SCRIVO A PASOLINI

Grandi poeti, grandi calciatori

«Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica.»
(Pier Paolo Pasolini)

Commento:

Non comprendo quest’analisi del grande Pasolini, ho l’impressione che strida con la sua personalità improntata alla difesa degli ultimi e dedicata alla giustizia sociale, panacea di ogni sopruso. Lo sport in generale (e il calcio in particolare) è lo specchio della vita, essa stessa gara, pura competizione, lotta per superare l’avversario ad ogni costo al fine di raggiungere lo scopo: la “rete”, come il knock-out nel pugilato, il colpo smorzato del tennis, il denaro accumulato dal capitalista, e così via.
Neanche ritengo il goal un’invenzione ma l’effetto ultimo conseguito a causa d’intensi e forsennati allenamenti, allo stesso modo di un trapezista piuttosto che un pattinatore, ecc., tanto meno una sovversione del codice, se mai il contrario, ovvero conservazione, riconoscimento, assoggettamento alla dottrina stessa che nel raggiunto
obiettivo agonistico vede la sua punta massima. Ineluttabilità non direi, nulla è scontato, viceversa tutto potrebbe essere scritto…

                          “Quod scripsi, scripsi”  

                                È scritto,
                                giunti al limite
                                sarà stato
                                esattamente
                                come avvenuto.

© 2020 Vertigo Edizioni s.r.l., Roma – Mauro Giovanelli.

…questa è nichilista, lo so, però vera, al limite il goal potrebbe considerarsi quale premio delle fatiche impiegate al raggiungimento di “quello scopo”, anch’esse previsto sebbene concorra anche un pizzico di fatalità comunque annunciata.
Folgorazione o lampo di genio? Beh, sì, limitatamente al contesto in cui ci stiamo muovendo, a genio sostituirei “estrema abilità”, “gesto atletico” compiuto. La genialità è ben altro a mio parere e tu, amico mio, ne sai qualcosa. Stupore d’accordo, è ovvio, così come irreversibilità, vale a dire impossibilità a rivivere l’attimo appena trascorso. Ciò è vero in tutto “l’universo mondo”, anche di una semplice lacrima neppure sappiamo se un giorno sarà ricordo, cioè
pensata da un’intelligenza in grado di farlo, e comunque ricostruire il momento in cui è stata generata:

                                    Istante oltre  

                                 Se anche adesso
                                 neppure sarà ricordo,
                                 rievocare il passato
                                 è come ricomporre
                                 nell’immenso mare
                                 la primigenia essenza
                                 del tuo pianto.

© 2020 Vertigo Edizioni s.r.l., Roma – Mauro Giovanelli.

Immaginiamoci un calcio al pallone, della serie la palla è rotonda, frase usata e abusata dagli addetti ai lavori, ossia gli scienziati del manto erboso, giocatori, allenatori, tecnici, magazzinieri, ortopedici, logopedisti, presidenti, negli estenuanti quanto inutili dibattiti televisivi, confronti che si trascinano ogni settimana per riempire il vuoto lasciato dal football giocato, compresi giornalisti un tanto il chilo, cronisti della domenica e ancora opinionisti, streghe, maliarde, maghi, esperti. Allora ecco la locuzione che sottintende il destino, l’ineluttabile, il caso, che poi la palla sia sferica è tutta un’altra storia da lasciare ai geometri.
Nel momento in cui sto predisponendo il presente testo per la pubblicazione, anno infausto 2020, mese di novembre, fra i tanti si è registrato un altro grave lutto proprio nel pianeta calcio. È morto Diego Armando Maradona e, caro Pier Paolo, sta succedendo di tutto un po’ ovunque ma a Napoli e in Argentina si sono toccati livelli impensabili. Gli altri decessi dovuti o meno alla pandemia da Sars-Cov-2 nulla più contano se non per le statistiche. Questo il mio cordoglio inserito a sangue caldo su Facebook e rivolto al solo giocatore per il quale è valsa la pena fosse inventato il gioco del calcio:

Diego Armando Maradona
Lanús, 30 ottobre 1960 – Tigre, 25 novembre 2020

“È il solo giocatore che mi ha fatto vedere cose strabilianti in un mondo, quello del calcio, dove in mancanza di tifo gli sbadigli degli spettatori regnerebbero sovrani. Grande giocoliere, forse ineguagliabile, l’uomo Diego Armando è stato il jolly impazzito di una società degna solo di scaricare ogni frustrazione sotto il campanile. Di lui ho sempre apprezzato tre cose, il ragazzo segnato dalle grinfie dell’idolatria, il tatuaggio del “Che” sul braccio destro, la sua capacità di piangere. Comunque diamo a Maradona quel che è di Maradona, ai napoletani quel che è dei napoletani, a Dio quel che è di Dio. Che la terra ti sia lieve.”
Mauro Giovanelli – Genova

Eh sì, amico mio, perché oggi ci sono i “social”, la “rete”, il “web”, s’è avverato quanto tu temevi, e non è finita, dobbiamo pur arrivarci a questo benedetto limite, nel frattempo comunicare con costoro non è facile, credimi, io la vedo così…

Democrazia e dittatura perfetta

Andrà a finire che di circa sette miliardi di attuali abitanti del Pianeta, mediamente avremo un venti miliardi al giorno di opinioni da valutare. In questa previsione ho tenuto conto, uno più uno meno, dell’incremento demografico da qui ai prossimi trent’anni, la conoscenza indotta già nell’età prenatale tramite sofisticatissimi ultra-microchip placentali, infine l’evoluzione della robotica i cui replicanti, comunque e giustamente, avranno da dire la loro. Democrazia e dittatura perfetta, felici, liberi e contenti di poterci esprimere su tutto senza avere alcuna personale nozione su niente.
Allo stesso modo dei devoti a una qualsiasi delle circa ottomilacinquecento confessioni esistenti al mondo, tutti certi della loro verità, mi domando se i tifosi del calcio siano in grado di realizzare o no che qualcuno trovi assurda l’idolatria di giocolieri in velocità, scatto e astuzia. Costoro – i fedeli o credenti, comunque adepti di questa nuova dottrina – non dovrebbero dimenticare, e se lo ignorano meglio ne siano informati, che poco tempo dopo il suo arrivo a Napoli, Diego Armando Maradona, spaventato, perplesso, infastidito e dell’accoglienza ricevuta, e dell’ospitalità, disse (testuale): “Dio mio, questa gente vive per se stessa!”.

Più che ai suoi goal credo che l’amore dovuto a quest’uomo sia per il suo modo di pensare sebbene quello da lui riscosso neppure sia stato sufficiente a salvaguardarlo da uno sfruttamento feroce, continuo, crudele e ambiguo.
A me fa pena. Era giovane, sessantenne, però gonfio e sfatto come avesse vent’anni di più, e alla fin fine è morto solo come un cane abbandonato in autostrada, nessuno al suo capezzale. In compenso ovunque spuntano eredi o presunti tali. Del resto provo anche una certa repulsione verso questi “ultrà”, neppure sono sfiorati dal pensiero che almeno ora il pibe de oro vorrebbe essere lasciato in pace. Non so se l’hanno ancora capito, eppure è di facile comprensione prendere atto che Diego Armando Maradona non avrebbe più voluto essere Diego Armando Maradona. Invece no, costoro, anche colleghi di lavoro, continuano a usarlo perché solo così ciascuno di essi potrà sentirsi vivo, assaporando la propria fettina di desolante notorietà riflessa. Io vado per istinto intendiamoci anche se suffragato da fatti, e mai è capitato che mi sbagliassi, e dico che certamente quest’uomo è stato una bella persona, manipolato a dovere e gettato via come la cicca di una sigaretta, con una semplice bicellata così da mandarla il più lontano possibile. Avrà sbagliato, peccato d’ingenuità, ma che grande cuore, demasiado corazón si dice dalle sue parti, si leggeva negli occhi smarriti lo sguardo buono, fanciullesco, il sorriso franco, neanche un pizzico di supponenza, presunzione, poi la voglia di vivere, il piacere del gioco, la professionalità unita a grande maestria. E pensare che l’unico sogno inseguito da questo ragazzo nato e cresciuto nella miseria, le tue periferie caro Pier Paolo, ovunque le stesse, sempre uguali, ebbene stavo dicendo che il suo sogno è stato quello di giocare a football per arrivare a comprare una casa ai suoi genitori, null’altro, parole sue, e glielo hanno rubato. In ultima analisi direi che la “stoffa” di un grande giocatore, il talento innato – e lui l’aveva, eccome – è uno strumento donatogli dalla natura per superare gli antagonisti, gabbarli, la “finta” è scaltrezza che lascia inebetito il giocatore avversario assimilabile alla “furbizia”, vizio servile, usata e premiata all’interno e fuori dai campi di calcio. Accostarla alla poesia poi… forse tu solo hai potuto permetterti quest’affermazione lasciando che passasse indisturbata. Non a caso il gioco del pallone è utile strumento del Potere per dare sfogo alle frustrazioni della “massa”, e non da ieri. “Panem et circenses” la locuzione latina coniata dal poeta Giovenale e usata nell’antica Roma (imperiale), “pane e giochi” al fine di indicare le aspirazioni della plebe e piccola borghesia. La famosa proposizione era preceduta da “populus duas tantum res anxius optat…” ossia “il popolo due sole cose ansiosamente desidera, mangiare e tifare”, il resto viene da sé tanto per alimentare proletariato e sottoproletariato.
Mio parere è poeta chi scrive sotto dettatura di un alto principio riconducendo ogni idioma a lingua universale , come già detto, e in questo senso l’artista potrebbe tramutare in lirica anche il rovescio lungo linea del tennista, un canestro, il salto nel gioco del pàmpano, un fuori campo… caro Pier Paolo, quanto vorrei ascoltare quel che avresti da dire, il tuo parere. I tempi sono cambiati amico mio, gli interlocutori sono spariti, non ne vedo da lustri, se non parlo con te con chi altri confrontarmi?

P.S.

Sono a conoscenza dell’inclinazione di Pasolini a cimentarsi in partitelle nei polverosi campetti di periferia dai quali, peraltro, sono anche usciti molti “campioni” così
come dalle favelas brasiliane o quartieri ghettizzati argentini. Il mio commento è comunque più incentrato sulla frase in sé e le considerazioni ivi proferite. Concludo dicendo che al di là di tutto Pasolini amava il calcio, che non è peccato, intendiamoci (in ogni caso ci sarebbe da approfondire), ma è la sua unica “passione” che, così come proposta, trovo enfatica e contrastante la sua personalità. Non sarebbe scandaloso rilevare in lui una “debolezza”, anzi…

© Copyright 2022 Mauro Giovanelli “Scrivo a Pasolini” – edizione 2022 “cent’anni di Pasolini”

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