ESTRATTO DA “IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI” di Mauro Giovanelli

ESTRATTO DA “IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI” di Mauro Giovanelli

Santa meretrice

… la donna si passa un batuffolo di cotone lungo le spalle, sul petto, nella parte lasciata scoperta dalla camicetta leggera appena sostenuta dai seni perfetti, giovani. Una spallina è abbandonata lascivamente lungo il braccio a dichiarare l’appartenenza all’uomo. La carnagione creola è liscia, profumata, il viso è l’icona di una madonna tanto la dolcezza ha aderito a quell’ovale perfetto. Gli occhi grandi, neri e profondi esprimono soddisfazione femminile per aver dato godimento all’uomo, essere piaciuta e desiderata, compagna e consolatrice. Osserva con languore l’amante che si sta rivestendo nella speranza di attirare ancora la sua attenzione e cogliere in lui l’appagamento dei sensi. Bella, bellissima, fronte proporzionata, liscia, naso meticcio, regolare, muliebre, le orecchie precise, i capelli nerissimi, lucidi, con riflessi della notte, anche per la leggera e luccicante patina del sudore di un rapporto appena consumato. È seduta accanto a un robusto tavolo in noce e mentre con calma e serenità immerge il tampone nella piccola coppa per raccogliere altra essenza profumata, non stacca lo sguardo dal viso del compagno, e quello sguardo è ammiccante, generoso, dice che è ancora pronta a offrirsi, non fosse bastato.
Yuzaf la osserva malinconico, studiandola come se fosse l’ultima volta a vivere questa situazione e volesse imprimere l’immagine nella sua mente. Fatica a infilarsi il secondo stivale poi, con uno strattone, ecco fatto. Si alza, è pensieroso, abbottona distrattamente la bianca camicia, pure i polsini, continua a guardare la femmina, un’opera
d’arte definitiva, creatura perfetta. C’è calore in quell’istante, più profondo e intenso che qualunque altro vissuto, e rimpianto. Come un fulmine, il ricordo della donna amata rischiara i suoi occhi. Dopo aver allacciato i pantaloni, controlla il revolver traguardando il tamburo, i colpi ci sono tutti, con determinazione ripone l’arma nel fodero. Raccoglie l’automatica, fa scorrere il carrello per mettere la pallottola in canna, poi dedica molta cura nel riporla dietro la schiena, sotto la cintura. Nell’istante in cui s’infila il gilè, è interrotto da un vagito, scosta il lenzuolo steso su una fune lungo tutta la larghezza della stanza a fare da divisorio, un bimbo si agita nella culla, vuole la sua parte. Ora verifica ogni tasca, ritrova le sue cose, l’astuccio del tabacco, cartine, fiammiferi, e quello che sapeva doveva esserci, un sacchetto di pelle con monete d’oro. Ne raccoglie alcune, le conta facendole saltellare nella mano, ci ripensa, torna in sé e le depone tutte sul letto. I due si guardano e il loro discreto, impercettibile sorriso è la storia del mondo. Questa volta il rumore che si alza improvviso non proviene dalla culla, Yuzaf va alla finestra, solleva cautamente la tendina, e lungo il corso in direzione contraria a quella da lui presa non più tardi di due giorni fa, una folla immensa procede lentamente intonando laudi e preghiere. A guidare questo corteo, al centro, un’accozzaglia di pezzenti, alcuni in abito bianco, altri vestiti di sacco, a piedi nudi, in processione di penitenza, propiziano il Signore, volti coperti, corone di spine in capo, piedi nudi, flagelli in mano. In questa lunga sfilata ci sono nobili e plebei, vecchi e giovani, a due a due, preceduti da gonfaloni e cappellani con la croce, piangono mentre si
fustigano a sangue le spalle, il torace. Cento, mille, avanzano lenti, cadenzati invitando tutti a pentirsi dei loro peccati. A un segnale il corteo si ferma, i frati aspergono incenso a simboleggiare l’essenza divina del Cristo. Uno degli incappucciati indirizza la litania:
«O Dio, creatore e custode di ogni cosa, concedici di essere ministri della tua carità secondo lo spirito del TuoVerbo».
«Per questo ti preghiamo» risponde in coro la folla.
«O Padre, concedici di giungere alla perfezione della carità evangelica».
«Per questo ti preghiamo».
«O Padre, santifica con il tuo Santo Spirito i nostri corpi infetti».
«Per questo ti preghiamo».
«Signore, benedici le nostre carni martoriate».
«Per questo ti preghiamo».
I flagelli con cui si percuotono sono composti di una specie di bastone dal quale, sul davanti, pendono tre robuste corde con grossi nodi a loro volta attraversati da spine di ferro incrociate, molto appuntite, che li passano da parte a parte sporgendo dal nodo stesso per la lunghezza di un chicco di riso o anche più. Con questi strumenti i disgraziati si battono il busto nudo, così che si gonfia, assume una colorazione bluastra, si deforma, mentre il sangue scorre in ogni direzione imbrattando il selciato.
«Signore, donaci la forza di portare insieme ogni pena che incontriamo sul nostro cammino».
«Per questo ti preghiamo».
«Signore, accompagnaci nella missione della vita terrena per ritrovarci uniti per sempre nella gioia del tuo regno».
«Per questo ti preghiamo».
«Signore, nostro Padre e nostro Dio, per la rinuncia alle tentazioni di questa vita terrena accogli le nostre speranze per il mondo che verrà».
«Per questo ti preghiamo» fa eco quella congrega di fanatici.
Alcuni si configgono spine di ferro in profondità nella carne, nelle cosce, al punto che per toglierle, devono fare ripetuti tentativi, poi ricominciare. Le donne si tirano i capelli, a volte ne rimangono ciuffi nelle mani, stramazzano a terra e urlano, indemoniate, si strappano le vesti, tutto un contorno d’isteria collettiva.
«E aiutaci a preparare l’avvento del regno dello spirito, donaci la salvezza eterna».
«AMEN!» risponde all’unisono la moltitudine, ed è un segnale.
La processione riprende. Yuzaf osserva questa macabra rappresentazione, la mortificazione della carne, spettacolo osceno. La sua convinzione si fa sempre più forte. Ormai la risposta l’ha avuta, ora si tratta di apporre il sigillo.
«È per placare l’ira divina» – dice ingenuamente la donna – che lo richiama alla realtà, tanto per dire.
Yuzaf si volta di scatto, vede la purezza fatta persona, lei con un cenno del capo lo invita a restare, gli occhi languidi, profondi, incantevoli, lo reclamano. L’uomo getta un rapido sguardo al bambino, ritorna alla donna, abbassa la testa per vestire il cappellaccio nero, un vecchio Stetson a tesa larga e calotta schiacciata, apre la porta, la chiude dietro di sé e a tutto il resto.

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