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Sto pensando…

Sto pensando…

Sto pensando che… Dovrei avere un’eccellente segretaria, ubbidiente, devota, molto brava, precisa soprattutto… Come mi era stata assegnata nella grande industria siderurgica italiana… Gente in gamba gli operai, attaccati all’azienda alla stregua di patelle allo scoglio, “innamorati”, fedeli, tecnici di talento… Fra gli impiegati percentuale di efficienza efficacia molto più bassa però non male… Fra i dirigenti c’erano il sottoscritto e… Tutti gli altri… La raccomandazione era imprescindibile però… Però… Non sapevano scrivere… È pur vero che uno in particolare, direttore centrale (mi fa ridere direttore “centrale”… al centro di che?) conteneva un tale carico di meschinità da mettersi le uova sode in tasca al buffet dei prestigiosi alberghi che ci ospitavano nelle frequenti quanto inutili trasferte. Mi diceva: “Sa! Sono per mia moglie”. Era quel “Sa!” che più mi infastidiva… Stavo dicendo… Lui mi spiegava “come” volesse presentare un problema all’ a. d. ed io gli buttavo giù la relazione… Gioco da ragazzi. Una sera me la fece rifare circa una decina di volte… Sudava… Il problema era grave, l’aveva fatta grossa… Arrivai oltre l’eccellenza nel “dire” senza dire, spiegare senza chiarire un tubo… Dovevo considerare pure la stazione “ricevente” oltre la “trasmittente”, insomma lunghezza d’onda, frequenza… Alla fine le aveva tutte in mano come un mazzo di carte, poco mancava le sottoponesse ad una tac…non sapeva quale scegliere, mani nei capelli, mi chiedeva consiglio… Qui c’è proprio da ridere… Fino a quando scoppiò in un “Questa!”…
Sto pensando che avrei estrema necessità di una eccellente segretaria… Che sappia fare molte cose… La prima scrivere velocemente sotto dettatura, cioè voli con la tastiera, io le giro intorno, guardo il mare dalla terrazza intanto declamo a voce alta… Mi accendo una sigaretta… Potremmo buttar giù un romanzo alla settimana tante sono le cose da dire… Deve essere precisa, molto, evitare refusi, impaginazione perfetta come la esigono in stamperia… Ogni tanto intervallo, potremmo farci due negroni, accendere altra sigaretta, le farei trovare diversi stuzzichini, molto buoni quelli del bar Mangini, l’ultimo degno di tale nome in Genova…
Scusate, devo assentarmi per salvare la vita ad un bimbo, in braccio alla mamma, bianca, mediterranea, carina, giovane, lo cullava ma non smetteva di piangere, anzi aumentavano i singhiozzi, di agonia, sofferenza, morte… Si agitava sempre più, manine strette verso il cielo… La ragazza non capiva che gli si stava cuocendo il cervello sotto il sole di luglio, in riva al mare, senza berrettino…
Mai verrà a sapere che uno strano tipo…

Mauro Giovanelli – Genova
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Papà…

Papà…

Oggi è il tuo compleanno terrestre papà!
Da questo momento siamo sempre
stati e saremo della stessa età.
Andremo nel nostro cinema che riapre
per noi, quello appena fuori città,
danno uno dei tanti cult dall’acre sapore.
Appuntamento al solito posto nell’aldilà.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Mio Papà

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L’ULTIMO DEL 48° Corso Allievi Ufficiali di Complemento

L’ULTIMO DEL 48°
48° Corso Allievi Ufficiali di Complemento

Ciao grande Gianfranco,
chiedo scusa di non aver risposto alle tue precedenti ma sono stato travolto da… il solito destino. Mi avevi chiesto del raduno scorso. Purtroppo non ho potuto presenziare (o voluto?) ed il male peggiore è che a furia di rinviare la mia conferma o meno alla fine, ma fine fine… neppure ho risposto. Comportamento da pessimo allievo ufficiale e, peggio ancora, ufficiale. Per mio conto ti prego intercedere fra gli amici che, del resto, conoscono, come dire? Il mio volare al di sopra delle umane miserie. Ma tu ed io apparteniamo alla tribù degli ultimi romantici, ci risulta insopportabile vedere giovani baldi e fieri ridotti ad esemplari del tipo Jurassik Park, pance straripanti da cinture consumate, aggrinfiate all’ultimo lacero, ellittico foro urlante per la fatica di arginare la massa adiposa, occhiali che paiono telescopi, teste pelate quando va bene, nel peggiore dei casi con gli ultimi radi patetici peli bianchi su quelle che erano orgogliose praterie, dita che sembrano bottigliette di succhi di frutta, per tagliarsi le unghie dei piedi chiamano il giardiniere, portano pantaloni marron, sdruciti, affinché vengano mimetizzate le perdite di pipì dovute ad uso improprio e prolungato del… Colli che quelli di un toro sembrano dipinti da Modigliani… I pochi magri, si fa per dire, girano in tondo lamentosi, curvi, sguardo a terra come stessero ancora cercando le mostrine perse durante l’ultima parata. E poi, detto fra noi, c’è quel primo della classe che propone l’alzabandiera, la messa con tanto di cappellano militare, visita al museo dei ruderi bellici ma… sarebbe niente se ogni tanto il discorso cadesse su quella ferita che le donne tengono fra le cosce e tanta benefica dannazione ci provoca. No caro Gianfranco, sardo sardo, ma sardo di quelli veri, tosti… pure toscanaccio, gente come noi MAI potrebbe sopportare tale ignominia… NOI apparteniamo a ben altra specie, procediamo nel Tempo dritti come frecce, fieri della nostra superiorità, non proni, sempre gagliardi, belli da far impazzire, fascino irresistibile, estroversi, fuori dagli schemi che avrebbero voluto imporci, lontani anni luce dalla mediocrità, mai irreggimentati. Non ci sono riusciti.
Un abbraccio fratello. A presto.
Mauro

Mauro Giovanelli – Genova
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EPPURE…

EPPURE…

…non è problema mio,
avevo la donna che mi avrebbe fatto venire
anche da morto, venerazione totale,
dipendeva dalle mie decisioni
e dai capricci che attraversano la mente,
respirava i miei pensieri,
restava incantata dallo sguardo
che si faceva improvvisamente cupo
ed urlava di gioia quando ridevo,
teneva ogni mio scritto come fosse oracolo,
leggeva e rileggeva, la sua mente era io,
ha voluto un paio dei miei boxer
per dormire abbracciandoli, annusarli, leccarli
ed io l’ho amata più di ogni altra, prima e dopo,
la sto cercando ovunque,
in ognuna non trovo un solo pezzettino di lei.
Desiderava appartenermi
animale, femmina, fruita,
penetrata, leccata e morsicata, frustata, succhiata…
Nelle parti nascoste i segni rimanevano anche mesi
tanto che non trovavo più posto per lasciarne altri
così si sovrapponevano fino a sconfinare,
ed ogni porzione di carne era desiderata,
conosco i nei che ha, la loro forma,
mai sentita pelle più… appetibile,
erotica, tenera, odorosa, vera,
incrociavo le dita delle mie mani
con quelle dei suoi piedi per aprirla
e l’umido che evaporava dai pori
era nettare offerto alla giusta temperatura,
la carnalità che ci ha investiti
è arrivata alla mistica,
libido come incenso, morbosità
intensa di fede profonda, radicata,
lei era me dall’inizio del Tempo,
ogni recondito accesso delle sue curve,
pieghe, sapevo appartenermi,
mai un lamento e se domandavo sentisse male
la sua risposta erano le mani nei miei capelli
per nascondere la mia testa fra i seni,
attirarmi ancor più dentro lei,
si scusava quando l’irruenza
strappava un grido trattenuto
e avvertivo sussulto,
allora interrompevo ma le sue braccia
afferravano saldamente il collo, le mie reni,
godeva come si potrebbe solo
accostando dolore e piacere, orgasmo e tormento,
amore e… amore, amore completo al punto che…
ridevamo, ridevamo di tutto, il mondo non esisteva,
noi eravamo Universo ed in noi cultura,
poesia, sesso, filosofia, arte, il filo d’erba,
rocce sedimentarie bianche,
bianche come le sue ascelle,
ed i basalti scuri come il solco fra i suoi glutei
là dove si contano gli anni scivolosi,
il perineo perfetto, le labbra grandi e piccole,
ogni capillare era noto, mucose, saliva, sangue,
ancora amore, passione violenta, travolgente,
mi accarezzava al punto
da lasciare impronte delle sue falangi,
sul petto, il torace, le cosce,
sapeva come toccarmi, dove e quando,
ed io la tenevo per i capelli neri come l’inferno,
duri, resistenti, sudati, sudavamo moltissimo,
sempre bagnati di ogni liquido
che trasportava materiale dal nostro intimo,
come affrontare una mareggiata,
cercare di aggredirla,
andare incontro ai frangenti scomposti
e ritrovarci spossati sulla battigia,
una accanto all’altro, ad osservare il Cielo,
stanchi, sfiniti, ricoperti di sabbia e sassi,
felici di sapere l’altra metà al proprio fianco,
consci che avremmo ripreso a correre
sempre più forte,
e cavalcare le onde.
Insieme.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagini in evidenza: FULVIO LEONCINI ARTISTA CONTEMPORANEO – 13 stazioni per lady Chatterley, 2011

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ALTRI TIPI DI VIOLENZA ALLE DONNE (e ai grilli) – EROSOEROS

ALTRI TIPI DI VIOLENZA ALLE DONNE (e ai grilli)
EROSOEROS

Avevo circa dieci anni, forse meno. Un vicino di casa, certo Musso, del tutto identico all’attuale ministro Poletti, la mattina di ogni sabato e domenica si alzava alle 4 e 30, puntuale come un cronografo svizzero co-assiale, per andare a pescare sulla diga foranea del porto. Calzoni alla “zuava”, calzettoni di lana con decori a rombo, scarponcini, berretto tipo “coppola” con paraorecchie risvoltati in su dove collezionava ami a go go, “panciotto” in pelle straricco di tasche di ogni dimensione su camicia di flanella a quadri, canna in resta, cesta in vimini a tracolla per le “prede”. Alle cinque usciva fischiettando (da qui la precisa cognizione degli orari) e lo si vedeva rientrare pari pari metà pomeriggio. La sera, dopo cena, bardato allo stesso modo ma con un ferro terminante a gancio al posto della canna ed altri strani aggeggi idonei a produrre fumo si inerpicava sulle colline che circondano Genova per catturare “grilli” ma non quelli del tipo che normalmente osservo in montagna, smilzi e verde chiaro, no, i suoi erano larghi e piatti, scuri, quasi neri, discrete dimensioni, i “canterini” disse una volta e credo fu l’unica che lo sentii parlare. Una delle finestre del suo appartamento era stracolma, appese ovunque, di gabbiette eseguite da lui stesso a regola d’arte dove pasceva gli ortotteri catturati. Nell’appartamento sovrastante abitava un certo Maressi insofferente al canto di questi simpatici insetti e nel sottostante il sig. Scovazzi aveva già il suo bel da fare con la moglie ninfomane. Un bel giorno il Maressi decise di far fuori quelle bestiole con DDT e apposito stantuffo in uso all’epoca… Lo osservavo divertito sporgersi fin quasi a rischiare di precipitare dal sesto piano ma ogni intento falliva miseramente poiché il para-diclorodifeniltricloroetano tende a salire (più leggero dell’aria) e per quanto le sue pompate fossero cattive, violente e decise, l’unico a rischiare di rimanere intossicato era proprio il killer. La storia finì nell’accordo storico che il Maressi raggiunse con lo Scovazzi il quale gli permise di trincerarsi in casa sua (tanto lui andava a controllare la moglie che si recava nella vicina caserma) fino a completo sterminio delle prede del buon Musso.
Ritornò la normalità. I grilli non furono più sostituiti. Terminarono le urla della moglie di Scovazzi (voleva uscire ad ogni costo tutte le sere) poiché venne ospitata in clinica specializzata. Da parte del Musso neppure c’era la necessità di togliere il saluto ai “sospetti” abituato come era alla compagnia di sé stesso e dei suoi figli, miei amici di infanzia, di cui nulla più seppi dopo che tutti i maschi si trasferirono in altra città causa l’urgente ricovero in manicomio della povera moglie e mamma.
Tutto qui. Potrà sembrare solo un banale, divertente e lontano ricordo d’infanzia. Lo è infatti ma da questa distanza ne colgo pure i risvolti tragici.

Mauro Giovanelli – Genova
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© Copyright 2016 Mauro Giovanelli

Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI ARTISTA TOSCANO – “Elettroshock” – Tecnica mista su legno – Dimensioni cm. 70 x 170

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MICHELLE

MICHELLE

Nulla ho dimenticato.
Leggermente sfocato
solo il primo momento
in cui ci siamo sfiorati,
gelida notte, virtuoso il vento,
la neve in forma di chicchi dorati
scendeva lenta ma… a tratti
tornava in alto obbediente al tempo
che in luminosi mulinelli
si era fermato per ammirare
l’azzurro bagliore degli occhi tuoi,
così intenso da albeggiare
quell’angolo di Limone.
Rammenti Michelle?
Fra la chiesa e l’antico slargo,
mai saputo il nome della strada,
solo un vecchio lampione
illuminava con fioca luce… gialla,
forse arancione,
frammista al bianco
che tutto avvolgeva,
paesaggio leggendario, lontano,
era sorgente la cascata
di fili d’argento, sottili,
viravano al biondo,
dipendeva da ogni tuo movimento,
filigrana degli dèi,
patrimonio dell’era pagana
i capelli… forse per questo
mi sono abbandonato
al loro richiamo.
Cuore matto il tuo, folle il mio,
altrimenti come spiegare
esserci smarriti? Dopo tre anni!
La Crota, Satisfaction, Michelle…
E quella notte all’Europa
tu eri pronta, doposci sfilati,
camoscio beige,
legacci in cuoio alle caviglie
come schiava della Superba,
desideri di vita si erano incrociati.
Notte, bufera, caminetto ardente,
jukebox, calore, sudore, voglia,
possessione, amore,
troppo pesanti i maglioni di allora.
Ricamato quel che indossavi,
lana blu, aveva decori blu,
orizzontali su sfondo chiaro,
girocollo, il viso… Il viso…
Al quarantacinque Villa Trianon, crollando
porta via il passato. Che importa?
Ancora ti sto respirando.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI ARTISTA CONTEMPORANEO, disegno su carta riportato su legno, cera, dimensioni cm 20×20 – Collezione privata

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PETROGRAFIA

PETROGRAFIA

Per l’esame di Petrografia avevo elaborato una ipotesi che di poco si discostava da quanto riportato nei “sacri testi” e da ciò che veniva spiegato sia dal cattedratico che dai suoi due assistenti. Credo di avere ancora i miei corposi appunti ma difficile trovarli in breve tempo anche se, nel cercarli, potrebbe essere che spunti il manoscritto della mia prima poesia concepita nell’estate che ha segnato il passaggio quinta elementare prima media. In essi avevo cercato di esporre minuziosamente la sequenza dei residui di ossigeno (O2) durante il processo di “cristallizzazione frazionata di un magma”. In sostanza l’interdipendenza di reazioni, tradotte in formule, a mio avviso non forniva risultato perfetto (uguale a zero) prima che la massa lavica raggiungesse il “punto eutettico”, cioè il più basso valore di fusione delle singole sostanze che la compongono. I conti non mi tornavano.
L’interrogazione durò circa un’ora e mezza per stanchezza degli esaminatori. Dopo ampia “discussione” avverso la terna di cui sopra alla fine me ne andai con l’unico “diciotto” preso durante il corso di laurea perché “congettura elaborata ma non soddisfacente” mi sentii dire prima della domanda “lo accetta o preferisce tornare?”.
A proposito delle interviste ai vulcanologi in merito agli eventi legati alle bizze dell’Etna nel marzo scorso, ho letto da qualche parte che “forse” avevo ragione. “Forse…”
Non so per quale motivo ho avvertito l’esigenza di scrivere questo promemoria, infatti tale è, neppure riesco a spiegarmi come abbia potuto venirmi in mente l’episodio. Forse perché al momento vorrei abitare in una roulotte posta al confine di qualche deserto, poco distante dall’ultima cittadina che offra i pochi servizi necessari alla sopravvivenza, possedere un mezzo sgangherato per raggiungerla, guardare il tramonto ogni sera… l’alba qualche volta qualora fossi in buona compagnia.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Fotografia YOUreporter.it – Etna marzo 2017

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SOGNO DI UNA NOTTE A MENO UN DODICESIMO DALL’OTTO DI MAGGIO

SOGNO DI UNA NOTTE A MENO UN DODICESIMO DALL’OTTO DI MAGGIO

Stanotte ho fatto un sogno, sul filo dell’incubo, c’è sempre qualcuno o qualcosa di fondamentale che ho perso e inseguo. È molto importante recuperare il bagaglio mentre sono al chek in dell’aeroporto che si trova fra palazzi periferici e gli airbus decollano uscendo dai portali. Sono ansioso di prendere il mio, la coda è lunga su passerelle metalliche labirintiche e tortuose fra le abitazioni. Cielo notturno, minaccioso rotto da luci dello stabilimento. Improvvisamente vedo che la mia valigia, peluche gigante di orso bianco, è fra le mani di un ragazzo “strafatto” laggiù in basso e lo lancia dentro l’androne di un edificio. Avviso mia figlia che devo assolutamente recuperarlo così scendo di corsa, affannato, gli innumerevoli gradini di queste passatoie riconducibili a quelle in uso negli opifici metallurgici. Mi ritrovo con una donna che desidero molto, la voglio, ma intorno ce ne sono altre, insidiose e moleste, il nostro rapporto è impossibile e nello sforzo di farmi largo per raggiungere lei, inarrivabile desiderio, ho un’erezione seguita da eiaculazione… così mi riprendo dal dormiveglia continuo…
Strano e pensoso sabato questo 6 maggio 2017.

Mauro Giovanelli – Genova
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SIGNIFICANTE NONSENSO

SIGNIFICANTE NONSENSO

Per ogni sbilenca rotazione su se stessa durante l’ellittico percorso intorno al sole nella traslazione dei corpi celesti verso chissà dove, su questa Terra c’è un momento in cui il confine fra luce ed ombra è netto, deciso, implacabile come affilatissima lama di scimitarra, privo della pur minima, impercettibile sfumatura, al punto che percorrendo e superando nel silenzio assoluto ogni ostacolo taglia in due parti nette strade, facciate di palazzi, lastricati, giardini, piazze, panorami urbani, periferie, monumenti. Tutto. È il passaggio della membrana nulla che ruota all’interno dell’universo al fine di tenerlo in equilibrio cosmico nell’infinito. Alcuni lo percepiscono, non molti. In quell’attimo inafferrabile mi assale irresistibile malinconia ed ogni cosa diventa possibile.
Chiedetelo a De Chirico, lui lo sapeva.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Fronte retro dell’inquietante Monumento alla duchessa di Galliera posto nei giardini a lato dell’omonimo ospedale in Genova.

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ORAZIONE NOTTURNA

ORAZIONE NOTTURNA

Notte! Sii confortevole rifugio,
mucosa ospitale, utero, placenta…
Mai matrigna. Ti prego.
Fammi sentire paguro
cui è gradito il guscio usurpato,
lì troverò forza, calore, amore, pace, protezione.
Considerami uovo di cuculo
deposto in nido parassitato
di una specie simile al mio meditare
che mai una sola volta ha esitato
nel concedere cibo, carezze, comprensione.
Notte! Non punirmi per averti usata,
abusato della tua oscurità
in straordinari, illimitati amori.
In crudeli sedute ai tavoli
di fetide e affascinanti bische
dove conoscenza ho cercato.
Per questo dei prestigiosi privè
fra lussuosi banconi
mi sono spesso inoltrato,
esplorare presente, futuro e passato
nei miei simili non ritengo sia disdicevole
e lì bastava una sola carta,
una fottuta, maledetta carta,
figure e dieci inservibili una volta chiamata,
il miserabile asso, il due, tre… Agognati!
Dipende fin quanto ho osato.
Notte! Non essere adirata
per aver consumato le tue ore
in conversazioni amicali
dove si inseguivano sogni
adesso grezza realtà.
Allora di ciò avevo bisogno,
estrema necessità.
Notte! Non volermene
se sempre ho considerato tempo perduto
la pacata sosta che ti spettava di diritto,
sii comprensiva, usa la tua magia,
in fondo ci siamo confidati
facendoci grande compagnia,
fianco a fianco, abbiamo vissuto,
e quando furtivamente,
con flebile preavviso scivolavi via,
lasciandomi solo a fumare l’ultima sigaretta,
fare pipì nell’angolo buio, nascosto
mentre allento il nodo della cravatta
diventato molesto,
accarezzare il gatto randagio,
cui riferivo impressioni sull’esistere,
confrontarmi con il barbone,
l’accattone, l’ubriaco perso,
irradiati dai primi gelidi raggi,
mai ti ho rimproverato,
giungeva l’alba a enunciare l’abbandono,
tempo scaduto, e di ricordi è stracolmo
l’ambito piatto al centro del panno verde.
Notte! Se può esserti di conforto
devo dirti che quando vieni a trovarmi
avverto senso di vuoto, finito,
quasi che nulla io abbia compreso,
stravolgi le mie certezze,
cancelli ogni memoria,
quanto meno ne deformi l’immagine.
Notte! Ho registrato ogni filo smarrito,
tracce indelebili che nel tuo esatto viaggiare
hai dimenticato nei miei dirupi cerebrali.
Ho continuato ad inseguirli, che credi!
Freneticamente, senza sosta, con tenacia,
ossessione, passione, allora…
Ho trovato il punto da cui dipartono e,
per contrapposizione, dove si congiungono,
dove c’è lei, aperta come ospitale nicchia,
madre, amante, sorella, femmina senza confini,
donna ideale da millenni inseguita.
Adesso non devo temere soste del pensare,
è sufficiente entrare in te, amore,
estirpare il dolore che porti dentro,
solo così il mio piacere sarà completo,
mi manchi come il mare, madre
e non padre che è il Cielo cobalto.
Noi siamo figli loro:
Terra.
Ciò è poesia? Follia?
Notte! Ha rilevanza?

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagini in evidenza: Tavole VIII e IX della straordinaria opera unica di FULVIO LEONCINI dal titolo “DI SOLE OMBRE” – Inimmaginabile tomo dimensioni cm. 35 x 27, manoscritto, dipinto, concepito, creato, generato da Lui stesso.

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