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Joseph Mallord William Turner – La nave negriera (The Slave Ship)


Joseph Mallord William Turner – La nave negriera (The Slave Ship)

Post del 10 maggio 2016


Joseph Mallord William Turner – La nave negriera (The Slave Ship)


Genova (italia) Palazzo Ducale, mostra degli impressionisti cui vennero abbinati “lavori” di inglesi e americani indubbiamente per l’esiguo numero di “pezzi” forniti in prestito dai musei del mondo. La Superba non si fa rispettare come una volta ma il modo di dare una lezione ai direttori dei vari Santuari dove sono custoditi i dipinti di Van Gogh (post impressionista), Renoir, Monet, ecc. ci sarebbe stato ovvero accostarli ai nostri “grandi”, i liguri dei primi ‘900 della statura di Rubaldo Merello, Cesare Bentivoglio, Antonio Schiaffino, Giuseppe Sacheri… e tanti altri che nulla hanno da invidiare a molti dei classici così detti “francesi”. Lo rimarcai al responsabile dell’organizzazione, rimase turbato nel constatare che una pecora potesse uscire dal “percorso” stabilito.
In tale circostanza ebbi comunque la sorpresa di ammirare dal vivo opere di notevole spessore fra le quali ne spiccava una, di Joseph Mallord William Turner, il cui “potente” magnetismo mi attirò a tal punto da soffermarmi a lungo a studiarlo pur trattandosi di un soggetto diciamo “paesaggistico”. Fu difficile staccarsi dalla sua luce generata in una dimensione a me sconosciuta. Raffigurava un vascello che lottava strenuamente contro gli elementi della natura vincolati da un patto infernale che li induceva tutti a scatenarsi sulla tela.
Non era il dipinto in questione, o forse sì, potrei dire una fesseria in quanto il mio interesse era così concentrato nel cercare di interpretare i vari toni… che il “tema” passò in secondo piano; al limite avrebbero pure potuto non esserci i complementi che davano il titolo al quadro tanta era l’ampia varietà cromatica i cui riverberi, avvicinandomi per capire il criterio adottato dall’artista, denotavano una particolare e suggestiva tecnica di stesura del colore di rado rilevata. In poche parole rimasi stupefatto e provai una punta di orgoglio quando successivamente, nel raccogliere informazioni su questo genio, ebbi modo di leggere: «…Secondo quanto scritto da David Piper nella sua The Illustrated History of Art, i suoi ultimi lavori venivano definiti come “fantastici enigmi” e il celebre critico d’arte inglese John Ruskin lo definì colui più di ogni altro capace di “rappresentare gli umori della natura” in modo emozionante e sincero».
Flutti implacabili, raffiche di vento accanite, riflessi di luce ora intensi ora appena riverberati, turbinio di nubi sfilacciate come le residue vele dell’imbarcazione il tutto in una commistione diabolicamente perfetta. Potrei anche suggerire di definirlo l’artista delle “calamità naturali” o “potenza degli elementi” ma non va ancora bene, ci deve essere una definizione che renda giustizia a William Turner.
Noterete di certo come in questo spettacolo passino in secondo piano le braccia degli uomini che fuoriescono dai flutti cercando di aggrinfiare l’aria per liberarsi dai marosi che, avviluppandoli ancor più saldamente delle catene, li accompagneranno al loro infausto destino, schiavi gettati in mare insieme ad ogni suppellettile allo scopo di alleggerire il natante. Poche pennellate maestose per raffigurarli, così come il vascello che viene “integrato” nella catastrofe, quasi una macchia, bestia ferita a morte in cerca di scampo.
Ecco! Questa rappresentazione riconduce all’Apocalisse. Ad un attento osservatore non possono infatti sfuggire gli unici esseri viventi in perfetto equilibrio con il contesto, guardinghi gabbiani volteggianti come bianche colombe sul tutto prestabilito, sordi alle miserie umane.
@Mauro Giovanelli – Genova
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Salve Mauro, come versi ? Grazie infinite per il bellissimo regalo che mi porgi come un prezioso diamante sul rifrangente adamantino cristallo della mia scrivania di lavoro dove spendo la mia Mente e mi provo sempre di far partecipe il mio Spirito nella sua dimensione più pura ed elevata. Che gioia leggere di sorprendenti colori, di nervose pennellate e di stoccate ora brune ora chiare che reinventano la Luce ! La grandezza di Turner è tutta qui, amico mio. Nessuno meglio di lui colse quella inusuale necessità: aprire come un drappo che svela il proscenio i sentimenti, le passioni, le emozioni al mondo intero e farne partecipe tutti, umili e nobili, in un’unica Estatica Collettiva Visione. Una vera Rivoluzione pacifica ! Ma come fare a rapire il fiacco ed ozioso sguardo dei mondani nobili e ricchi sulla tragica vicenda umana dei vinti degli oppressi dei semplici e degli umili ? Ecco che l’Eccelso ricorre alla Luce. Ma ad una luce nuova, talmente abbagliante e meravigliosa che anche il Principe non potè più divincolare gli occhi ! Oh caro, riesci a cogliere l’audacia divina del Nostro che costruisce la Luce senza mai usare il bianco ? La sua luce è fatta da una magica complessità di rosa di arancio di giallo e di verde ! Meraviglia del creato ! Come non rabbrividire al pensiero che un uomo inventa una Luce più grandiosa del sole ? E poi mio caro, osserva attentamente la geometria che segue quella inumana luce che non cade dal cielo ma che dal centro della tela si irradia verso la periferia ! Non è dunque una luce che emana da Dio ? No mio caro, la luce proviene dalle spalle della scena rappresentata ! Perciò noi ne siamo abbagliati. Perché, inspiegabile magia del Genio umano, quella luce illumina anche noi come statue di gesso immobili e silenti al cospetto di una Creazione così sublime che sovverte le Leggi della Fisica e che ispira l’Intelletto a nuove equazioni che spieghino in qualche modo quella nuova, inedita, inconosciuta Natura parallela al mondo euclideo che abbiamo imparato sui banchi di scuola. Ora osserva quello che in apparenza dovrebbe logicamente essere il mare. Ma è un cupo e triste pennellar di verdi e marroni ! Dov’è l’azzurro del mare ? Non sperare di trovarlo, Mauro caro, perché la metà del quadro è la incredibile rappresentazione di un Cimitero ! Dove i 132 schiavi neri realmente morti in quella spaventosa vicenda, che vide accanirsi senza pietà alcuna l’uomo contro l’uomo, rappresentano figure spettrali di morti che chiedono preci e memoria allo sprovveduto osservatore. E poi cosa dire di quel magnifico grumo di sangue al centro della scena che colora di morte la Luce al centro del disegno ? Ti chiederai, se Turner ci lascia avviliti sconfitti a senza speranza ? Quesito assolutamente intelligente e lecito assai. Una speranza di sopravvivenza a quella nave di disperati e dunque una speranza all’umanità il Nostro ce la concede: guarda in alto a destra sull’angolo retto che chiude il dipinto, timida scorgerai una piccola macchia azzurra quasi celeste: è il cielo ! E’ quello il segno che una fioca speranza c’é per quei disgraziati ed anche per noi ammutoliti osservatori. Non mi attarderò a spiegare altro che pertiene Tecnica pittorica ed altre specifiche similari. Spero solo vivamente di averti comunicato le ragioni artistiche ed emotive perchè quando cerco deliberato goccialar di solitaria felicità mi attardo nel fissare anche le Opere meravigliose di Turner. Partendo proprio da The Slave Ship che per me è la più grandiosa opera di Turner ed uno dei massimi capolavori di tutti i tempi. Mauro caro, quando smetterò di elevare il mio Stupore sulle cose del mondo e sulla meraviglia che costituisce ai miei occhi l’essere umano chiederò a gran voce a chi ne avrà bisogno di prendere la mia Vita senza indugi né remore. La Vita non si lascia vivere quando ingombri il suo dipanarsi nei giorni con le ore morte del cuore insensibile agli eventi da cui se ne ingenera il Senso. Te sai che nulla, eccetto le Scienze Matematiche ed il sommo ardire di Progettare per l’umanità, accende il mio cuore più delle Belle Magnifiche Arti con le quali nei lunghi silenzi della mia intima contemplazione della Bellezza sparsa ovunque nel mondo conquisto me stesso a mete sempre più elevate, eteree e sublimi. Ritornando al tuo eccellente lavoro, lo trovo sommamente interessante come al solito. La tua scrittura scivola via come lo sguardo sull’incipiente tramonto: pochi battiti di ciglia e tutto si compie mentre hai ancora gli ultimi dorati raggi del sole impressi negli occhi; ma è già notte ! Così il tuo scandire il tempo con la parola che più si accumula e più si autogenera miracolosamente diventando autonoma da te e dal tuo originario proposito. Eppure sempre intringe di Senso cio’ che incontra senza saltare un sola mera locuzione ! Bravo ! Ti prendo le mani, le tue sagge ed esperte mani di Uomo di Cultura e di Natura che tanto hanno visto e vissuto e le stringo forte con le mie delicate ed ossute di Eterno Studente sempre pronto ad imparare per trasmetterti attraverso la mia affettuosa presa il mio orgoglio la mia stima e la mia alta considerazione di Uomo di Cultura e di Scienza senza pudore alcuno della tua bella persona. Carissimo amico mio, hai poi pubblicato la nostra meravigliosa corrispondenza ? Presto replicherò alla tua ultima missiva ed eventualmente mi diffonderò ancora sulla tua bella review. Come hai potuto facilmente osservare, qui mi son dovuto dare un limite. Non tutti son pronti e vogliosi di leggere tanto testo che, quantunque ricco di suggestioni ed iperboli, può stancare l’utente medio dei social che è oramai aduso all’immediatezza dei file video o grafici. Anche nella scrittura lirica sento forte la necessità di far di sintesi la prima virtù da servire al lettore distratto da mille fonti luminose brillanti urlanti ed accattivanti. Ad ogni modo, ti rassicuro sul fatto che chi vorrà leggerti lo farà con il massimo rispetto e la massima considerazione, quel che te meriti ed anche di più. Perché i miei amici qui sono tutti assolutamente meravigliosi e gentili, mai nessuno rabbuiò il mio umore con fare svelto o addirittura rude. Mi sovviene d’improvviso, mai dimentico delle parole che ci siamo scambiati, di chiederti a che punto ritieni sei giunto nella tanto agognata conquista dell’ Età Adulta per pronunciare ”le parole più difficili”. Che io invece frequento da sempre senza curarmi più di tanto delle convenzioni e del conformismo che ci dettano un canone così austero e rigido. Io lo dico a fil di labbra senza che questo mandi in frantumi il mio buon nome di maschio assolutamente innamorato di tutto quel che è donna, femmina e femminile in tutti i sensi possibili. Caro amico mio, ti voglio bene !
Carissimi Saluti
@Dario Rossi Speranza
Milano/NewYork


Ciao Dario, ho letto d’un fiato quanto hai scritto e ammetto volentieri di essere solo un istintivo al tuo confronto, con un certo spirito d’osservazione, amore per l’arte e tutto ciò che è bello, compreso il corpo, l’odore, finanche i difetti tipici delle donne, una certa facilità nella scrittura che mi porto dietro, per fortuna, dai primi approcci con la scuola. Inoltre fantasia da vendere, sogni, speranza e spiccato senso dell’umorismo che fanno sorgere in me impensabili metafore. Tutto qui. Tu sei ad un livello… professionista non è il termine giusto poiché si avverte che sgorga dal cuore il tuo saperti esprimere in modo più che eccellente con ogni mezzo, tutta verità, nulla di artificioso. Potrei definirti un istintivo più attrezzato? In ogni caso è bellissimo ciò che hai illustrato in modo forbito sebbene comprensibile pure a un bambino, il periodo scorre piacevolmente perché ciò che segue ha attinenza e si ricollega compiutamente a quanto precede, si giunge alla fine in discesa, soddisfatti, al punto di volerti dire, cosa mai successa in vita mia, con disinvoltura poi, e forse il motivo è che non resta altro, un semplice saluto è insufficiente, inadeguato ad esprimere la stima e l’affetto che nutro nei tuoi riguardi. Ti voglio bene amico mio, ho molto da imparare da te e questa prima lezione l’ho assimilata subito. Un abbraccio.
Mauro Giovanelli – Genova

Rispondo a Roberto Saviano

Rispondo a Roberto Saviano

Questo governo è colpa del PD che ha tollerato, e pure alimentata tramite gli “innesti” gigliati e gigliosi la disastrosa e destrorsa politica di Renzi. Al contrario di costui non penso che Di Maio sia viscido nel cercare di “barcamenarsi” con un “socio” scomodo ma ritengo sia piuttosto teso nel cercare di “contenere” l’incontinenza di Salvini che trae origine dalla sua propria “poca capienza”. Del resto mi par di capire che all’orizzonte si stiano profilando nuovi schieramenti politici (vedi gilet gialli in Francia e arancioni nel sud Italia) la cui sola accortezza dovrà essere quella di non sporcarsi le mani nella pece, nera come sappiamo che più nera non si può. E vischiosa.

Mauro Giovanelli – Genova
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IL CRETINO PARTE V

IL CRETINO PARTE V

Ho testé avuto un “confronto” epistolare con certo “Antonio Di Bartolomeo” al termine del quale, non avendo egli alcunché da aggiungere circa il fatto che artisti si nasca e non ci si possa inventare come tentava invano di confutare, ricevetti questo Messenger:

“Scusami ma mi vedo costretto a rimuoverti dai miei contatti.
A te piace la polemica fine a se stessa.
A me per nulla…”

Si è dimenticato di aggiungere (…ma fine, fine…) Comunque per la prima volta è stato conciso poiché le sue adirate repliche e controrepliche avverso il mio modo di vedere le cose erano talmente “lunghe” e contorte che al loro confronto nella pubblicità della carta igienica “Regina” doppio velo si vede solo un coriandolo.
Costui, illustre professore, era da molto che si compiaceva di elargire sgangherate corbellerie in ogni direzione.
Resta il fatto che non mi è possibile far sì che gli giunga questa mia avendomi egli “bannato” e contemporaneamente “escluso” dal gruppo “Pluriversum Edizioni”, il suo habitat, dove riceve compiacimenti da tutti gli iscritti speranzosi di vedersi pubblicare loro esternazioni.
Nascondendosi nella caditoia del nostro “Social Network”, precisamente “Blocca”, dove il sottoscritto evita di inoltrarsi, dimostra la sua viltà pertanto ho titolo di lanciare questa bottiglia (con tappo) nel mare della “rete” sperando giunga a destinazione.
Dovessi recuperare il “dialogo”, davvero interessante, lo posterò aggiungendo qualche osservazione. Saranno gradite le vostre.
E sarà “Il cretino” parte VI.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web

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LA BEVITRICE DI VITA

LA BEVITRICE DI VITA

– Ciao.

– Grande! “La bevitrice di vita”. Essenziale! Si ubriacherà di giorno in giorno e il disegno prenderà colore. Chissà quali sogni, speranze, illusioni, dispiaceri, confronti la attendono nella lotta della vita e chi occuperà quella sedia vuota…

– Già! Chissà cosa e chi occuperà il suo cuore…

– Il grande mistero… conosciamo il nostro futuro (almeno io, tu ancora hai un discreto margine) c’è solo questo di stupefacente nell’avvicinarsi al capolinea, per il resto è solo rammarico e rimpianto… se non sopraggiunge la zona “F”

– Anch’io sai non ho molto margine… e poi qual è il margine? Penso a tutte le volte che ho rischiato la vita… poi sì… molto di ciò che è alle spalle, quindi certo… è rammarico e qualche rimpianto… e un mare di ricordi, chissà dove andranno a finire…

– …e se sono stati concepiti, dove e quando, o se neppure siano mai esistiti… illusione, ciascuno di noi neanche è bolla di sapone. Io me la sono pure giocata la vita, basta fare una puntata azzardata e, alla fine, la grande mano…

Fine della conversazione in chat

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI – “La bevitrice di vita”

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“SNOB CULTURALI” ALTRO FLAGELLO DELL’UMANITÀ

“SNOB CULTURALI”
ALTRO FLAGELLO DELL’UMANITÀ

Mi capita di rado ma quando succede è come se qualcuno fosse riuscito a farmi entrare la testa dentro la boccia di vetro dove, a complemento di arredo oggi per fortuna fuori moda, un tempo si imprigionavano i pesci rossi (che dalla noia diventavano via via anemici, biancastri fino a morire). In sostanza accedo ad una dimensione surreale in cui gli avvenimenti, le persone, amici, conoscenze, politica e quant’altro mi circondi risultano lontani e del tutto indifferenti. Sento ma non ascolto, vedo senza guardare, avverto la gravità di un avvenimento e me ne infischio, leggo e non assimilo… immutabile resta solo una cosa ma questa è un’altra storia. Quindi conosco a perfezione la patologia, l’unica terapia è aspettare che passi, mediamente necessitano almeno una o due settimane secondo la complessità dei fattori, intrinseci ed estrinseci, che hanno concorso a formare la causa generatrice di questo effetto.
È per ciò che incautamente ho accettato uno dei diversi inviti che pervengono ritrovandomi così, sonnambulo, nel parco di una villa genovese bellissima, vista stupenda aperta sul mare e le gru del porto, pini marittimi a far da cornice. Solita tavolata con i soliti stuzzichini e solite bottiglie di prosecco fresco frammiste ad aranciata (o chissà che altro per gli astemi), solite posate in plastica con i soliti piatti e bicchieri della medesima sostanza che quando cerchi di prenderne uno devi farti prestare l’unghia e la predisposizione della prima donna che ti capita a tiro per estrarne massimo due. Solita convivialità e finta allegria, solito darsi del tu a prescindere, soliti sforzi ad esternare gaiezza per nascondere i drammi che si celano dietro questa varia umanità.
Fra gli invitati amici d’infanzia, idem l’anfitrione, uno dei quali l’ho colto più di una volta fissarmi con occhio torvo; quando stavo disquisendo piacevolmente di vari argomenti con una violinista, mentre sorseggiavo l’unico bottino catturato ossia quattro dita di spumante (adoro essere servito pertanto rinuncio), nel momento in cui, appoggiato alla balaustra in marmo a fumare tranquillamente una sigaretta, traguardavo con interesse lo sciame di persone che si alternavano disinvoltamente al banchetto. Solo adesso ricordo che a costui avevo fatto uno scherzo pesante ma… diamine! Che sarà mai, a quindici anni, un sacchetto di fuliggine rovesciato in testa mentre usciva dal vespasiano sottostante?
Quattro chiacchiere insieme agli orchestrali, scambio di battute con l’importante direttore (così mi è stato presentato ma l’avevo capito dal farfallino), dialoghi sdrucciolevoli con gli amici, affabile, sincera, divertente compagnia di quattro giovani e amabili ragazze, infine… l’idiota.
Preciso subito che trattasi di direttrice ed esperta d’arte nonché critica della Pinacoteca di (omissis), donna sui 55, forse 60, forse meno, non l’ho osservata molto anche perché cominciava ad imbrunire, nella penombra sono riuscito a distinguere solo un paio di orecchini ridondanti, rossetto generoso, fondotinta che i riverberi dello scarsissimo ed unico lampione mettevano ancor più in evidenza, atteggiamento “snob”, repulsiva a livello epidermico, elegante, sofisticata, risatine tirate, brevi ed isteriche, ancora aggrinfiata agli ultimi scampoli del suo essere femmina, se mai lo fosse stata, nonché alla posizione che occupa. Non appartenente alla tribù dei prof. Keating de “L’attimo fuggente”.
Capitò che noi tre, il sottoscritto, mio fratello maggiore amico di sempre alla mia sinistra e “lei” a destra eravamo seduti sulle solite sedie in plastica, fortunatamente con braccioli. Cominciava a rinfrescare e udivo, ascoltando a tratti, complice pure l’oscurità ormai insopportabile, il loro dotto discorrere specialistico sui vari aspetti della pittura, le correnti, tecniche, simbologia, riferimenti storici, citazioni roboanti che sconfinavano nella metafisica, filosofia e zoologia quale capolinea della conversazione dirottata sulla collezione di dipinti di “animali domestici” della signora, in merito alla quale le sue esternazioni raggiunsero l’apoteosi. Venne fuori il nome di Ligabue, domanda che le rivolse l’amico (a lui piacciono questi soggetti, la signora intendo) per sapere se nell’assortimento avesse pure una delle “tigri” di questo grande, a mio avviso, folle ed a modo suo unico artista “Naïf”. Lei rispose “No!” con una piega della bocca identica a quella della Boldrini. Detto tutto.
La pausa di silenzio che seguì era dovuta, credo, alla stanchezza dei due competitori ed il mio meditare su quel “No!” schifato e perentorio. Ad un certo punto, anche per rompere… qualcosa, mi rivolsi all’amico, solo a lui, dicendo esattamente: “Vorrei chiederti un parere. Premettendo che Van Gogh è per me uno dei più grandi fra i post impressionisti ed io lo amo in modo particolare, anzi ritengo sia incomparabile, ho di recente confrontato a lungo gli autoritratti suoi e quelli di Ligabue e ti confesso che, nel rappresentarsi, fra questi due pittori è una bella battaglia…” Non feci in tempo a terminare la frase che sobbalzai all’esclamazione che mi giunse da destra tanto che ruotando la testa in quella direzione colsi la “esperta” con il dorso della mano sulla fronte, svenevole, stile Wanda Osiris durante le brevi soste mentre scendeva le scale o Marlene Dietrich quando cantava l’immortale “Lilì Marleen”, proferendo scandalizzata (testuale): “Hai detto una cosa… una cosa… una cosa insopportabile. Mi alzo e me ne vado!”
Non si rizzò, mi riferisco alla signora, ebbe una pausa e aggiunse, unendo indice e pollice a formare una sorta di buco del culo, con le residue tre dita distese, due a guisa delle grandi copritrici superiori e l’ultima a formare il timoniere, in sostanza la rappresentazione completa del posteriore della gallina: “Guarda! Devi sapere che Ligabue saranno sì e no tre anni che lo conosco e tu me lo paragoni a Van Gogh? Ma come è possibile sentire queste affermazioni?” rivolgendo quest’ultima domanda all’amico. La boccia di vetro di cui ho parlato in apertura si dissolse improvvisamente, esplose, gettai una rapida occhiata al fratello d’adozione, cui voglio bene, al fine di raccogliere consenso ma vidi solo terrore nei suoi occhi per quella che immaginava avrebbe potuto essere la mia reazione. Indi, tornando a lei:
“Ascolta… non ricordo il tuo nome, abbi pazienza mi capita spesso con certuni, ma visto che non ti sei alzata potremmo fare così, domani mattina al massimo ti invierò una, due paginette via mail sostenendo la mia tesi (cosa che farò n.d.a.), che tale non voleva essere, poi tu mi risponderai qualora avessi elementi per contrastarla riservandomi la possibilità di una sola eventuale controreplica allorché le tue considerazioni dovessero meritarla. Mi sento poco socievole stasera e non mi va di parlare. Affare fatto?”
Di certo la signora avrebbe preferito che mi adirassi, o similare, comunque si sarebbe aspettata una reazione diversa, rimase perplessa rendendosi conto che stavo parlando maledettamente sul serio. Quando io e il mio amico ce ne andammo anzitempo lui volle recarsi a salutarla. Lei sorridendo mi porse la mano dicendomi: “Sei ancora traumatizzato per Ligabue?” ed io di rimando “Ti credi all’altezza da potermi turbare? Davvero ritieni di essere importante?”.
Le ultime due ore di quella serata le trascorremmo in una delle ultime bettole aperte del centro storico, da parte mia cercavo di convincere l’amico che quella è una povera idiota e il suo peggior problema, per la professione che svolge, la totale mancanza di “sensibilità” nel cogliere in un’opera d’arte, anche in generale, il “succo della vita”. Questa o ce l’hai o non te la puoi dare, neppure perdendo gli occhi sui “sacri testi”. Il guaio è che tale metastasi è estesa alla stragrande maggioranza delle persone ed è per questo che ho incominciato a fare sempre più mio l’aforisma del grande Anacleto Verrecchia, l’ultimo dei filosofi contemporanei mancato tre anni fa nell’indifferenza dell’italica Penisola:
“Di solito la gente è così piatta che ci toglie il piacere della solitudine senza darci quello della compagnia”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: Autoritratti, a sinistra Ligabue, a destra Van Gogh

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ANCHE QUESTO È UN BUON MOTIVO PER VOTARE “NO” AL REFERENDUM DI DOMANI 04 DICEMBRE 2016

ANCHE QUESTO È UN BUON MOTIVO PER VOTARE “NO” AL REFERENDUM DI DOMANI 04 DICEMBRE 2016

LA BANCA PIÙ VECCHIA DEL MONDO È GENOVESE NON SENESE

Per smentire le corbellerie che quotidianamente vengono emesse a raffica dai “professionisti” dell’informazione sia per servilismo al Potere sia per ignoranza crassa dei medesimi desidero puntualizzare quanto segue a proposito del fottuto “Monte dei Paschi di Siena” di cui si fa menzione ogni santo giorno anche al fine di evitare l’argomento Banca “Etruria” scomodo a Renzi Matteo & Boschi Maria Elena & C.

La casa delle compere e dei banchi di San Giorgio era un ente dotato di personalità giuridica che ebbe sede a Genova dal 1407 al 1805 e può essere assimilato in qualche modo a un ente di diritto pubblico. Organizzata come una società per azioni (consiglio di amministrazione elettivo, assemblea dei soci, trasferibilità delle quote sociali), gestì a proprio beneficio la maggior parte dei proventi del fisco, svolse un’attività bancaria di cui profittarono stato, banchieri e cittadini privati, amministrò come ente sovrano estese porzioni del territorio statale, esercitò un’influenza preponderante sull’economia e la società. Per comprendere meglio questo intreccio di caratteri, bisogna ripercorrere brevemente la sua storia.

L’origine dell’ente risale a un ennesimo riordinamento delle finanze pubbliche genovesi, che ai primi del Quattrocento erano gravate da un gran numero di debiti (“compere”) e non riuscivano più a sostenere l’ingente carico degli interessi passivi. Per impulso del maresciallo Boucicault, che governava il Comune in nome del re di Francia, nel 1407 si nominò una commissione dotata di ampi poteri per convertire un certo numero di compere all’8, 9 e 10% in un solo debito consolidato al 7%, rimborsando i creditori avversi all’operazione. Coloro che accettarono la riduzione dei tassi originari costituirono un consorzio posto sotto l’invocazione del patrono cittadino, che assunse il nome di Societas (o Officium) comperarum Sancti Georgii; il suo capitale nominale era costituito dal credito fruttifero verso lo Stato ed era suddiviso in quote ideali (loca) da 100 lire ciascuna, frazionabili a volontà e liberamente trasferibili ai corsi concordati tra le parti; le sue risorse erano rappresentate da un nucleo di imposte che gli furono date in amministrazione perché riscuotesse direttamente l’interesse del 7%. La riforma, se da un lato attenuò la pressione sulle finanze comunali, dall’altro diede vita a una potente associazione di creditori pubblici, dotata di piena autonomia di gestione e investita di giurisdizione civile e penale sulle materie di sua competenza, che assorbì man mano gli altri debiti esclusi dalla conversione fino a inglobare nel 1454 l’intero debito pubblico ascendente a circa 8 milioni di lire.

Oltre alla gestione delle compere e delle imposte ad esse assegnate, l’Ufficio di San Giorgio ottenne nel 1408, per contrastare la crisi monetaria in atto, l’autorizzazione a svolgere un’attività bancaria di deposito, giro e credito a beneficio non soltanto dello Stato, dei consorziati e degli appaltatori delle imposte, ma dell’intera piazza cittadina. Sorse così un banco pubblico che nel suo genere fu il primo in Italia e il secondo (o il primo ?) in Europa (alcuni valenti studiosi tra cui Kindleberger lo antepongono infatti alla Taula de canvi di Barcellona, che aveva aperto gli sportelli nel 1401, ma essenzialmente come organo di tesoreria municipale). Le operazioni furono interrotte nel 1445, ripresero ufficialmente nel 1531, precedendo di molti decenni l’istituzione di organismi con funzioni simili nell’Italia settentrionale e all’estero, e proseguirono sino al 1805 sotto forma di banchi pubblici di deposito e giro che praticavano anche il credito a breve termine a enti pubblici, istituti religiosi e opere pie.

L’ingente volume di denaro proprio o altrui gestito dalla Casa indusse lo Stato a ricorrere più volte ad essa per nuovi sussidi, garantiti da altre imposte o contro pegno di possessi territoriali. Fu in tale modo che l’Ufficio di San Giorgio subentrò alla Repubblica nelle sue colonie oltremarine e persino in alcuni distretti del dominio di terraferma di cui assunse l’amministrazione a proprio carico e beneficio acquisendo la configurazione di un vero e proprio stato nello stato; sotto la sovranità della Casa passarono così Famagosta (1447), Caffa e la Corsica (1453), Lerici (1479), Sarzana(1484), Pieve di Teco (1512), Ventimiglia (1514)e Levanto (1515). Poiché tuttavia le spese di gestione si rivelarono esorbitanti rispetto agli introiti, nel 1562 la Casa restituì allo Stato i possessi che ancora conservava, rinunciando per sempre a mutui fondati su garanzie territoriali e subordinando ulteriori crediti alla cessione di nuove imposte o alla copertura con titoli pubblici.

In conseguenza delle continue richieste di denaro da parte dello Stato, che comportavano l’emissione di altri luoghi e la loro vendita sul mercato, il capitale delle compere di San Giorgio crebbe progressivamente a poco meno di 38 milioni nel 1550 e poi oscillò tra i 44 ed i 52 milioni sino al 1797. La dilatazione della massa dei luoghi diede un grande impulso al mercato dei valori mobiliari, che a Genova esisteva dal sec. XIII, conferendogli il carattere di una vera e propria borsa valori e affinando la sensibilità degli operatori genovesi per le questioni finanziarie. Nello stesso senso agì il meccanismo di pagamento degli interessi a partire dalla metà del Quattrocento, quando i proventi annuali dei luoghi cominciarono ad essere pagati ratealmente in un arco di tempo superiore all’anno (dapprima nel corso di tre anni, poi scaglionati in otto anni o forse più, infine in cinque anni e quattro mesi); da allora, applicando una prassi consolidata che permetteva la cessione dei crediti, tra i luogatari si diffuse l’uso di trasformare il proprio credito da « lire di paghe » (cioè esigibili in ritardo) in « lire di numerato » (ossia immediatamente disponibili) cedendolo ad altri mediante un’adeguata riduzione del suo valore nominale; in tal modo la tecnica dello sconto divenne un connotato usuale del mercato genovese. Inoltre, seguendo una pratica antica, la Casa di San Giorgio consentì sempre il trasferimento contabile di somme tra l’uno e l’altro dei suoi creditori di « paghe » o di « numerato », rendendo possibile la liquidazione di un ingente volume di transazioni senza l’intervento di moneta metallica anche dopo la chiusura dei banchi quattrocenteschi.

La potenza finanziaria della Casa, sostenuta da una larga potestà giurisdizionale e giudiziaria per tutto ciò che riguardava le gabelle ed il debito pubblico di sua competenza, le fece superare indenne le vicissitudini politiche dello stato genovese, assicurandole una notevole stabilità e consentendole di sopravvivere per ben quattro secoli. La sua fine coincide con la caduta del regime aristocratico, quando l’assegnazione delle imposte e le connesse funzioni di cui godeva dalle origini furono revocate a favore della nuova Repubblica Ligure (1798). All’antica Casa rimasero l’esercizio dell’attività bancaria (da cui il nuovo nome di Banca o Banco di San Giorgio) e l’amministrazione provvisoria del debito pubblico, ma dopo l’unione all’Impero francese la Banca cadde fu definitivamente soppressa (luglio 1805), vittima del centralismo napoleonico. La sua liquidazione si protrasse fino al 1856 e comportò l’iscrizione, nei registri del debito pubblico francese e piemontese, di appena il 15% del capitale nominale dei loca.

La Casa di San Giorgio costituisce, per molti riguardi, un caso unico nella storia delle istituzioni finanziarie europee tra la fine del medioevo e le soglie dell’età contemporanea, sia per la massa di potere politico ed economico di cui fu portatrice, sia per lo scrupoloso rigore con cui amministrò i crediti e conservò il denaro della società genovese, sia per la capacità di elaborare tecniche e strumenti finanziari nuovi. Imperniata sulla difesa accanita degli interessi dei luogatari, la sua azione fu spesso in contrasto con gli interessi generali del paese, riducendo il margine di manovra dello Stato in materia di politica economica e soffocando le iniziative commerciali e industriali che avrebbero potuto intaccare gli introiti fiscali assegnati a nutrimento dei luoghi; ciò nondimeno, essa consentì un processo plurisecolare di accumulazione, che fu la base delle fortune internazionali del capitalismo genovese. L’attività bancaria, che si svolse in due tempi per un arco complessivo di 310 anni, non interessò soltanto le attività commerciali ed industriali di una città popolosa, profondamente inserita nell’economia mediterranea; ma coprì, quanto meno per alcuni segmenti, anche le operazioni internazionali di una folla di banchieri che per due secoli furono tra i più importanti d’Europa. Le tecniche ereditate dalle compere precedenti o introdotte ex novo dalla Casa di San Giorgio in materia di ordinamento del debito pubblico, compra-vendita di valori mobiliari, contabilità aziendale e sconto rappresentarono qualcosa di inconsueto nel mondo finanziario del tempo, nel senso che solo in epoche posteriori le ritroviamo normalmente applicate in altri paesi; basti pensare al fondo d’ammortamento del debito pubblico, vantato come un’invenzione inglese del Settecento, ma praticato a Genova sin dal Trecento. Infine la sua posizione dominante rappresenta qualcosa di eccezionale anche dal punto di vista della ricerca storica, perché – grazie alla vastità degli interessi che facevano capo ad essa – la Casa diventa un osservatorio privilegiato per cogliere le vicende non solo dello Stato, in quanto organizzazione politico-giuridica, ma dell’intera società genovese.”(*)

Mauro Giovanelli – Genova
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(*) Da “La Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio

Immagine in evidenza: Facciata a mare di Palazzo San Giorgio – Genova (La Superba)

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IL “QUORUM” VI SEPPELLIRÀ

IL “QUORUM” VI SEPPELLIRÀ

Il termine “quorum” (genitivo plurale del pronome latino “qui”) significa letteralmente “dei quali” e indica il numero minimo di partecipanti o elettori necessario affinché una votazione sia valida.
Vi siete mai domandati, e nessuno mi pare ne abbia minimamente accennato, perché nel Referendum Abrogativo di una legge (la “loro”) occorra raggiungere il “quorum” mentre non necessario in quello Propositivo (sempre di una “loro” legge)? Invito coloro che sono in dubbio a riflettere su questa proposizione ammesso che il Referendum “Costituzionale” del 4 dicembre 2016 non sia per una certa parte pure abrogativo.
Grazie

NOTA
“La Costituzione Parte II, Titolo I, Sezione II, la formazione delle leggi dalla 70 alla 82 per quanto concerne l’Articolo 75 “E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’ABROGAZIONE, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali… Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie… ecc. ecc. e di bilancio… ecc. ecc. di amnistia e di indulto… ecc. ecc. di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la MAGGIORANZA degli aventi diritto, e se è raggiunta la MAGGIORANZA dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”
Ritengo che sarebbe stato utile proporre con massimo cinque parole in più o in meno gli articoli citati per eliminare quella che io considero un’anomalia invece di inventarsi una tortuosa ed incomprensibile “porcata”. Indubbiamente i Padri Costituenti mai avrebbero immaginato che al Governo e in Parlamento avrebbero trovato posto individui della “razza” cui ormai siamo assuefatti. Neppure potevano pensare che saremmo arrivati al 70% di analfabetismo funzionale e di ritorno (i primi al mondo unitamente al livello di corruzione).
GARANZIE COSTITUZIONALI, Sezione II, Revisione della Costituzione, Leggi costituzionali, (Artt. 138-139) – Art. 138 (Revisione della Costituzione) – Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Assemblee regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata da “Rassegna Stampa” – Massimiliano Valdannini

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SE SÌ… È D’OBBLIGO VOTARE “NO”

SE SÌ… È D’OBBLIGO VOTARE “NO”
(cercando di sgombrare il campo circa l’equivoco sulla posizione di Renzi Matteo quale Presidente del Consiglio)

Ecco come Jean Paul Sartre, nel 1952, sintetizzava dal punto di vista esistenziale la condizione di squilibrio tra la feroce dittatura di Stalin (non dimentichiamo che costui rese il termine “comunista” una parola impronunciabile) che nel 1940 riuscì finalmente a far assassinare il suo peggior rivale Lev Trockij facendo crollare definitivamente il sogno di Marx ed Engels su un affrancamento dell’umanità dal “bisogno” e il conseguimento del “socialismo reale”:
I comunisti sono colpevoli perché hanno torto nella loro maniera d’aver ragione, e ci rendono colpevoli, perché hanno ragione nella loro maniera d’aver torto”.
La citazione potrebbe non dire alcunché su quanto segue al contrario qualcuno, chissà, magari sarebbe in grado di trovarla attinente. Andiamo al nocciolo della questione e mettiamola così:
“E’ corretto dire che secondo la Costituzione Titolo III articoli 92 e seguenti il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio, ecc. ecc.” Questo è vero.
Se sì…
– Posso affermare che è altrettanto corretto dire che dopo l’ultimo Presidente del Consiglio nominato dal Presidente della Repubblica a seguito di regolari elezioni (Berlusconi, dimissionario dal 2011) i tre successivi (Letta, Monti, Renzi) sono stati scelti dal medesimo Presidente della Repubblica senza disporre di alcuna indicazione di voto?
Qui mi devo soffermare per una’importante precisazione che a prima vista potrebbe sembrare attenuante invece, osservandola al microscopio polarizzato, a me pare un’aggravante non da poco.
È vero che dopo il catastrofico Monti (voluto da chi? La scusa si conosce: “per salvare l’Italia”. Da che cosa?) ci furono le elezioni del 2013 “vinte” dal PD di Bersani per un pelo di acaro avendo il M5S, rivelatasi seconda forza politica nazionale, scompigliato equilibri risalenti al Triassico Medio. Venne comunque conferito al buon Pier Luigi l’incarico di formare il Governo (diciamolo pure, non è un fulmine di guerra, omologato come tanti altri, e la sua campagna elettorale affidata interamente alla tintoria sotto casa per “smacchiare” il giaguaro fu disastrosa, e pure leggermente patetica, come quella della “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria). Il filosofo uscito dalla Università di Bologna Alma mater non riuscì a far capire a Beppe Grillo la “critica della ragion pura” di Immanuel Kant quindi dovette ritirarsi con “summo gaudio” di tutti i suoi colleghi di Partito (valli a capire questi). E cosa fa il capo dello Stato? Si inventa Letta (nipote), mica l’ultimo arrivato, uno sveglio al punto che, stranamente, riesce a fare il miracolo (sarà l’ultimo): formare il Governo. In tutto il suo mandato tre sono state le invenzioni di Enrico: “Non sono Babbo natale”, “Non ho la bacchetta magica” e, micidiale, “Mica ci ho scritto ‘Jo Condor’ in fronte”. Un inciso: In Spagna (Repubblica unitaria, Monarchia costituzionale, Sistema parlamentare) nella attuale situazione post recenti elezioni è stato dato tempo ai partiti di trovare un accordo di governo entro il prossimo 2 maggio. Se per tale data non ci sarà un Presidente, saranno convocate nuove elezioni già fissate per il 26 giugno. Perché Napolitano non ha fatto altrettanto? Già dopo Berlusconi, ma pure con il fallimento Bersani, e anche dopo il soporifero Letta (nipote).
Se sì…
– Posso asserire che, essendo la nostra una Repubblica Parlamentare e non Presidenziale, dopo il primo evidente errore di valutazione da parte di Napolitano sulla scelta effettuata (voluto o no?) con Monti, ed il secondo sbaglio con Enrico Letta, alla terza “distrazione” con Renzi Matteo l’Italia è da cinque anni nelle mani delle (dubbie?) decisioni del Capo dello Stato a parte le elezioni del 2013?
Se sì...
– È giusto porsi la domanda del perché, almeno dopo Letta, egli non abbia sciolto le Camere e chiamati i cittadini alle urne?
Se sì…
È esatto dichiarare che in questo lustro il Popolo Italiano non ha più avuto modo di decidere da quale partito o coalizione di maggioranza relativa statuita a seguito di regolari elezioni Napolitano avrebbe dovuto “estrarre” il nome cui assegnare l’incarico di formare il Governo? In questo caso il suffragio del 2013 non ha peso.
Se sì…
È esatto dire che Renzi Matteo è al Governo per decisione del Capo dello Stato (cui gli è consentito farlo) ma non su indicazione della volontà dei cittadini?
Se sì…
E tenendo conto che mai nella storia della Repubblica si è verificata una situazione così palesemente contraria ai princìpi di una Repubblica Parlamentare…
È regolare dire che Renzi Matteo governa legalmente ma non legittimamente? Ossia svolge quell’incarico senza che gli sia stato assegnato dal Popolo sovrano?
Se sì…
Ho finito, grazie. Anzi no, neppure si potrebbe parafrasare Jean Paul Sartre che sarebbe un po’ come dare un colpo al cerchio e uno alla botte per il semplice fatto che abbiamo una legge elettorale dichiarata incostituzionale da tempo per cui “Renzi (e Napolitano) sono colpevoli. Punto.”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web – Montaggio eseguito dall’Autore

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CSV (*) – ULTIMO POST DA DISCUTERE NEL GRUPPO

CSV (*) – ULTIMO POST DA DISCUTERE NEL GRUPPO
(mi è stato impedito, solo gli amministratori possono enunciare “dati di fatto”)

“Chi troppo velocemente in alto sale cade sovente precipitevolissimevolmente”

A mio avviso è un “dato di fatto” a proposito della rapida scalata al potere di Renzi Matteo, e altri che l’hanno preceduto. Voi cosa ne pensate? Grazie.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

(*) CANDIDATI SENZA VOCE (si fa per dire…)

Immagine in evidenza ricavata dal web

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