamo, Lettere. Milano 1989. pp. 107 e 461 sg.
5 Arthur Shopenhauer, O si pensa o si crede. – Scritti sulla religione.
6 Anacleto Verrecchia, Giordano Bruno. – La falena dello spirito.
7 Ibid,.
8 Ibid,.
9 Flavio Libanio, In difesa dei templi. Napoli 1982, pp. 37 sg.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” di JOSÉ SARAMAGO – Universale Economica Feltrinelli, 1997

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GIORDANO BRUNO

GIORDANO BRUNO

Era l’alba del 17 febbraio 1600 quando il filosofo Giordano Bruno, una delle menti più lucide e ispirate del suo tempo (e anche del nostro), fu bruciato vivo in Campo dei Fiori a Roma a seguito della decisione presa dal Santo Uffizio dell’Inquisizione della Chiesa Cattolica. La sentenza fu preceduta da otto anni di carcere e torture, ufficializzate da “riunioni”, l’ultima delle quali avvenne il 9 settembre del 1599 e fu presieduta dai seguenti “commissari inquisitori”: Ippolito Maria Beccaria, Giulio Montenenzi, Pietro Millini, Anselmo Dandini, Marcello Filonardi e Alberto Tragagliolo. E’ opportuno riportarne i nomi per additare questi mostri all’esecrazione universale. Cinque mesi dopo, più precisamente l’8 febbraio del 1600, venne emessa la sentenza dai cardinali inquisitori Ludovico Madruzzi, Giulio Antonio Santoro, Pietro Deza, Domenico Pinelli, Girolamo Ascolano, Lucio Sasso, Camillo Borghese, Pompeo Arrigoni e Roberto Bellarmino. Il terz’ultimo capoverso del testo della condanna a morte sul rogo è un capolavoro di ipocrisia e così recita: “Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Christo… et dover essere rilasciato alla Corte Secolare, sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma (cardinale Ludovico Madruzzi n.d.a.) qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilazione di membro…”. Come se i nove cardinali non sapessero che le “debite pene” sarebbero consistite nel bruciare vivo quel genio indiscusso dell’umanità. Ma era necessario che la colpa del crimine non ricadesse sulla Chiesa, bensì sul potere temporale, sebbene anche questo fosse esercitato dal papa (Clemente VIII al secolo Ippolito Aldobrandini). Al termine della lettura della sentenza Giordano Bruno disse ai suoi aguzzini: “Forse tremate più voi nell’infliggermi questa sentenza che io nell’accoglierla”. Durante il percorso dal carcere di Tor di Nona al luogo dove sarebbe stata eseguita la condanna venne imposta a Giordano Bruno la “mordacchia” con la “lingua in giova” cioè trafitta da un chiodo ricurvo in modo che non potesse parlare, pena inflitta ai bestemmiatori che si rifiutavano di ascoltare “confortatori” e “padri”. Considerando che Roberto Bellarmino (il 25 febbraio 1616 presiedette anche il Sant’Uffizio nel processo a Galileo Galilei) fu uno dei più accaniti accusatori del grande filosofo mi chiedo:

▪ Come mai il 29 giugno 1930 Roberto Francesco Romolo Bellarmino fu proclamato santo da papa Pio XI e il suo corpo è conservato, per la venerazione dei fedeli, in una teca della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio a Roma mentre quello di Giordano Bruno si è disperso in cenere e fumo?
▪ Perché nel 1931 (17 settembre) San Roberto Bellarmino fu proclamato dottore della Chiesa Cattolica dallo stesso papa Pio XI?
▪ Come può spiegarsi il fatto che nella conferenza del 18 febbraio 2011 a Fener di Alano di Piave (BL) organizzata dal Circolo Christus Rex si è giunti alla conclusione che la Santa Inquisizione fu un tribunale giusto e misericordioso?
▪ Per quale motivo in occasione dell’Udienza generale del mercoledì (23 febbraio 2011) l’attuale papa emerito Benedetto XVI (Joseph Alois Ratzinger) decise di dedicare una meditazione sulla figura di san Roberto Bellarmino (nel corso della quale ovviamente non venne in alcun modo citato il caso Giordano Bruno)?
▪ E infine perché nessuno parla più di quel feroce accadimento per il quale sarebbe necessario (a mio modesto avviso) un chiarimento ufficiale da parte della Chiesa Cattolica come fu fatto per il “caso” Galileo Galilei?

Mauro Giovanelli – Genova
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Nota:
Quasi tutte le notizie della meravigliosa vita di Giordano Bruno le ho attinte dal testo “Giordano Bruno – La falena dello spirito” del nostro grande filoso e germanista Anacleto Verrecchia. Ho l’onore di averne una copia con dedica autografa, cosa non da poco considerando la riservatezza dell’uomo e l’umiltà del genio. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di Bruno, Nietzsche e Schopenhauer è stato uno dei più grandi intellettuali che abbiano attraversato il ‘900 e il suo stile è giudicato “la migliore prosa filosofica prodotta oggi in Italia”. È morto il 4 febbraio del 2012 all’età di 86 anni. Quotidiani e televisione gli dedicarono poco più di un trafiletto o annunci di qualche minuto, senza dubbio troppo impegnati a seguire le squallide vicende della politica interna. Comunque è certo che la persona non avrebbe gradito più di tanto sebbene per gli italiani sia stato facile accontentarlo. Diceva spesso “di un filosofo o di uno scrittore ciò che interessa sono gli scritti e non le vicissitudini personali”.

Mauro Giovanelli – Genova
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Pubblicato da “Il Segno” http://ilsegnoroccadipapa.blogspot.it nr. 8 del 16-30 aprile 2014 pag. 4 con il titolo “L’inquisizione ai tempi di Giordano Bruno” – Da “Memoria Condivisa” sito www.memoriacondivisa.it il 16 gennaio 2016 sul con il titolo “Giordano Bruno condannato al rogo dalla Santa Inquisizione”.

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Heinrich Himmler

«Così ci siamo schierati e secondo leggi immutabili marciamo come ordine militare nazionalsocialista, uomini di impronta nordica, comunità giurata della nostra stirpe, verso un lontano avvenire, e desideriamo e crediamo di essere non soltanto i pronipoti che meglio la difendono, ma anche e in più i padri di generazioni future, necessarie alla vita eterna del popolo tedesco-germanico»

(Dichiarazione di Heinrich Himmler sulle SS come ordine nazionalsocialista)

Mauro Giovanelli – Genova
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ANCHE QUESTO È UN BUON MOTIVO PER VOTARE “NO” AL REFERENDUM DI DOMANI 04 DICEMBRE 2016

ANCHE QUESTO È UN BUON MOTIVO PER VOTARE “NO” AL REFERENDUM DI DOMANI 04 DICEMBRE 2016

LA BANCA PIÙ VECCHIA DEL MONDO È GENOVESE NON SENESE

Per smentire le corbellerie che quotidianamente vengono emesse a raffica dai “professionisti” dell’informazione sia per servilismo al Potere sia per ignoranza crassa dei medesimi desidero puntualizzare quanto segue a proposito del fottuto “Monte dei Paschi di Siena” di cui si fa menzione ogni santo giorno anche al fine di evitare l’argomento Banca “Etruria” scomodo a Renzi Matteo & Boschi Maria Elena & C.

La casa delle compere e dei banchi di San Giorgio era un ente dotato di personalità giuridica che ebbe sede a Genova dal 1407 al 1805 e può essere assimilato in qualche modo a un ente di diritto pubblico. Organizzata come una società per azioni (consiglio di amministrazione elettivo, assemblea dei soci, trasferibilità delle quote sociali), gestì a proprio beneficio la maggior parte dei proventi del fisco, svolse un’attività bancaria di cui profittarono stato, banchieri e cittadini privati, amministrò come ente sovrano estese porzioni del territorio statale, esercitò un’influenza preponderante sull’economia e la società. Per comprendere meglio questo intreccio di caratteri, bisogna ripercorrere brevemente la sua storia.

L’origine dell’ente risale a un ennesimo riordinamento delle finanze pubbliche genovesi, che ai primi del Quattrocento erano gravate da un gran numero di debiti (“compere”) e non riuscivano più a sostenere l’ingente carico degli interessi passivi. Per impulso del maresciallo Boucicault, che governava il Comune in nome del re di Francia, nel 1407 si nominò una commissione dotata di ampi poteri per convertire un certo numero di compere all’8, 9 e 10% in un solo debito consolidato al 7%, rimborsando i creditori avversi all’operazione. Coloro che accettarono la riduzione dei tassi originari costituirono un consorzio posto sotto l’invocazione del patrono cittadino, che assunse il nome di Societas (o Officium) comperarum Sancti Georgii; il suo capitale nominale era costituito dal credito fruttifero verso lo Stato ed era suddiviso in quote ideali (loca) da 100 lire ciascuna, frazionabili a volontà e liberamente trasferibili ai corsi concordati tra le parti; le sue risorse erano rappresentate da un nucleo di imposte che gli furono date in amministrazione perché riscuotesse direttamente l’interesse del 7%. La riforma, se da un lato attenuò la pressione sulle finanze comunali, dall’altro diede vita a una potente associazione di creditori pubblici, dotata di piena autonomia di gestione e investita di giurisdizione civile e penale sulle materie di sua competenza, che assorbì man mano gli altri debiti esclusi dalla conversione fino a inglobare nel 1454 l’intero debito pubblico ascendente a circa 8 milioni di lire.

Oltre alla gestione delle compere e delle imposte ad esse assegnate, l’Ufficio di San Giorgio ottenne nel 1408, per contrastare la crisi monetaria in atto, l’autorizzazione a svolgere un’attività bancaria di deposito, giro e credito a beneficio non soltanto dello Stato, dei consorziati e degli appaltatori delle imposte, ma dell’intera piazza cittadina. Sorse così un banco pubblico che nel suo genere fu il primo in Italia e il secondo (o il primo ?) in Europa (alcuni valenti studiosi tra cui Kindleberger lo antepongono infatti alla Taula de canvi di Barcellona, che aveva aperto gli sportelli nel 1401, ma essenzialmente come organo di tesoreria municipale). Le operazioni furono interrotte nel 1445, ripresero ufficialmente nel 1531, precedendo di molti decenni l’istituzione di organismi con funzioni simili nell’Italia settentrionale e all’estero, e proseguirono sino al 1805 sotto forma di banchi pubblici di deposito e giro che praticavano anche il credito a breve termine a enti pubblici, istituti religiosi e opere pie.

L’ingente volume di denaro proprio o altrui gestito dalla Casa indusse lo Stato a ricorrere più volte ad essa per nuovi sussidi, garantiti da altre imposte o contro pegno di possessi territoriali. Fu in tale modo che l’Ufficio di San Giorgio subentrò alla Repubblica nelle sue colonie oltremarine e persino in alcuni distretti del dominio di terraferma di cui assunse l’amministrazione a proprio carico e beneficio acquisendo la configurazione di un vero e proprio stato nello stato; sotto la sovranità della Casa passarono così Famagosta (1447), Caffa e la Corsica (1453), Lerici (1479), Sarzana(1484), Pieve di Teco (1512), Ventimiglia (1514)e Levanto (1515). Poiché tuttavia le spese di gestione si rivelarono esorbitanti rispetto agli introiti, nel 1562 la Casa restituì allo Stato i possessi che ancora conservava, rinunciando per sempre a mutui fondati su garanzie territoriali e subordinando ulteriori crediti alla cessione di nuove imposte o alla copertura con titoli pubblici.

In conseguenza delle continue richieste di denaro da parte dello Stato, che comportavano l’emissione di altri luoghi e la loro vendita sul mercato, il capitale delle compere di San Giorgio crebbe progressivamente a poco meno di 38 milioni nel 1550 e poi oscillò tra i 44 ed i 52 milioni sino al 1797. La dilatazione della massa dei luoghi diede un grande impulso al mercato dei valori mobiliari, che a Genova esisteva dal sec. XIII, conferendogli il carattere di una vera e propria borsa valori e affinando la sensibilità degli operatori genovesi per le questioni finanziarie. Nello stesso senso agì il meccanismo di pagamento degli interessi a partire dalla metà del Quattrocento, quando i proventi annuali dei luoghi cominciarono ad essere pagati ratealmente in un arco di tempo superiore all’anno (dapprima nel corso di tre anni, poi scaglionati in otto anni o forse più, infine in cinque anni e quattro mesi); da allora, applicando una prassi consolidata che permetteva la cessione dei crediti, tra i luogatari si diffuse l’uso di trasformare il proprio credito da « lire di paghe » (cioè esigibili in ritardo) in « lire di numerato » (ossia immediatamente disponibili) cedendolo ad altri mediante un’adeguata riduzione del suo valore nominale; in tal modo la tecnica dello sconto divenne un connotato usuale del mercato genovese. Inoltre, seguendo una pratica antica, la Casa di San Giorgio consentì sempre il trasferimento contabile di somme tra l’uno e l’altro dei suoi creditori di « paghe » o di « numerato », rendendo possibile la liquidazione di un ingente volume di transazioni senza l’intervento di moneta metallica anche dopo la chiusura dei banchi quattrocenteschi.

La potenza finanziaria della Casa, sostenuta da una larga potestà giurisdizionale e giudiziaria per tutto ciò che riguardava le gabelle ed il debito pubblico di sua competenza, le fece superare indenne le vicissitudini politiche dello stato genovese, assicurandole una notevole stabilità e consentendole di sopravvivere per ben quattro secoli. La sua fine coincide con la caduta del regime aristocratico, quando l’assegnazione delle imposte e le connesse funzioni di cui godeva dalle origini furono revocate a favore della nuova Repubblica Ligure (1798). All’antica Casa rimasero l’esercizio dell’attività bancaria (da cui il nuovo nome di Banca o Banco di San Giorgio) e l’amministrazione provvisoria del debito pubblico, ma dopo l’unione all’Impero francese la Banca cadde fu definitivamente soppressa (luglio 1805), vittima del centralismo napoleonico. La sua liquidazione si protrasse fino al 1856 e comportò l’iscrizione, nei registri del debito pubblico francese e piemontese, di appena il 15% del capitale nominale dei loca.

La Casa di San Giorgio costituisce, per molti riguardi, un caso unico nella storia delle istituzioni finanziarie europee tra la fine del medioevo e le soglie dell’età contemporanea, sia per la massa di potere politico ed economico di cui fu portatrice, sia per lo scrupoloso rigore con cui amministrò i crediti e conservò il denaro della società genovese, sia per la capacità di elaborare tecniche e strumenti finanziari nuovi. Imperniata sulla difesa accanita degli interessi dei luogatari, la sua azione fu spesso in contrasto con gli interessi generali del paese, riducendo il margine di manovra dello Stato in materia di politica economica e soffocando le iniziative commerciali e industriali che avrebbero potuto intaccare gli introiti fiscali assegnati a nutrimento dei luoghi; ciò nondimeno, essa consentì un processo plurisecolare di accumulazione, che fu la base delle fortune internazionali del capitalismo genovese. L’attività bancaria, che si svolse in due tempi per un arco complessivo di 310 anni, non interessò soltanto le attività commerciali ed industriali di una città popolosa, profondamente inserita nell’economia mediterranea; ma coprì, quanto meno per alcuni segmenti, anche le operazioni internazionali di una folla di banchieri che per due secoli furono tra i più importanti d’Europa. Le tecniche ereditate dalle compere precedenti o introdotte ex novo dalla Casa di San Giorgio in materia di ordinamento del debito pubblico, compra-vendita di valori mobiliari, contabilità aziendale e sconto rappresentarono qualcosa di inconsueto nel mondo finanziario del tempo, nel senso che solo in epoche posteriori le ritroviamo normalmente applicate in altri paesi; basti pensare al fondo d’ammortamento del debito pubblico, vantato come un’invenzione inglese del Settecento, ma praticato a Genova sin dal Trecento. Infine la sua posizione dominante rappresenta qualcosa di eccezionale anche dal punto di vista della ricerca storica, perché – grazie alla vastità degli interessi che facevano capo ad essa – la Casa diventa un osservatorio privilegiato per cogliere le vicende non solo dello Stato, in quanto organizzazione politico-giuridica, ma dell’intera società genovese.”(*)

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com
© Copyright 2016 Mauro Giovanelli

(*) Da “La Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio

Immagine in evidenza: Facciata a mare di Palazzo San Giorgio – Genova (La Superba)

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FISCHIA IL VENTO… (Eroi dimenticati?)

FISCHIA IL VENTO… (Eroi dimenticati?)

Mi trovo fra le montagne del cuneese in un paese di villeggiatura che ormai si popola solo a cavallo del ferragosto e nel corso delle feste natalizie. Avverto fortemente la mancanza del mare sebbene l’affetto degli indigeni nei miei riguardi sia tale che, quando sono seduto sotto il pergolato del centrale bar latteria (la mia location), le loro paccate sulle spalle, gli abbracci e le domande che pongono sulla “vita di città” nonché il genuino interesse che dimostrano, supportato dalla saggezza contadina che li contraddistingue, suppliscono alle varie nostalgie (sostanzialmente due).
Così tra un discorso e l’altro venne fuori il nome di un certo Felice Cascione. Già! Un caso perché proprio su “La Stampa” di oggi 7 agosto 2016, a disposizione dei clienti, mi cadde l’occhio su un articolo commemorativo riguardo questo eroe cui dobbiamo molto per la libertà che ancora stiamo godendo. Nacque a Porto Maurizio (ora Imperia) il 2 maggio 1918 da famiglia di antifascisti. Terminato il liceo decise di iscriversi all’Università degli Studi di Genova e successivamente, sospettato di frequentazioni con organizzazioni comuniste, all’Università degli Studi di Bologna e, mentre conseguiva la laurea in Medicina (10 luglio 1942) ivi rimase facendo esperienza nella medesima clinica ostetrico-ginecologica. Lo stesso anno si iscrisse al Partito Comunista d’Italia. Divenne pure campione di pallanuoto essendo amante dello sport e dotato di un fisico esuberante (l’amico Alessandro Natta lo descrisse “bello e vigoroso come un greco antico”). In poche parole futuro assicurato ma… non faceva parte di quella vasta tribù di individui che guardano solo alla propria “nicchia” (oggi numerosissimi come acari in un vecchio materasso). Infatti dopo l’8 settembre del 1943 fece la scelta decisiva aggregandosi ai partigiani al comando di una Brigata operativa nell’imperiese e le colline dell’entroterra ligure. Nome di battaglia, “U Megu”, dal dialetto genovese “Il medico”. La sua dedizione alla causa fu totale e assoluta.
Il 27 gennaio 1944, mentre stava ripiegando con i suoi uomini nei pressi di Alto (Cuneo), si accorse che un compagno era stato catturato dai nazifascisti e sottoposto a tortura affinché rivelasse il nome del comandante. Tornò indietro e senza indugio alcuno, fiero, gridò al gruppo di aguzzini: “Sono io il capo” e cadde al suolo crivellato di colpi. Aveva 26 anni.
Rimasi commosso ma ciò che ancor più mi colpì è quanto venni a sapere. Alla sua brigata era aggregato un reduce dalla Russia, tale “Ivan”, che gli insegnò la melodia popolare “Katyusha”. Felice prese un foglietto del suo ricettario medico e cominciò a comporre i versi di “Fischia il vento…” inno delle Brigate Garibaldi che nel Natale del ’43 venne cantata per la prima volta a Curenna di Vendone (Albenga) sebbene l’esecuzione ufficiale si tenne ad Alto il giorno dell’Epifania 1944.
Pensare che in uno dei capolavori di Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny”, letto e riletto, sono passato tante volte al punto in cui «…da intorno e sotto aumentarono le insistenze e quello allora intonò: “Fischia il vento e infuria la bufera, scarpe rotte e pur…”»
Grazie di tutto Felice Cascione, nulla ti voglio raccontare su ciò che sta accadendo oggi, però:

«Fischia il vento e infuria la bufera,
scarpe rotte e pur bisogna andar
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il sol dell’avvenir.
A conquistare…

Ogni contrada è patria del ribelle,
ogni donna a lui dona un sospir,
nella notte lo guidano le stelle,
forte il cuor e il braccio nel colpir.
Nella notte…

Se ci coglie la crudele morte,
dura vendetta verrà dal partigian;
ormai sicura è già la dura sorte
del fascista vile e traditor.
Ormai sicura…

Cessa il vento, calma è la bufera,
torna a casa il fiero partigian,
sventolando la rossa sua bandiera;
vittoriosi, al fin liberi siam!
Sventolando…» (1)
R.I.P.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.it

(1)Testo: Felice Cascione
Musica: sul tema russo “Katiuscia”

Immagine in evidenza ricavata dal web: Felice Cascione a Bologna

L’articolo “FISCHIA IL VENTO…” è stato pubblicato il 9 agosto 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it

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MI DICHIARO CITTADINO DI ATENE del 431 a. C.

MI DICHIARO CITTADINO DI ATENE del 431 a. C.

IO SOTTOSCRITTO MAURO GIOVANELLI DICHIARO DI ESSERE CITTADINO DI ATENE DEL 431 a. C. NONCHÈ SEGUACE DI PERICLE – MI SONO OSCURI GLI EVENTI O LE CAUSE CHE HANNO RESO POSSIBILE IL MIO TRASFERIMENTO IN QUESTO PAESE CHE AMO E GENTILMENTE MI STA OSPITANDO DA TEMPO – A COLORO CHE AL MOMENTO SONO PREPOSTI AL GOVERNO DELL’ITALIA CHIEDO PERTANTO VENGANO APPLICATE LE PROPOSIZIONI DI SEGUITO ESPRESSE AFFINCHÉ NON MI SI FACCIA SENTIRE STRANIERO, IMMIGRATO, “DIVERSO”, INGOMBRANTE, A DISAGIO – MI APPELLO AI DIRITTI DELL’UOMO.
Atene, 431 a. C. – Mauro Giovanelli

PERICLE – DISCORSO AGLI ATENIESI, 431 a.C.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

L’articolo “MI DICHIARO CITTADINO DI ATENE del 431 a. C.” è stato pubblicato il 20 giugno 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it

Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)

Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36

(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)

 

Immagine in evidenza ricavata dal web

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