FULVIO LEONCINI – ARTISTA SENSORIALE

FULVIO LEONCINI – ARTISTA SENSORIALE

Dunque… avete visto quattro disegni, distinti, separati, che ho voluto riunire in una sola immagine. Cosa provate? Rispondete a voi stessi, senza esitare, d’impeto. Ovvio che per ciascuno le sensazioni saranno diverse secondo l’indole, educazione, sesso, appartenenza ad un “ceto sociale”, religione, “fede”, confessione, etnia, tradizione culturale e così all’infinito, o quasi, però immagino che tutti siate stati sedotti e invogliati a leggere questa “analisi”, lo state facendo adesso, io scrivo e voi formulate i più disparati pensieri. Mi sbaglio? Ci sarà chi ritiene l’Artista o il sottoscritto o entrambi maniaci, fissati, alcuni esalteranno la pornografia, altri grideranno allo scandalo, indecenza, offesa al comune senso del pudore… che parola sdrucciolevole questa, “pudore”, usata sempre alla vista di un corpo nudo o parti di esso, una coppia di innamorati che si bacia per strada, mai per gli indegni rapporti esistenti fra gli umani, guerre, olocausti, torture, arroganza del potere, disuguaglianze, ingiustizie, discriminazioni… ma questa è un’altra storia, sono tante le vicende da raccontare.
State riflettendo vero? È chiaro che alcuni saranno in grado di essere attratti da forme raffigurate in modo così esemplare, capaci di percepire da subito non trattarsi di pochi tratti di matita o carboncino buttati lì… la differenza fra chi resta e abbandona il campo di gioco è data dalla sensibilità, l’innata capacità ricettiva che permette di cogliere ciò che non appare nell’immediato. Chissà l’Artista, nel bene e nel male, che avrà voluto comunicarci. Da queste in apparenza semplici raffigurazioni credo di comprendere dove voglia arrivare Fulvio Leoncini con la sua arte. Entra dentro noi, scava nel più recondito e labirintico essere, si insinua nelle sinapsi cercando di riattivarne gli impulsi nervosi, ricollegarle l’un l’altra, stimolare i neurotrasmettitori con cui le cellule nervose comunicano, tenta di scarificare ogni millenaria incrostazione di “perbenismo” che abita i nostri cervelli, “casa, chiesa e lavoro” si potrebbe dire, vuole strapparci dalla quotidianità che lentamente sta spegnendoci, in particolare coloro che non hanno conosciuto, né conoscono la donna, quelli diversamente abili nello sfiorarne la pelle, accarezzare il viso, prenderlo fra le mani mentre i suoi occhi si fissano nei tuoi, le dita giocano con i capelli, la nuca, i pollici tastano morbidi gli zigomi, con amabilità asciugano due lacrime di piacere ed emozione che calano dalle palpebre socchiuse di lei, avverte calore, sicurezza, protezione, perciò inclina la testa per appoggiarla al braccio, ivi strofinandosi come una micia che fa le fusa. Non serve aver letto i “pilastri” dell’arte per impregnarsi di una visione, aver studiato e perso la vista nell’interpretare e cercare collegamenti instillati da altri, tecnica, simboli, metodi, correnti, ecc. anzi, al contrario, sarebbe necessario strappare tante pagine inutili di questi “sacri testi”, esattamente ciò che il prof. Keating de “L’attimo fuggente” ordina di fare ai suoi studenti all’inizio della prima lezione di letteratura americana, ovvero eliminare il preambolo in cui “l’esperto massimo” illustra come interpretare le sensazioni della poesia niente di meno che in un sistema di assi cartesiani.
In questi disegni ci sono l’universo, cultura, fede, vita, morte, rinascita e per assorbirne la bellezza è sufficiente che avvertiate l’accelerazione dei battiti cardiaci, sentire che qualcosa ha sgualcito l’abito mentale che indossate da tempo, captare che vi sta spogliando dell’ovvietà, sentirvi nudi, vergini. Qui c’è la storia dell’uomo, “l’ermo colle” del Leopardi che di questa parte il guardo gli è stato precluso, le contraddizioni di Pasolini, lo spleen di Baudelaire, l’orecchio che Van Gogh consegnò alla prostituta subito dopo essersi mutilato, “i più deserti campi” del Petrarca, la lettera di Cesare Pavese a Pierina, l’ultima prima di ingerire 35 pillole di Roipnol il 27 agosto 1950 nella stanza dell’hotel Roma di Torino e, nell’attesa del trapasso, di certo il suo pensiero era rivolto a Constance. Lasciò un biglietto “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. A proposito di questo manoscritto, mi sono sempre chiesto, visto che nei due “perdono” non compare alcun accento, se per caso il primo non potesse interpretarsi la terza coniugazione presente plurale del verbo “perdere” poiché in effetti in quella tragica penombra la vera sconfitta la subì l’umanità intera. Nel concepire i versi finali della “Divina Commedia”, canto XXXIII, Paradiso “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti…” a chi ritenete si fosse ispirato il sommo Poeta? In Fulvio Leoncini estraete pure i monologhi di Mrs e Mr Bloom nella giornata dublinese in cui Odisseo arriva dove doveva arrivare. Ci sono Gesù e Maria di Magdala, la repressione del sesso, l’infibulazione, l’inquisizione, la negazione della natura da parte dei monoteismi e le confessioni in generale. In questi disegni ci stanno le crociate, Ingmar Bergman, i conflitti mondiali, le bombe di Hiroshima e Nagasaki, i colpi di stato, le lotte di potere, la rincorsa al denaro, i finti capelli in fibra di carbonio del sig. B., la collezione di parrucchini di un candidato alla presidenza USA.
Fulvio non imprime una rappresentazione come, in questo caso, la nudità della femmina fine a se stessa ed il suo prepararsi, offrirsi, concedere l’eternità, egli va oltre, quei volti nascosti in attesa che il corpo venga violato e regali godimento, lussuria, messi a disposizione del maschio, vai a sapere quale tipo di uomo sia riuscito a sedurla, indicano diffidenza per le mille delusioni patite, è per questo che io le vedo non come donne ma animali in pericolo, ammansiti, guardinghi, emanano energia, amore, tutta la sofferenza di questo mondo malato, e nelle zone scure delle parti intime sento odore di selvatico tanto è realistica l’illustrazione. Sembra facile vero? Non c’è un solo tratto, ombreggiatura, sfumatura fuori posto, ogni particolare combacia e tutto ciò che mi sollecitano è avvicinarmi a loro, lento e accorto come un’iguana, per fiutare il sapore della vita, aspirare a pieni polmoni, bearmi di quelle carni fino a venir meno, esalare l’ultimo respiro fra le paradisiache pieghe restituendo così il primo che mi hanno regalato. Molto meglio del Roipnol.
Personalmente vado sempre oltre, esagero, sono diventato smodato in tutto, forse è per questo che avverto empatia, oltre che amicizia e affetto, con questo pittore, trovo affinità fra il suo modo di “creare” e il mio di scrivere. Non mi curo più delle regole imposte, mi hanno stancato, ho smesso di adottare latinismi o termini desunti dai classici greci, la frase aulica, ad effetto, vado a ruota libera, esprimo ciò che all’istante mi sorge alla mente, e qualora fosse scarto proprio quelle, vorrei dimenticare e ricominciare da capo, credo ciò che desidera Fulvio. Nelle sue opere avverto gli “odori”, ovunque, che siano cantine ammuffite, legni di antichi mobili impolverati corrosi dal tempo e dalla decadenza morale di coloro che ne hanno usufruito, confessionali, seggi papali, disgregati specchi al mercurio della fase “In nomine domini” (2007-2009), presenze contrastanti inserite a viva forza, solo in apparenza estranee al contesto, volti sfatti, deformi, indistinguibili i lineamenti a celare il crollo della civiltà e con essa, forse a causa di essa, dell’amore mai coltivato nella sua vera essenza. Preferibile curare la costruzione di chiese romaniche, gotiche, barocche, monumenti alla memoria, edifici ad altezze al limite della statica, progresso, piuttosto che abbandonarsi all’unica, vera, autentica ragione di vita: amore, passione, sesso, eros… eroso, sbriciolato, intaccato e corrotto, il crollo di una diga che porta morte e distruzione come meglio non potrebbe essere rappresentato nella serie “Eroso/Eros – 2016”. Sicuramente è per questo che Fulvio inferisce graffi, ferite, segni, aggiunge simboli a volte enigmatici ai suoi lavori, credo ciò avvenga quando il “quadro” è concluso, non è soddisfatto, giusto il contrario del “Perché non parli?” rivolto da Michelangelo al suo Mosè percuotendone il ginocchio con il martello che impugnava, stupito egli stesso dal realismo delle sue forme. Io penso che Fulvio ogni volta si accanisca sulla propria opera domandandosi “Qual è la verità? Dove sei?”.
E le superbe tavole “L’amante di Lady Chatterley”, “Le spose violate” (2013 – 2014), immagino siano tutti riverberi di una sola imprescindibile insurrezione interiore. Inesauribile il suo desiderio di rivoltare il tavolo, sovvertire le regole. Così nella sequenza “Elettroshock” (2010-2012) dove l’esplorazione all’interno dell’involucro umano arriva ai limiti estremi, fruga nell’inaccessibile alla caccia de “la bestia dentro” che alcuni, molti, non si accorgono di esserne il ricettacolo invece abita ciascuno di noi, impalpabile eppure devastante.
Per concludere vorrei tornare ai quattro disegni posti in un certo ordine, secondo criteri solo miei, l’amico Fulvio non c’entra. In alto a sinistra la “seduzione”, a fianco la “spoliazione”, in basso a sinistra la “decisione” per giungere infine alle soglie dell’evento, l’accesso è consentito, l’amore, energia che muove tutte le cose, mette ordine al caos dell’universo, si insinua ovunque, arriva ad occupare l’infinitamente grande, filtra nel microcosmo e abbassa, fin quasi ad annullarla, l’entropia, la misura del disordine presente nel sistema in cui viviamo. La passione è contagiosa, gli esseri viventi ne avvertono la presenza, è ammasso stellare, scontro di galassie, nebulose che si rincorrono, un mare in tempesta dove “il naufragar m’è dolce”.

Mauro Giovanelli – Genova
www.icodicidimauro.com

L’articolo “FULVIO LEONCINI – ARTISTA SENSORIALE” è stato pubblicato il 20 giugno 2016 sul sito www.memoriacondivisa.it

Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI – Nr. 4 disegni a lapis su cartoncino cerato.

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