POTREBBE IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA…

POTREBBE IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA…

Domenica scorsa si è verificato un episodio che potrebbe sembrare banale, invece credo possa fornire spunti interessanti a chiunque desideri coglierli oltre che, ovviamente, al sottoscritto. Ho avvertito la necessità di raccontarlo più per me stesso che per altro.
Serata fredda per la stagione, tra poche ore sarà giugno, anno strano questo 2014. Salotto, amici, discorsi conviviali, poi la chiacchierata scivolò sui vari matrimoni. Fingevo di ascoltare gli aneddoti di quelle feste e quando la conversazione cominciò a virare sulle fotografie venni assalito da un pensiero compulsivo, in un istante realizzai di non aver mai visto immagini dei miei vecchi nel giorno in cui si abbozzò l’idea che avrei potuto esistere. Inutile ogni tentativo di ricostruire racconti che avevo sempre inteso con distrazione, l’unica cosa certa è che l’evento avvenne durante la guerra e, dato che mio padre prestava servizio a Taranto nella Regia Marina, potrebbe essere stato celebrato in quella città. Qualcosa però non mi convinceva.
Ero intento a questa ricostruzione ma non mi sfuggivano le occhiate complici che gli ospiti scambiavano tra loro, uno domandò con cautela se per caso stessi poco bene. Mi alzai di scatto come fossi stato seduto su una molla e, con un pretesto qualsiasi, mi appartai per telefonare a mia madre, novant’anni compiuti.
Così riemerse un passato che mi appartiene. Il nonno paterno Aldo, figlio di Armando e Virgilia, era il secondo di sette fratelli. Uno di questi, “zio” Mirko, sembrerebbe fosse uomo da non fare vane promesse. Convocato per andare a difendere gli ideali dell’asse Roma-Berlino, appena imbarcato venne contraccambiato da un sorriso benevolo del comandante dopo che gli ebbe intimato “se lei non mi fa scendere subito da questa nave, lo farò domani con i piedi in avanti”. È proprio in questa posizione che ritornò a terra. Non sono riuscito a sapere in che modo decise di onorare la parola data, e la cosa mi interesserebbe molto. Per tornare alla bisnonna Virgilia, femmina di grande carattere e temperamento, si può ben capire come questo fatto l’avesse segnata non poco, decise quindi che il nipote non avrebbe più dovuto continuare a combattere. Suo malgrado si rivolse pertanto al cugino ammiraglio, quello che in famiglia aveva ferree idee al punto che, nell’arco di nemmeno un giorno, fece tornare a casa il giovanotto scopertosi sofferente di nefrite. Il sottomarino di papà fu centrato nella missione che seguì portando per sempre in fondo al mare l’intero equipaggio. Mi informerò circa il nome del battello, chissà quanti sono stati, per la nostra flotta, gli accadimenti del genere. Sta di fatto che, tra un allarme e l’altro, i miei genitori convolarono a nozze nel gennaio ’43, cornice Genova superba e l’incantevole chiesa di Santa Maria Maddalena.
Avevo un anno o poco più quando mi portarono da nonna Virgilia. Era inferma a letto causa una malattia incurabile, la vecchiaia, ma aveva chiesto di vedermi assolutamente. Mentre ascoltavo con avidità il racconto di questo solenne evento, intervallato da molti “non ti puoi ricordare”, fui colto da qualcosa di molto simile alla paura, la stessa che si prova di fronte a fatti incomprensibili. Nella mia mente riaffiorava tutto di quel giorno caldo, soleggiato, anzi nell’ascoltare constatai di non averlo mai rimosso. Il viaggio in treno fino a La Spezia, vagone stipato di gente euforica, la dimora cui giungemmo, una testata del letto in ferro battuto decorato, clamore che proveniva dalla strada in fondo al viale, lenzuola bianco avorio a formare accoglienti panneggi, parevano umide, l’incessante ronzio di una mosca. Avevo smesso di prestare attenzione a mia madre perché vedevo, tra le pieghe della sofferenza, il candido sorriso sul viso dolcissimo, immobile, della bisavola, l’intenso luccichio dei suoi occhi vivi che mi traguardavano, le braccia magrissime che sollevava in alto a comunicarmi il suo affetto, benedirmi con le mani irrigidite, le dita si muovevano lente come zampe e antenne di nobili crostacei e lame di luce, filtrata dai pesanti tendaggi socchiusi, rompevano la penombra della camera. “Sai Mauro” mi sentivo dire “ero incerta se portarvi da nonna Virgilia, temevo potesse impressionarvi, così vecchia, invece le avete fatto tante feste, Alda saltava sul letto e tu la accarezzavi. Incredibile”.
Chiedendo scusa mi ripresentai agli amici giusto in tempo per soccorrere mia moglie in quegli estenuanti saluti, ripetuti mille volte, nel tragitto dall’ingresso all’ascensore.
Rimasi inebetito anche il giorno seguente e pure il successivo. Come potevo, ad appena un anno, rievocare così nitidamente? Se al posto del cervello avessi uno scanner potrei decodificarvi ogni immagine di quel pomeriggio. Chissà che non fosse proprio il 2 giugno 1946, quando gli italiani furono chiamati a scegliere tra Repubblica e monarchia. Oltre a ciò non riuscivo a disconnettere la mente dall’evidenza di essere a questo mondo grazie a uno “zio” educato a rispettare gli impegni presi, al favore di un congiunto salito al potere ma comprensivo verso i parenti stretti e infine ad una persona eccezionale di nome Virgilia.
Che serata interessante è stata l’ultima di maggio. L’indomani avrei chiesto a mamma di mostrarmi le sue vecchie fotografie e allo stesso tempo riflettevo sul concetto elaborato da Turing ed analizzato da Lorenz “potrebbe il battito d’ali di una farfalla nel golfo del Tonchino scatenare un uragano a New York?” (1)

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

Immagine in evidenza ricavata dal web. Fotomontaggio eseguito dall’Autore

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(1) “Potrebbe il batter d’ali di una farfalla nel golfo del Tonchino provocare un uragano a New York?” fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1972. Si ritiene che l’ipotesi abbia tratto spunto da uno dei più celebri racconti fantascientifici di Ray Bradbury, “Rumore di tuono” (A Sound of Thunder) del 1952. L’idea è che piccole modifiche nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.

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