SOGNO A MENO UN DODICESIMO DALLA PRIMAVERA

SOGNO A MENO UN DODICESIMO DALLA PRIMAVERA

“Stiamo costruendo il futuro,
ma nessuno di noi si preoccupa
di sapere di quale futuro si tratterà.”
H. G. WELLS

…è indispensabile, vitale, urgente, irrinunciabile parlare con l’amministratore delegato, nessuna inefficienza rilevata nella struttura che dirigo, i miei collaboratori capaci e solerti nel concludere disordinatamente ogni pratica, come loro ho insegnato, trasmesso, portano soluzioni anziché problemi eppure incombe un fatto grave che mi viene attribuito, sembrerebbe calcolo matematico sbagliato, impossibile possa essermi accaduto… mi muovo con rabbia e destrezza fra scrivanie affollate, signorine, segretarie e manager, appollaiati, indaffarati, tanti fogli, cartelline chiuse con elastico, appunti, pile di carta, macchine da scrivere (o computer?), mezzi di comunicazione comunque neri, non ho presenti i volti anche se almeno uno ha i capelli impomatati di brillantina, neri, lucidi, come quelli degli ometti dei calciobalilla anni ‘50/‘60. Arroganti, supponenti, espressioni impiegatizie, sollecitano il motivo per cui intendo riferire con tale pervicacia, penso “excusatio non petita accusatio manifesta”, la locuzione è assillante, ogni mia spiegazione inascoltata, non interessa poiché già hanno giudicato, deciso, irremovibili, avverto la loro “chiusura”, rifiuto della verità, ostilità, disistima, chiedo un minimo di riservatezza, non mi piace discutere in presenza di altri… nulla da fare ed alla loro indifferenza nell’ascoltarmi, occupati come sono di nulla, cresce il desiderio, l’impulso di ribaltare i tavoli, annientarli… queste immagini non hanno contorno, paiono deformi ninfee ostili che ondeggiano su uno sfondo nero come pece prodotto da rabbiosi tratti di lapis punta morbida, intanto alla luce fioca e tremula dell’androne di edificio d’epoca una porta si apre al piano terra dalla quale fa capolino il viso sorridente di mia figlia minore, come avessi premuto il campanello e fossi lì ad attendere che qualcuno aprisse, mi comunica che sta preparando il trasloco, deve lasciare l’abitazione immediatamente… con la coda dell’occhio intuisco nell’oscurità del vialetto, oltre la vetrata, un auto imponente, nera, ferma, minacciosamente in attesa, macchina importante, giocattolo dei potenti, non sportiva tipo Maserati, neppure comoda Bentley, piuttosto la sagoma mi riporta alla vecchia Aurelia anni ’60, nuova fiammante, emana sortilegio, cattiveria, male assoluto, è “umana” nella sua immobilità, un lampo grigio rischiara «La “cosa” dell’altro mondo» dell’americano Ambrose Bierce (1), soprannominato dai suoi contemporanei “il lessicografo del diavolo”, racconto che lessi da bambino… seduta al volante dell’auto, non vista ma percepita, cappotto grigio scuro di ottima fattura, perfetto, giromanica preciso alle spalle, figura di uomo anch’egli immobile, fisso come statua, guarda avanti con la certezza che otterrà ciò che vuole ed io mi sento impotente… eccomi nel profondo nero quando compare, venere dormente sospesa nell’aria come in alcuni disegni dell’amico Fulvio, la donna amata da sempre, sono sconcertato aver potuto dimenticarla in questo tempo… è lei… dal nero fitto emerge il corpo fino al collo, intuisco avere i capelli biondi, unica nota di colore seppure immaginata, anche se abbracciandole i fianchi, quasi a sorreggerla, le mutandine rosa di seta, semitrasparenti, soavi, delicatezza infinita come desiderio e rimpianto che provo, mi dicono essere nera, chioma scura, riflessi blu che si propagano dal corvino, appoggio la testa sul suo ventre, avverto profumo di pitosforo misto a odore di femmina da tempo immemore posseduta, l’ombelico è da sogno, la stringo forte, forte, mi ci aggrappo, lei lascia fare, nulla dice ma parlano le pulsazioni che avverto, gambe soffici, carne morbida e pelle liscia come quella di neonato, le due curve tenere alla sommità delle cosce mi invitano a rientrare…
Questo ho sognato la notte fra il 12 e 13 aprile 2017, forse trascorsa nel dormiveglia continuo, sonno e veglia, nelle pause credo che dormissi, forse no, fluttuavo su un mare onirico, immenso, non vi era alcuna rete a mezza profondità che potesse filtrare quanto emergeva dall’abisso…

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com
© Copyright 2017 Mauro Giovanelli

Immagine in evidenza: (1) Pag. 127 – “destinazione UNIVERSO” a cura di Piero Pieroni – Illustrazioni di Leo Mattioli – Collana “I GABBIANI” – VALLECCHI EDITORE – Printed in Italy Firenze 1957 Vallecchi Editore Officine Grafiche – pagg. 592

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