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“SNOB CULTURALI” – ALTRO FLAGELLO DELL’UMANITÀ

“SNOB CULTURALI” – ALTRO FLAGELLO DELL’UMANITÀ

Mi capita di rado ma quando succede è come se qualcuno fosse riuscito a farmi entrare la testa dentro la boccia di vetro dove, a complemento di arredo oggi per fortuna fuori moda, un tempo si imprigionavano i pesci rossi (che dalla noia diventavano via via anemici, biancastri fino a morire). In sostanza accedo ad una dimensione surreale in cui gli avvenimenti, le persone, amici, conoscenze, politica e quant’altro mi circondi risultano lontani e del tutto indifferenti. Sento ma non ascolto, vedo senza guardare, avverto la gravità di un avvenimento e me ne infischio, leggo e non assimilo… immutabile resta solo una cosa ma questa è un’altra storia. Quindi conosco a perfezione la patologia, l’unica terapia è aspettare che passi, mediamente necessitano almeno una o due settimane secondo la complessità dei fattori, intrinseci ed estrinseci, che hanno concorso a formare la causa generatrice di questo effetto.
È per ciò che incautamente ho accettato uno dei diversi inviti che pervengono ritrovandomi così, sonnambulo, nel parco di una villa genovese bellissima, vista stupenda aperta sul mare e le gru del porto, pini marittimi a far da cornice. Solita tavolata con i soliti stuzzichini e solite bottiglie di prosecco fresco frammiste ad aranciata (o chissà che altro per gli astemi), solite posate in plastica con i soliti piatti e bicchieri della medesima sostanza che quando cerchi di prenderne uno devi farti prestare l’unghia e la predisposizione della prima donna che ti capita a tiro per estrarne massimo due. Solita convivialità e finta allegria, solito darsi del tu a prescindere, soliti sforzi ad esternare gaiezza per nascondere i drammi che si celano dietro questa varia umanità.
Fra gli invitati amici d’infanzia, idem l’anfitrione, uno dei quali l’ho colto più di una volta fissarmi con occhio torvo; quando stavo disquisendo piacevolmente di vari argomenti con una violinista, mentre sorseggiavo l’unico bottino catturato ossia quattro dita di spumante (adoro essere servito pertanto rinuncio), nel momento in cui, appoggiato alla balaustra in marmo a fumare tranquillamente una sigaretta, traguardavo con interesse lo sciame di persone che si alternavano disinvoltamente al banchetto. Solo adesso ricordo che a costui avevo fatto uno scherzo pesante ma… diamine! Che sarà mai, a quindici anni, un sacchetto di fuliggine rovesciato in testa mentre usciva dal vespasiano sottostante?
Quattro chiacchiere insieme agli orchestrali, scambio di battute con l’importante direttore (così mi è stato presentato ma l’avevo capito dal farfallino), dialoghi sdrucciolevoli con gli amici, affabile, sincera, divertente compagnia di quattro giovani e amabili ragazze, infine… l’idiota.
Preciso subito che trattasi di direttrice ed esperta d’arte nonché critica della Pinacoteca di (omissis), donna sui 55, forse 60, forse meno, non l’ho osservata molto anche perché cominciava ad imbrunire, nella penombra sono riuscito a distinguere solo un paio di orecchini ridondanti, rossetto generoso, fondotinta che i riverberi dello scarsissimo ed unico lampione mettevano ancor più in evidenza, atteggiamento “snob”, repulsiva a livello epidermico, elegante, sofisticata, risatine tirate, brevi ed isteriche, ancora aggrinfiata agli ultimi scampoli del suo essere femmina, se mai lo fosse stata, nonché alla posizione che occupa. Non appartenente alla tribù dei prof. Keating de “L’attimo fuggente”.
Capitò che noi tre, il sottoscritto, mio fratello maggiore amico di sempre alla mia sinistra e “lei” a destra eravamo seduti sulle solite sedie in plastica, fortunatamente con braccioli. Cominciava a rinfrescare e udivo, ascoltando a tratti, complice pure l’oscurità ormai insopportabile, il loro dotto discorrere specialistico sui vari aspetti della pittura, le correnti, tecniche, simbologia, riferimenti storici, citazioni roboanti che sconfinavano nella metafisica, filosofia e zoologia quale capolinea della conversazione dirottata sulla collezione di dipinti di “animali domestici” della signora, in merito alla quale le sue esternazioni raggiunsero l’apoteosi. Venne fuori il nome di Ligabue, domanda che le rivolse l’amico (a lui piacciono questi soggetti, la signora intendo) per sapere se nell’assortimento avesse pure una delle “tigri” di questo grande, a mio avviso, folle ed a modo suo unico artista “Naïf”. Lei rispose “No!” con una piega della bocca identica a quella della Boldrini. Detto tutto.
La pausa di silenzio che seguì era dovuta, credo, alla stanchezza dei due competitori ed il mio meditare su quel “No!” schifato e perentorio. Ad un certo punto, anche per rompere… qualcosa, mi rivolsi all’amico, solo a lui, dicendo esattamente: “Vorrei chiederti un parere. Premettendo che Van Gogh è per me uno dei più grandi fra i post impressionisti ed io lo amo in modo particolare, anzi ritengo sia incomparabile, ho di recente confrontato a lungo gli autoritratti suoi e quelli di Ligabue e ti confesso che, nel rappresentarsi, fra questi due pittori è una bella battaglia…” Non feci in tempo a terminare la frase che sobbalzai all’esclamazione che mi giunse da destra tanto che ruotando la testa in quella direzione colsi la “esperta” con il dorso della mano sulla fronte, svenevole, stile Wanda Osiris durante le brevi soste mentre scendeva le scale o Marlene Dietrich quando cantava l’immortale “Lilì Marleen”, proferendo scandalizzata (testuale): “Hai detto una cosa… una cosa… una cosa insopportabile. Mi alzo e me ne vado!
Non si rizzò, mi riferisco alla signora, ebbe una pausa e aggiunse, unendo indice e pollice a formare una sorta di buco del culo, con le residue tre dita distese, due a guisa delle grandi copritrici superiori e l’ultima a formare il timoniere, in sostanza la rappresentazione completa del posteriore della gallina: “Guarda! Devi sapere che Ligabue saranno sì e no tre anni che lo conosco e tu me lo paragoni a Van Gogh? Ma come è possibile sentire queste affermazioni?” rivolgendo quest’ultima domanda all’amico. La boccia di vetro di cui ho parlato in apertura si dissolse improvvisamente, esplose, gettai una rapida occhiata al fratello d’adozione, cui voglio bene, al fine di raccogliere consenso ma vidi solo terrore nei suoi occhi per quella che immaginava avrebbe potuto essere la mia reazione. Indi, tornando a lei:
Ascolta… non ricordo il tuo nome, abbi pazienza mi capita spesso con certuni, ma visto che non ti sei alzata potremmo fare così, domani mattina al massimo ti invierò una, due paginette via mail sostenendo la mia tesi (cosa che farò n.d.a.), che tale non voleva essere, poi tu mi risponderai qualora avessi elementi per contrastarla riservandomi la possibilità di una sola eventuale controreplica allorché le tue considerazioni dovessero meritarla. Mi sento poco socievole stasera e non mi va di parlare. Affare fatto?
Di certo la signora avrebbe preferito che mi adirassi, o similare, comunque si sarebbe aspettata una reazione diversa, rimase perplessa rendendosi conto che stavo parlando maledettamente sul serio. Quando io e il mio amico ce ne andammo anzitempo lui volle recarsi a salutarla. Lei sorridendo mi porse la mano dicendomi: “Sei ancora traumatizzato per Ligabue?” ed io di rimando “Ti credi all’altezza da potermi turbare? Davvero ritieni di essere importante?”.
Le ultime due ore di quella serata le trascorremmo in una delle ultime bettole aperte del centro storico, da parte mia cercavo di convincere l’amico che quella è una povera idiota e il suo peggior problema, per la professione che svolge, la totale mancanza di “sensibilità” nel cogliere in un’opera d’arte, anche in generale, il “succo della vita”. Questa o ce l’hai o non te la puoi dare, neppure perdendo gli occhi sui “sacri testi”. Il guaio è che tale metastasi è estesa alla stragrande maggioranza delle persone ed è per questo che ho incominciato a fare sempre più mio l’aforisma del grande Anacleto Verrecchia, l’ultimo dei filosofi contemporanei mancato tre anni fa nell’indifferenza dell’italica Penisola:
“Di solito la gente è così piatta che ci toglie il piacere della solitudine senza darci quello della compagnia”

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagini in evidenza ricavate dalla raccolta dell’Autore: Autoritratti, a sinistra Antonio Ligabue, nato Antonio Laccabue, a destra Vincent Van Gogh

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NOSTRO PENSARE…

NOSTRO PENSARE…

Superfluo ogni commento,
inutili parole,
ansimare sì, certo,
matita su legno
sussurrano frasi sconnesse,
bugie che sono verità
dell’istante prima,
cornici dell’avvento,
pareti dell’Universo, flesse,
si vira velocemente
percorrendo infinite curve,
accelerazione esponenziale
che produce gemiti…
concordanti, sovrapposti, dissimili.
L’attimo sta fuggendo,
sospiri affannati
aggrinfiati al tutto,
trionfo stellare
rilascia potenti getti
opalescenti, grondanti,
annuncio altissimo
dell’imminente
mortale risucchio.
Pace!
Inquietudine
pronta a rigenerarsi,
penombra, consapevolezza,
ubìqua realtà sbiadita,
abbracciati, sigaretta,
il fumo s’invola lento, sinuoso,
a fissare nell’angusto soffitto,
fra tramezze convergenti,
il nostro pensare…

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI ARTISTA TOSCANO – Matita su legno con uno strato di cera – Dimensioni cm 21 x 30

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LADY STARDUST – All’amico e compagno Dario Rossi Speranza con grande stima e affetto

LADY STARDUST
All’amico e compagno Dario Rossi Speranza con grande stima e affetto

Grazie caro amico,
regalo inaspettato questo ritratto e graditissimo, immagine di rara bellezza, non facile fermare l’attimo in cui gli occhi, lo sguardo, trafiggono l’osservatore, ne carpiscono il cuore e la mente al punto da incatenarne l’anima. L’ovale perfetto nella sua imperfezione, mandibola dolcemente pronunciata, volitiva e proprio per questo in completo accordo con il carattere di Lady Stardust che ignora il verbo “rinunciare”. Il naso preciso, finito, la tenue fossetta del mento appena accennata, i capelli, l’acconciatura tutt’altro che sofisticata, liscia, cascante come polvere di stelle, predisposta… E le labbra semiaperte il giusto, quello superiore pare muoversi, leggero tremore per narrare nell’unico modo possibile fiabe inimmaginabili, sensazionali, vuole onorare una promessa disattesa da tempo. Fronte alta, capo leggermente reclinato, mano che cinge la gola dicono che è giunto il momento, tradiscono impazienza, la medesima del simbolo che decora il monile, predatore astuto e veloce.
Ogni particolare è congruente al tutto e confluisce in una sola direzione tenuta sospesa da desiderio e incantesimo.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricevuta in dono dall’amico Dario Rossi Speranza

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LADY STARDUST
Friend and companion Dario Rossi Hope with great esteem and affection

Thank you dear friend,
unexpected gift this portrait, and most welcome, a stunning picture, not easy to stop the moment in which the eyes, the eyes, pierce the observer, they carpiscono your heart and mind to the point of chaining the soul. The perfect oval in its imperfection, jaw softly spoken, strong-willed and because of this in complete agreement with the character of  Lady Stardust that ignores the verb “give up”. The nose precise, finished, the small dimple in the chin just mentioned, the hair, the hairstyle far from sophisticated, smooth, sagging like stardust, prepared… And her lips parted on the right, the upper one seems to move, slight tremor in the only way possible to tell unimaginable tales, sensational, to honor a promise long ago rejected. High forehead and head slightly bowed, hands encircling his throat felt it was high time, betray impatience, the same symbol that decorates the jewel, predator smart and fast.
Every detail is congruent to everything and flows in one direction only kept suspended by desire and enchantment.

Mauro Giovanelli – Genoa Italy
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Picture in evidence received as a gift by his friend Dario Rossi Hope

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Joseph Mallord William Turner – La nave negriera (The Slave Ship) – commento in italiano e inglese

Joseph Mallord William Turner – La nave negriera (The Slave Ship)
commento in italiano e inglese

Genova (italia) Palazzo Ducale, mostra degli impressionisti cui vennero abbinati “lavori” di inglesi e americani indubbiamente per l’esiguo numero di “pezzi” forniti in prestito dai musei del mondo. La Superba non si fa rispettare come una volta ma il modo di dare una lezione ai direttori dei vari Santuari dove sono custoditi i dipinti di Van Gogh (post impressionista), Renoir, Monet, ecc. ci sarebbe stato ovvero accostarli ai nostri “grandi”, i liguri dei primi ‘900 della statura di Rubaldo Merello, Cesare Bentivoglio, Antonio Schiaffino, Giuseppe Sacheri… e tanti altri che nulla hanno da invidiare a molti dei classici così detti “francesi”. Lo rimarcai al responsabile dell’organizzazione, rimase turbato nel constatare che una pecora potesse uscire dal “percorso” stabilito.
In tale circostanza ebbi comunque la sorpresa di ammirare dal vivo opere di notevole spessore fra le quali ne spiccava una, di Joseph Mallord William Turner, il cui “potente” magnetismo mi attirò a tal punto da soffermarmi a lungo ad ammirarlo pur trattandosi di un soggetto diciamo “paesaggistico”. Fu difficile staccarsi dalla sua luce generata da una dimensione a me sconosciuta. Raffigurava un vascello che lottava strenuamente contro gli elementi della natura vincolati da un patto infernale che li induceva tutti a scatenarsi sulla tela.
Non era il dipinto in questione, o forse sì, potrei dire una fesseria in quanto il mio interesse era così concentrato nel cercare di interpretare i vari toni che… il “tema” passò in secondo piano; al limite avrebbero pure potuto non esserci i complementi che davano il titolo al quadro tanta era l’ampia varietà cromatica i cui riverberi, avvicinandomi per capire il criterio adottato dall’artista, denotavano una particolare e suggestiva tecnica di stesura del colore di rado rilevata. In poche parole rimasi stupefatto e provai una punta di orgoglio quando successivamente, nel raccogliere informazioni su questo genio, ebbi modo di leggere: «…Secondo quanto scritto da David Piper nella sua The Illustrated History of Art, i suoi ultimi lavori venivano definiti come “fantastici enigmi” e il celebre critico d’arte inglese John Ruskin lo definì colui più di ogni altro capace di “rappresentare gli umori della natura” in modo emozionante e sincero».
Flutti implacabili, raffiche di vento accanite, riflessi di luce ora intensi ora appena riverberati, turbinio di nubi sfilacciate come le residue vele dell’imbarcazione il tutto in una commistione diabolicamente perfetta. Potrei anche suggerire di definirlo l’artista delle “calamità naturali” o “potenza degli elementi” ma non va ancora bene, ci deve essere una definizione che renda giustizia a William Turner.
Noterete di certo come in questo spettacolo passino in secondo piano le braccia degli uomini che fuoriescono dai flutti cercando di aggrinfiare l’aria per liberarsi dai marosi che, avviluppandoli ancor più saldamente delle catene, li accompagneranno al loro infausto destino, schiavi gettati in mare insieme ad ogni suppellettile allo scopo di alleggerire il natante. Poche pennellate maestose per raffigurarli, così come il vascello che viene “integrato” nella catastrofe, quasi una macchia, bestia ferita a morte in cerca di scampo.
Ecco! Questa rappresentazione riconduce all’Apocalisse. Ad un attento osservatore non possono infatti sfuggire gli unici esseri viventi in perfetto equilibrio con il contesto, guardinghi gabbiani volteggianti come bianche colombe sul tutto prestabilito… sordi alle miserie umane.

Mauro Giovanelli-Genova
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Immagine in evidenza: Joseph Mallord William Turner – La nave negriera (The Slave Ship) – 1840, Museum of Fine Arts (Boston)

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Joseph Mallord William Turner-The slave ship (The Slave Ship)
comment in Italian and English

Genoa (Italy), Palazzo Ducale, Impressionist Exhibition where the works were matched by British and Americans undoubtedly for the small number of pieces supplied on loan from museums around the world. La Superba does not respect as it once was but how to give a lesson to the directors of the various Shrines where Van Gogh’s paintings are kept (post Impressionist), Renoir, Monet, etc. there would be or approach them to our “big”, the ligurians of the first ‘ 900 of the stature of Rubaldo Merello, Caesar Bentivoglio, Antonio Schiaffino, Giuseppe Sacheri … and so many others that have nothing to envy to many of the classic so called “French”. I remarked to him responsible for organizing, was surprised that a sheep was coming out of the “path”.
On that occasion I had anyway the surprise to see live works of considerable thickness including talking stood out a, by Joseph Mallord William Turner, whose powerful magnetism drew me to such an extent that dwell at length to see it although it is a subject we say “landscape”. It was difficult to break away from its light generated from a dimension unknown to me. It depicted a ship that fought strenuously against the elements of nature bound by a pact that led them all to lash out on the canvas.
It wasn’t the painting in question, or maybe yes, I could say nonsense because my interest was so focused in trying to interpret the different tones that… the “theme” went into the background; the limit would also could not be the complements that gave the title to such was the wide chromatic variety whose reverberations, as I approach to understand the criterion used by the artist, bore the mark a particular and evocative color rarely detected structuring technique. In a nutshell I was amazed and I felt a sense of pride when you later, in collecting information about this genius, I was able to read: «…As written by David Piper in his The Illustrated History of Art, his later works were referred to as “great puzzles” and the famous English art critic John Ruskin called it one more than any other that could “represent moods of nature” so emotional and honest.»
Relentless waves, fierce wind gusts, reflections of light now intense now just like the clouds swirl residual reverberated, ragged sails the boat in a devilishly perfect mingling. I might also suggest to define it the artist of “natural disasters” or “power of the elements” but it doesn’t go well, there must be a definition that does justice to William Turner.
You’ll notice how in this show overshadow the arms of men escaping from the waves trying to aggrinfiare the air to get rid of billow that, avviluppandoli even more firmly the chains, accompany them to their unfortunate fate, slaves thrown overboard together with all furnishings in order to lighten the vessel. A few majestic strokes to depict, as well as the vessel that is “embedded” in the catastrophe, almost a blur, beast mortally wounded seeking refuge.
Behold! This representation leads to revelation. To a careful observer cannot escape the only living things in perfect balance with the environment, watchful circling seagulls as white doves on all preset … deaf to human misery.

Mauro Giovanelli-Genova
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picture show: Joseph Mallord William Turner – The slave ship (The Slave Ship) -1840, Museum of Fine Arts, Boston

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A Mia Madre

A Mia Madre

Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni
mia madre ha sessant’anni e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un accento, un guardo, un riso
che non mi tocchi dolcemente il cuore.
Ah se fossi pittore, farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
perch’io le baci la sua treccia bianca
e quando inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ah se fosse un mio prego in cielo accolto
non chiederei al gran pittore d’Urbino
il pennello divino per coronar di gloria
il suo bel volto.
Vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei
Vorrei veder me vecchio e lei…
dal sacrificio mio ringiovanita!

Edmondo De Amicis

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: A sinistra “mia mamma ed io” – A destra Edmondo De Amicis ricavata dal web

PASOLINI – FIAT LUX

FIAT LUX

“Il giorno della mia morte in una città, Trieste o Udine, per un viale di tigli, quando di primavera le foglie mutano colore, io cadrò morto sotto il sole che arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia lasciando il cielo al suo splendore”
PIER PAOLO PASOLINI

COMMENTO:
Non è tanto la lirica, eccelsa, il paesaggio tracciato con poche pennellate, il bagliore di Van Gogh, i riferimenti essenziali, il pensiero profondo come l’Abisso che… al limite potrebbero essere usuali, evidenti… quanto l’oscuro e imperscrutabile disegno che ispira la mente e muove la mano di Pasolini facendo convergere tutto in una sola sovrumana armonia.
Fiat lux.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal web

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PASOLINI – DIFFERENZE INSIGNIFICANTI

DIFFERENZE INSIGNIFICANTI

Io sono per la morale contro il moralismo borghese. Qual è la differenza? Il moralista dice no agli altri, l’uomo morale lo dice solo a se stesso.
(Intervista a ”La Stampa”, 12 luglio 1968)

COMMENTO:
Sembra semplice… nel nostro Paese deteniamo il triste primato che sfiora il 70% di analfabeti funzionali e di ritorno.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata dal post di Giovanna Caterina Salice, Officina Eretico & Corsaro Gruppo Editor

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PASOLINI COMMENTO – Ambiguo e solo

Dopo la mia morte…
non si sentirà la mia
mancanza : l’ambiguità
importa finché è vivo
l’Ambiguo.

Pier Paolo Pasolini
Comunicato all’Ansa 1969 in Transumar

COMMENTO:
Una sua intima riflessione. Di getto non mi sentirei di interpretarla a parte l’infinita malinconia di cui sono pervase queste bellissime parole. Aveva l’adorata madre che gli è sopravvissuta quindi… 1969, fine del tempo delle mele… una delusione personale? Ambiguo… riferito alla sfera sessuale? C’è molto da riflettere e poco da esaminare.
Solo lo era, purtroppo. Lo è meno adesso.

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza ricavata da Officina Eretico & Corsaro Gruppo Editor

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ENRICO BAFICO – L’ARTISTA DELL’IRONIA CHE TRAGUARDA IL DESTINO ULTIMO

ENRICO BAFICO – L’ARTISTA DELL’IRONIA CHE TRAGUARDA IL DESTINO ULTIMO

I soggetti del suo immaginario pittorico sono pervasi da enormi cachi, signori al biliardo rigorosamente attrezzati di guanti gialli, più spettatori che competitori, kellerine in divisa con grembiule e crestina, gnomi, cani, visioni oniriche della Genova ottocentesca, navi infinite dalle innumerevoli ciminiere che, cariche di enigmi, cercano di invadere lo spazio circostante solcando il mare sul filo ambiguo che separa ciò che è impresso sulla tela e lo spettatore. Nei suoi dipinti tutto è pervaso da un profondo silenzio, quiete che si percepisce solo apparente poiché ogni dettaglio è pronto, si potrebbe quasi dire sta all’erta, per cercare di attenuare un eventuale risvolto tragico che incombe su tutto il paesaggio. Nella sua pittura è costantemente presente l’apparenza di amaro sarcasmo che trasforma il tutto nella partita conclusiva del giocatore scanzonato e compulsivo inevitabilmente destinato a perdere. Si prova la sensazione che ogni oggetto potrebbe dissolversi da un momento all’altro come la nuvola di fumo dell’ultima sigaretta.
Nelle sue opere ci sono quasi sempre un interno e un esterno a stabilire il confine tra il finito e l’infinito, la permanenza e il transitorio riconducibili alla vita e alla morte. Significativa ed emblematica della natura dell’artista la cura del dettaglio che sta a dimostrare il suo mancato definitivo “distacco” dall’infanzia, unico periodo della vita dove ogni particolare assume l’importanza sconfinata di un mondo ancora vergine e tutto da esplorare. Anche nei ritratti che gli vengono commissionati i protagonisti sono donne e uomini in attesa di qualcosa di indefinibile, immobili come cristalli e immersi nel costante ripasso di un intimo monologo interiore. Essi comunicano solo la loro fragile umanità soverchiata dal destino che incombe. I cani e i vari frutti inseriti ossessivamente in ogni dipinto pare invece siano “umani” al punto di interagire con l’osservatore rivitalizzando in parte lo scenario complessivo. Addirittura le sue navi infinite sono masse organiche in movimento che cercano di sfondare la tela per scompigliare tutto il gioco di incastri del dipinto. Solo nel ritratto di un suo caro amico d’infanzia l’artista ha assegnato al modello un corpo e una mente che invadono il perimetro di gioco esterno dove lo sguardo scruta minuziosamente sia lo spettatore che tutto l’al di là del dipinto. Quest’opera è importante per delineare il carattere di Enrico che, nel rappresentare colui che lo riconduce totalmente al suo universo infantile, nel suo habitat, lo invita ad abbandonare inconsapevolmente il fittizio e snobistico cinismo di cui si nutre.
Geniale!

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: ENRICO BAFICO, a sinistra “ultime onde del ‘900” – a destra “Attimo dopo attimo” – entrambi olio su tela . Collezione privata

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FULVIO LEONCINI – L’artista “sensoriale”

FULVIO LEONCINI – L’artista “sensoriale”

Fantastica! Dinanzi a questo dipinto emerge tutta la componente animale che occupa un volume notevole del mio essere, il resto è intelligenza di capire non trattarsi solo di ciò che si vede ma si “sente”, lo avverto, gli odori della femmina, mi avvicinerei lentamente e con dolcezza, allo stesso modo di un’iguana, forse striscerei anche per giungere ad annusare, tastare con il naso le carni segrete, ne assaporerei il gusto, avvertirei i brividi, il tremulo reagire della donna che impaziente aspetta ciò che sa dovrà avvenire, così il desiderio aumenta, diventa insopportabile, ha piegato una gamba per favorirmi… Poi c’è molto altro ancora, perfino la tua anima o qualunque cosa essa sia, pure la nostra, femmine e maschi, l’irrequietezza, nostalgia, ricordi, sogni…
Tu sei un artista “sensoriale” caro Fulvio, pochi tratti, solo pochi fottuti tratti guidati dalla tua mano… ineguagliabile!
Ti capiranno?

Mauro Giovanelli – Genova
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Immagine in evidenza: FULVIO LEONCINI – Erosoeros, 2016 © Tecnica Mista su legno – cm 30×30

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