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Rispondo a Roberto Saviano

Rispondo a Roberto Saviano

Questo governo è colpa del PD che ha tollerato, e pure alimentata tramite gli “innesti” gigliati e gigliosi la disastrosa e destrorsa politica di Renzi. Al contrario di costui non penso che Di Maio sia viscido nel cercare di “barcamenarsi” con un “socio” scomodo ma ritengo sia piuttosto teso nel cercare di “contenere” l’incontinenza di Salvini che trae origine dalla sua propria “poca capienza”. Del resto mi par di capire che all’orizzonte si stiano profilando nuovi schieramenti politici (vedi gilet gialli in Francia e arancioni nel sud Italia) la cui sola accortezza dovrà essere quella di non sporcarsi le mani nella pece, nera come sappiamo che più nera non si può. E vischiosa.

Mauro Giovanelli – Genova
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IL CRETINO PARTE V

IL CRETINO PARTE V

Ho testé avuto un “confronto” epistolare con certo “Antonio Di Bartolomeo” al termine del quale, non avendo egli alcunché da aggiungere circa il fatto che artisti si nasca e non ci si possa inventare come tentava invano di confutare, ricevetti questo Messenger:

“Scusami ma mi vedo costretto a rimuoverti dai miei contatti.
A te piace la polemica fine a se stessa.
A me per nulla…”

Si è dimenticato di aggiungere (…ma fine, fine…) Comunque per la prima volta è stato conciso poiché le sue adirate repliche e controrepliche avverso il mio modo di vedere le cose erano talmente “lunghe” e contorte che al loro confronto nella pubblicità della carta igienica “Regina” doppio velo si vede solo un coriandolo.
Costui, illustre professore, era da molto che si compiaceva di elargire sgangherate corbellerie in ogni direzione.
Resta il fatto che non mi è possibile far sì che gli giunga questa mia avendomi egli “bannato” e contemporaneamente “escluso” dal gruppo “Pluriversum Edizioni”, il suo habitat, dove riceve compiacimenti da tutti gli iscritti speranzosi di vedersi pubblicare loro esternazioni.
Nascondendosi nella caditoia del nostro “Social Network”, precisamente “Blocca”, dove il sottoscritto evita di inoltrarsi, dimostra la sua viltà pertanto ho titolo di lanciare questa bottiglia (con tappo) nel mare della “rete” sperando giunga a destinazione.
Dovessi recuperare il “dialogo”, davvero interessante, lo posterò aggiungendo qualche osservazione. Saranno gradite le vostre.
E sarà “Il cretino” parte VI.

Mauro Giovanelli – Genova
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LA BEVITRICE DI VITA

LA BEVITRICE DI VITA

– Ciao.

– Grande! “La bevitrice di vita”. Essenziale! Si ubriacherà di giorno in giorno e il disegno prenderà colore. Chissà quali sogni, speranze, illusioni, dispiaceri, confronti la attendono nella lotta della vita e chi occuperà quella sedia vuota…

– Già! Chissà cosa e chi occuperà il suo cuore…

– Il grande mistero… conosciamo il nostro futuro (almeno io, tu ancora hai un discreto margine) c’è solo questo di stupefacente nell’avvicinarsi al capolinea, per il resto è solo rammarico e rimpianto… se non sopraggiunge la zona “F”

– Anch’io sai non ho molto margine… e poi qual è il margine? Penso a tutte le volte che ho rischiato la vita… poi sì… molto di ciò che è alle spalle, quindi certo… è rammarico e qualche rimpianto… e un mare di ricordi, chissà dove andranno a finire…

– …e se sono stati concepiti, dove e quando, o se neppure siano mai esistiti… illusione, ciascuno di noi neanche è bolla di sapone. Io me la sono pure giocata la vita, basta fare una puntata azzardata e, alla fine, la grande mano…

Fine della conversazione in chat

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI – “La bevitrice di vita”

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“SNOB CULTURALI” ALTRO FLAGELLO DELL’UMANITÀ

“SNOB CULTURALI”
ALTRO FLAGELLO DELL’UMANITÀ

Mi capita di rado ma quando succede è come se qualcuno fosse riuscito a farmi entrare la testa dentro la boccia di vetro dove, a complemento di arredo oggi per fortuna fuori moda, un tempo si imprigionavano i pesci rossi (che dalla noia diventavano via via anemici, biancastri fino a morire). In sostanza accedo ad una dimensione surreale in cui gli avvenimenti, le persone, amici, conoscenze, politica e quant’altro mi circondi risultano lontani e del tutto indifferenti. Sento ma non ascolto, vedo senza guardare, avverto la gravità di un avvenimento e me ne infischio, leggo e non assimilo… immutabile resta solo una cosa ma questa è un’altra storia. Quindi conosco a perfezione la patologia, l’unica terapia è aspettare che passi, mediamente necessitano almeno una o due settimane secondo la complessità dei fattori, intrinseci ed estrinseci, che hanno concorso a formare la causa generatrice di questo effetto.
È per ciò che incautamente ho accettato uno dei diversi inviti che pervengono ritrovandomi così, sonnambulo, nel parco di una villa genovese bellissima, vista stupenda aperta sul mare e le gru del porto, pini marittimi a far da cornice. Solita tavolata con i soliti stuzzichini e solite bottiglie di prosecco fresco frammiste ad aranciata (o chissà che altro per gli astemi), solite posate in plastica con i soliti piatti e bicchieri della medesima sostanza che quando cerchi di prenderne uno devi farti prestare l’unghia e la predisposizione della prima donna che ti capita a tiro per estrarne massimo due. Solita convivialità e finta allegria, solito darsi del tu a prescindere, soliti sforzi ad esternare gaiezza per nascondere i drammi che si celano dietro questa varia umanità.
Fra gli invitati amici d’infanzia, idem l’anfitrione, uno dei quali l’ho colto più di una volta fissarmi con occhio torvo; quando stavo disquisendo piacevolmente di vari argomenti con una violinista, mentre sorseggiavo l’unico bottino catturato ossia quattro dita di spumante (adoro essere servito pertanto rinuncio), nel momento in cui, appoggiato alla balaustra in marmo a fumare tranquillamente una sigaretta, traguardavo con interesse lo sciame di persone che si alternavano disinvoltamente al banchetto. Solo adesso ricordo che a costui avevo fatto uno scherzo pesante ma… diamine! Che sarà mai, a quindici anni, un sacchetto di fuliggine rovesciato in testa mentre usciva dal vespasiano sottostante?
Quattro chiacchiere insieme agli orchestrali, scambio di battute con l’importante direttore (così mi è stato presentato ma l’avevo capito dal farfallino), dialoghi sdrucciolevoli con gli amici, affabile, sincera, divertente compagnia di quattro giovani e amabili ragazze, infine… l’idiota.
Preciso subito che trattasi di direttrice ed esperta d’arte nonché critica della Pinacoteca di (omissis), donna sui 55, forse 60, forse meno, non l’ho osservata molto anche perché cominciava ad imbrunire, nella penombra sono riuscito a distinguere solo un paio di orecchini ridondanti, rossetto generoso, fondotinta che i riverberi dello scarsissimo ed unico lampione mettevano ancor più in evidenza, atteggiamento “snob”, repulsiva a livello epidermico, elegante, sofisticata, risatine tirate, brevi ed isteriche, ancora aggrinfiata agli ultimi scampoli del suo essere femmina, se mai lo fosse stata, nonché alla posizione che occupa. Non appartenente alla tribù dei prof. Keating de “L’attimo fuggente”.
Capitò che noi tre, il sottoscritto, mio fratello maggiore amico di sempre alla mia sinistra e “lei” a destra eravamo seduti sulle solite sedie in plastica, fortunatamente con braccioli. Cominciava a rinfrescare e udivo, ascoltando a tratti, complice pure l’oscurità ormai insopportabile, il loro dotto discorrere specialistico sui vari aspetti della pittura, le correnti, tecniche, simbologia, riferimenti storici, citazioni roboanti che sconfinavano nella metafisica, filosofia e zoologia quale capolinea della conversazione dirottata sulla collezione di dipinti di “animali domestici” della signora, in merito alla quale le sue esternazioni raggiunsero l’apoteosi. Venne fuori il nome di Ligabue, domanda che le rivolse l’amico (a lui piacciono questi soggetti, la signora intendo) per sapere se nell’assortimento avesse pure una delle “tigri” di questo grande, a mio avviso, folle ed a modo suo unico artista “Naïf”. Lei rispose “No!” con una piega della bocca identica a quella della Boldrini. Detto tutto.
La pausa di silenzio che seguì era dovuta, credo, alla stanchezza dei due competitori ed il mio meditare su quel “No!” schifato e perentorio. Ad un certo punto, anche per rompere… qualcosa, mi rivolsi all’amico, solo a lui, dicendo esattamente: “Vorrei chiederti un parere. Premettendo che Van Gogh è per me uno dei più grandi fra i post impressionisti ed io lo amo in modo particolare, anzi ritengo sia incomparabile, ho di recente confrontato a lungo gli autoritratti suoi e quelli di Ligabue e ti confesso che, nel rappresentarsi, fra questi due pittori è una bella battaglia…” Non feci in tempo a terminare la frase che sobbalzai all’esclamazione che mi giunse da destra tanto che ruotando la testa in quella direzione colsi la “esperta” con il dorso della mano sulla fronte, svenevole, stile Wanda Osiris durante le brevi soste mentre scendeva le scale o Marlene Dietrich quando cantava l’immortale “Lilì Marleen”, proferendo scandalizzata (testuale): “Hai detto una cosa… una cosa… una cosa insopportabile. Mi alzo e me ne vado!”
Non si rizzò, mi riferisco alla signora, ebbe una pausa e aggiunse, unendo indice e pollice a formare una sorta di buco del culo, con le residue tre dita distese, due a guisa delle grandi copritrici superiori e l’ultima a formare il timoniere, in sostanza la rappresentazione completa del posteriore della gallina: “Guarda! Devi sapere che Ligabue saranno sì e no tre anni che lo conosco e tu me lo paragoni a Van Gogh? Ma come è possibile sentire queste affermazioni?” rivolgendo quest’ultima domanda all’amico. La boccia di vetro di cui ho parlato in apertura si dissolse improvvisamente, esplose, gettai una rapida occhiata al fratello d’adozione, cui voglio bene, al fine di raccogliere consenso ma vidi solo terrore nei suoi occhi per quella che immaginava avrebbe potuto essere la mia reazione. Indi, tornando a lei:
“Ascolta… non ricordo il tuo nome, abbi pazienza mi capita spesso con certuni, ma visto che non ti sei alzata potremmo fare così, domani mattina al massimo ti invierò una, due paginette via mail sostenendo la mia tesi (cosa che farò n.d.a.), che tale non voleva essere, poi tu mi risponderai qualora avessi elementi per contrastarla riservandomi la possibilità di una sola eventuale controreplica allorché le tue considerazioni dovessero meritarla. Mi sento poco socievole stasera e non mi va di parlare. Affare fatto?”
Di certo la signora avrebbe preferito che mi adirassi, o similare, comunque si sarebbe aspettata una reazione diversa, rimase perplessa rendendosi conto che stavo parlando maledettamente sul serio. Quando io e il mio amico ce ne andammo anzitempo lui volle recarsi a salutarla. Lei sorridendo mi porse la mano dicendomi: “Sei ancora traumatizzato per Ligabue?” ed io di rimando “Ti credi all’altezza da potermi turbare? Davvero ritieni di essere importante?”.
Le ultime due ore di quella serata le trascorremmo in una delle ultime bettole aperte del centro storico, da parte mia cercavo di convincere l’amico che quella è una povera idiota e il suo peggior problema, per la professione che svolge, la totale mancanza di “sensibilità” nel cogliere in un’opera d’arte, anche in generale, il “succo della vita”. Questa o ce l’hai o non te la puoi dare, neppure perdendo gli occhi sui “sacri testi”. Il guaio è che tale metastasi è estesa alla stragrande maggioranza delle persone ed è per questo che ho incominciato a fare sempre più mio l’aforisma del grande Anacleto Verrecchia, l’ultimo dei filosofi contemporanei mancato tre anni fa nell’indifferenza dell’italica Penisola:
“Di solito la gente è così piatta che ci toglie il piacere della solitudine senza darci quello della compagnia”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Autoritratti, a sinistra Ligabue, a destra Van Gogh

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ANCHE QUESTO È UN BUON MOTIVO PER VOTARE “NO” AL REFERENDUM DI DOMANI 04 DICEMBRE 2016

ANCHE QUESTO È UN BUON MOTIVO PER VOTARE “NO” AL REFERENDUM DI DOMANI 04 DICEMBRE 2016

LA BANCA PIÙ VECCHIA DEL MONDO È GENOVESE NON SENESE

Per smentire le corbellerie che quotidianamente vengono emesse a raffica dai “professionisti” dell’informazione sia per servilismo al Potere sia per ignoranza crassa dei medesimi desidero puntualizzare quanto segue a proposito del fottuto “Monte dei Paschi di Siena” di cui si fa menzione ogni santo giorno anche al fine di evitare l’argomento Banca “Etruria” scomodo a Renzi Matteo & Boschi Maria Elena & C.

La casa delle compere e dei banchi di San Giorgio era un ente dotato di personalità giuridica che ebbe sede a Genova dal 1407 al 1805 e può essere assimilato in qualche modo a un ente di diritto pubblico. Organizzata come una società per azioni (consiglio di amministrazione elettivo, assemblea dei soci, trasferibilità delle quote sociali), gestì a proprio beneficio la maggior parte dei proventi del fisco, svolse un’attività bancaria di cui profittarono stato, banchieri e cittadini privati, amministrò come ente sovrano estese porzioni del territorio statale, esercitò un’influenza preponderante sull’economia e la società. Per comprendere meglio questo intreccio di caratteri, bisogna ripercorrere brevemente la sua storia.

L’origine dell’ente risale a un ennesimo riordinamento delle finanze pubbliche genovesi, che ai primi del Quattrocento erano gravate da un gran numero di debiti (“compere”) e non riuscivano più a sostenere l’ingente carico degli interessi passivi. Per impulso del maresciallo Boucicault, che governava il Comune in nome del re di Francia, nel 1407 si nominò una commissione dotata di ampi poteri per convertire un certo numero di compere all’8, 9 e 10% in un solo debito consolidato al 7%, rimborsando i creditori avversi all’operazione. Coloro che accettarono la riduzione dei tassi originari costituirono un consorzio posto sotto l’invocazione del patrono cittadino, che assunse il nome di Societas (o Officium) comperarum Sancti Georgii; il suo capitale nominale era costituito dal credito fruttifero verso lo Stato ed era suddiviso in quote ideali (loca) da 100 lire ciascuna, frazionabili a volontà e liberamente trasferibili ai corsi concordati tra le parti; le sue risorse erano rappresentate da un nucleo di imposte che gli furono date in amministrazione perché riscuotesse direttamente l’interesse del 7%. La riforma, se da un lato attenuò la pressione sulle finanze comunali, dall’altro diede vita a una potente associazione di creditori pubblici, dotata di piena autonomia di gestione e investita di giurisdizione civile e penale sulle materie di sua competenza, che assorbì man mano gli altri debiti esclusi dalla conversione fino a inglobare nel 1454 l’intero debito pubblico ascendente a circa 8 milioni di lire.

Oltre alla gestione delle compere e delle imposte ad esse assegnate, l’Ufficio di San Giorgio ottenne nel 1408, per contrastare la crisi monetaria in atto, l’autorizzazione a svolgere un’attività bancaria di deposito, giro e credito a beneficio non soltanto dello Stato, dei consorziati e degli appaltatori delle imposte, ma dell’intera piazza cittadina. Sorse così un banco pubblico che nel suo genere fu il primo in Italia e il secondo (o il primo ?) in Europa (alcuni valenti studiosi tra cui Kindleberger lo antepongono infatti alla Taula de canvi di Barcellona, che aveva aperto gli sportelli nel 1401, ma essenzialmente come organo di tesoreria municipale). Le operazioni furono interrotte nel 1445, ripresero ufficialmente nel 1531, precedendo di molti decenni l’istituzione di organismi con funzioni simili nell’Italia settentrionale e all’estero, e proseguirono sino al 1805 sotto forma di banchi pubblici di deposito e giro che praticavano anche il credito a breve termine a enti pubblici, istituti religiosi e opere pie.

L’ingente volume di denaro proprio o altrui gestito dalla Casa indusse lo Stato a ricorrere più volte ad essa per nuovi sussidi, garantiti da altre imposte o contro pegno di possessi territoriali. Fu in tale modo che l’Ufficio di San Giorgio subentrò alla Repubblica nelle sue colonie oltremarine e persino in alcuni distretti del dominio di terraferma di cui assunse l’amministrazione a proprio carico e beneficio acquisendo la configurazione di un vero e proprio stato nello stato; sotto la sovranità della Casa passarono così Famagosta (1447), Caffa e la Corsica (1453), Lerici (1479), Sarzana(1484), Pieve di Teco (1512), Ventimiglia (1514)e Levanto (1515). Poiché tuttavia le spese di gestione si rivelarono esorbitanti rispetto agli introiti, nel 1562 la Casa restituì allo Stato i possessi che ancora conservava, rinunciando per sempre a mutui fondati su garanzie territoriali e subordinando ulteriori crediti alla cessione di nuove imposte o alla copertura con titoli pubblici.

In conseguenza delle continue richieste di denaro da parte dello Stato, che comportavano l’emissione di altri luoghi e la loro vendita sul mercato, il capitale delle compere di San Giorgio crebbe progressivamente a poco meno di 38 milioni nel 1550 e poi oscillò tra i 44 ed i 52 milioni sino al 1797. La dilatazione della massa dei luoghi diede un grande impulso al mercato dei valori mobiliari, che a Genova esisteva dal sec. XIII, conferendogli il carattere di una vera e propria borsa valori e affinando la sensibilità degli operatori genovesi per le questioni finanziarie. Nello stesso senso agì il meccanismo di pagamento degli interessi a partire dalla metà del Quattrocento, quando i proventi annuali dei luoghi cominciarono ad essere pagati ratealmente in un arco di tempo superiore all’anno (dapprima nel corso di tre anni, poi scaglionati in otto anni o forse più, infine in cinque anni e quattro mesi); da allora, applicando una prassi consolidata che permetteva la cessione dei crediti, tra i luogatari si diffuse l’uso di trasformare il proprio credito da « lire di paghe » (cioè esigibili in ritardo) in « lire di numerato » (ossia immediatamente disponibili) cedendolo ad altri mediante un’adeguata riduzione del suo valore nominale; in tal modo la tecnica dello sconto divenne un connotato usuale del mercato genovese. Inoltre, seguendo una pratica antica, la Casa di San Giorgio consentì sempre il trasferimento contabile di somme tra l’uno e l’altro dei suoi creditori di « paghe » o di « numerato », rendendo possibile la liquidazione di un ingente volume di transazioni senza l’intervento di moneta metallica anche dopo la chiusura dei banchi quattrocenteschi.

La potenza finanziaria della Casa, sostenuta da una larga potestà giurisdizionale e giudiziaria per tutto ciò che riguardava le gabelle ed il debito pubblico di sua competenza, le fece superare indenne le vicissitudini politiche dello stato genovese, assicurandole una notevole stabilità e consentendole di sopravvivere per ben quattro secoli. La sua fine coincide con la caduta del regime aristocratico, quando l’assegnazione delle imposte e le connesse funzioni di cui godeva dalle origini furono revocate a favore della nuova Repubblica Ligure (1798). All’antica Casa rimasero l’esercizio dell’attività bancaria (da cui il nuovo nome di Banca o Banco di San Giorgio) e l’amministrazione provvisoria del debito pubblico, ma dopo l’unione all’Impero francese la Banca cadde fu definitivamente soppressa (luglio 1805), vittima del centralismo napoleonico. La sua liquidazione si protrasse fino al 1856 e comportò l’iscrizione, nei registri del debito pubblico francese e piemontese, di appena il 15% del capitale nominale dei loca.

La Casa di San Giorgio costituisce, per molti riguardi, un caso unico nella storia delle istituzioni finanziarie europee tra la fine del medioevo e le soglie dell’età contemporanea, sia per la massa di potere politico ed economico di cui fu portatrice, sia per lo scrupoloso rigore con cui amministrò i crediti e conservò il denaro della società genovese, sia per la capacità di elaborare tecniche e strumenti finanziari nuovi. Imperniata sulla difesa accanita degli interessi dei luogatari, la sua azione fu spesso in contrasto con gli interessi generali del paese, riducendo il margine di manovra dello Stato in materia di politica economica e soffocando le iniziative commerciali e industriali che avrebbero potuto intaccare gli introiti fiscali assegnati a nutrimento dei luoghi; ciò nondimeno, essa consentì un processo plurisecolare di accumulazione, che fu la base delle fortune internazionali del capitalismo genovese. L’attività bancaria, che si svolse in due tempi per un arco complessivo di 310 anni, non interessò soltanto le attività commerciali ed industriali di una città popolosa, profondamente inserita nell’economia mediterranea; ma coprì, quanto meno per alcuni segmenti, anche le operazioni internazionali di una folla di banchieri che per due secoli furono tra i più importanti d’Europa. Le tecniche ereditate dalle compere precedenti o introdotte ex novo dalla Casa di San Giorgio in materia di ordinamento del debito pubblico, compra-vendita di valori mobiliari, contabilità aziendale e sconto rappresentarono qualcosa di inconsueto nel mondo finanziario del tempo, nel senso che solo in epoche posteriori le ritroviamo normalmente applicate in altri paesi; basti pensare al fondo d’ammortamento del debito pubblico, vantato come un’invenzione inglese del Settecento, ma praticato a Genova sin dal Trecento. Infine la sua posizione dominante rappresenta qualcosa di eccezionale anche dal punto di vista della ricerca storica, perché – grazie alla vastità degli interessi che facevano capo ad essa – la Casa diventa un osservatorio privilegiato per cogliere le vicende non solo dello Stato, in quanto organizzazione politico-giuridica, ma dell’intera società genovese.”(*)

Mauro Giovanelli – Genova
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© Copyright 2016 Mauro Giovanelli

(*) Da “La Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio

Immagine in evidenza: Facciata a mare di Palazzo San Giorgio – Genova (La Superba)

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IL “QUORUM” VI SEPPELLIRÀ

IL “QUORUM” VI SEPPELLIRÀ

Il termine “quorum” (genitivo plurale del pronome latino “qui”) significa letteralmente “dei quali” e indica il numero minimo di partecipanti o elettori necessario affinché una votazione sia valida.
Vi siete mai domandati, e nessuno mi pare ne abbia minimamente accennato, perché nel Referendum Abrogativo di una legge (la “loro”) occorra raggiungere il “quorum” mentre non necessario in quello Propositivo (sempre di una “loro” legge)? Invito coloro che sono in dubbio a riflettere su questa proposizione ammesso che il Referendum “Costituzionale” del 4 dicembre 2016 non sia per una certa parte pure abrogativo.
Grazie

NOTA
“La Costituzione Parte II, Titolo I, Sezione II, la formazione delle leggi dalla 70 alla 82 per quanto concerne l’Articolo 75 “E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’ABROGAZIONE, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali… Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie… ecc. ecc. e di bilancio… ecc. ecc. di amnistia e di indulto… ecc. ecc. di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la MAGGIORANZA degli aventi diritto, e se è raggiunta la MAGGIORANZA dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”
Ritengo che sarebbe stato utile proporre con massimo cinque parole in più o in meno gli articoli citati per eliminare quella che io considero un’anomalia invece di inventarsi una tortuosa ed incomprensibile “porcata”. Indubbiamente i Padri Costituenti mai avrebbero immaginato che al Governo e in Parlamento avrebbero trovato posto individui della “razza” cui ormai siamo assuefatti. Neppure potevano pensare che saremmo arrivati al 70% di analfabetismo funzionale e di ritorno (i primi al mondo unitamente al livello di corruzione).
GARANZIE COSTITUZIONALI, Sezione II, Revisione della Costituzione, Leggi costituzionali, (Artt. 138-139) – Art. 138 (Revisione della Costituzione) – Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Assemblee regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata da “Rassegna Stampa” – Massimiliano Valdannini

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SE SÌ… È D’OBBLIGO VOTARE “NO”

SE SÌ… È D’OBBLIGO VOTARE “NO”
(cercando di sgombrare il campo circa l’equivoco sulla posizione di Renzi Matteo quale Presidente del Consiglio)

Ecco come Jean Paul Sartre, nel 1952, sintetizzava dal punto di vista esistenziale la condizione di squilibrio tra la feroce dittatura di Stalin (non dimentichiamo che costui rese il termine “comunista” una parola impronunciabile) che nel 1940 riuscì finalmente a far assassinare il suo peggior rivale Lev Trockij facendo crollare definitivamente il sogno di Marx ed Engels su un affrancamento dell’umanità dal “bisogno” e il conseguimento del “socialismo reale”:
I comunisti sono colpevoli perché hanno torto nella loro maniera d’aver ragione, e ci rendono colpevoli, perché hanno ragione nella loro maniera d’aver torto”.
La citazione potrebbe non dire alcunché su quanto segue al contrario qualcuno, chissà, magari sarebbe in grado di trovarla attinente. Andiamo al nocciolo della questione e mettiamola così:
“E’ corretto dire che secondo la Costituzione Titolo III articoli 92 e seguenti il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio, ecc. ecc.” Questo è vero.
Se sì…
– Posso affermare che è altrettanto corretto dire che dopo l’ultimo Presidente del Consiglio nominato dal Presidente della Repubblica a seguito di regolari elezioni (Berlusconi, dimissionario dal 2011) i tre successivi (Letta, Monti, Renzi) sono stati scelti dal medesimo Presidente della Repubblica senza disporre di alcuna indicazione di voto?
Qui mi devo soffermare per una’importante precisazione che a prima vista potrebbe sembrare attenuante invece, osservandola al microscopio polarizzato, a me pare un’aggravante non da poco.
È vero che dopo il catastrofico Monti (voluto da chi? La scusa si conosce: “per salvare l’Italia”. Da che cosa?) ci furono le elezioni del 2013 “vinte” dal PD di Bersani per un pelo di acaro avendo il M5S, rivelatasi seconda forza politica nazionale, scompigliato equilibri risalenti al Triassico Medio. Venne comunque conferito al buon Pier Luigi l’incarico di formare il Governo (diciamolo pure, non è un fulmine di guerra, omologato come tanti altri, e la sua campagna elettorale affidata interamente alla tintoria sotto casa per “smacchiare” il giaguaro fu disastrosa, e pure leggermente patetica, come quella della “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria). Il filosofo uscito dalla Università di Bologna Alma mater non riuscì a far capire a Beppe Grillo la “critica della ragion pura” di Immanuel Kant quindi dovette ritirarsi con “summo gaudio” di tutti i suoi colleghi di Partito (valli a capire questi). E cosa fa il capo dello Stato? Si inventa Letta (nipote), mica l’ultimo arrivato, uno sveglio al punto che, stranamente, riesce a fare il miracolo (sarà l’ultimo): formare il Governo. In tutto il suo mandato tre sono state le invenzioni di Enrico: “Non sono Babbo natale”, “Non ho la bacchetta magica” e, micidiale, “Mica ci ho scritto ‘Jo Condor’ in fronte”. Un inciso: In Spagna (Repubblica unitaria, Monarchia costituzionale, Sistema parlamentare) nella attuale situazione post recenti elezioni è stato dato tempo ai partiti di trovare un accordo di governo entro il prossimo 2 maggio. Se per tale data non ci sarà un Presidente, saranno convocate nuove elezioni già fissate per il 26 giugno. Perché Napolitano non ha fatto altrettanto? Già dopo Berlusconi, ma pure con il fallimento Bersani, e anche dopo il soporifero Letta (nipote).
Se sì…
– Posso asserire che, essendo la nostra una Repubblica Parlamentare e non Presidenziale, dopo il primo evidente errore di valutazione da parte di Napolitano sulla scelta effettuata (voluto o no?) con Monti, ed il secondo sbaglio con Enrico Letta, alla terza “distrazione” con Renzi Matteo l’Italia è da cinque anni nelle mani delle (dubbie?) decisioni del Capo dello Stato a parte le elezioni del 2013?
Se sì...
– È giusto porsi la domanda del perché, almeno dopo Letta, egli non abbia sciolto le Camere e chiamati i cittadini alle urne?
Se sì…
È esatto dichiarare che in questo lustro il Popolo Italiano non ha più avuto modo di decidere da quale partito o coalizione di maggioranza relativa statuita a seguito di regolari elezioni Napolitano avrebbe dovuto “estrarre” il nome cui assegnare l’incarico di formare il Governo? In questo caso il suffragio del 2013 non ha peso.
Se sì…
È esatto dire che Renzi Matteo è al Governo per decisione del Capo dello Stato (cui gli è consentito farlo) ma non su indicazione della volontà dei cittadini?
Se sì…
E tenendo conto che mai nella storia della Repubblica si è verificata una situazione così palesemente contraria ai princìpi di una Repubblica Parlamentare…
È regolare dire che Renzi Matteo governa legalmente ma non legittimamente? Ossia svolge quell’incarico senza che gli sia stato assegnato dal Popolo sovrano?
Se sì…
Ho finito, grazie. Anzi no, neppure si potrebbe parafrasare Jean Paul Sartre che sarebbe un po’ come dare un colpo al cerchio e uno alla botte per il semplice fatto che abbiamo una legge elettorale dichiarata incostituzionale da tempo per cui “Renzi (e Napolitano) sono colpevoli. Punto.”

Mauro Giovanelli – Genova
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CSV (*) – ULTIMO POST DA DISCUTERE NEL GRUPPO

CSV (*) – ULTIMO POST DA DISCUTERE NEL GRUPPO
(mi è stato impedito, solo gli amministratori possono enunciare “dati di fatto”)

“Chi troppo velocemente in alto sale cade sovente precipitevolissimevolmente”

A mio avviso è un “dato di fatto” a proposito della rapida scalata al potere di Renzi Matteo, e altri che l’hanno preceduto. Voi cosa ne pensate? Grazie.

Mauro Giovanelli – Genova
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(*) CANDIDATI SENZA VOCE (si fa per dire…)

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ZONA PASOLINI (poesie, commenti, articoli)

ZONA PASOLINI
(poesie, commenti, articoli)
di Mauro Giovanelli – Genova
© Copyright 2016 Mauro Giovanelli

ULTIMO MESSIA (1) (3)
(Supplizio e Risurrezione)

Ti ho visto…
e sei svanito,
un cenno
della mano
per salutarmi
prima di svoltare
l’angolo.
Il mio rincorrerti
non è stato vano
anche se già
eri in fondo alla via,
lontano.
Ti sei fermato,
facesti segno
di non avvicinarmi,
accennato
come misurassi
l’altezza di un bimbo,
vestito elegante
adeguato,
fazzoletto rosso
nel taschino,
valigetta.
Ci siamo guardati,
i tuoi profondi occhi
parlavano.
Ascoltavo:
“Dovevo morire così …
era scritto!
Chi sarei adesso
nel mondo che
vagheggiai?
Sono nato per questo,
divenire immortale,
il mio sacrificio
servirà a te, tutti voi,
donne e uomini
di buona volontà
porterete avanti
il mio messaggio,
diffondetelo!
Tutto quanto avevo
da dire è stato detto,
nulla manca
del mio passaggio,
custodite con impegno
le chiavi che aprono
porte di accesso
ai grandi segreti
della vita, morte,
fratellanza, umanità,
comprensione
del qui ora… dell’aldilà.
Mai tolleranza! ”
Immobile, incantato
ho inteso.
I riverberi
del suo timido
sorriso mi travolsero,
luce accecante,
vigorosa.
Salutò con gesto
soave,
riprese il cammino,
lo vidi farsi sempre più…
staccato.
Si voltò ancora,
osservandomi…
istante di eternità,
il suo sguardo disse
“Io sono
la via, la verità e la vita…” (2)
Scomparve.
Era… era…
È Pasolini!

=== Postfazione a ULTIMO MESSIA (Supplizio e Risurrezione)

(1) “[…] Solo un mare di sangue può salvare,
il mondo, dai suoi borghesi sogni destinati

a farne un luogo sempre più irreale!
Solo una rivoluzione che fa strage
di questi morti, può sconsacrarne il male!

Questo può urlare, un profeta (1) che non ha
la forza di uccidere una mosca – la cui forza
è nella sua degradante diversità.

Solo detto questo, o urlato, la mia sorte
si potrà liberare: e cominciare
il mio discorso sopra la realtà.”

P. P. Pasolini, La realtà (1961), in Poesia in forma di rosa, 1964.

(2) Giovanni 14, 6 LA SACRA BIBBIA – Versione riveduta sui testi originali – Edizione 1968, CASA DELLA BIBBIA, Ginevra, Genova

(3) NOTA:
Credo di essere entrato nella mente di Pasolini al di là di ciò che è stato scritto e detto di lui, neppure per quanto assorbito dai suoi insegnamenti. Credo di essere entrato nella mente di Pasolini perché è lo specchio della mia anima (qualunque cosa essa sia) nonché del mio modo di traguardare il mondo. Credo di essere entrato nella mente di Pasolini per il semplice fatto che nel momento in cui ascolto la sua parola essa si incastra perfettamente con il mio ragionare. I santi e santini non mi hanno mai impressionato, difficile mi lasci condizionare da chicchessia, credo di essere davvero libero dalle catene della morale comune e dagli aberranti condizionamenti della società. Se oltre duemila anni fa un uomo chiamato Rabbi Jeoshu Ha Nozri ha meritato l’appellativo di Messia, allora Pasolini è degno di essere chiamato tale non per investitura divina ma grazie alla “regalità” del suo pensiero ed i percorsi indicati. Credo che Pasolini avrebbe potuto essere protagonista di un miracoloso rinnovamento, l’unico e forse l’ultimo intellettuale in grado di poter risolvere la complicata convivenza fra gli umani ed a questo fine il suo cuore palpitava. Credo che Pasolini sia stato pure un profeta, senza alcuna ispirazione divina, ma solo per il fatto che ogni sua previsione si è avverata quindi è il propulsore che fa interagire le mie sinapsi quando leggo le sue parabole.
La presente nota al fine di evitare qualsiasi fraintendimento che possa portare a strumentalizzazioni di vario genere men che meno a fini mistici o presunti tali.

***

I BACI DI PASOLINI

Casti baci!
Vorrebbero estirpare dal cuore
affranto la nebulosa che avvolge
e oscura la luce, il brillio delle
immense costellazioni insediatesi
nell’animo da cui è posseduto,
generoso, creativo, nobile.
Svellere la selva intricata
che ne imprigiona una parte
impedendogli di spiccare il volo
dal travagliato percorso del
suo pensare che sta sfiorando
le flesse pareti dell’Universo parallelo
che solo lui conosce.

***

PASOLINI
UCCELLACCI E UCCELLINI

Attimi che restano aggrinfiati al tempo,
sospesi,
interminabili momenti
che annullano le distanze.
Abolito il distacco con l’osservatore
non moriranno mai…
L’immagine non è più tale
ma qualcosa che vive e ti coinvolge,
nata da una improbabile congiuntura,
voluta dalla sorte,
o da stupefacente armonia.
La verità trabocca dalla sua propria luce,
quindi Pier Paolo Pasolini
e il principe De Curtis
da lì continuano a parlarci,
esistono,
sono ancora fra noi per completare l’annuncio.
Tutto è stato prestabilito.
Le cravatte di entrambi,
i nodi infiacchiti dal lungo giorno trascorso,
il casuale pullover del Maestro,
la giacca nera del grande attore,
il suo inevitabile cappello.
Due contro tutti.
Le bianche camicie non indicano capitolazione,
anzi… la loro intesa perfetta,
nata improvvisa, spontanea, inevitabile,
vuole lasciarci qualcosa di forte e imperituro.
Le labbra di Totò,
le grinze del collo,
lo sguardo segnato dalle pieghe del viso,
che travalica le scure lenti degli occhiali,
la stanghetta distratta,
l’infinita melanconia.
Preannuncia la sua propria fine all’amico,
scomparirà l’anno successivo,
allora gli dice del dopo
cerca di metterlo in guardia,
fare attenzione,
il mondo non è come loro interpretano,
al quale anela il poeta.
Pasolini ascolta incantato…
il suo sorriso buono, rispettoso e leale
è uno dei più spontanei e sereni
che abbia mai visto in vita mia,
ha qualcosa di sacro,
misto a preghiera, cognizione, amore.
Commoventi entrambi,
fotografia splendida, unica.
“Neppure il corvo può far nulla…”
continua Totò,
“…anche se è un intellettuale di sinistra
di prima della morte di Togliatti,
saggio e profetico,
inutile azzardi a cambiare gli uomini.
Essi sono così.”
Sappiamo che il nero pennuto
diventerà insopportabile, scomodo,
e i frati Ciccillo e Ninetto lo uccideranno
per mangiarselo.
“Stai attento Maestro, così fanno i mostri,
ti massacreranno
e tenteranno di nascondere, fra i loro visceri,
la tua immensa
spiritualità.”

***

È MORTO “ACCATTONE”
(Franco Citti ci ha lasciati – 14 gennaio 2016)

È notte,
rifugio dei sognatori.
Dall’etere
vengo a sapere che
“Accattone”
è morto.
Brutto colpo,
sleale,
sotto la cintura.
Anche a lui voglio bene
come a tanti altri che vestono,
o hanno indossato,
il medesimo abito mentale.
La prima cosa
che mi è venuta in mente:
“Franco Citti sta a Pasolini
come Tibero Murgia sta
a Mario Monicelli”.
E’ un’eguaglianza,
matematica pura,
che formulo al presente
perché li tengo nel cuore,
mi accompagnano, fanno parte di me.
Ai termini che vi compaiono
ciascuno può dare
i valori che crede.
Questo cordoglio è,
o vuole essere,
ad ampio raggio d’azione,
a “campo lungo”
come si usa dire
nel mondo del cinema,
uno sguardo d’insieme
che abbraccia un’epoca…
finita.
Il modo migliore per dare
a Franco Citti ciò che gli viene,
inserirlo nella galleria dei grandi
considerando che
lui e Pasolini, patrimonio comune,
in vita non hanno avuto
i riconoscimenti che gli spettavano.
Il pensiero mi è venuto così,
di getto,
come spesso accade,
sono certo che apprezzano
poiché i distinguo
li formulavano solo
sull’animo umano,
la morale,
l’etica.
Grazie! Vi sono debitore,
tanti, troppi creditori
mi stanno girando intorno.
Il mio pensiero
si è conformato secondo
le istruzioni
da voi ricevute e,
a pensarci bene,
sapere che un giorno
vi potrei incontrare ancora,
ovunque e comunque sia
“l’oltre”,
mi rende più lieve
il trascorrere del tempo.
Un caro saluto alle grandi persone
che ci hanno provvisoriamente lasciati
anche se avverto le loro mani,
tutte,
che ancora mi guidano.
Ciao “Accattone”.
Mauro

***

PIER PAOLO PASOLINI da “PERCORSO TRACCIATO”
[…] Fu poco prima di attraversare meridiano di sangue, che separa virtualmente il tropico del cancro dal tropico del capricorno, che intravidi Miller insieme a McCarthy e Roth, furono gentili, mi diedero istruzioni, dissero di guardare a Pessoa e Saramago, Marquez e Borges poi proseguire dritto riprendendo i grandi filosofi, Filippo Bruno intanto, dei classici, dai presocratici in poi, bastava ciò che mi è rimasto dentro dagli studi. Svoltare alla prima piazza, direzione obbligata, Nietzsche, Schopenhauer, Kant, François-Marie Arouet e… lui! All’unisono con un cenno della testa indicarono, solo e pensoso, un uomo poco distante, camicia bianca, maniche arrotolate, sorriso triste, ironico, buono, rispettoso, leale, spontaneo. Inconfondibile: Pasolini!
“Ha necessità di grande aiuto e compagnia” aggiunsero dileguandosi ma… un attimo prima si voltarono a ricordarmi qualcosa di molto importante:
“Ad egli come a Cirano strapparono tutto ma portò seco, senza piega né macchia, a Dio, loro malgrado, la sua poesia anziché il pennacchio.”
Quando riaprii gli occhi e levai lo sguardo verso il sole mi resi conto di non essere mai nato, la mia vita era stata quella, “il sogno provocato dal volo di un’ape attorno a una melagrana un secondo prima del risveglio.” (*) […]

(*) Titolo di un’opera di Salvador Dalí

***

PASOLINI E LA METAFORA DEL POTERE
(immagini che giungono dall’etere)
Da Salò alla Turchia – Il nudo è la metafora del potere.

Immagini scagliate come bombe a “grappolo” sul web, tramutandosi in tuoni che esplodono dentro noi, sconquassano lo stomaco, provocano vertigini, pochi secondi di sconcerto che si traducono all’istante in annientamento del pensiero, le osserviamo ma la mente è svuotata, impossibile nell’immediato prendere coscienza di ciò che stiamo esaminando, forse non è vero, uno scherzo di cattivo gusto, il soprassalto predispone l’io all’autodifesa quindi cerchiamo di respingerle, buttarle in un cassonetto come vecchie scarpe ormai irrecuperabili fino a che viene ristabilito l’equilibrio, i neurotrasmettitori riprendono a rincorrersi fra le sinapsi e la “ragione” ci presenta la realtà, cruda, vera autentica come mai l’abbiamo misurata.
Riflettiamo… come a questo punto il “sistema” in avanzato stato di decomposizione ci abbia abituato a convivere con l’orrore, cerchiamo di leggerne la trama, intravedere il fine per cui tali “segnali”, divulgati senza alcun dubbio dagli stessi aguzzini, vengano emessi affinché siano da noi intercettati, e la prima risposta, la più semplice, sembra essere quella di mostrare la cruda e implacabile reazione repressiva del Potere avverso chi osi ribellarsi. Dopo il fallito (o riuscito) golpe in Turchia ciò che più colpisce sono i cadaveri trascinati, cappio al collo, da motocarri e mezzi militari per le vie della città nonché i corpi nudi dei prigionieri sopravissuti, mani legate dietro la schiena, ammucchiati e accatastati in enormi stanzoni come solo si possono osservare nelle aziende agricole dedite all’allevamento intensivo di pollame. Alcuni devono stare inginocchiati, fronte a toccare il pavimento, dietro loro figuri dai lineamenti indistinguibili; Se non fosse per i riverberi degli occhi che diabolicamente fendono la penombra, si faticherebbe a dar loro parvenza di forma umana. Indossano la divisa nera emblematica di ogni raccapriccio e, muniti di fruste, assestano feroci colpi su quelle carni, a loro piacimento, indistintamente, con gusto, meglio diletto se non soddisfazione della gratificazione di sentirsi “qualcosa”.
È fin troppo facile, sebbene inevitabile, l’accostamento con il più grande intellettuale del ‘900, il profetico Pier Paolo Pasolini che nel suo “Salò o le 120 giornate di Sodoma” del 1975, anno del suo assassinio, ultimo film da lui scritto e diretto che avrebbe dovuto essere la prima di una seconda trilogia considerata idealmente la “Trilogia della morte” susseguente alla “Trilogia della vita”.
“Mi sono accorto tra l’altro che Sade, scrivendo, pensava sicuramente a Dante. Così ho cominciato a ristrutturare il film in tre bolge dantesche” (1) Queste le parole del Poeta e Regista nel tentativo di spiegare le ragioni di questo suo lavoro con il quale, in sintesi, vuole imprimere un sigillo all’arroganza del potere. Vi si narra di quattro Signori, il Duca che raffigura la “casta”, il Vescovo (dominio ecclesiastico), un Presidente della Corte d’Appello (sovranità giudiziaria), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico) i quali incaricano soldati repubblichini di rapire un gruppo di ragazzi e ragazze di famiglie antigovernative. Si chiudono con essi in una villa sfarzosa finemente arredata. Con l’aiuto di quattro ex meretrici di bordello instaurano per centoventi giornate una dittatura sessuale regolamentata da un puntiglioso codice che impone alle vittime assoluta obbedienza, pena la morte. Le “Kapò” della situazione dovranno organizzare le giornate secondo le proprie specializzazioni erotiche. Ci sono “l’Antinferno”, il “Girone delle Manie”, quello della “Merda” ed infine del “Sangue”. In un’orgia di efferatezze e riti profani i Signori, eccitati dai racconti feticisti delle “professioniste” all’uopo assoldate, seviziano ripetutamente i ragazzi fino a farli stare nudi a quattro zampe, latranti come cani, sodomizzati, nutriti con le proprie feci fino alle amputazioni e uccisioni. Il finale vede due giovani guardie che sulle note di un motivo trasmesso dalla radio accennano qualche passo di valzer mentre parlano del mondo reale e delle rispettive fidanzate che li stanno aspettando.
Meraviglia assoluta questo pilastro della cultura attinge a una tale quantità di citazioni, riferimenti, forme espressive nelle varie ramificazioni, pittura, musica, letteratura, filosofia da coniugare una grandezza intellettuale che oserei dire arrivi a sfiorare il trascendente. Da rimarcare, nel caso che ci riguarda, quanto proferito dal Duca: “Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti.”
L’allegoria dell’opera di Pasolini e l’accostamento con le immagini che giungono dallo Stato che fa da spartiacque fra Oriente ed Occidente, il “valico” che collega due civiltà e culture, è quanto meno sconcertante. Il Potere è ovunque, etere maligno che impregna ogni cosa, non mi esento dal sottolineare che in anteprima il film fu presentato postumo il 22 novembre ‘75 al Festival di Parigi tre settimane dopo l’uccisione del regista e giunse nelle sale italiane il 10 gennaio del ’76. Scatenò proteste vigorose e lunghe persecuzioni giudiziarie tanto che il produttore Alberto Grimaldi subì processi per oscenità e corruzione di minori fino ad arrivare al sequestro della pellicola rimessa in circolazione due anni dopo.
Pasolini messo a nudo da vivo, perseguitato con l’obiettivo di tacciarlo, allo stesso modo di come la Santa Inquisizione fece con Giordano Bruno cui imposero la “mordacchia” con la “lingua in giova”, cioè trafitta da un chiodo ricurvo in modo che non potesse parlare mentre lo accompagnavano al rogo, pena inflitta ai bestemmiatori che si rifiutavano di ascoltare “confortatori” e “padri”. E qui siamo al 17 febbraio del 1600, migliaia furono le vittime atrocemente e barbaramente messe a tacere dal quadrunvirato formato dal Duca, il Vescovo, il Giudice ed il Banchiere. Sempre gli stessi.
Il potere ci vuole obbedienti, silenziosi, consenzienti, servi e… nudi, privati della nostra personalità e dignità di uomini, abitanti dei gironi infernali costituiti dagli oscuri disegni che intesse a salvaguardia di altrettante enigmatiche bramosie. Al popolo il regno demoniaco, ai potenti ciò che per “loro” sarebbe il Paradiso in questa Terra. Resta il dubbio se il male non sia dentro tutti noi in relazione alla “posizione” cui il destino ci colloca facendo emergere una o l’altra parte della nostra dualità, sintetizzata da Goethe nel Faust “…Dunque tu chi sei?” – “Una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene”. Allora si comprende l’aberrante logica in uno dei dialoghi del capolavoro pasoliniano: “…noi tutti siamo d’accordo che il giorno del giudizio Dio rimprovererà i virtuosi in questi termini: «Allorché avete visto che sulla Terra tutto era vizioso e criminale, perché vi siete persi sulla strada della virtù? Le perpetue sciagure che io, Dio, seminavo sull’universo dovevano convincervi che io amavo unicamente il disordine e che per piacermi non era necessario farmi irritare dato che ogni giorno io, Dio, vi davo esempio della distruzione; perché allora voi non distruggevate? Imbecilli! Perché voi non distruggevate?»” (2)

(1) Pier Paolo Pasolini riguardo il film – Maurizio Massa, Saggio sul cinema italiano del dopoguerra, Lulu Press, ISBN 978-1471066863

(2) BLANGIS: dai “dialoghi di Salò o le 120 giornate di Sodoma”, (1975), di Pier Paolo Pasolini

***

CREDO IN… PASOLINI

Credo di essere entrato nella mente di Pasolini al di là di ciò che è stato scritto e detto di lui, neppure per quanto assorbito dai suoi insegnamenti. Credo di essere entrato nella mente di Pasolini perché è lo specchio della mia anima (qualunque cosa essa sia) nonché del mio modo di traguardare il mondo. Credo di essere entrato nella mente di Pasolini per il semplice fatto che nel momento in cui ascolto la sua parola essa si incastra perfettamente con il mio ragionare. I santi e santini non mi hanno mai impressionato, difficile mi lasci condizionare da chicchessia, credo di essere davvero libero dalle catene della morale comune e dagli aberranti condizionamenti della società. Se oltre duemila anni fa un uomo chiamato Rabbi Jeoshu Ha Nozri ha meritato l’appellativo di Messia, allora Pasolini è degno di essere chiamato tale non per investitura divina ma grazie alla “regalità” del suo pensiero ed i percorsi indicati. Credo che Pasolini avrebbe potuto essere protagonista di un miracoloso rinnovamento, l’unico e forse l’ultimo intellettuale in grado di poter risolvere la complicata convivenza fra gli umani ed a questo fine il suo cuore palpitava. Credo che Pasolini sia stato pure un profeta, senza alcuna ispirazione divina, ma solo per il fatto che ogni sua previsione si è avverata quindi è il propulsore che fa interagire le mie sinapsi quando leggo le sue parabole.

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COMMENTO SU PASOLINI
“La tosse dell’operaio”

“Sento tossire l’operaio che lavora qui sotto; la sua tosse arriva attraverso le grate che dal pianterreno danno nel mio giardino. Sicché essa pare risuonare tra le piante, toccate dal sole dell’ultima mattina di bel tempo. Egli, l’operaio, là sotto, intento al suo lavoro, tossisce ogni tanto, certamente sicuro che nessuno lo senta. É un male di stagione ma la sua tosse non è bella; è qualcosa di peggio che influenza. Egli sopporta il male, e se lo cura, immagino, come noi da ragazzi. La vita per lui è rimasta decisamente scomoda; non l’aspetta nessun riposo, a casa, dopo il lavoro, come noi, appunto, ragazzi o poveri o quasi poveri. Guarda, la vita ci pareva consistere tutta in quella povertà, in cui non si ha diritto neanche, e con naturalezza, all’uso tranquillo di una latrina o alla solitudine di un letto; e quando viene il male, esso è accolto eroicamente: un operaio ha sempre diciotto anni, anche se ha figli più grandi di lui, nuovi agli eroismi. Insomma, a quei colpi di tosse mi si rivela il tragico senso di questo bel sole di ottobre.”

PIER PAOLO PASOLINI – n. 45 a. XXXI, 8 novembre 1969 ” Il Caos”

COMMENTO:

L’insostenibile leggerezza della semplicità, il vivere comune, suoni dei clacson, la caffettiera che brontola, il cicaleccio della gente, il loro calpestio, un colombo che guardingo si aggrinfia svolazzante al bordo del davanzale per tenere le distanze e reclamare cibo, i panni stesi e… quei colpi di tosse che giungono dagli inferi, richiamo di una vita che si va spegnendo nella rassegnazione e sfiducia di un mondo sgarbato. Dunque tu chi sei Pasolini? Perché ti soffermi a declamare una tragedia tra le quinte di un palcoscenico inesistente? Quanto sono tese le tue corde? Dove potrebbe arrivare la sensibilità di cui ti nutri ad ogni istante?
Mi sovviene un pezzo che si attaglia alla perfezione, immagino tu lo conosca, una poesia di PÄR FABIAN LAGERKVIST. Il titolo? Eccola:

“SE CREDI IN DIO E NON ESISTE UN DIO”

“Se credi in dio e non esiste un dio,
allora è la tua fede miracolo anche maggiore.
Allora è davvero qualcosa d’incomprensibilmente grande.
Perché giace una creatura nel fondo delle tenebre
ed invoca qualcosa che non esiste?
Perché così avviene?
Non c’è alcuno che ode la voce invocante nelle tenebre.
Ma perché la voce esiste?”

Ciò che voglio dirti Pier Paolo è che ci sei tu solo ad udire quella specie di rantolo che giunge attraverso le grate del pianterreno, pure ci rimugini sopra, formuli deduzioni che non ti competono. Chi ti assicura che la creatura là in basso non abbia latrina o un letto? Da che lo ipotizzi? Perché affermi che quando a quello di sotto dovesse sopraggiungere il male, esso sarebbe accolto eroicamente? Potrebbe lamentarsi e strillare come un maiale che stanno sgozzando. E poi sei certo esista?
Il problema, caro amico, è che non hai alcun diritto di rivelare il tragico senso di questo bel sole di ottobre, sei tu a vederlo così, altri ne staranno godendo il tepore, e dico ciò per il semplice fatto che non dovresti fare attenzione ai colpi di tosse che provengono dal basso, nessuno gli bada, la creatura crede di non essere udita, se non dal vuoto, quindi svela il suo affanno a qualcosa che non esiste, nessuno ci deve essere ad ascoltare la sua deserta sofferenza e la sola domanda che ci si può porre, caro Pasolini, che hai fatto tua con un brano meraviglioso è:
Ma perché quei lamenti esistono?

***

COMMENTO SU PASOLINI
“La sua inarrivabile semplicità”

“Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato, davanti ai tuoi occhi, sono vissuti in stabbi e porcili. Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare. Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto: non c’è stato un peccatore più grande di te.”
Pier Paolo Pasolini (La religione del mio tempo – 1960)

COMMENTO:

Da leggere e rileggere. Ed ogni volta domandarci da dove possa essere sbucato questo Pier Paolo Pasolini che con la parola e il pensiero ha fatto suo il concetto espresso dal grande scultore rumeno Constantin Brâncuși: “La semplicità è una complessità risolta”. Come la verità. Come credere di non macchiarsi la coscienza evitando, potendolo, di fare il bene cui sei chiamato dal tuo ufficio. Come essere stato il peggiore fra i peccatori.

***

COMMENTO SU PASOLINI – “La ricotta”

Questa pellicola, “La ricotta”, fu sequestrata per vilipendio alla religione di Stato. Soltanto nel 1964 la Corte d’Appello di Roma assolverà il regista che rilascerà poco dopo un’intervista di cui si riporta uno stralcio (dal post Facebook della cara amica Selvaggia Rodriguez, 4 marzo 2016):

“- Cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?
– Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.
– Che cosa ne pensa della società italiana?
– Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.
– Che cosa ne pensa della morte?
– Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.
– Quale è la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini?
– Egli danza. Egli danza.”

Pier Paolo Pasolini, “La ricotta”, 1963
COMMENTO:

La Chiesa cattolica, 1963… quando nel resto del mondo occidentale, appena usciti da un reading, o subito dopo aver visto “Gioventù bruciata”, in Italia falsificando la carta d’identità per entrare al cinema perché vietato ai minori (ma questo era prima, nel ’55), o “Easy Rider” e qui saltiamo al ’69, seguito da “Fragole e sangue” del ’70, o tornando al ’61 con “Splendore nell’erba”, stesse acrobazie per vederli, non ne ho perso uno, ricordo a memoria, giuro, la poesia di William Wordsworth “…Ma se la radiosa luce che una volta, tanto brillava negli sguardi è tolta, se niente può far che si rinnovi all’erba il suo splendore e che riviva il fiore, della sorte funesta non ci dorrem, ma ancor più saldo in petto godrem di quel che resta…” che alla fine viene recitata in classe, fra le lacrime, dalla bellissima Natalie Wood. E naturalmente le pellicole di Pasolini, dal celeberrimo “Accattone” del ’61 a “Salò o le 120 giornate di Sodoma” del 1975 e “Porno-Teo-Kolossal”, incompiuto a causa della sua morte. Fece capolino postumo nel ’76 ma tutto era già cambiato da quasi un lustro. Lui fu il Maestro, ci accompagnò lungo tutto il tragitto tenendoci per mano, con le sue poesie, il pensiero, la narrativa, teatro, saggi, dialoghi. Precettore di vita e di contemplazione del divino che c’è in noi.
Stavo dicendo… la Chiesa cattolica, 1963, e la censura, il bigottismo, ipocrisia, puritanesimo. Però si rubava l’amore e lo si faceva coricati su sellino e serbatoio della moto, per la strada, in un angolo buio, solo qualche fioco riflesso dell’unico lampione aggrinfiato al muro, tipo quelli dei caruggi di Genova, sufficiente per vedere i corpi sudati, esattamente come piaceva a me… o nella mitica “Fiat 500”, che non era quella di adesso, una scatoletta di sardine, ma quante posizioni per prenderci l’un l’altra, leccarci, stringere e godere. Al confronto il Kamasutra è un corso di catechismo…
E adesso scomunicatemi, cazzo!

***

COMMENTO SU PASOLINI
“Differenze insignificanti”

“Io sono per la morale contro il moralismo borghese. Qual è la differenza? Il moralista dice no agli altri, l’uomo morale lo dice solo a se stesso.”
(Intervista a “La Stampa”, 12 luglio 1968)

COMMENTO:

Sembra semplice caro Pier Paolo ma… nel nostro Paese siamo arrivati a sfiorare il triste primato del 70% di analfabeti funzionali e di ritorno.
Chi potrà comprenderti?

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COMMENTO SU PASOLINI
“Ambiguo e solo”

“Dopo la mia morte…
non si sentirà la mia
mancanza : l’ambiguità
importa finché è vivo
l’Ambiguo.”

Pier Paolo Pasolini – Comunicato all’Ansa 1969 in “Transumar”

COMMENTO:

Una sua intima riflessione. Di getto non mi sentirei di interpretarla a parte l’infinita malinconia di cui sono pervase queste bellissime parole. Aveva l’adorata madre che gli è sopravvissuta quindi siamo nel 1969, fine del tempo delle mele. Una delusione personale? Ambiguo… riferito alla sfera sessuale? C’è molto da riflettere e poco da esaminare.
Solo lo era, purtroppo. Lo è meno adesso.

***

COMMENTO SU PASOLINI
“Quando parlano gli occhi…”

In una fotografia sembrerebbe che Moravia stia spiegando qualcosa a Pasolini e lui ascolta con distaccata attenzione, direi un misto di diffidenza, perplessità… ammirazione che potrebbe sfociare nel disprezzo.
Da diverse immagini che li ritraggono insieme, mi sbilancerei affermando che in tutte quelle da me analizzate, ho sempre notato in Pier Paolo una certa “soggezione” verso Alberto, arriverei a definirla “forzato” timore reverenziale che finalmente emerge, quasi liberatorio, dalle considerazioni del Poeta riguardo ai diversi modi di “percepire” l’India durante la loro permanenza in quel Paese.
Distanti anni luce.
Breve riferimento a Gian Luigi Rondi mancato di recente (R.I.P.). Egli era “cattolico” ed a mio modesto parere chi si professa tale o abbraccia la Chiesa di Roma, come qualsiasi altra confessione o dottrina, dovrebbe esimersi dal fare il “critico” d’arte altrimenti rischia di sentirsi giustamente assegnare il famoso epigramma che gli affibbiò il Poeta “Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno e ti crederai in paradiso”. Tornando a Moravia non dimentichiamo che è stato il “padrino” della letteratura di quegli anni, non c’era premio “Strega” che venisse assegnato senza la sua benevolenza. Ho sempre guardato con diffidenza al suo rapporto o amicizia con Pasolini, mi sembra fossero due opposti come ho già detto. Per quanto riguarda l’Alfa Romeo Giulia GTV 2000 per la quale, e non solo, l’autore de “La noia” accusò il Poeta di “infantilismo” non dimentichiamo “l’insostenibile pesantezza di essere coerenti fino in fondo (n.d.a.)”, in modo totale intendo. Un minimo di consumismo e apparire diventano necessari se combatti le tue battaglie all’interno del mondo che vuoi cambiare. Ad esempio potrebbe essere che nella società in cui Pier Paolo si muoveva tale oggetto del desiderio gli fosse utile per “rimorchiare”, strano che nessuno l’abbia pensato… del tipo “Il socialismo in un solo Paese” per la cui insensata realizzazione Stalin dovette imporre una feroce dittatura rendendo impronunciabile la parola “comunismo”.

***

COMMENTO SU PASOLINI
“Poesia in forma di rosa”

“I miei amori griderò
sono un’arma terribile:
perché non l’uso?
Nulla è più terribile
della diversità.
Esposta ogni momento
gridata senza fine
eccezione incessante
follia sfrenata
come un incendio
contraddizione di cui
ogni giustizia è
sconsacrata.”

COMMENTO:

Ho la sensazione che… non sia esistito, forse l’abbiamo tutti sognato. Era tale e tanta la necessità di averlo fra noi che una parte dell’umanità è stata colta da allucinazione collettiva, delirio da speranze disattese, aspettative mortificate, appetiti non soddisfatti. Questo nostro risveglio è il suo riscatto e la nostra conquista.

***

COMMENTO SU PASOLINI
“L’incubo della luce…”

“…ed io
ritardatario sulla morte, in anticipo
sulla vita vera, bevo l’incubo
della luce come un vino smagliante.”
COMMENTO:

Questa “riflessione” è… Stupefacente! Non solo per la costruzione che deve essere assimilata a piccole dosi, gustarne la sonorità come un “vino smagliante”, farlo durare il più a lungo possibile allo stesso modo di un amplesso desiderato da tempo, ma… il contenuto spalanca infinite porte dell’essere Pasolini ed allo stesso tempo le chiude.
Il labirinto della conoscenza. Grandioso!

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COMMENTO SU PASOLINI
Perdere o vincere – Entropia

“Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù”.
Pier Paolo Pasolini

“Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l’ultima generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedrà intorno a sé che l’entropia borghese”.
Pier Paolo Pasolini

COMMENTO:

Sbalorditivo! Scusatemi se è poco ma… qui ci troviamo di fronte a qualcuno che non poteva essere racchiuso entro i confini dei nostri limiti, dell’umanità intendo, neppure sarebbe stato possibile imprigionarlo in una lampada anche se i differenti autori che dal X secolo hanno composto la famosa fiaba potrebbero essersi ispirati ad un uomo fuori da ogni regola così detta razionale… Pasolini era un corpo estraneo, la società ne soffriva, provava dolore, sofferenza, pativa in continuazione di crisi di rigetto fino a quando non decise di disfarsene rivolgendosi a chirurghi esperti, autentici professionisti del bisturi. Quasi sarebbero da comprendere, nel profondo significato cristiano: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

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COMMENTO SU PASOLINI
“L’ultima generazione”

“Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l’ultima generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedrà intorno a sé che l’entropia borghese.”
Pier Paolo Pasolini

COMMENTO:

Stupefacente! Scusate se è poco ma… qui ci troviamo di fronte a qualcuno che non poteva essere racchiuso entro i confini dei nostri limiti, dell’umanità intendo, neppure sarebbe stato possibile imprigionarlo in una lampada anche se i differenti autori che dal X secolo hanno composto la famosa fiaba “Aladino e la lampada meravigliosa” potrebbero essersi ispirati ad un uomo fuori da ogni regola così detta razionale… Pasolini era un corpo estraneo, la società ne soffriva, provava dolore, sofferenza, pativa in continuazione crisi di rigetto fino a quando non decise di disfarsene rivolgendosi a chirurghi esperti, autentici professionisti del bisturi. Quasi sarebbero da comprendere, nel profondo significato cristiano: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

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COMMENTO SU PASOLINI
“grandi poeti grandi calciatori”

«Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica.»
Pier Paolo Pasolini

COMMENTO:

Non comprendo questo aspetto del grande Pasolini, ho l’impressione che strida con la sua personalità improntata alla difesa degli ultimi e dedicata alla giustizia sociale, avversione di ogni sopruso. Lo sport in generale e il calcio in particolare è lo specchio della vita, essa stessa gara, pura competizione, lotta per superare l’avversario ad ogni costo al fine di raggiungere lo scopo: La “rete”… come il knock-out del pugilato, il colpo smorzato del tennis, il denaro accumulato dal capitalista, e così via.
Non ritengo il goal un’invenzione ma l’effetto ultimo conseguito a causa di intensi e forsennati allenamenti, allo stesso modo di un trapezista piuttosto che pattinatore, ecc. Tanto meno una sovversione del codice, se mai il contrario ovvero conservazione, riconoscimento, assoggettamento al codice stesso che nel raggiunto obiettivo vede la sua punta massima. Ineluttabilità non direi, nulla è scontato, viceversa tutto potrebbe essere “scritto”, se mai premio per le fatiche impiegate al raggiungimento di quello scopo cui concorre anche un pizzico di fatalità. Folgorazione o lampo di genio, beh… sì, limitatamente al contesto in cui ci stiamo muovendo, a genio sostituirei “estrema abilità”, “gesto atletico” compiuto. La genialità è ben altro a mio parere e Pasolini ne sa qualcosa. Stupore d’accordo, è ovvio, così come irreversibilità, vale a dire impossibilità a rivivere l’attimo appena trascorso. Ciò è vero in tutto “L’Universo Mondo”.
In ultimo direi che la “stoffa” di un grande giocatore, il talento innato è uno strumento donatogli dalla natura per gabbare gli antagonisti, la “finta” è scaltrezza che lascia inebetito il giocatore avversario assimilabile alla “furbizia”, virtù servile, usata e premiata all’interno e fuori dai campi di calcio. Accostarla alla poesia poi… forse solo lui avrebbe potuto permettersi questa affermazione.
Non a caso il gioco del pallone è utile strumento del Potere per dare sfogo alle frustrazioni della “massa”, e non da ieri. “Panem et circenses” la locuzione latina coniata dal poeta Giovenale e usata nell’antica Roma (imperiale), “pane e giochi” al fine di indicare le aspirazioni della plebe e piccola borghesia. Infatti la famosa proposizione era preceduta da “populus duas tantum res anxius optat…” ossia “il popolo due sole cose ansiosamente desidera… oggi gli 80 €uro e il calcio n.d.a”.

P. S.
Sono a conoscenza dell’inclinazione di Pasolini a cimentarsi in partitelle nei polverosi campetti di periferia dai quali peraltro sono anche usciti molti “campioni” così come dalle “favelas” brasiliane o quartieri ghettizzati argentini. Il mio commento è comunque più incentrato sulla frase in sé e le considerazioni ivi proferite. Concludo dicendo che al di là di tutto Pasolini amava il calcio, che non è peccato intendiamoci (in ogni caso ci sarebbe da approfondire) ma è l’unica sua “passione” che, così come proposta, trovo enfatica e contrastante la sua personalità. Non sarebbe scandaloso rilevare in lui una “debolezza”, anzi…

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COMMENTO SU PASOLINI
FIAT LUX

“Il giorno della mia morte in una città, Trieste o Udine, per un viale di tigli, quando di primavera le foglie mutano colore, io cadrò morto sotto il sole che arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia lasciando il cielo al suo splendore. Sotto un tiglio tiepido di verde, cadrò nel nero della mia morte che disperde i tigli e il sole. I bei giovinetti correranno in quella luce che ho appena perduto, volando fuori dalle scuole, coi ricci sulla fronte. Io sarò ancora giovane, con una camicia chiara e coi dolci capelli che piovono sull’amara polvere. Sarò ancora caldo, e un fanciullo correndo per l’asfalto tiepido, mi poserà una mano sul grembo di cristallo.”
Pier Paolo Pasolini – Tratta da “Carne e cielo”

COMMENTO:

Non è tanto la lirica, eccelsa, il paesaggio tracciato con poche pennellate, il bagliore di Van Gogh, i riferimenti essenziali, il pensiero profondo come l’Abisso che… al limite per lui potrebbero essere usuali, evidenti… quanto l’oscuro e imperscrutabile disegno che ispira la mente e muove la mano di Pasolini facendo convergere tutto in una sola sovrumana armonia. “Fiat lux”.

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COMMENTO SU PASOLINI
“Entropia”

“Chi è nato in questa entropia, non può in nessun modo, metafisicamente, esserne fuori. È finita.”
Pier Paolo Pasolini

COMMENTO:

Come tutti sappiamo l’entropia viene interpretata come una misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi, incluso l’Universo. È un termine scientifico che non credo Pasolini abbia usato a caso. Infatti, per ricondurre il dibattito alla frase del poeta, che non escludo fosse rivolta a studenti in materie tecniche e appartenenti a famiglie umili, a mio modesto parere intendeva dire, in un linguaggio a loro comprensibile, che quella generazione di giovani sarebbe stata l’ultima a vedere operai e contadini aggregati e ben riconosciuti nella classe di appartenenza. Successivamente sarebbe seguito uno sconvolgimento (disordine) voluto, oserei dire studiato a tavolino dalle “caste” (di questo potremmo parlare in altra sede) che in quel contesto lui definì “borghesi” il cui termine individua sì nella sua più ampia accezione l’uomo amante del vivere quieto e ordinato, legato al proprio benessere materiale a lui sufficiente, e perciò conservatore, che per il “proletario” rivoluzionario rappresenta invece già una sorta di “padrone”, uno o due gradini sopra la sua condizione.
Pasolini si esprimeva anche in relazione alla scolarizzazione dell’interlocutore cui rivolgeva il suo messaggio. Mica era uno sprovveduto!

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COMMENTO SU PASOLINI
“La scoperta di Marx” in “L’usignolo della Chiesa Cattolica”

“Ma c’è nell’esistenza
qualcos’altro che amore
per il proprio destino.

È un calcolo senza
miracolo che accora
o sospetto che incrina.

La nostra storia! Morsa
di puro amore, forza
razionale e divina.”

Pier Paolo Pasolini – La scoperta di Marx in L’usignolo della chiesa cattolica
COMMENTO:

Pasolini è un usignolo della parola, maestro di pensiero, vita, sentimento e tante altre cose ancora, una delle poche cellule sane di questa umanità che nel suo complesso è la barzelletta raccontata da un povero ubriaco, i suoi componenti grumo nocivo di sostanza organica, coacervo di presunzione e imbecillità destinato all’estinzione, la prova indubitabile che nulla esiste “oltre”. Se così non fosse le tre stupende terzine regalateci non sarebbero solo il sogno dell’intellettuale, l’altra parte del Poeta che esprime un concetto contradditorio al fine di diffondere false verità per quella che ritiene una giusta causa, cercando perfino di convincere sé stesso. Ma non mi faccio ingannare stimatissimo Pier Paolo, l’esistenza ha senso solo nell’amore poiché con esso tracci il tuo destino, null’altro ha importanza in questo passaggio obbligato imposto da chissà quale imperscrutabile disegno. Neppure rimango commosso per la tua seconda terzina e la lirica stupenda, non esiste alcun computo o proposito, tutto avviene in virtù del miracolo, come preferisci definirlo, ovvero il caso, che ti conduce per mano fra le braccia della persona vagheggiata, a volte la sfiori, ti è vicinissima ma immensamente lontana e scompare per sempre nella frazione di un secondo… invece quando si verifica la combinazione che accora, mette tutto in armonia, esalta al punto da incrinare la tua intelligenza e infondere il sospetto di chissà quale graffito divino, pensi di toccare il Cielo. E arriviamo alla “storia”, che sia individuale o collettiva è, come tu stesso affermi smentendo la prima terzina, “morsa di puro amore” e forza tutt’altro che razionale e di certo non divina. Chiedilo a tutti i “grandi” della letteratura, filosofia, poeti, le altre cellule sane, i malati dell’immaginario, gli indagatori della consistenza e apparenza, loro lo sanno che il mondo ruota intorno alla ricerca di ciò che manca per renderti intero, e la passione, il delirio, sesso, eros che appagano i sensi. Perfino tu l’hai affermato in più di una delle tante pregiatissime perle che ci hai lasciato.
Grazie per essere esistito, adesso sei fra noi.
Mauro

Mauro Giovanelli – Genova
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