IL RENZISMO ovvero LA CERTEZZA DEL DUBBIO

IL RENZISMO ovvero LA CERTEZZA DEL DUBBIO

Avevo deciso di lasciar perdere aggredito come sono stato dalle peggiori sensazioni, certezza dell’impossibilità al cambiamento accompagnata dalla percezione di ineluttabilità degli accadimenti che non dovrebbero sovrastarci. Risultato: completa abulia. Non male comunque, in fondo abbandonarsi all’indolenza potrebbe essere un’alternativa, tanto che mi era parsa la migliore delle soluzioni, la sola cosa da fare in Italia, procurarsi un coltellino, individuare una comoda e riservata panchina al parco pubblico, sedervisi e trascorrere il tempo a far la punta a un legnetto alzando di tanto in tanto la testa per gettare uno sguardo al mare.
Non è riuscito a scuotermi neppure Matteo Orfini con la sua balzana idea di programmare corsi anticorruzione per i politici. Al contrario l’imbecillità che tale ipotesi potesse soltanto prefigurarsi nella mente di qualcuno mi convinse ancor più dei benefici effetti derivanti dalla mia nuova condizione mentale. È però mio dovere ricordare che costui è un “onorevole”, nonché presidente del PD e testé nominato Commissario Straordinario della sezione Romana del medesimo partito a seguito dello scandalo “Mafia Capitale”. Ad essere sinceri, ora che ne parlo, devo aggiungere che il cranio di costui, l’arcata sopraccigliare, lo sguardo vacuo, l’arcipelago costituito da barba, baffi, basette collegati tra loro da accurati istmi a circondare le parti emerse del suo sciocco sorriso, mi aveva riportato a Lombroso. Ho allontanato all’istante tale ignobile pensiero.
Sono però stato messo a dura prova nell’ammirare la guida scout Renzi muoversi all’interno del Palazzo Apostolico, osservare le movenze delle anacronistiche Guardie Svizzere, analizzare le formalità e gli atteggiamenti artificiosi dei segretari, cogliere le battute scontate, incolori, elargite a profusione dall’ex sindaco di Firenze (“il bimbo è più alto della mamma… non si vede perché la mamma ci ha i tacchi, eh… eh…” oppure “sono mortificato di fare errori sul protocollo, eh… eh…”). Intanto si arriva allo scambio dei regali. Da parte nostra, se posso dirlo, viene donato Chianti classico accompagnato dalla chiosa di Matteo “i vini italiani sono tutti buoni, ma questi piacciono anche alla mia mamma, vanno bene per la messa e non solo, eh… eh…”. Il Santo Padre ricambia con un medaglione raffigurante San Martino che cede il mantello al mendicante anche se con una rapida occhiata rilevo che in quegli interni parrebbero non esserci capi (di abbigliamento) da dismettere, tanto meno questuanti. Non riuscivo a capire cosa mi infastidisse, forse l’ipocrisia celata in ogni gesto, visto e rivisto come un vecchio film che passa un giorno sì e l’altro no su tutte le reti, il servilismo, la finzione. Ogni Santo Natale nessuno dei predestinati a tale rito riesce ad inventarsi qualcosa di efficace, nuovo, rigenerante, oserei dire… cristiano. In ogni caso ho pure resistito a questa tentazione, denunciare la vacuità della rappresentazione, ma i prodromi di ciò che mi avrebbe riportato alla tastiera del computer c’erano già tutti. La causa banalissima, come vedremo, anzi un nonnulla rispetto alla montagna di degrado che ci sta crollando addosso dal mondo della politica e non solo, Vaticano compreso nonostante gli ammirevoli sforzi di papa Francesco.
D’improvviso altra inquadratura, seconda notizia. Compare in video Renzi Matteo, sempre lui ma con maglioncino stile Marchionne, che dal palco del YouDem interviene sull’ultima iniziativa del PD “La Buona Scuola”. Attacca a parlare e purtroppo sono rimasto invischiato nella sua tela. Ecco il discorso:
Cambiamo ma non si vede… abbiamo affrontato la legge elettorale, giustizia civile e penale, responsabilità dei magistrati fino ad aumentare le pene ai corrotti (???), fisco, lavoro, pubblica amministrazione perché pensiamo, crediamo e siamo sicuri… di questo… che sia arrivato il momento per l’Italia di cambiare se vuole rimanere sé stessa e che il futuro appartiene a chi non ha paura, il futuro è di chi ha voglia di cambiare ha voglia di provarci ha voglia di crederci ma ecco il motivo per cui vorrei chiedervi scusa, perché nonostante sia circondato dalla fama di buon comunicatore non mi è riuscito di raccontare che il futuro del Paese è l’educazione.
Grandioso!
A parte un “cambiamo” seguito a ruota da due “cambiare” di troppo, che sta a significare come il Presidente del Consiglio ci tenga al… mutamento, ma… di che? Come? Quando? Ci rendiamo conto che nel suo sproloquiare non ha detto, scusate l’eloquio, un cazzo? Che questo sgangherato guazzabuglio di parole è privo finanche della parvenza di un concetto? E parlava ai nostri ragazzi, si riferiva al futuro dei giovanissimi. Voi penserete che io sia tanto meticoloso da fare la manicure alle formiche, ma di tutta la dissertazione il nucleo profondo del Renzismo, quello che gli dà peso specifico nullo, è racchiuso in questa frase e relative pause: “…perché pensiamo, crediamo e siamo sicuri… di questo…” che tradotto “siamo sicuri che… pensiamo, crediamo”, ossia i nuovi democratici hanno certezze solo su ciò che “loro” reputano, immaginano, cogitano. In parole povere l’unica convinzione dei renziani è la certezza del dubbio.
E io che mi sono perso una buona dose di iodio, il rumore gradevole e incostante del frangersi delle onde, il vento a sorreggere i gabbiani, immobili, sospesi in cielo come brillanti aquiloni, ali spalancate prima di raccoglierle e fiondarsi in basso, volo radente alla ricerca della preda tra i flutti schiaffeggiati dal libeccio. Nella mia panchina avrei magari incontrato un amico con cui fare quattro chiacchiere sul tempo, ci saremmo scambiati da fumare, magari avrei potuto ammirare le gambe accavallate della signora seduta di fronte. Invece ci sono ricascato, ho permesso a questi individui di rubarmi un altro pezzo di vita. Pazienza!
Però mi viene in mente un adagio, non ricordo in che circostanza l’ho udito, chiedo scusa per il mancato riferimento alla citazione: “i serpenti si possono misurare solo da morti”. Oddio! Lunga vita al nostro premier ma quando il suo lavoro sarà terminato vedremo cosa avrà lasciato sul terreno di gioco. I suoi predecessori li abbiamo già soppesati uno ad uno ma l’ago della bilancia è rimasto immobile, come fosse paralizzato. Pure mettendoli tutti insieme sul piatto la lancetta sempre fissa, inchiodata allo zero, a segnare solo la tara… in pratica niente.
Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Maurits Cornelis Escher

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