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NOTTE DI NATALE

Notte di Natale

Non m’importa più di tanto dell’imminente ricorrenza, ma fosse solo per farti contenta ti accompagnerò anche alla messa di mezzanotte, so che ci tieni, sia pure per essere stretta in un caldo abbraccio quando usciremo, e nell’osservarti genuflessa nel corso della funzione o mentre, testa china, invochi durante l’elevazione, assaporerò ogni tuo aggraziato gesto, l’espressione, vederti in fila fra i comunicandi che avanzano verso l’altare e soprattutto seguirò il tuo passo quando, pentita di non saprei che cosa, intenta nella preghiera, mani giunte, ritornerai al tuo posto, il mio fianco. Poi correremo fuori fra la gente tenendoci per mano, farò aprire quel negozio d’indumenti intimi, l’anziano proprietario ci aprirà, è una vecchia conoscenza che vive in solitudine al piano di sopra, ne sceglieremo un paio per te, con giudizio, accorti, ridendo insieme con lui che ci suggerisce intanto che tu, nello stretto spogliatoio, consentirai la vista solo a me, mi chiamerai, spostando la tendina, per raccogliere il mio parere, ti girerai sorridendomi un po’ impacciata da dietro le spalle, ed è per questo che vorrò tu ne provi altri, non ti lascerei mai sola in questo, sarà impagabile gustare il tuo sentirti pura dall’ostia consacrata eppur pronta a peccare, subito dopo la cioccolata bollente di quell’antico caffè che tiene aperto fino a tardi, per te, per me…

Mauro Giovanelli – Genova
Blog icodicidimauro – Riproduzione riservata

LA MANO DEGLI DÈI (da “Asso alla quinta”)

LA MANO DEGLI DÈI
(da “Asso alla quinta”)

Ero adolescente, impregnato di racconti, romanzi, cinema, sogni. Un giorno, pomeriggio d’estate, chiesi a mamma perché non avesse fatto l’attrice o la ballerina. “Ci si deve spogliare, mostrare le gambe di fronte a tutti. Non mi piace!” La stavo rivedendo… Risoluta, serena, bellissima, dolce nel troncare la mia curiosità mentre, di turno mazziere, mischiavo il mazzo al punto che quasi faceva schiuma. A volte la mente genera strani collegamenti.
“Questo è l’ultimo giro, non farò più carte. Taglia!”
Giuse: “All’altezza!”
Roditore: “Sono tanti!”
Rena: “Mi faccio una banana, ho bisogno di potassio”
Giuse: “Tu fatti gli affari tuoi, mi metto all’altezza dei resti. A te, Rena, ricordo che ci sono anche mele e pere, portale da casa le banane, questa è la terza…”
“Dai ragazzi, è tardi, asso parla. Che dice sua altezza?”
– Busso.
– Apro.
– Sì.
– Passo.
– Passo.
– Per tre.
– Me ne vado. “È rimasto qualcosa da bere?”
– Gioco.
– Sei volte!
– Va bene!
– Gioco.
– Sì!
– Vedo!
– Via! “Anche se gli hanno tagliato le orecchie da piccolo si vede lo stesso che è un asino” aggiunge fra sé e sé il Ciclope. Penso si riferisse all’avvocato, il “per tre”. Vito borbotta sempre, senza sosta mentre, con un occhio solo ipovedente, spilla la sua carta coperta a distanza ravvicinata, quasi toccandola con la punta del naso. Comunque nulla gli sfuggiva. Un maestro! E le sue sortite erano filosofia. Verità. Strali ineludibili.
“Distribuisco!
Sette su donna.
Re su dieci.
Dieci su asso.
Fante su dieci.
Un bel quattro per il mio otto. Parlano asso e dieci.”
– Trecento!
– Gioco.
– Sì!
Indossava una camicetta a fiori, i lunghi capelli neri tirati su, dietro, e trattenuti da un paio di forcine, gonna plissettata. Qualche ciocca sfuggita alla presa scendeva vezzosamente lungo il collo… “Dunque l’asso aveva bussato e su caduta di dieci esce con trecento… Mica poco… Fante e dieci sono entrati… Probabile progetto o inverosimile two back di dieci, possibile di fanti ma non l’asso sotto… Il sette e donna sono bolliti, c’è solo da sperare che il dieci e re in caduta non sia imbecille come spesso gli capita… Imprevedibili gli imbecilli, ha controrilanciato per sei… Però sta mangiando la banana…”
– Gioco.
– Anch’io.
“Signori procediamo:
Cinque su donna e sette.
Nove su dieci e re.
Sette su dieci e asso.
Tre su dieci e fante.
Re su otto e quattro.
Parla sempre l’asso”
– Ottocento!
– Passo!
– Resti! Me li gioco tutti… “Se abbandonano anche gli altri due, come dovrebbero, dopo il re ci sono donna e asso in successione… Vero come so di esistere… Del resto con caduta di 5 e 9 dovrebbe ritirarsi pure il più stoico degli stupidi… E il mangiatore di banane è distratto dalla sua preda… Bruciato! Il Pescatore Messicano ed il Ciclope saranno imbattibili per l’eternità. Dopo di loro “io” poi… Vuoto.”
– Me ne vado.
– Chiudo.
– Gioco! Eccoli!
“Tutto come previsto…”
– “Servo:
Donna su sette, dieci e asso…
Quello con regina esposta, il “per tre” ha un moto di stizza. Sciocco! Non sa che esser passato è stata la sua fortuna…
Asso su re, quattro e otto”
In un baleno giro la mia carta:
“Due assi con re. Mi dispiace, il piatto è mio.” E mentre raccolgo quella montagna di soldi Giuse scopre il suo asso sbattendolo sul tavolo, si alza come avesse una molla sotto il sedere, è furibondo, accende la sigaretta dimenticandosi di averne una fumante nel posacenere.
“E poi mi vieni a dire che la fortuna non conta!”
Gli tremano le mani, gira da una parte all’altra del salone alla maniera di un moscone impazzito, cammina finanche sulle pareti…
“Conta, conta…” bisbiglio piano.
“Hai culo! Ecco la verità. Mi hai fatto resti andando a cercare il quarto asso, ed io ne avevo due su due… Da manicomio! Non dirmi più che sei il migliore, hai una sorte sfacciata…”
“Ero convinto che tu passassi, non pensavo fossi pieno come un uovo” replico a testa bassa mentendo spudoratamente… Intanto riordino assegni e banconote…
“Ma che ca..o stai dicendo? Ragazzi avete visto anche voi… State tutti zitti?”
“Effettivamente ho avuto un pizzico di fortuna…” Mi azzardo a concedergli.
“Un pizzico? Mi vuoi anche prendere per i fondelli? Roba da non credere…”
Rena: “Beh! Signori, si è fatto tardi, sono quasi le quattro, direi di concludere qui se siete d’accordo… Domani… Ehm! Stamattina alle sette devo aprire… Giuse! Ti consiglierei di mangiare più banane, sei a corto di potassio…” E giù una risata collettiva, complice, solidale, zingara… Tutti stavano scoppiando, io ero viola dal trattenermi, non potevo provocare oltre l’avversario, mi lacrimavano gli occhi dallo sforzo…
Intanto nella coltre di fumo alcuni cominciano ad indossare giacche e cappotti, c’è chi va in bagno, altri spiluccano rimasugli, Giuse si guarda intorno smarrito, vorrebbe trattenerci fino all’alba, non si rassegna. Le regole si rispettano.
“Dov’è?” gli domando.
“Stesa sul divano, dorme!”
Mi alzo, la sveglio delicatamente con una carezza… Prendo la sua mano, sbadiglia con grazia, la aiuto ad indossare il piumino, ci avviamo verso la porta accompagnati dalla voce di Giuse:
“A venerdì, stessa ora… Che fortuna hai avuto! Almeno te ne rendi conto o no?”
“Si grande Giuse, non sono scemo… Fa parte del gioco” ed arrivati all’ascensore, rivolgendomi a lei…
“Amore! Hai mai pensato di fare l’attrice o la ballerina?”

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Francesco Tabacchi, “realismo magico”, olio su tavola, collezione Mauro Giovanelli

RIPRODUZIONE RISERVATA

IL LEGGÍO A NOVE POSIZIONI – AD UN PASSO DALLA VERITÀ

ESTRATTO DA
“IL LEGGÍO A NOVE POSIZIONI”
Di Mauro Giovanelli
EDIZIONE SPECIALE CONCORSO NAZIONALE “LaFeltrinelli Il mio libro” sezione Narrativa

CODICE ISBN: 9788892346161
PAGINE 196
COPERTINA MORBIDA
INTERNO BIANCO E NERO

Reperibile su Amazon, IBS.it, lafeltrinelli.it e nelle Librerie Feltrinelli di tutta Italia

AD UN PASSO DALLA VERITÀ

[…] – Ascoltami. Mentre tu parlavi con quell’essere, quello alto, grosso, glabro dalla testa ai piedi, volgare, ho visto in sogno la Dea Namagiri, mi ha preso per mano conducendomi in un luogo meraviglioso, insieme abbiamo percorso i setti di una gigantesca ammonite fossile, pareva di puro cristallo, sarà stata alta come una montagna, e siamo scesi girando attorno al suo asse di evoluzione, non saprei dirti per quanto, perché il tempo non esisteva, ne sono certo, sembrava un percorso di purificazione. Siamo giunti in una valle stretta per tre lati da monti coperti di alberi a me sconosciuti, fogliami carnosi, verdeggianti, con riflessi d’oro, che infondevano una pace infinita, e là in fondo un mare blu, fulgido, piatto ma con leggerissime increspature argento e delicate onde che carezzavano appena la rena di sabbia finissima, quasi impalpabile, bianca al punto da alterare la vista. Su tutto un cielo pulito, acceso, immenso. Ogni cosa era luce ma non di questo mondo. All’ultimo opercolo l’uscita, una lieve frescura accarezzò il mio viso. Mi fermai un attimo, strabiliato dal senso di appagamento che pervadeva il mio essere poi Namagiri, con gesto elegante della mano, indicò un punto lontano della spiaggia, delimitato a monte da un costone di rocce basaltiche. Mi incamminai sicuro come mai lo sono stato nella mia vita e in lontananza notai oggetti in movimento. Solo quando giunsi più vicino fui in grado di constatare trattarsi di alcuni fogli che, mossi da una leggera brezza, si libravano nell’aria in mulinelli simmetrici, a forma di doppia elica, per ricadere, ondeggiando, fino a posarsi dolcemente sulla riva. Quello che più mi colpì fu l’ordine prestabilito, il fine cui il fluttuare di quelle pagine pareva fosse destinato, come tasselli di un mosaico divino, obbedivano a un preciso ordine oppure sviluppavano un programma concepito oltre. Questo moto non cessava mai e solo la disposizione a terra di ciascun foglio mutava sempre, il loro insieme formava grafemi ogni volta diversi, dapprima ermetici, successivamente più comprensibili, poi si involavano, scendevano a ricollocarsi, di nuovo in alto, e ancora sulla sabbia in un moto perpetuo. Mi resi conto che il loro disporsi formava ogni volta caratteri diversi di varie scritture che in ultimo lasciavano traccia di frasi compiute, in greco antico o aramaico, perfino arabo, anche copto, o egiziano, demotico, ieratico, pure geroglifico da alcune figure che ne scaturivano, di sicuro comunicavano all’umanità in tutte le lingue. Pareva una cosa viva, un segnale. Dopo un po’ che avanzavo incantato verso la “creatura” mi accorsi di essere rimasto solo, Namagiri era svanita. Provai una sensazione mista a disagio, freddo e ansietà, quella che sicuramente avverte il neonato appena venuto alla luce. Quando arrivai tanto vicino da distinguere i caratteri impressi su quelle pergamene, notai alla mia sinistra, dietro un cespuglio di fiori che parevano girasoli, due uomini, uno seduto a lato di una duna sormontata da un ciuffo d’erba, appoggiato al tronco dell’unica palma, tanto inclinata da sfiorare il suolo, era assorto nell’osservare i gabbiani che lontani volavano bassi ad accarezzare il mare, l’altro adagiato sulla rena poco distante con le mani unite a cingere le gambe, il mento poggiato sulle ginocchia. Entrambi parlavano tra loro a bassa voce, sussurravano, senza guardarsi, fissando l’orizzonte, e chissà cos’altro, parevano soddisfatti, appagati, in pace.
– Descrivimi quei due uomini, presto!
Egli non aveva mai usato un tono così perentorio, di comando, tanto più verso l’unico amico che abbia mai avuto ma l’indiano cerca di non farsi condizionare, nega all’altro ogni possibilità di distrarlo da quanto deve riferire.
– Lasciami terminare, è importante ciò che voglio dire, e il tempo sta per scadere.
– Dimmi solo che aspetto avevano, per favore. Cerca di descriverli.
– Uno molto elegante, quello accanto alla palma, aveva un orecchino al lobo sinistro, lunghe basette. Dal berretto da capitano portato con noncuranza sulle ventitré direi che avrebbe potuto essere un comandante di marina, giaccone blu doppiopetto, bottoni dorati, pantaloni bianchi abbondanti, larghi in fondo, cravattino nero, aveva…
– L’altro?
– …teneva tra le labbra un sigaro sottile. L’altro non saprei, piuttosto anonimo, camicia bianca, pantaloni neri, occhi da esaltato ma quieti. Che importanza ha? Hai detto qualcosa…
– Niente! Parlavo a me stesso. Cosa accadde dopo?
– Quando si accorsero della mia presenza uno di loro, il marinaio, andò a raccogliere le pagine, interrompendo il loro ciclo terra aria, le legò insieme con un elastico dopo averle impilate con cura come fossero numerate. Al momento che gli fui di fronte me le diede con delicatezza per consentirmi di osservarle, come se mi stesse aspettando. Disse che in realtà il vero leggìo ha infinite posizioni, come le incomprensioni tra gli uomini, il terzo decimale del quoziente di meno un dodicesimo, che è proprio tre periodico…
– Il tuo teorema! Che ne poteva sapere lui?
– Sapeva, sapeva… tutto. Aveva un sorriso rassicurante. Aggiunse che si sono fermati a nove per concentrare il potere, impedire che si raggiungesse l’apice. Contai quei fogli come si fa con un mazzo di carte, erano 14, in pergamena di capretto, sgualciti dal tempo, scritti fittamente in una lingua sconosciuta, macchiati, e ciascuno di essi riportava disegni, anzi direi simboli, anagrammi, esattamente al centro di ogni facciata, di sicuro non appartenenti alla nostra realtà. Capii subito che erano le pagine mancanti del manoscritto di cui ti ho parlato.
– E cosa c’entra tutto questo con la storiella che mi devi raccontare?
– C’entra, c’entra… la soluzione non è nel contenuto e nelle figure riportati su quei codici, almeno non solo, ma il loro disporsi indica la strada, i segnali che quelle pagine hanno la capacità di concertare, ogni sosta della danza che eseguono è un messaggio e l’insieme una frase comprensibile a chiunque. Credimi, sono astronavi del pensiero unico, programmate per penetrare i nostri dubbi.
– Soluzione di che? Quali segnali?
– È molto più semplice di quanto tu possa immaginare, lasciami finire ti prego, poi capirai se, come penso, fai parte degli illuminati.
– Continua! Che accadde dopo? Perché sei tornato?
– Perché sono tornato? Per te… quel marinaio mi tolse di mano i fogli, garbatamente ma con decisione, dicendomi che preferiva conservarli lui, aggiunse che a loro avevano già parlato, in tutte le lingue, idiomi, dialetti, insomma in ogni forma di comunicazione tra umani, e forse chissà in quali altri gerghi, anche non di questo Mondo, tutto era chiaro, il Mistero svelato, e quando il suo amico ci raggiunse mi riferì ciò che sto per dirti. Poi tutto si dissolse ed eccomi qua.
– La storia?
All’indiano si illuminano gli occhi, è estasiato. Possibile che la soluzione fosse così a portata di mano? Semplice, definitiva, dimostrata, incontestabile. Guarda il cielo e pregusta la gioia di poter soddisfare ogni incubo dell’amico, offrire pure a lui l’armonia con il Creato. È un suo lieve scossone che lo riporta al punto.
– La storia?
– Tu sei uno dei pochi che potrà comprenderne appieno il significato intimo, elementare e proprio per questo celato nei dirupi dell’illimitata presunzione dell’uomo.
– La storia!
– È una parabola. Tu ne sai tante vero? Direi tutte, so anche questo.
L’amico scuote leggermente la testa e risponde con sicurezza.
– Sì! Certo!
– Eh già! Ah… lo sapevo, sicuro.
Era la prima volta che l’indiano sorrideva, forse l’unica in tutta la sua vita.
– Questa non la conosci o almeno non l’hai soppesata, peggio ancora mai presa in considerazione, insomma ti è sfuggita.
– Che hai? Cosa stai guardando? La tua espressione è strana.
– C’era una volta… […]

Mauro Giovanelli – Genova
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© Copyright 2016 Mauro Giovanelli

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IL LEGGÍO A NOVE POSIZIONI – SANTA MERETRICE

ESTRATTO DA
“IL LEGGÍO A NOVE POSIZIONI”
Di Mauro Giovanelli
EDIZIONE SPECIALE CONCORSO NAZIONALE “LaFeltrinelli Il mio libro” sezione Narrativa

CODICE ISBN: 9788892346161
PAGINE 196
COPERTINA MORBIDA
INTERNO BIANCO E NERO

Reperibile su Amazon, IBS.it, lafeltrinelli.it e nelle Librerie Feltrinelli di tutta Italia

SANTA MERETRICE

[…] La donna si passa un batuffolo di cotone lungo le spalle, sul petto, nella parte lasciata scoperta dalla camicetta leggera appena sostenuta dai seni perfetti, giovani. Una spallina è abbandonata lascivamente lungo il braccio a dichiarare l’appartenenza all’uomo. La carnagione creola è liscia e profumata, il viso di una Madonna delle Ande tanto la dolcezza ha aderito a quell’ovale perfetto. Gli occhi grandi, neri e profondi esprimono soddisfazione femminile per aver dato godimento all’uomo, essere piaciuta e desiderata, compagna e consolatrice. Osserva con languore l’amante che si sta rivestendo nella speranza di attirare ancora la sua attenzione e cogliere in lui l’appagamento dei sensi. Bella, bellissima, fronte proporzionata, liscia, naso meticcio, regolare, muliebre, le orecchie precise, i capelli nerissimi, lucidi, con riflessi della notte, anche per la leggera patina del sudore di un rapporto appena consumato. È seduta accanto a un robusto tavolo in noce e mentre con calma e serenità immerge il tampone nella piccola coppa per raccogliere altra essenza profumata, non stacca lo sguardo dal viso del compagno, e quello sguardo è ammiccante, generoso, dice che è pronta ancora ad offrirsi, non fosse bastato. Lui la osserva malinconico, studiandola come fosse l’ultima volta e volesse imprimere quell’immagine nella sua mente. Fatica ad infilarsi il secondo stivale poi, con uno strattone, ecco fatto. Si alza, abbottona distrattamente la camicia, pensieroso, pure i polsini, continua a guardare la femmina, un’opera d’arte definitiva, creatura perfetta. C’è calore in quell’istante, più profondo e intenso di qualunque altro vissuto, e rimpianto. Come un fulmine il ricordo della donna amata rischiara i suoi occhi. Dopo aver allacciato i pantaloni controlla il revolver traguardando il tamburo, i colpi ci sono tutti, con determinazione ripone l’arma nel fodero. Raccoglie l’automatica, fa scorrere il carrello per mettere la pallottola in canna, poi dedica molta cura nel riporla dietro la schiena, sotto la cintura. Nell’istante in cui si infila il gilè viene interrotto da un vagito, scosta il lenzuolo steso a fare da divisorio, un bimbo si agita nella culla, vuole la sua parte. Ora verifica ogni tasca, ritrova le sue cose, l’astuccio del tabacco, cartine, fiammiferi, e quello che sapeva doveva esserci, un sacchetto in pelle con monete d’oro. Ne raccoglie alcune, le conta facendole saltellare nella mano, ci ripensa, torna in sé e le depone tutte sul letto. I due si guardano e il loro discreto, impercettibile sorriso è la storia del mondo. Questa volta il rumore che ode improvviso non proviene dalla culla, egli va alla finestra, solleva cautamente la tendina, e lungo il corso in direzione contraria a quella da lui presa non più tardi di due giorni fa, una folla immensa procede lentamente intonando laudi e preghiere. A guidare questo corteo, al centro, un’accozzaglia di pezzenti, alcuni in abito bianco, altri vestiti di sacco, a piedi nudi, in processione di penitenza, propiziano il Signore, volto coperto, corona di spine in capo, piedi nudi, flagelli in mano. In questa lunga sfilata nobili e plebei, vecchi e giovani, a due a due, preceduti da gonfaloni e da cappellani con la croce, piangono mentre si fustigano a sangue le spalle, il torace. Cento, mille, avanzano lenti, cadenzati invitando tutti a pentirsi dei loro peccati. A un segnale il corteo si ferma, i frati aspergono incenso a simboleggiare l’essenza divina del Cristo. Uno degli incappucciati dirige la litania:
– O Dio, creatore e custode di ogni cosa, concedici di essere ministri della tua carità secondo lo spirito del Tuo Verbo.
– Per questo ti preghiamo – risponde in coro la folla.
– O Padre, concedici di giungere alla perfezione della carità evangelica.
– Per questo ti preghiamo.
– O Padre, santifica con il tuo Santo Spirito i nostri corpi infetti.
– Per questo ti preghiamo
– Signore Gesù, benedici le nostre carni martoriate.
– Per questo ti preghiamo.
I flagelli con cui si percuotono sono composti da una specie di bastone dal quale, sul davanti, pendono tre robuste corde con grossi nodi a loro volta attraversati da spine di ferro incrociate, molto appuntite, che li passano da parte a parte sporgendo dal nodo stesso per la lunghezza di un chicco di riso o anche più. Con questi strumenti i disgraziati si battono il busto nudo, così che si gonfia, assume una colorazione bluastra, si deforma, mentre il sangue scorre in ogni direzione imbrattando il selciato.
– Signore, donaci la forza di portare insieme ogni pena che incontriamo sul nostro cammino.
– Per questo ti preghiamo.
– Signore, accompagnaci nella missione della vita terrena per ritrovarci uniti per sempre nella gioia del tuo Regno.
– Per questo ti preghiamo.
– Signore, nostro Padre e nostro Dio, per la rinuncia alle tentazioni di questa vita terrena voglia tu accogliere le nostre speranze per il mondo che verrà.
– Per questo ti preghiamo – fa eco quella congrega di fanatici.
Alcuni si configgono spine di ferro in profondità nella carne, nelle cosce, al punto che per toglierle devono fare ripetuti tentativi, poi ricominciare. Le donne si tirano i capelli, a volte ne rimangono ciuffi nelle mani, stramazzano a terra e urlano, indemoniate, si strappano le vesti, tutto un contorno di isteria collettiva.
– E aiutaci a preparare l’avvento del regno dello spirito, donaci la salvezza eterna.
– AMEN! – Risponde all’unisono la moltitudine, ed è un segnale.
La processione riprende. L’uomo osserva questa macabra rappresentazione, la mortificazione della carne, spettacolo osceno. La sua convinzione si fa sempre più forte. Ormai la risposta l’ha avuta, ora si tratta di apporre il sigillo.
– È per placare l’ira divina – dice ingenuamente la donna che lo richiama alla realtà, tanto per dire.
Lui si volta di scatto, vede la purezza fatta persona che con un cenno del capo lo invita a restare, gli occhi languidi, profondi, incantevoli, lo reclamano. L’uomo getta un rapido sguardo al bambino, ritorna alla donna, abbassa la testa per vestire il cappellaccio nero, un vecchio Stetson a tesa larga e calotta schiacciata, apre la porta, la chiude dietro sé.
È l’oste che lo blocca sulla veranda.
– Mi sembri più rilassato, quasi un’altra persona, anche se non hai perso l’aspetto di uno che sembra aver fatto molto cammino, più ti quanto la tua età potrebbe far supporre. Mi sbaglio?
– Così sembrerebbe. No, non sbagli.
– Ne valeva la pena?
– E chi lo sa! Per la carne, forse. Solo per quello.
– Carne? Che stai dicendo? […]

Mauro Giovanelli – Genova
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Il leggìo – Yuzaf e l’oste

ESTRATTO DA
“IL LEGGÍO A NOVE POSIZIONI”
Di Mauro Giovanelli EDIZIONE SPECIALE CONCORSO NAZIONALE “LaFeltrinelli Il mio libro” sezione Narrativa

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PAGINE 196
COPERTINA MORBIDA
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Copyright 2015 Mauro Giovanelli
…..

“…Non è facile. E in questo inferno la carne, non la fede, ci fa toccare il Paradiso. A Dio piacendo.
– Ti riferisci a una storia che ti sei lasciata alle spalle? È questo il lungo cammino che hai percorso?
– Sì e no, o entrambi. Ho rinunciato a lei per inseguire l’illusione.
– È stata così importante questa femmina? Era bella?
L’oste accompagna le parole con un gesto del mento, l’espressione rassegnata del viso gaio e stupido, un sorriso ironico e complice del tipo “noi uomini ci capiamo”, ad indicare la moglie che in quell’istante si stava allontanando dopo aver posato sul tavolo due birre. Braccia grassocce, culo e tette che aggettano prepotentemente, da sembrare due balconi, sudaticcia ma del tipo domestico, con odore di fritto misto ad acqua di colonia, capelli raccolti con un fermaglio, sfatta, rassegnata. Anche Yuzaf le rivolge un rapidissimo sguardo poi, dopo aver vuotato la bottiglia in un sol colpo, riprende la parola lentamente, tono basso, con gusto, mentre i suoi ricordi esplorano immagini lontane alla ricerca di sensazioni immortali.
– Bella? Bellissima! In tutti i sensi, magnifici occhi scuri, con riflessi delle stelle sul mare di notte, mi ci perdevo dentro. Davanti a me cambiavano continuamente tonalità, rappresentavano immaginazione, dolcezza, tormento, rabbia, odio, estasi, inquietudine, pace. Una predisposizione a dare amore incredibile, sprigionava fiamme solo a toccarla. La mia mano, le dita affusolate, la concavità che assume è stata concepita apposta per appoggiarsi tra le sue gambe, sul suo fiore, dal pube al coccige. È il calco perfetto per completare l’incastro e quando premevo, con delicatezza, mi trasmetteva l’inumidirsi della carne, la discontinuità morfologica dei petali fatti labbra, il calore lieve. Buona sorte ho avuto ad essere uomo, così da poter godere il mistero dell’origine del mondo. Senza neppure guardarmi, ma dal tono della voce, o da un semplice gesto, capiva ciò che pensavo, desideravo. Intuiva la mia sofferenza e i momenti di gioia.
Yuzaf incrocia le mani sopra la testa e rabbia, dolore lo dilaniano.
– Ascolta le sue parole quando, ingannandola, non le feci intendere che quella sarebbe stata l’ultima volta, non avremmo più potuto vederci, e lei capì. “Vorrei tanto trovare la perfezione per amarti oggi e i giorni che verranno al di là della morte. Sono felice di essere la tua donna, mi piace, è cosa buona e giusta, potrà succedere tutto, smettere di adorarti mai. Dammi una speranza, la medicina per lenire questo dolore che ho dentro, la paura di perderti, fai qualcosa, afferriamo ogni attimo, per favore. Insegui solo le tue elucubrazioni che ti porteranno al nulla e così perdiamo ogni aspettativa, lo avverto, il destino ci separerà, mi allontanerà dall’uomo della mia vita, unico, colui che sapevo esistere dall’inizio del tempo, questo sarà il mio segreto che porterai via insieme ai miei sogni, desideri. Mi devi stare accanto, dobbiamo farci compagnia in questo viaggio, mano nella mano, per trovare la felicità, andare insieme dove dobbiamo andare, concediti, dammi carezze, baci, i tuoi momenti. Ti ho donato l’anima, il corpo, tutto di me. Sapevo che un giorno sarebbe arrivata la fine, ma non così presto, allora non avrei mai voluto incontrarti, perdonami se dico questo, è stato bello conoscerti e sarà fatale perderti, il mio cuore dice così, per impossibile che sia ho l’obbligo di difendere ciò che mi appartiene, tu conti più della mia esistenza e se non potrò rivederti sento che verranno giornate inutili non degne di essere vissute, sono una donna innamorata che ti desidera immensamente. Cosa posso dire ancora? Che posso fare di più? Necessito di te, della tua vicinanza, delle tue parole, per favore cerca di capire, sei forte, bello, intelligente, sensibile, adorabile, al solo vederti il mio cuore va in pezzi un poco alla volta, sei più che un sentimento, un’emozione, sei una forte ragione per esistere. Sapessi quanto tu significhi, ti veneri, si potrebbe dire come un Dio, non si può stare senza di Lui. Come sarebbe possibile dimenticare se ti porto dentro me? Nel Tempio cerchi responsi che non avrai, non hai capito che io sono la risposta. Come fai a non sentirlo? Mia forza, energia, destino, compagnia, respiro, devo stare con te, sono quella che desidera vivere nel mondo dei sogni che insegui, anche solo per un attimo, e tu mi respingi verso la disperazione della realtà”.
Il taverniere ascolta in silenzio. Mai nella sua semplice vita gli era capitato di sentire certe cose da una donna, tanto meno indirizzate a lui. Neanche solo pensarle, immaginarle. In quei rari momenti che il suo scialbo aspetto e la ancor più insipida cultura gli avevano dato modo di rapportarsi con l’altro sesso non si era sentito desiderato, preteso, unico. Neppure da sua moglie che senza dubbio lo aveva scelto per sancire il patto tra due anime in pena, in cerca uno dell’altra, ciascuna commisurata alla consapevolezza del proprio limite. Provano affetto reciproco, questo sì, anche comprensione ma ciò che ha udito è un’altra cosa, un mondo parallelo, sconosciuto. Yuzaf sorseggia la birra, ha un vago sorriso sulle labbra e lo sguardo perso mentre l’oste, rimasto in piedi fino a quel momento, si siede posseduto da una smania incontrollabile di appetiti disattesi.
– Hai fatto sesso con lei?
Questi lo sbircia senza staccare gli occhi dalla figura lontana che abita la sua mente.
– Se ho fatto sesso? Cosa intendi quando dici fare sesso? – ribatte Yuzaf indignato.
– Beh, non saprei, hai parlato, cioè lei, di amore, passione, ti voglio bene, per sempre, ma non è stata pronunciata una sola parola su rapporti di coppia, soddisfazione della carne intendo, mi stupisce, hai cominciato con quel disegno.
– Sei un povero idiota, insano, non riesco a capire perché ci siano persone che sacrificano sé stesse per proteggere gente come te. E quando dico persone intendo PERSONE! Uomini, donne che hanno ideali, valori, obiettivi, desideri, pensano, si schierano, reagiscono, si interrogano, provano indignazione, partecipano. Vivono!
Improvvisamente Yuzaf si gira verso l’oste, lo guarda con curiosità come lo vedesse per la prima volta.
– Adesso che ti osservo bene, ecco…
Il volto gli si illumina.
– …tu sei un cubico! Come tua moglie, siete stabili, ben piantati in questa trattoria che gestite con oculatezza, accorti, rispettosi, educati, magari avete anche un figlio o una figlia che vi somiglia. Eh già! Perché voi cubici vi riproducete, costruite, portate avanti la specie, vi insediate, nessuno vi smuove più, l’evoluzione opposta, largo agli inutili.
L’oste lo guarda sorpreso da quella reazione improvvisa, non comprende le parole enigmatiche al suo indirizzo. E come fa a sapere che ha due figli, un maschio e una femminuccia, belli sodi, simboli della salute? Yuzaf lo distoglie da questi pensieri.
– Questa donna sente la mancanza delle tue mani morbose, adoro quando mi toccano, la mia pelle le esige.
– Che dici? – Chiede l’oste.
– Sto per soddisfare la tua insana curiosità ma credo sia inutile. Sono io che l’ho fatta così, ha ragione lei, il mio amore, la passione, le parole e le vane promesse hanno plasmato quella donna a mia immagine e somiglianza. Ho creato la perfezione per abbandonarla e inseguire l’adempimento di un patto che forse avevo già onorato.
Yuzaf si raddrizza sulla sedia.
– “Allorché di due farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna e l’esterna identica all’interna, il superiore identico all’inferiore e questi al superiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere, quando considererete due occhi come unità di occhio, una mano come unità di mano e un piede come unità di piede, un’immagine come unità di un’immagine, sicché non vi sia più né maschio né femmina, allora sarete figli dell’uomo e troverete l’entrata del Regno…”1
– Che stai dicendo? Un patto? Quale patto?
– È ciò che cerco di capire, un perfido vincolo che mi porto dentro dalla nascita, forse ancora prima, mi sta appiccicato come una patella allo scoglio, una sorta di predestinazione.
– Potresti ignorare l’accordo, io lo farei con quel ben di Dio nelle mani.
– L’hai detto ma è unilaterale, solo Lui può decidere, e la mia vita dipende dai suoi capricci, non appartiene a me, non mi è stato dato il libero arbitrio.
– Lui chi? Non capisco.
– E come potresti? Pretenderesti di cogliere ciò di cui parlo? Tu?
In uno scatto d’orgoglio l’uomo fa il gesto stizzito di alzarsi, Yuzaf lo afferra per un braccio trattenendolo.
– Aspetta! Non ho finito.
Era proprio quello che voleva sentirsi dire. L’oste si assesta sulla sedia, mani conserte sul tavolo.
– Libero arbitrio, Puah! Questa roba non fa per me. Preferisco l’argomento di prima. O hai terminato?
– Ho appena detto che non ho finito… ti ho vista seduta in attesa, sei bellissima e desiderabile, come sempre. Sapevi che ti avrei cercata solo per cose importanti e non l’ho fatto per non essere dilaniato dalla mia stessa possessione. Oggi sono stato tutto il giorno a parlare con la gente, ho raccontato storie sagge per lenire la loro inquietudine e allo stesso tempo ti pensavo, ho avuto la certezza di ciò che rappresenti per me, anche quando verrà il dopo, mi sei entrata dentro e lì rimarrai. Pensavo che ti avrei rivista nell’orto, il nostro posto. Mio cuore è fratello del tuo, una donna deve offrire ogni parte del suo corpo per dare e ricevere piacere, concedersi senza limiti, godere della sua soddisfazione, donarsi. Voglio rendere eterna la nostra passione. Visiterei con gli occhi ogni tuo più nascosto segreto coperto da quei veli che porti come una regina. Sei splendida, tenace e dolce allo stesso tempo. Credo che il nostro sia l’amore perfetto, che si nutre solo di sé, come il male, compiuto nel desiderio, immutabile nella reciproca attrazione, nel sentimento. La luce del giorno ha riflessi diversi quando so che ci sei, anche le ombre della sera assumono sfumature accoglienti, le tue carni hanno conosciuto di cosa è capace il tuo uomo, in una sola sera ho voluto darti tutte le sensazioni possibili, il nostro incontro non è avvenuto per caso, sei mia, avevo in mente grandi progetti per noi ma tutto ha un termine. Tu sei la mia inquietudine, il desiderio, l’ansia, il sesso, il tempo fugace che porta via la nostra energia, la speranza, sei un territorio che ho esplorato e mi lascia nostalgia di odori lontani e desiderio infinito. Cerca di avere cura di te e non mancare di farmi pervenire tue notizie ogni tanto, basta che alzi il volto verso le stelle, mi troverai ovunque. Vorrei portarti in braccio fino alla cima del Tempio per sacrificarti ai miei desideri. Stai serena, riposa pensando che sei la vita. Non mi lasciare… nel modo che solo noi possiamo comprendere, la distanza impedisce un bacio, un abbraccio, una carezza ma non può arrestare il mio essere te, non devi avere dolore e non guardarti mai indietro, vedrai, le cose ti appariranno sotto un’altra luce e questo uomo vuole saperti quieta. Domani, domani so che tu ci sarai comunque allora, a voce, magari chissà, davanti a una ciotola di latte appena munto potrò farti capire…”
…..
Copyright 2015 Mauro Giovanelli

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Sto pensando…

Sto pensando…

Sto pensando che… Dovrei avere un’eccellente segretaria, ubbidiente, devota, molto brava, precisa soprattutto… Come mi era stata assegnata nella grande industria siderurgica italiana… Gente in gamba gli operai, attaccati all’azienda alla stregua di patelle allo scoglio, “innamorati”, fedeli, tecnici di talento… Fra gli impiegati percentuale di efficienza efficacia molto più bassa però non male… Fra i dirigenti c’erano il sottoscritto e… Tutti gli altri… La raccomandazione era imprescindibile però… Però… Non sapevano scrivere… È pur vero che uno in particolare, direttore centrale (mi fa ridere direttore “centrale”… al centro di che?) conteneva un tale carico di meschinità da mettersi le uova sode in tasca al buffet dei prestigiosi alberghi che ci ospitavano nelle frequenti quanto inutili trasferte. Mi diceva: “Sa! Sono per mia moglie”. Era quel “Sa!” che più mi infastidiva… Stavo dicendo… Lui mi spiegava “come” volesse presentare un problema all’ a. d. ed io gli buttavo giù la relazione… Gioco da ragazzi. Una sera me la fece rifare circa una decina di volte… Sudava… Il problema era grave, l’aveva fatta grossa… Arrivai oltre l’eccellenza nel “dire” senza dire, spiegare senza chiarire un tubo… Dovevo considerare pure la stazione “ricevente” oltre la “trasmittente”, insomma lunghezza d’onda, frequenza… Alla fine le aveva tutte in mano come un mazzo di carte, poco mancava le sottoponesse ad una tac…non sapeva quale scegliere, mani nei capelli, mi chiedeva consiglio… Qui c’è proprio da ridere… Fino a quando scoppiò in un “Questa!”…
Sto pensando che avrei estrema necessità di una eccellente segretaria… Che sappia fare molte cose… La prima scrivere velocemente sotto dettatura, cioè voli con la tastiera, io le giro intorno, guardo il mare dalla terrazza intanto declamo a voce alta… Mi accendo una sigaretta… Potremmo buttar giù un romanzo alla settimana tante sono le cose da dire… Deve essere precisa, molto, evitare refusi, impaginazione perfetta come la esigono in stamperia… Ogni tanto intervallo, potremmo farci due negroni, accendere altra sigaretta, le farei trovare diversi stuzzichini, molto buoni quelli del bar Mangini, l’ultimo degno di tale nome in Genova…
Scusate, devo assentarmi per salvare la vita ad un bimbo, in braccio alla mamma, bianca, mediterranea, carina, giovane, lo cullava ma non smetteva di piangere, anzi aumentavano i singhiozzi, di agonia, sofferenza, morte… Si agitava sempre più, manine strette verso il cielo… La ragazza non capiva che gli si stava cuocendo il cervello sotto il sole di luglio, in riva al mare, senza berrettino…
Mai verrà a sapere che uno strano tipo…

Mauro Giovanelli – Genova
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IL CRETINO PARTE IV, UN PASSO INDIETRO… CON INTEGRAZIONE E CONSULTO

UN PASSO INDIETRO…

IL CRETINO PARTE IV (BANNARE IL BANNATO)
ovvero BANNARE VECCHIA MANIERA)

CON INTEGRAZIONE E CONSULTO

RISERVATA PERSONALE

[Cognome e nome… omissis],
mi riferisco all’ultimo nostro incontro, precisamente in “Pizzeria” venerdì 1 dicembre u.s., per manifestarti la mia, come dire? Presa di coscienza? Di come abbia potuto considerarti amico cui ho pure confidato, consuetudine fra persone leali e consapevoli, accadimenti della mia vita. È un di più sottolineare la “vostra” (tu e [omissis]) ormai manifesta propensione a divulgare a terzi quanto vi viene rivelato con mal riposta fiducia. Mi sembra impossibile essermi adattato, anche saltuariamente, a simili frequentazioni (tu e [omissis]).
Oltre a tutte le corbellerie da te sentenziate ed elargite a profusione, come al solito, con la complicità “intellettuale” di tua moglie, infarcite di supponenza, arroganza, tracotanza e quant’altro, in particolare mi riferisco all’insulto da te pronunciato apertamente nei miei riguardi, in auto, presenti la mia signora e [omissis].
Or dunque respingo al mittente l’ingiuria e villania (avrei dovuto farti accostare e proseguire a piedi per respirare aria pura). Allo stesso tempo desidero che tu sappia quanto il sottoscritto potrebbe insegnarti a vivere, comportarti, pensare, agire, parlare, leggere, scrivere, interpretare, gesticolare, proporsi e, bada bene, finanche tacere.
Il tempo è però scaduto, ho cose ben più importanti di cui occuparmi, quindi con questa mia intendo riferirti che in futuro farò volentieri a meno della tua sporadica vicinanza augurandomi tu abbia, come minimo, la delicatezza di evitare ogni tipo di contatto con miei parenti e affini. Io farò altrettanto (come da anni).
Mauro Giovanelli.

IL PENTIMENTO E RICHIESTA DI CONFORTO AD UN “VERO” AMICO E UOMO

Caro (Omissis amico vero),
ripensando alla mail che ho inviato al nostro comune amico desidero confidarti che sto riflettendo, anche se non lo merita, sul fatto che potrebbe apparire “forte”, forse lo è, del resto la molla che più mi ha spinto a prendere tale decisione sta proprio nella medesima considerazione cui siamo entrambi pervenuti. Loro non solo mi considerano un “fallito”, quindi essere inferiore da trattare a pesci in faccia, ma tale reputano pure (Omissis infatti nella missiva l’ho designata “la mia signora”) rivolgendosi a lei, entrambi, come fosse imbecille. Ciò che non comprendo è come mia moglie possa non ravvisarlo. L’ultima volta, al ristorante, la apostrofavano in malo modo non riuscendo ella a capire alcunché di ciò che “ragliavano”, ed io sempre l’ho difesa intervenendo con “sarcasmo” che alla coppia fascista, ovviamente, sfuggiva (i fascisti sono banalissimi, ignoranti e non hanno alcun senso dell’umorismo se non per indegne battutacce su “negri”, “clochard”, “ebrei”, “gay” e quant’altro). È capitato più di una volta in questi anni che lo stesso Andrea le si proponesse quasi rimproverandola della sua “incapacità” ad apprendere immediatamente le verità rivelate che solo lui detiene (insieme a Omissis moglie del cretino, cretina pure lei, e Omissis figlio cretino). Inoltre lavorano ai fianchi pure mio genero designato ad essere  interpellano ripetutamente affinché risolva problemi inerenti i computer di (Omissis e Omissis figlio); ma non sono due geni? E per ricompensa preparano il “pacchetto” delle ignobili “squisitezze” di (omissis moglie del cretino), “fetta” dell’ultima torta congeniata con (Omissis moglie del di loro figlio), porzioni di incongrue misture salate, ecc.) che lui, per educazione, e dopo insistenza della “sig.ra” (Omissis moglie del cretino, cretina pure lei), alla fine accetta stremato. Perciò gli ho precisato di usarmi la cortesia affinché eviti di frequentare pure miei parenti e affini.
Scusa il mio ulteriore “sfogo” ma sei l’unico amico su cui possa contare. A presto.
Un abbraccio.
Mauro

LA RISPOSTA

Caro Mauro,
Concordo. Anche sulle ignobili squisitezze di (Omissis moglie del cretino pure lei cretina)!!
Un abbraccio.
(Omissis amico vero)

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

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JIMMY CASA pittore genovese e… altro

JIMMY CASA pittore genovese e… altro

Jimmy Casa, pittore genovese, amico, intellettuale, giocatore d’azzardo… – Olio su tela cm. 62×72 a sin. e 52×62 a destra – Orribili cornice e passpartout (li scelse lui, altri tempi) – Ha fatto la più bella morte che si possa desiderare. Si accasciò stecchito sul tavolo principale del Casinò di Sanremo quando la pallina, dopo estenuanti rimbalzi da una losanga all’altra, si insinuò nella serie piena, l’8, bello tondo come il culo delle donne e infinito pari ai sogni. Vi avevamo puntato una piccola fortuna. Non era abituato a vincere troppo e si percepisce dalla sua pittura materica, colori cupi, geniali, rabbiosi, silenziosi, lontani. Grande persona. Ciao Jimmy. R.I.P.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza: Due opere dell’artista JIMMY CASA pittore genovese e… altro

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IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI

“IL LEGGÌO A NOVE POSIZIONI”
(LO SGUARDO DEL TOPO)

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Presentazione

Yuzaf non è asceso al cielo come ci viene raccontato. In cerca di una risposta impossibile, almeno quanto lo sarebbe stato il dubbio che lo avrebbe colto durante il supplizio, lamentando l’abbandono del Padre, ha invece continuato a vagare tra le dimensioni del reale e del fantastico. Questa la sua missione, la croce alla quale sembra condannato dalla stessa natura di cui è composto, che gli fa incontrare altri “inverosimili” come lui: Corto, Srinivasa, Ramòn, Judex, dando vita a una ratatouille filosofica in salsa spirituale, insaporita con un melting pot delle migliori spezie antropologiche, raccolte dall’Autore ai crocevia della vicenda umana, nella sua mente, lungo le sconfinate praterie dell’investigazione fantastica…
Bene e Male, Divino e Umano, sono le invisibili sbarre della gabbia di Mānī che imprigionano il pensiero di Yuzaf nella speculazione dell’Oltre, lo costringono a surreali dialoghi con personaggi della storia e della fantasia che cucineranno a fuoco lento le convinzioni del lettore fino a dissolverle con la sola spiegazione alla nostra portata. Le molecole letterarie dell’opera sembrano formate da atomi privi di legami, gli elettroni saltano dall’orbita di un nucleo all’altro, collidono, rilasciano quanti di energia che riempono di tracce luminose l’etere della narrazione: preziose indicazioni che, per il lettore attento e motivato dalla ricerca terrena e spirituale, rappresentano la segnaletica del sentiero che conduce a concepire l’inspiegabile.
La ricostruzione storica e filosofica della religione sotto l’aspetto di “urgenza esistenziale” è accurata, onesta, priva d’intenzionalità alcuna di negare o affermarne l’esattezza, lasciandoci liberi di manovrare il leggìo a nostro piacimento per interpretare i manoscritti che su esso via via si alternano e incrociare lo sguardo del topo al fine di rispondere come possiamo a una domanda priva di senso: “qual è la verità?”
Alessandro Arvigo scrittore – Palermo

Premessa

Questo racconto è la naturale prosecuzione di “Ecco perché Juanita”, un’antologia elaborata nel 2012 decisamente originale nella composizione al punto che non trovavo termini adatti a definirla. Per descriverne la “costruzione” decisi di utilizzare il verbo “comporre” vale a dire “mettere insieme varie parti allo scopo di costituire un tutto organico”1 e “produrre, realizzare un’opera di carattere letterario o artistico in generale”2. Invece conclusi che il termine più adeguato a designarla fosse proprio “libro” intendendosi con tale parola “volume di fogli cuciti tra loro, scritti, stampati o bianchi”3. Desidero ricordare che, con tutto il rispetto, la parola Bibbia significa insieme di generi letterari diversi. Non è casuale che “biblia”, dal greco biblos, la corteccia interna del papiro che cresce sul delta del Nilo, utilizzata per produrre materiale scrittoio, sia un plurale che indica l’insieme di opere scritte e narrate (nella Chiesa greca dell’epoca di Giovanni Crisostomo4 si cominciò ad usare l’espressione “Ta Biblìa”, che significa “I libri”). Infatti il Vecchio e Nuovo Testamento sono insiemi di elaborati vari per origine, genere, compilazione, lingua e datazione, prodotti in un lasso di tempo abbastanza ampio, preceduti da una tradizione orale più o meno lunga e comunque difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito a partire dagli inizi della nostra era. In parole povere la prima grande raccolta, copiatura e forse pure sofisticazione della storia.
Tornando a “Juanita” dico che l’idea della sua realizzazione si insinuò nella mia mente quando decisi di riunire diversi e preziosi frammenti della letteratura (sottotitolo “arabesco letterario”) di circa cinquanta autori e un centinaio di brani e citazioni disponendoli all’interno di una narrazione secondo il mio gusto. Occorreva solo una base di appoggio. Quale migliore “cronologia” potrebbero regalarci altri capolavori che non siano “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” del grande Saramago, seguito da “Il Maestro e Margherita” di Bulgakov per agganciarlo a “Il Procuratore della Giudea” di France e concludere con “Il Grande Inquisitore” di Dostoevskij? Nessuno! Un’avventura lunga 1700 anni.
Saramago descrive la vita di Gesù con una autenticità da lasciare senza fiato, ineguagliabili lo stile e la prosa. Nel suo Vangelo neppure viene sfiorata la personalità di Ponzio Pilato in quanto marginale al messaggio che l’autore ci ha compiutamente trasmesso. Per approfondirne la figura siamo quindi costretti ad immergerci nelle strabilianti pagine di Bulgakov dove il procuratore della Giudea viene assalito dal rimorso per una condanna decretata suo malgrado; la collera verso sé stesso lo dilania, realizza di essere entrato nel mito dalla porta sbagliata e la sua propria ignavia (qui ci sarebbe da discutere) lo inchioderà per sempre nella penombra del porticato, dietro la brocca del servitore che versa l’acqua sulle sue mani sudate. Che ne sarà di lui? Allora lo seguiamo nell’epico “Il procuratore della Giudea” di Anatole France dove, vecchio e dolorante, si reca ai Campi Flegrei per curare la gotta che lo tormenta. I tempi del fasto e del potere li ricorda con il fedele e ritrovato Lamia che, riferendosi al Cristo, gli chiede: “Ponzio, ti ricordi di quest’uomo?” ed egli risponde: “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non ricordo”5. Non ricordo… perché? Amnesia senile? Inconscia rimozione di una rievocazione ostica? Menzogna? Indulgenza divina? Non lo sapremo e il Gesù de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskji6, che chiude il mio saggio, non dice alcunché in proposito. Essendo stato vano il sacrificio estremo, Egli torna in questo mondo per riparare l’errore senonchè, riconosciuto e incarcerato dal Grande Inquisitore, non pronuncia una sillaba durante l’eccitazione verbale dell’aguzzino che a sera si reca nella cella per comunicargli la condanna al rogo. Il confronto tra i due si trasforma in un delirante monologo del prelato. Cosa rappresenta l’unica risposta del Nazareno, il bacio sulle labbra del suo persecutore con cui suggella il loro incontro? Quali potrebbero essere stati i pensieri di Yuzaf nel momento in cui, graziato per tale gesto, si diresse verso nuovi orizzonti? Dove sarà andato? Che panorami gli si apriranno? Come esplorerà l’intrico che custodisce l’oggetto della sua ricerca?
La reinterpretazione delle Scritture? Il leggìo a nove posizioni?
Mauro Giovanelli -Genova

P. S.
A parte alcune citazioni, avrei potuto omettere diverse note pie’ di pagina della cui inutilità sono convinto. Ho preferito inserirle ugualmente.

ALTRI TIPI DI VIOLENZA ALLE DONNE (e ai grilli) – EROSOEROS

ALTRI TIPI DI VIOLENZA ALLE DONNE (e ai grilli)
EROSOEROS

Avevo circa dieci anni, forse meno. Un vicino di casa, certo Musso, del tutto identico all’attuale ministro Poletti, la mattina di ogni sabato e domenica si alzava alle 4 e 30, puntuale come un cronografo svizzero co-assiale, per andare a pescare sulla diga foranea del porto. Calzoni alla “zuava”, calzettoni di lana con decori a rombo, scarponcini, berretto tipo “coppola” con paraorecchie risvoltati in su dove collezionava ami a go go, “panciotto” in pelle straricco di tasche di ogni dimensione su camicia di flanella a quadri, canna in resta, cesta in vimini a tracolla per le “prede”. Alle cinque usciva fischiettando (da qui la precisa cognizione degli orari) e lo si vedeva rientrare pari pari metà pomeriggio. La sera, dopo cena, bardato allo stesso modo ma con un ferro terminante a gancio al posto della canna ed altri strani aggeggi idonei a produrre fumo si inerpicava sulle colline che circondano Genova per catturare “grilli” ma non quelli del tipo che normalmente osservo in montagna, smilzi e verde chiaro, no, i suoi erano larghi e piatti, scuri, quasi neri, discrete dimensioni, i “canterini” disse una volta e credo fu l’unica che lo sentii parlare. Una delle finestre del suo appartamento era stracolma, appese ovunque, di gabbiette eseguite da lui stesso a regola d’arte dove pasceva gli ortotteri catturati. Nell’appartamento sovrastante abitava un certo Maressi insofferente al canto di questi simpatici insetti e nel sottostante il sig. Scovazzi aveva già il suo bel da fare con la moglie ninfomane. Un bel giorno il Maressi decise di far fuori quelle bestiole con DDT e apposito stantuffo in uso all’epoca… Lo osservavo divertito sporgersi fin quasi a rischiare di precipitare dal sesto piano ma ogni intento falliva miseramente poiché il para-diclorodifeniltricloroetano tende a salire (più leggero dell’aria) e per quanto le sue pompate fossero cattive, violente e decise, l’unico a rischiare di rimanere intossicato era proprio il killer. La storia finì nell’accordo storico che il Maressi raggiunse con lo Scovazzi il quale gli permise di trincerarsi in casa sua (tanto lui andava a controllare la moglie che si recava nella vicina caserma) fino a completo sterminio delle prede del buon Musso.
Ritornò la normalità. I grilli non furono più sostituiti. Terminarono le urla della moglie di Scovazzi (voleva uscire ad ogni costo tutte le sere) poiché venne ospitata in clinica specializzata. Da parte del Musso neppure c’era la necessità di togliere il saluto ai “sospetti” abituato come era alla compagnia di sé stesso e dei suoi figli, miei amici di infanzia, di cui nulla più seppi dopo che tutti i maschi si trasferirono in altra città causa l’urgente ricovero in manicomio della povera moglie e mamma.
Tutto qui. Potrà sembrare solo un banale, divertente e lontano ricordo d’infanzia. Lo è infatti ma da questa distanza ne colgo pure i risvolti tragici.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI ARTISTA TOSCANO – “Elettroshock” – Tecnica mista su legno – Dimensioni cm. 70 x 170

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