Per il suo ingegno e per il suo impegno professionale ampio e multiforme, che gli hanno consentito di percorrere, con successo, anche i sentieri dell’arte, garantendogli altresì l’acquisizione di una vasta conoscenza della natura umana. La sua vita è stata accompagnata da una continuità di ricerca che, dispiegandosi in tanti campi di studio, ha privilegiato il suo percorso di intellettuale illuminato e profondamente sensibile al fascino della poesia e della letteratura. Personalità di grande spessore culturale ed umano, ha coltivato i valori più importanti della vita e si è interessato, con serietà e competenza, alla storia e alla cultura di tanti popoli e tanti Paesi del mondo. Monica Vendrame – Presidente della rassegna
Onorato e commosso del prestigioso “Premio alla carriera” che benevolmente mi è stato assegnato ringrazio di cuore l’estensore delle parole spese nei miei riguardi. Per quanto concerne l’aspetto “umano” sono emozionato e sbigottito nel constatare quanto questa persona mi conosca profondamente. Chiunque sia la abbraccio con affetto. Esprimo particolare gratitudine a Monica Vendrame e Fiore Sansalone e nel salutarli desidero rimarcare la profonda stima e amicizia che nutro per loro.
Mauro Giovanelli – Genova
«Un canto filosofico, si direbbe un canto di ricerca teso a rispondere al bisogno di conoscere il senso dell’oltre e, in primis, di cogliere e capire anche il senso dell’esserci, dell’essere. È con questa ansia di sapere che il poeta si rivolge alla “donna amata” quasi a volerle carpire il senso dell’abitare dell’uomo nell’universo o, meglio, tra “le grandi masse celesti” e “le particelle elementari”, cioè al centro del “Tutto”. E mentre si tende alla ricerca del “varco” per l’eterno trova pace alla propria ansia nella natura e nella serenità che proviene dal contemplarla». Monica Vendrame, Fiore Sansalone, Eugenio Maria Gallo
Spaventapasseri
Non saranno certo coloro che hanno fede,
essi dicono, a farmi desistere dal cercare
la risposta, individuare la meta stabilita
dalla notte dei tempi. Pure dal mio osare
voler intendere il presupposto d’esser qui,
tra la prescelta folla dei contendenti.
Gli indagatori dell’ulteriore vengono
definiti sciocchi e superbi dai drogati
di antiche e incongrue narrazioni,
nel convincimento di essere stati eletti
alla conoscenza, chissà da chi e perché,
a tal punto da imbalsamare loro la mente, il cuore,
l’anima, lo spirito. Congelati nell’inerzia.
Dunque a te, donna amata, venerata
desiderata, dico solo, non lasciarti sedurre
da ingannevoli, primitivi miraggi, impedisci
che la notte ci avvolga, avvinghiamoci nella
nostra illuminata singolarità, tu sei me.
La disattesa promessa di aver separato la luce
dal buio è illusoria, da sempre il grande
splendore è compagno di ciò che fatalmente
ci lasciamo alle spalle e tenendoci per mano
rischiara il percorso imboccato,
non smorziamolo, impediamo alla vita
di ottenebrare il tempo che ci appartiene,
scambiamoci baci, abbracci, carezze, i corpi.
Impossibile sfidare l’enigma in solitudine.
Già te lo dissi amore, siamo misura
di riferimento dell’Universo?
Se le grandi masse celesti interagiscono
obbedendo a regole certe e le particelle elementari
non soggiacciono ai medesimi principi
abitiamo noi fra queste due grandezze?
Saremmo quindi al centro del Tutto?
E procedendo nell’infinitesimale o nell’immenso
arriveremo a scoprire altre entità di mezzo?
La somma degli interi positivi fino all’incomputabile
genera un numero più piccolo di ciascuno di essi,
per di più negativo. Ciò potrebbe indicare stravolgimento
di ogni precetto? Un domani senza confini?
Voglio condurti nell’inesauribile, donarci eternità.
Immerso in questo pensare eccomi giunto nell’ospitale spiazzo
dove avverto gli aromi del nostro primo, sregolato prenderci.
Ora finissimi steli d’erba formano un morbido tappeto,
gli umori che un giorno remoto abbiamo disperso
in questo terreno gli hanno dato nutrimento.
Ruoto su me stesso e siedo sfinito ai piedi della quercia,
sguardo fisso verso l’attraente, soleggiata radura,
gambe raccolte, avambracci sulle ginocchia,
mani abbandonate. Indicibile tristezza non veder più
lo spaventapasseri, nessun sfarfallio piumoso di corvi
che gracchiando si alzano in volo, la natura è ferma.
Nell’accendermi una sigaretta, smanioso di assurda
malinconia, gli occhi vanno oltre,
al distante pendio che chiude il cerchio,
indugio a lungo nel contemplare i ruderi
di quella discosta abbazia.
Ecco! Il sentiero
dei nidi di ragno.
Come è sgualcito…
Prendendomi per mano
con affetto, grande cura,
aveva segnalato
il mondo della lettura
nel percorrerne
l’affascinante tragitto.
Seguito da l’angelo custode
anche il villaggio
sepolto nell’oblio…
Là, sul secondo ripiano,
circondato di suppellettili.
Quante emozioni!
Neve, bianche distese
dove amori e mancanze
sprigionano calore
di antichi tormenti.
Da sotto fa capolino
la sopracopèrta ammuffita,
giallognola, di un robusto,
coraggioso romanzo.
Vi è magnificamente
illustrata Lady Chatterley,
nuda, in trepida attesa
d’esser liberata da
ogni ignobile offesa
patita nei tempi più bui.
D’improvviso raggi di sole
esibiscono ragnatele
nel trafiggere i diafani vetri
in alto, a tetto, della soffitta
che sto esplorando.
Investito da confortevole tepore,
remoto profumo di pitosforo,
sfavillio di pulviscolo
libero, leggero, brillante
di volteggi nei fasci di luce.
Mi desto! È primavera.
Forse sarebbe il caso
di fare un ripasso sulla natura.
Esco, chiudo alle spalle
la porta dei ricordi,
scendo, mi immergo
lungo il viale di platani,
ovunque germogli,
rinascita, aria trasparente,
respiro a pieni polmoni…
Ci rivedremo a settembre.
Devo occuparmi di futuro. Mauro Giovanelli – Genova www.icodicidimauro.com
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