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LE RAGIONI DI TUTTI

LE RAGIONI DI TUTTI

Sempre più spesso capita di seguire dibattiti televisivi in prima serata e l’effetto che ultimamente mi provocano è di totale disorientamento. Forse la digestione gioca brutti scherzi o chissà che altro. La stranezza è che pare abbiano tutti ragione, ospiti, conduttori, giornalisti, collaboratori esterni. Mai era accaduto prima. A caso prendiamo “Servizio Pubblico” del 27 marzo 2014, anche se la “moda” sta dilagando e di esempi ce ne sarebbero a iosa.
Non faceva una piega il teorema di Maurizio Landini secondo cui gli ormai mitici F35 non ci favorirebbero in termini di sviluppo, da ogni punto di vista, per il semplice motivo che Alenia Aeronautica Spa si limiterebbe ad assemblare le varie parti, sarebbe solo una “piattaforma” di montaggio componenti, peraltro top secret. Ciò frenerebbe quindi l’espansione della nostra tecnologia e il “made in Italy” andrebbe progressivamente a morire.
Come confutare, ancorché a prescindere, l’ex ministro della difesa Mario Mauro quando sostiene la tesi che essere parte di un’alleanza significa rispettarne le regole e intervenire pure quando ci viene presentato il conto. “Noi siamo dentro un principio”, ha profferito, “ed è solo questione di scegliere dove schierarci”. Sarebbe “lunare”, continua, non capire che il nemico esiste, che il 7 novembre 2011, quando il Parlamento votò per l’intervento in Afghanistan, è figlio de l’11 settembre 2001, ergo i nostri avversari sono facilmente individuabili. Ti verrebbe da dire che quasi quasi le così dette “missioni di pace all’estero” siano un bene per noi e la comunità internazionale.
E Gino Strada? Incontestabili i suoi interrogativi. Da che cosa dobbiamo difenderci? Chi è il nemico? Forse la Cina? Il Giappone? E che cambierebbe, con o senza gli F35, se dovessimo far la guerra con loro? Spendere oltre 15 miliardi di €uro per cacciabombardieri quando la gente non ha i soldi per comprare il cibo è da “cretini” termine, tra l’altro, che potrebbe coniugarsi con il “lunare” di Mario Mauro. Infine aver messo in dubbio che i nostri politici neppure sappiano dove sia l’Afghanistan mi ha letteralmente pacificato con me stesso. Infatti i precedenti parlano chiaro. Uno per tutti il “tunnel dei neutrini”, scambiato come una sorta di TAV per pendolari tra il CERN di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso. Da chi? Da Maria Stella Gelmini, ex responsabile del dicastero dell’Istruzione nell’ultimo governo Berlusconi, quello di “Romolo e Remolo”. Del resto è stato Claudio Scajola a sancire come i politici di casa possano agire a loro “insaputa”.
Degna di riflessione l’analisi dello scrittore Nicolai Lilin sul fatto che tutti i conflitti abbiano origine dai Paesi che consumano di più. Del resto chi altri avrebbe diritto a esprimere tale evidenza se non l’autore di “Educazione siberiana” dove mette in bocca al personaggio principale la celebre frase “Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare”. Per i nostri governanti sarebbe forse più appropriato il secondo insegnamento di Nonno Kuzja “La fame viene e scompare ma la dignità una volta persa non torna mai più.”
A proposito del problema dell’Ucraina, è irrefutabile il suggerimento di Federico Rampini di far attenzione a non dipendere da una sola fonte di approvvigionamento di energie e illuminante il vero motivo per cui, a suo giudizio, gli americani abbiano necessità di noi quali interpreti di civiltà distanti, non essendo loro in grado di capire appieno le realtà dei Paesi mediorientali.
Per non parlare della signora Gisella di Niscemi, piccolo comune siciliano, che ha dichiarato guerra agli USA poiché intervenuti pesantemente sul suo territorio per impiantare sistemi di comunicazioni satellitari ad alta frequenza e banda stretta, più comunemente detti MUOS. Sostiene che da qui partiranno i velivoli controllati da un computer, denominati DRONI, per “andare ad ammazzare altri bambini chissà dove”, oltre i loro che già muoiono di tumore causa le radiazioni emesse da oltre quaranta antenne installate lì intorno. Ha forse torto?
Hanno tutti un buon motivo nel dire che non è giusto ripensare al taglio sull’acquisto di F35 ritenuti necessari al nostro esercito solo perché Obama, in visita nella Città Eterna, redarguì il nostro Presidente del Consiglio per aver solo pensato di ridurre il numero di cacciabombardieri. In tutta risposta il Matteo nazionale, battendo il pugno nel declamare “Yes we can”, si è dimenticato che negli USA chi non paga le tasse finisce in galera mentre in Italia si butta in politica o diventa presidente di qualche squadra di calcio. E come sempre accade, per cui non è una sorpresa, anche questa volta Marco Travaglio tocca il tasto giusto quando si domanda se siamo uno stato sovrano o una dependance degli Usa. Mi è solo dispiaciuto non abbia fatto alcun cenno ad Angelino Alfano, il Kazakhstan e il caso Shalabayeva.
Belle serate comunque, costruttive, e sempre divertenti le spumeggianti vignette di Vauro a sintetizzare ogni concetto. Alla fin fine una domanda. Non sarà scritto da qualche parte che questo pianeta debba proprio essere un gran marasma? E l’Italia il suo epicentro? Beh! In effetti “Orsù scendiamo e confondiamo quivi il loro linguaggio, sicché l’uno non capisca il parlare dell’altro!” (Genesi 11, 7) è una vecchia storia.
Non resta che fare propria l’esortazione che Jep Gambardella indirizza all’amica intellettuale radical chic “Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo diverso rimedio che farci compagnia, darci un po’ di amicizia, affetto. O no?”

Mauro Giovanelli – Genova

Pubblicato su “Il Segno” nr. 8 del 16-30 aprile 2014 pag. 2 http://ilsegnoroccadipapa.blogspot.it con il titolo “S’infuoca il dibattito sull’acquisto degli F35”.

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PERSONE NON UMANE

PERSONE NON UMANE

   Capisco che in questo momento i problemi del pianeta siano tali e tanti da far passare in secondo ordine il caso di cui mi accingo a scrivere. Per non parlare dei grattacapi dell’Italia che stanno raggiungendo livelli di guardia così elevati da coprire strati sociali sempre più ampi. Avete notato? Un numero crescente di individui pare soffrire di dermatite seborroica, altrimenti detta forfora. Sembrerebbe un’epidemia. A un attento osservatore non può sfuggire l’incessante marea di gente che gira per la città sfregandosi la testa, non si capisce se per eliminare dal cuoio capelluto le fastidiose squame biancastre, o per scacciare le “apprensioni” che con generosità vengono loro elargite a profusione dai nostri cari, fantasiosi e strapagati “politici”. Ora però non voglio parlare di quest’ultima sottospecie. Scelgo di abbandonare una volta tanto il circo della politica, con tutti i suoi clown, nani, prestigiatori del concetto, trapezisti della parola, saltimbanchi del pensiero, funamboli della morale, domatori delle coscienze, acrobati del dire, non dire, smentire.
Desidero invece rivolgere una riflessione ai miei veri amici ossia quei poveri esseri viventi destinati a sopportare la nostra arroganza e da noi sprezzantemente definiti “animali” dimenticandoci di far parte dello stesso regno. Un inciso è però doveroso: l’India ha ufficialmente disposto l’abbattimento di tutti i parchi acquatici destinati ad ospitare cetacei quali delfini e orche poiché la Scienza ne ha chiaramente riconosciuto lo “status speciale” avendo stabilito la loro intelligenza e sensibilità definendoli come “persone non umane” con determinati e imprescindibili diritti. Ciò è stato reso noto tramite un comunicato ufficiale, da noi passato in sordina forse anche per questioni “diplomatiche” contingenti. È risaputo il rispetto degli indiani per ogni essere vivente, e il loro Paese di appartenenza si iscrive al piccolo ma determinato manipolo di Stati che ha già bandito la cattura e l’importazione di specie animali a scopo di “intrattenimento”.
Arrivo al dunque ponendo alcune semplicissime domande. Secondo voi è giusto che un cittadino, residente in una zona a pochi passi dal mare dove lo spazio antistante è destinato a manifestazioni fieristiche, sia periodicamente obbligato a sopportare lo spettacolo di elefanti in catene con la testa malinconicamente ciondolante ad invocare giustizia e libertà? È logico dover subire il suono greve dei ruggiti di tigri e leoni costretti a vivere in due metri quadri, che combattono la pazzia spostandosi incessantemente da un lato all’altro della gabbia fino a rompersi il muso contro le sbarre? E le giraffe? Quelle del circo Medrano attualmente in piazzale Kennedy, che scorgo facilmente dalla finestra, tengono spesso la testa bassa, non capisco se per rassegnazione o per sfidare la potenza del cuore che, concepito per pompare sangue ben più in alto al fine di irrorare il cervello, in quella posizione potrebbe collassare provocando così la morte senz’altro preferibile alla vita che noi gli stiamo imponendo. Credo accarezzino l’idea del suicidio.
Ma è mai possibile che nel terzo millennio ci siano ancora soggetti che si divertono ad ammirare un pachiderma che riesce a mettersi per pochi istanti su una zampa sola? Magari con la domatrice di turno seduta trionfante sulla proboscide, braccio sollevato a sbandierare la mano per richiamare gli applausi? Battimani di che? In che consiste la prodezza? Dove li mettiamo I cavalli costretti a girare in tondo sobbarcandosi acrobazie di atletici fantini e avvenenti acrobate? Che senso hanno sparuti felini tramortiti che saltano rassegnati entro cerchi con o senza fiamme? E le scimmiette? Abbigliate di tutto punto, gesticolanti, ad imitazione dei nostri ticchi, vezzi o come diavolo volete chiamarli, sono forse l’emblema di molti dei nostri governanti? Tutto ciò è uno spettacolo edificante? Davvero lo trovate spassoso? Mi si potrebbe obiettare che i bambini si divertono. Ma è proprio questo il problema, la tragedia. Noi adulti li indirizziamo ad osservare lo spettacolo più osceno, insulso e diseducativo che mente umana possa concepire essendo basato sulla sofferenza di un essere vivente forzato ad agire contro natura. Comportandoci come domatori del pensiero dei nostri figli li educhiamo a ciò. È certo che si svaghino? Non ne sarei tanto convinto. A mio parere sono molto più intelligenti e sensibili di quanto possano pensare i genitori che li accompagnano. Qualcun altro potrebbe invocare la tradizione. Benissimo! Conserviamo le nostre consuetudini ma spogliandole degli aspetti deteriori superati, per fortuna, anche dai tempi. Il Medio Evo è passato da un bel pezzo.
Ben venga il Circo per eccellenza, quello articolato fra varie esibizioni di abilità fisica e le geniali trovate comiche dei clown. Se le riprovevoli “rappresentazioni” che ho evidenziato venissero abolite si darebbe un grosso impulso alla campagna in atto di educazione al rispetto della natura aiutandoci ad avere maggior riguardo di noi stessi e, chissà, alzare il livello di comprensione verso il prossimo, persone non umane comprese.
Sbaglio secondo voi?

Mauro Giovanelli – Genova

Articolo riveduto e aggiornato ad oggi di una mia lettera pubblicata da “Il Secolo XIX” a firma bonniegio@libero.it intorno al 2005/2006 cronista forti@ilsecoloxix.it – Bonnie è il nome della mia micia morta nel 2008 – Per quanto riguarda la presenza di animali nei circhi nulla è cambiato.

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IN ATTESA DI UN ILLUMINATO

IN ATTESA DI UN ILLUMINATO

A questo punto credo sia l’affaticamento dei cittadini il vero male di questo Paese. Ripetitività, finzione, ipocrisia e menzogna passano in secondo piano. È possibile, mi domando, che non ci sia una, dico una sola persona di potere, che abbia accesso ai mezzi di informazione, possa comunicare agevolmente con l’Autorità, un potente che, all’improvviso, per estenuazione, pentimento, anche per dare più senso alla sua vita, abbia uno scatto d’orgoglio e decida di ribellarsi? Un miracolato fornito al limite di un pizzico di senso dell’umorismo, qualche grammo di patriottismo, sia un poco romantico, sazio di ciò che già gli è stato concesso? Insomma un idealista deciso a fare il “bel gesto”, strappare il sipario e scoprire la pagliacciata che si sta consumando sul palcoscenico, e pure dietro le quinte, della politica italiana? E agire prima che si trasformi in tragedia? Un eroe! Ecco chi ci vorrebbe, un valoroso! Come solo se ne vedono al cinema o i nostri nonni ammiravano nei romanzi d’appendice. Qualcuno disposto a rinunciare alla propria rendita di posizione e scelga di entrare nella storia per trasformarsi in un benefattore dell’umanità. Cominciando quindi a smascherare con chiarezza e determinazione l’imbonitore che per più di vent’anni ci ha sfracellato le meningi, agli inizi portava la sciarpa bianca e ora la camicia bruna, forse perché, tramite Verdini & Company, ha passato le consegne a Renzi Matteo. Eh sì… ci vorrebbe un soggetto con gli attributi, come si suol dire, che denunci il nulla di fatto di questo governo e il pressapochismo dei suoi ministri, pure l’inadeguatezza del precedente dicastero, e di quelli ancora prima. Un “cavaliere”! Ma del tipo declamato dall’Ariosto, uso ad audaci imprese, che ridimensioni l’enfatizzazione degli “inamovibili” della politica, dica basta al tirare a campare sulle riforme valide, che si faranno sempre “l’anno prossimo”, e blocchi questo “cerchio magico”, come l’ha definito Eugenio Scalfari, dal commettere l’irreparabile ponendo la fiducia sui temi per loro sensibili, oscurando in tal modo l’opposizione, respingendo ogni critica o contestazione. Ci sarà pure qualcuno che argini l’esondazione di parole dei rappresentanti del PDL, PD, UDC, ALA, Forzaitalioti, Leghisti, Largheintesisti (?), gruppi misti e promuova la rimozione della valanga di “opinionisti ad hoc” che occupano i palinsesti della TV. Un sapiente! Che programmi la riforma della giustizia inserendo altresì la “responsabilità civile” dei parlamentari che non dovessero raggiungere i risultati promessi. Un assennato! Certo. Una persona accorta che dia impulso alla tutela dell’ambiente a salvaguardia di questa nostra incantevole ma, ahimè, stuprata penisola. Un illuminato! Determinato a dare assetto stabile ai rappresentanti dell’unico movimento in grado di bonificare la scatola piena di vermi che si trovano davanti. E l’unico modo per farlo è quello di entrare nel barattolo e combattere ad armi pari dall’interno, impresa non facile. Perdincibacco! Mica c’è bisogno di tanta teoria, basta aver visto quel bellissimo film di Alan Parker, “Mississippi burning”, e si facesse tesoro della tattica scaturita dall’acceso diverbio tra il giovane ispettore e il vecchio agente dell’FBI utile a stanare gli xenofobi del Ku Klux Klan. Mi si potrebbe obiettare che così si profilerebbe una sorta di dittatura. Vero! Verissimo. Non ci avevo pensato. Interrompo subito l’elenco delle “cose da fare”, tantissime, chiedo scusa, forse sono solo stanco… che cavolo sto dicendo? Vado a riposare, con una consolazione però, cioè eroe della politica italiana, alla fin fine, sarà un tizio che ha deciso di raccontare come si vive nelle fogne: Un De Gregorio qualunque.

Mauro Giovanelli – Genova

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GIORDANO BRUNO

GIORDANO BRUNO

Era l’alba del 17 febbraio 1600 quando il filosofo Giordano Bruno, una delle menti più lucide e ispirate del suo tempo (e anche del nostro), fu bruciato vivo in Campo dei Fiori a Roma a seguito della decisione presa dal Santo Uffizio dell’Inquisizione della Chiesa Cattolica. La sentenza fu preceduta da otto anni di carcere e torture, ufficializzate da “riunioni”, l’ultima delle quali avvenne il 9 settembre del 1599 e fu presieduta dai seguenti “commissari inquisitori”: Ippolito Maria Beccaria, Giulio Montenenzi, Pietro Millini, Anselmo Dandini, Marcello Filonardi e Alberto Tragagliolo. E’ opportuno riportarne i nomi per additare questi mostri all’esecrazione universale. Cinque mesi dopo, più precisamente l’8 febbraio del 1600, venne emessa la sentenza dai cardinali inquisitori Ludovico Madruzzi, Giulio Antonio Santoro, Pietro Deza, Domenico Pinelli, Girolamo Ascolano, Lucio Sasso, Camillo Borghese, Pompeo Arrigoni e Roberto Bellarmino. Il terz’ultimo capoverso del testo della condanna a morte sul rogo è un capolavoro di ipocrisia e così recita: “Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Christo… et dover essere rilasciato alla Corte Secolare, sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma (cardinale Ludovico Madruzzi n.d.a.) qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilazione di membro…”. Come se i nove cardinali non sapessero che le “debite pene” sarebbero consistite nel bruciare vivo quel genio indiscusso dell’umanità. Ma era necessario che la colpa del crimine non ricadesse sulla Chiesa, bensì sul potere temporale, sebbene anche questo fosse esercitato dal papa (Clemente VIII al secolo Ippolito Aldobrandini). Al termine della lettura della sentenza Giordano Bruno disse ai suoi aguzzini: “Forse tremate più voi nell’infliggermi questa sentenza che io nell’accoglierla”. Durante il percorso dal carcere di Tor di Nona al luogo dove sarebbe stata eseguita la condanna venne imposta a Giordano Bruno la “mordacchia” con la “lingua in giova” cioè trafitta da un chiodo ricurvo in modo che non potesse parlare, pena inflitta ai bestemmiatori che si rifiutavano di ascoltare “confortatori” e “padri”. Considerando che Roberto Bellarmino (il 25 febbraio 1616 presiedette anche il Sant’Uffizio nel processo a Galileo Galilei) fu uno dei più accaniti accusatori del grande filosofo mi chiedo:

Come mai il 29 giugno 1930 Roberto Francesco Romolo Bellarmino fu proclamato santo da papa Pio XI e il suo corpo è conservato, per la venerazione dei fedeli, in una teca della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio a Roma mentre quello di Giordano Bruno si è disperso in cenere e fumo?
Perché nel 1931 (17 settembre) San Roberto Bellarmino fu proclamato dottore della Chiesa Cattolica dallo stesso papa Pio XI?
Come può spiegarsi il fatto che nella conferenza del 18 febbraio 2011 a Fener di Alano di Piave (BL) organizzata dal Circolo Christus Rex si è giunti alla conclusione che la Santa Inquisizione fu un tribunale giusto e misericordioso?
Per quale motivo in occasione dell’Udienza generale del mercoledì (23 febbraio 2011) l’attuale papa emerito Benedetto XVI (Joseph Alois Ratzinger) decise di dedicare una meditazione sulla figura di san Roberto Bellarmino (nel corso della quale ovviamente non venne in alcun modo citato il caso Giordano Bruno)?
E infine perché nessuno parla più di quel feroce accadimento per il quale sarebbe necessario (a mio modesto avviso) un chiarimento ufficiale da parte della Chiesa Cattolica come fu fatto per il “caso” Galileo Galilei?

Mauro Giovanelli – Genova

Pubblicato su “Il Segno” nr. 8 del 16-30 aprile 2014 pag. 4 – http://ilsegnoroccadipapa.blogspot.it – con il titolo “L’inquisizione ai tempi di Giordano Bruno”.

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Nota: Quasi tutte le notizie della meravigliosa vita di Giordano Bruno le ho attinte dal testo “Giordano Bruno – La falena dello spirito” del nostro grande filoso e germanista Anacleto Verrecchia. Ho l’onore di averne una copia con dedica autografa, cosa non da poco considerando la riservatezza dell’uomo e l’umiltà del genio. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di Bruno, Nietzsche e Schopenhauer è stato uno dei più grandi intellettuali che abbiano attraversato il ‘900 e il suo stile è giudicato “la migliore prosa filosofica prodotta oggi in Italia”. È morto il 4 febbraio del 2012 all’età di 86 anni. Quotidiani e televisione gli dedicarono poco più di un trafiletto o annunci di qualche minuto, senza dubbio troppo impegnati a seguire le squallide vicende della politica interna. Comunque è certo che la persona non avrebbe gradito più di tanto sebbene per gli italiani sia stato facile accontentarlo. Diceva spesso “di un filosofo o di uno scrittore ciò che interessa sono gli scritti e non le vicissitudini personali”.

I REPLICANTI

I REPLICANTI

A che livello si colloca il punto di non ritorno della pazienza dei cittadini di questo Paese? Quale potrebbe essere il quid specifico a far scattare la molla dell’orgoglio agonizzante, la classica goccia impossibilitata ad entrare nel vaso stracolmo di umiliazione? Forse l’oltraggio, filigranato nei 14 €uro mensili di aumento in busta paga, poi smentiti, poi confermati in 15 (lordi)? “Neanche parlarne! Mica sono dei pezzenti, ci vuole questo e altro.” Ebbene il fatto che in parlamento bivacchino deputati, indagati, avvocati (dei medesimi), strapagati, senatori, corruttori, delatori, nani e ballerine, servi, ruffiani, mafiosi, lealisti, leghisti, centristi, divisivisti, forzisti, piduisti, liberisti..? “Impossibile! Ormai è la norma e nei secoli si sono abituati ad ogni sorta di “uomini” di potere. Che credete? Questo non è il Nuovo Mondo, bensì la culla della civiltà!” Dunque l’affronto di dover subire ogni giorno le dichiarazioni lunari di pitonesse, falchi, colombe e assimilabili potrebbe scatenare la tracimazione? Essere costretti a dover convivere con un’informazione sottomessa a un sistema in avanzato stato di decomposizione? “No! Da escludere categoricamente, è la consuetudine, e poi si può sempre cambiar canale e gustarsi una miss Italia formato ridotto!” Allora sapere che al parlamento europeo sono rappresentati (i cittadini intendo) da soggetti del calibro di Borghezio e Mastella, e chissà chi fra gli altri 71, potrebbe bastare a provocare una reazione irrefrenabile? “Negativo! Respinta tale ipotesi. Rientra nel costume nazionale e poi di quelli neppure conoscono la faccia quindi non gliene può fregar di meno.” Beh! Il fatto di aver raggiunto un livello di disoccupazione insostenibile, di miseria e sottosviluppo culturale e sociale inammissibili non contano alcunché? “Irrilevante! Del resto il Paese di santi, poeti e navigatori può confidare nella creatività dei suoi figli, la famosa “arte di arrangiarsi” e la criminalità organizzata in tal senso potrebbe dare una mano, “metterci una pezza”. No! L’Italia e i suoi abitanti sono a questo punto vaccinati a tutto ma… c’è un particolare, una minuzia apparentemente trascurabile, un’immagine angosciosa, vista e rivista in questi ultimi due decenni tanto nei telegiornali che nei filmati dei talk show, un vessillo del potere cui sembrerebbe che nessuno dia importanza, sfuggita agli stessi Santoro, Travaglio e Vauro… una scena che questi cittadini non potranno digerire in nessun caso, la scintilla che potrebbe provocare l’incendio!” E che sarà mai? “Quella botta!” Quale botta? “La spallata intravista per pochi secondi, forse due, tre, nel filmato di ”Servizio Pubblico” del 24 ottobre scorso (2013 n.d.a.), violenta, gratuita, inutile, che una guardia del corpo del presidente del consiglio ha dato alla graziosa corrispondente, a Roma, mentre cercava di avvicinare Letta (nipote) per intervistarlo. Quella botta ferina, stavo dicendo, appioppata da uno dei tanti gorilla che circondano chi dovrebbe rappresentarci, stazza enorme, uguale a tutti gli altri suoi colleghi, muti, circospetti, occhiali da sole di prammatica, doppi auricolari, petto in fuori, testa alta, cranio solitamente lucido e untuoso. Ecco! Il colpo gratuito di quel replicante alla nostra bella giornalista, associato all’indifferenza sdegnosa e arrogante di Enrico (nipote di Letta Gianni) che ha continuato a procedere con imperio verso chissà quale compito da svolgere a salvaguardia dei loro interessi (non ai cittadini mi riferisco). Ebbene sì! Questo gli italiani non potranno tollerarlo più a lungo e, come il misterioso ultrasuono emesso da alcuni insetti per indicare allo sciame la giusta direzione, potrebbe essere il segnale del riscatto.

Mauro Giovanelli – Genova

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L’articolo “I REPLICANTI” è stato pubblicato il 10 luglio 2015 sul sito www.memoriacondivisa.it

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Evitando di decrittare il segnale emesso da tale sgradevolissimo gesto ormai entrato nella consuetudine, la vittima della spallata ringrazia delle parole “profonde” che avrei proferito a sua difesa. Mi ha fatto piacere, è giovane, brava e deve ancora “rinforzarsi”. Invece sono stato colto di sorpresa dall’opinione di un intellettuale. Anzi, per la considerazione e la stima che ho nutrito nei suoi riguardi, ad essere sincero ho provato grande delusione della sua analisi. Tra l’altro mi è quasi sembrato volesse consolarmi, meglio ancora rabbonirmi. In poche parole ha egli incentrato la sua legittima critica sull’episodio in sé, la spallata alla cronista, dicendo di non condividere le interviste itineranti ai parlamentari poiché, tra le altre cose, le vittime di questi assedi potrebbero dare risposte frettolose.
Sarebbe stato troppo facile prendere spunto da tale lettura per proporre che i nostri governanti siano chiamati a legiferare a cielo aperto visto che, quando stanno seduti sulle loro comode e costosissime (per noi) poltrone, i tempi che impiegano a partorire qualsivoglia decisione diventano biblici. Ironia a parte l’ipotesi non sarebbe da scartare a priori, non male l’idea dei “politici da marciapiede”, insieme a tutti quelli che ci hanno mandato. Insomma sono rimasto deluso. Possibile non abbia capito che il gestaccio di un guardaspalle non c’entrasse un cazzo? O sono stato io ad essermi spiegato male? Questo il problema. Da qui la mia replica:
«Nel messaggio non intendevo focalizzare un punto di vista circa la “spallata”. Le due righe, o poco più, che le ho inviato ambivano a inquadrare un panorama complessivo, diciamo che avrebbero voluto essere una ripresa a campo lunghissimo, così da abbracciare il maggior spazio possibile, confinando le figure quasi all’orizzonte. Il mio proposito non era quindi quello di mettere in primo piano Enrico Letta (che non ho definito maleducato perché non risponde, ma arrogante), né i giornalisti dell’informazione televisiva che lei dipinge alla maniera di sciami fastidiosi (i paparazzi di felliniana memoria, che godere, che dolce vita!), tanto meno i body guards pure se, dobbiamo ammetterlo, in questi ultimi vent’anni si sono moltiplicati a dismisura; da qui il titolo che ho dato, “I replicanti”, che vuole staccarsi dal mero significato fantascientifico di creatura artificiale con fattezze umane (anche se lo sembrano ma questa è un’opinione). Il mio obiettivo era quello di indirizzare l’attenzione al “clima”, l’atmosfera ammorbata in cui ritengo sia precipitato il nostro Paese. Una… sensazione sgradevole che ci fa ricordare come i conflitti della storia, determinati da interessi e rancori profondi e imprescindibili, siano sempre stati attribuiti a cause e pretesti occasionali. Finanche una inutile e gratuita spallata di un gorilla del potente di turno a una brava e bella giornalista.»
Silenzio, nessuna risposta. Ho capito, allora cerco di ricucire lo “strappo” dovuto forse alla mia assertività. E non posso negare la malattia di cui soffro, la necessità del confronto, è la mia droga, quindi sono la parte debole e, come scrisse Cesare Pavese, “la strategia d’amore la sa usare solo chi non è innamorato”. E di questo giornalista mi ero davvero invaghito, dei suoi trafiletti intendo, così sono tornato alla carica:

«Rifuggo dalla piaggeria quindi mi costa fatica dire che gli ultimi vent’anni ho acquistato il giornale per cui scrive quasi esclusivamente per i suoi elzeviri, ottimi compagni. Ne ricordo di eccezionali che ho conservato insieme ad alcuni ritagli del mitico Fortebraccio e l’affilato Montanelli. Qualche tempo fa abbiamo avuto uno scambio di opinioni sul contenuto di una mia lettera che, prendendo spunto dalla spallata che un gorilla di Letta inferse alla graziosa giornalista, voleva arrivare a paventare qualcosa di più inquietante. Ammetto di essere stato assertivo nella mia replica che sta a dimostrare il cattivo umore che lei mi attribuì e io negai. Adesso chiedo venia confessando che, ebbene sì, ultimamente sono piuttosto cupo. Quando poi sento emettere suoni incomprensibili dai politici nostrani il mio stato d’animo si avvicina all’esasperazione. Arrivo al dunque rifacendomi a un mio scritto pubblicato successivamente dalla sua redazione dove cerco di evidenziare l’infamia degli stipendi dei nostri parlamentari, per chiederle: in un contesto così “teso”, confuso, di equilibri precari, in una “situazione sociale di complicata lettura” dove i “fumi dell’ira” nascondono le tracce della strada maestra e, come disse Pier Paolo Pasolini, dilaga “l’unica anarchia possibile, quella del potere”, non sarà che l’impropria spallata di uno dei tanti guardaspalle dell’intoccabile di turno o l’insopportabile ingiustizia dei guadagni astronomici di uomini del “palazzo” (vedere ”FATTI E MISFATTI”) possano scatenare l’uragano?»
Ancora silenzio… è caduto un idolo, mi dispiace. Avrà ragione lui? Penso di sì! In effetti il mio tentativo di scuoterlo non è stato appropriato nel modo, anche se l’intenzione era buona. Ultimamente avevo l’impressione si fosse ammorbidito, “costituzionalizzato”, “sdraiato”. È brutto essere stati innamorati e… traditi. Ci si esprime male.

IL CASO ERICH PRIEBKE (Sic transit gloria mundi)

IL CASO ERICH PRIEBKE
(Sic transit gloria mundi)

Adesso che il “problema” è stato travolto dall’attualità è forse il momento giusto per fare una riflessione. Mi è sfuggito il senso di tutto l’accanimento concentratosi intorno a una salma, oramai coacervo di atomi e molecole fuori controllo, particelle che hanno smarrito l’equilibrio, interrotto le comunicazioni fra loro, orfane della concertazione dello spirito. Non più persona bensì materia organica avviata a un rapido processo di decomposizione che la riporterà in circolo. Resta l’orrore che quel defunto ha rappresentato in vita e ciò che riverbera da morto: un simbolo con cui identificarsi per alcuni ignobili balordi, l’incolmabile abisso di dolore e angoscia per tutti gli altri. Fossi stato chiamato a decidere mi sarei lasciato guidare dal destino indecifrabile, avrei fatto seppellire quelle spoglie fra le sue vittime. In tale ottica quale altra scelta se non la più giusta? Il nazista assoggettato alla misericordia eterna dei suoi martiri e questi, che non ne ebbero una sola briciola, a concedergli perdono imperituro. E poi la regola sembrerebbe essere proprio questa: a Roma, nella diocesi Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio, poco distante da Campo de’ Fiori, è esposta la mummia di un gesuita, vescovo e dottore della Chiesa cattolica, che fu aguzzino di Giordano Bruno e persecutore di Galileo Galilei. Per la venerazione dei fedeli.

Mauro Giovanelli – Genova

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Pubblicato su “Il Secolo XIX” del 27 ottobre 2013 pag. 39 con il titolo “Priebke andava sepolto tra le sue vittime”.

APOCALYPSE NOW REDUX 2015

APOCALYPSE NOW REDUX 2015

Appena terminata la visione di Apocalypse now redux, prima serata LA7, che non ho voluto assolutamente perdere, stavo per ritornare alle mie abituali occupazioni quando venni catturato dalle anticipazioni dei titoli dei quotidiani di oggi con le solite notizie sulla Scuola, i migranti, i Marò, la minoranza del PD, Salvini e Forza Italia, niente sul salvataggio di Antonio Azzollini e, a corredo, qualche immagine dal Parlamento dove gli occupanti gli scranni passavano dagli insulti ai sorrisi più aperti con estrema facilità terminando poi, dopo esser scesi dall’emiciclo, in abbracci, paccate sulle spalle e finanche baci tra oppositori. L’accostamento con il colonnello Kurtz e la legione da lui capitanata in una sanguinaria e pagana anarchia nella foresta tropicale mi pareva ovvia, ma non riuscivo a trovare il nesso eziologico. Infatti non c’è e il motivo è semplice.
Al contrario che all’esterno della eterogenea comunità installatasi nella neutrale Cambogia, appena fuori dal confine del dilaniato Vietnam, in guerra contro tutto e tutti, in questo Paese siamo omogenei nell’aver deciso di vivere in una tollerante e religiosa armonia anzi, rasentiamo il masochismo. Per fortuna intendiamoci, altrimenti dovremmo organizzare una missione speciale nei Palazzi del Potere, costituita da un esercito eterogeneo al comando di un fidato capitano Willard (Martin Sheen) che riesca ad infiltrarsi nelle loro fila per insegnargli l’educazione e il rispetto verso sé stessi e i cittadini ma non agisca come il suo predecessore, un altro ufficiale dei corpi speciali inviato prima di lui a svolgere lo stesso incarico, passato poi dalla parte del colonnello ribelle.
Come ben sappiamo viviamo in un Paese dove gli Scilipoti, i Razzi e i De Gregorio (pentito) sono tanti e determinano le maggioranze che ci governano. Dal governo Letta a Renzi sono già 185 i parlamentari che hanno deciso di emigrare in un altro gruppo politico e non mancano gli “appassionati” della fuga, c’è chi è riuscito ad attraversare l’intero spettro politico.
Sic transit gloria Italia.

Mauro Giovanelli – Genova

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DECONTESTUALIZZARE o CONTESTUALIZZARE? Questo è il problema

DECONTESTUALIZZARE o CONTESTUALIZZARE?
Questo è il problema

C’era una volta… anzi è in circolazione uno dei tanti ammiratori del signore con la sciarpa bianca, strenuo sostenitore dei valori del primo ventennio quindi aggrinfiato anche a quelli del secondo, idealmente vicino al negazionismo dell’olocausto pertanto convinto assertore della parentela di Ruby Rubacuori con un ex presidente dittatore di uno stato estero. Insomma un uomo tutto d’un pezzo e devoto discepolo di ogni concetto venga pubblicato da alcuni mezzi di ”informazione” editi dalla “famiglia” del suo eroe senza mai mettere minimamente in dubbio la miriade di altre amenità dello stesso spessore intellettuale di cui sopra. Strano a dirsi è un tipo che a prima vista sembrerebbe evoluto culturalmente e, in ultimo, potrebbe forse definirsi una brava persona. Dico ”forse” solo perché se fosse cattivo lo sarebbe a sua insaputa come l’esigua minoranza degli appartenenti alla sua categoria. Tutti gli altri lo sono con cognizione. Con lui intrattengo rapporti di sana frequentazione e amicizia purché, parole sue, “non si parli di politica”. È importante sottolineare come questo genere di soggetti, che a un attento lettore sarà facile collocare in un preciso e definito schieramento della politica italiana, sia avvezzo a lanciare provocazioni con frasi dritte, sottili e appuntite come aghi che, all’occorrenza, possono rimanere conficcati o essere estratti alla bisogna. In poche parole buttano là una frase che potrà poi essere contestualizzata o decontestualizzata dal quadro generale secondo la necessità del momento. Non vorrei annoiarvi ma un caso emblematico di questa tecnica, accaduto qualche tempo fa, che ha trovato proseliti finanche tra le mura vaticane, è rappresentato da una barzelletta sugli ebrei, con bestemmia finale, raccontata in pubblico da un nostro ex presidente del consiglio. A tale riguardo un noto monsignore minimizzò l’accaduto sostenendo quanto fosse necessario “contestualizzare le cose”. Il telegiornale della principale rete nazionale snobbò la notizia con viscida e minzoliniana svagatezza ma di quest’altra categoria parleremo in diversa occasione.
Il motivo per cui vi racconto questo aneddoto? Perché se vi guardaste bene intorno potreste scoprire, non si sa mai, molti individui tutti appartenenti alla stessa specie di questo amico.
Improvvisa come il classico fulmine a ciel sereno dal tizio ricevo una mail:
“Ti invio queste considerazioni di Leonardo Sciascia, formulate nel lontano ma attualissimo 1986: «Il potere di giudicare dovrebbe avere radice nella ripugnanza a giudicare, nell’accedere al giudicare come a una dolorosa necessità, nell’assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio. Non da questo intendimento i più sono chiamati a scegliere la professione di giudicare. Una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è stato assegnato, ad assumerlo come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto a esteriorizzarlo. Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli.»”(1)
Non una parola di più a parte il “ciao” finale, secco e risolutivo come uno schiaffo. Circa i motivi per cui si fosse deciso a trasmettermi un messaggio subliminale di tale portata potrei scrivere una ventina di pagine fitte fitte che preferisco, anche per praticità oltre che stanchezza e buon gusto, sintetizzare in due considerazioni. La prima è che costui, nella convinzione di aver finalmente trovato la prova inoppugnabile delle sue ragioni, abbia deciso di esporsi. Illuminato da tale scoperta ha voluto rendermene partecipe posseduto di colpo da una sorta di frenetica volontà a convertire gli eretici. La seconda, collegata alla prima ma molto più diretta, è che a suo modo di vedere il passo da lui citato sarebbe la dimostrazione evidente della persecuzione di un potente nostrano da parte della Magistratura.
Il patto è stato infranto da colui che l’ha sancito e imposto cosicché mi sono permesso di inviargli la mia cauta e immediata risposta pensando che non avrebbe avuto alcun prosieguo:
“Troppe le cose da dibattere, precisare e confutare su questo delicatissimo tema, ciò che comunque fece l’Autore stesso nella prefazione a «Storie di ordinaria ingiustizia» (Raffaele Genah, Valter Vecellio, Sugarco Edizioni, Milano 1987). È un film già visto. Appena avrò qualche minuto di tempo sarà un piacere inviarti un mio personale commento. Intanto il problema: che tipo di società potrebbe essere deputata a giudicare i Giudicanti? E come con il potere che in questo modo assumerebbero?”
Con stupefacente meraviglia arriva la sua meditata replica (è pervenuta dopo qualche giorno), sintetica e ratta come la lingua di un camaleonte. Eccola:
“Credo non vi sia alcunché da dibattere o da commentare. Dalla lettura del libro o del sintetico brano solo considerazioni e giudizi che ciascuno di noi elabora nel suo succubo silenzio.”
Succubo silenzio? Ma come? Ero qui tranquillo, a pensare ai casi miei, mi viene lanciata una sfida su un terreno che tra l’altro prediligo e dovrei pure tacere? Ho riflettuto non più di cinque secondi prima di far partire la folata decontaminante del modo di intendere il dialogo, lo scambio di opinioni fra amici e conoscenti, incancrenitosi nel tessuto sociale a partire dalla famosa “discesa in campo” di quel signore divenuto miliardario che dagli spalti della tribuna d’onore della sua squadra di calcio meneghina, esibendo una sciarpa démodé e borsalino in testa, elargiva a profusione concetti sul suo modo di intendere politica e società:
“Caro amico, ecco le mie considerazioni e giudizi elaborati da tempo che non posso rinunciare ad esporti. Dunque «Il potere di giudicare dovrebbe avere radice nella ripugnanza a giudicare…». Bella frase peccato sia ovvia, scontata. Chi potrebbe non condividerla? Il problema è che ad espletare la «dolorosa necessità», l’ingrato compito, debbano necessariamente essere investiti esseri “umani” e, in quanto tali, imperfetti e deboli. Solo una continua correzione del “sistema”, pur sempre “edificato” e gestito da uomini, potrebbe ridurre il margine di errore nella scelta di coloro che dovessero «assumere il giudicare come un continuo sacrificarsi all’inquietudine, al dubbio». Ripeto: potrebbe ridurre, non eliminare. In ogni caso dove sta scritto che i Giudicanti, o buona parte di essi, non siano assillati dall’inquietudine, dal dubbio? Proseguo: «Non da questo intendimento i più sono chiamati a scegliere la professione di giudicare». Potrebbe essere vero. Ammettiamo lo sia. Anzi lo è! L’alternativa? In che modo selezionare questi “illuminati”, tali da destinarli ad ergersi moralmente al di sopra di tutto e tutti? Se si trovasse cotanto efficace sistema neppure sarebbe male applicarlo al potere politico (ad esempio nella selezione dei candidati alle elezioni), a quello dei medici, degli avvocati (assumere il compito di assistere l’imputato come un continuo sacrificare sé stesso per l’interesse del prossimo, dell’imputato non già del “cliente”). Credo gioverebbe applicare siffatto metodo anche al potere del clero, delle banche, degli imprenditori, dei potenti, per non parlare degli insegnanti, del personale addetto a mantenere i sepolcri imbiancati dell’apparato statale, dall’usciere al ministro, e via di questo passo. «Una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è stato assegnato, ad assumerlo come un dramma, a dibatterlo ciascuno nella propria coscienza, ma tende piuttosto a esteriorizzarlo». Pure questa affermazione ad effetto, così come proposta e non ”contestualizzata” (termine oggi di gran moda) all’intero saggio, lascia il tempo che trova. Arriverei a dire sia banale. Quanta parte della Magistratura? Quale? E’ un fatto che in ogni settore della “società” vi sia una frazione del tutto non all’altezza del compito assegnatogli dagli uomini o dalla Natura. Sbaglio o la perfezione non è di questo mondo? In poche parole si ritorna al paragrafo precedente, al “Sistema” con la S maiuscola. «Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli». Affermazione grandiosa nella sua tragicità ma ci riporta inevitabilmente al “già detto”. Allora sorgono le domande che ti avevo posto: che tipo di società potrebbe essere deputata a giudicare i Giudicanti? La stessa che li ha partoriti o un’altra? E come applicare l’immenso potere che questi nuovi inquisitori si troverebbero fra le mani? Godrebbero nell’esercitarlo? Avrebbero ripugnanza nell’assumere la decisione ultima? Sarebbero assillati dal dubbio? Ha ragione Leonardo Sciascia in chiusura della sua presentazione di «Storie di ordinaria ingiustizia»: il problema vero, assoluto, è di coscienza, di “religione”. Appunto. Mi fermo perché solo ora rammento quanto tu prediliga il succubo silenzio infatti mi sono stupito della tua sortita. Scusami se mi sono lasciato andare e non ho rispettato l’accordo da te imposto, del resto non l’ho infranto io. In questi momenti di libertà che le festività appena trascorse ancora mi concedono ho trovato il tempo per una doverosa controreplica e sarei felicissimo di approfondire il tema.”
Con chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui una riflessione finale: questi quattro lustri di connivenza politica tra personaggi inquietanti deputati alla gestione della cosa pubblica, sopra tutti uno che continua a brillare di luce propria, hanno diffuso riverberi perfino, come ho detto, nei rapporti tra le persone, a volte pure all’interno delle famiglie o fra parenti. Volete sapere come è finito il confronto di opinioni banalissimo e, proprio per questo triste per come conclusosi? Il mio amico si è rinchiuso in un ancor più serrato e succubo silenzio ad elaborare considerazioni e giudizi di chissà quale portata cerebrale, io ho ripreso a rispettare il suo patto in un aperto e chiassoso confronto con il resto dell’umanità. Fino alla prossima lezione.

Mauro Giovanelli – Genova

Immagine in evidenza ricavata dal web – fotomontaggio dell’Autore – foto a destra Burne-Jones

(1) “Storie di ordinaria ingiustizia”, Raffaele Genah – Valter Vecellio, Sugarco Edizioni, Milano 1987

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